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Autore: amociambellee    28/08/2013    0 recensioni
”Tu hai diviso la luna ed il sole. Ma sono facce della stessa medaglia. La luna vive in funzione del sole. La vedi adesso? Così piena, così grande, così bella? E anche così luminosa? E da cosa deriva la sua luminosità e bellezza? La luna è una semplice roccia. Banale. Senza il sole dall’altra parte della terra non la noteresti nemmeno. È come uno specchio. Riflette la sua luce. Rendendola di una bellezza completamente diversa. Semplice roccia resa importante da una stella luminosissima. Sono due anime gemelle. E lo sai l’elemento di divisione delle due? La terra. Si mette tra di loro. E durante la notte di novilunio, la luna scompare, perché la terra si mette tra lei ed il sole, assorbendo indegnamente la luce rivolta altrimenti alla luna. Solo in notti come queste il sole riesce a godere pienamente della bellezza della sua amata, e la luna si sente importante, bella come non mai."
Queste parole non le dimenticherò mai. Crearono una svolta, la svolta più importante della mia vita. Ed io voglio raccontarvela.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1



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La luna illuminava l’acqua del laghetto. La sua superficie era liscia, increspata da qualche filo di vento. Dalla foresta provenivano i bassi suoni degli animali notturni a caccia, e di tanto in tanto alcuni pipistrelli creavano ombra sull’acqua illuminata. Gli alberi intorno crescevano alti e lunghi, i loro rami si intrecciavano sulla cima. A terra, varie foglie assumevano il colore argenteo della luna. Alcuni arbusti crescevano radi intorno alle sponde. Nessuna nuvola oscurava la luna piena. Alcuni fiori notturni si erano aperti lentamente, e mostravano sotto la luce della luna i loro petali segreti, nascondendo alla luce del giorno i loro colori, quasi si vergognassero ad uscire fuori e mostrarsi come tutti gli altri fiori. Mi sporsi lentamente osservando il mio riflesso che rovinava la perfetta tavola argentea. I capelli legati in alto in un disordinato chignon che non riusciva a raccogliere tutti i ciuffi, diventavano lucidi come argento sotto la luce della luna. Le labbra, rosse come sangue, diventavano di un grigio argenteo. Le guance, magre ed esangui, risaltavano diventando quasi bianche. Le sopracciglia, folte e nere, assumevano riflessi argentei. Gli occhi invece, contornati da folte ciglia, mi ricordavano perennemente che non ero come gli altri. Uno blu come il mare, l’altro verde bosco. Per questo li odiavo. Era come se non fossi né carne, né pesce. Né luce, né buio. Né bene, né male. Immersi velocemente i piedi nudi nell’acqua, rimuovendo ogni stralcio del mio riflesso. Alzai lentamente la testa e la rivolsi alla luna, beandomi degli ululati lontani dei lupi che non riuscivano a raggiungere la luna.
Un impercettibile fruscio, lontano alcuni metri a destra da me, mi avvertì che era arrivato qualcuno. Si sedette all’ombra di un cespuglio sull’altra sponda del lago senza dire una parola, continuando ad ammirare la straordinaria bellezza della luna.
Gli animali si zittirono, e riuscii persino a sentire il suo respiro pesante, segno forse che aveva corso per arrivare qui. Abbassai lentamente lo sguardo rivolgendolo verso la sagoma rannicchiata dietro quel cespuglio, cercando di cogliere, qualche suo lineamento.
<<”Chi sei? Cosa ci fai qui? Ci conosciamo?”>> dissi cercando di osservare la sua ombra
<<”Non voglio farmi vedere”>> disse, quasi mi stesse leggendo nel pensiero.
<<”E perché? Hai qualcosa da nascondere?”>> cercai di ridere, ma lui non accennava a scomporsi.
Non rispose. Vidi la sua ombra muoversi e spostarsi meglio sotto il cespuglio.
Passarono alcuni minuti di silenzio, dove le cicali ripresero a cantare lo stesso canto di tutte le sere, prima che la sua voce tagliasse quella melodia: <<”Perché sei qui?”>>
Mossi i piedi nell’acqua, creando alcune onde circolari. Seguii il loro corso finché non si infransero proprio sotto la sponda dove il ragazzo era nascosto: <<”Non avevo sonno”>>
Altri minuti di silenzio. Ma a questo punto lo interruppi io: <<”Come ti chiami? Perché non vuoi farti vedere? Cosa te lo impedisce?”>>
Sentii una risatina da parte sua, ma non me ne importava. Avrebbe dovuto rispondermi prima o poi.
<<”non mi piacciono tutte queste domande, piccola.”>>. Riuscii a scorgere un bagliore nell’oscurità. Il bianco dei suoi denti?
<<”propongo uno scambio equo, allora”>> mi sforzai di trovare una proposta adatta ad un tipo che non voleva concedere proprie informazioni. Mi struggeva non sapere niente di lui. Nessuno si era mai fatto vedere sul lago. Se lui era lì, magari valeva la pena sapere chi fosse e perché stesse lì.
Altra risatina: <<”Bene allora, misuriamo le tue capacità persuasive. Stupiscimi”>>
Cercai di fissare bene lo sguardo sulla sua figura: <<”Per ogni mia domanda rivolta a te, io dovrò rispondere a cinque delle tue”>>
<<”Chi ti dice che io voglia stare a sentire le tue risposte?”>>
Risposi senza pensare: <<”il fatto che vuoi misurare le mie capacità persuasive e continui a parlare con me.”>>
Rise ancora una volta, come a dire che mai avrebbe accettato una cosa del genere e che di me non gliene importava niente: <<”va bene allora. Come ti chiami?”>>
Non ero preparata a quella risposta. Cercai di scorgere più che mai il suo contorno, ma mi era praticamente impossibile: <<”Sarah”>>
Rispose velocemente: <<”quanti anni hai?”>>
Aspettai alcuni secondi prima di rispondere: <<”sedici”>>
<<”perché i tuoi occhi sono uno diverso dall’altro?”>>
Esitai a rispondere. Da quella distanza era riuscito a scorgere questa differenza di tonalità. E diversamente dalle altre persone non aveva scrupoli a chiedermene il motivo. I ragazzi al college mi guardavano e giravano subito la faccia, quasi disgustati. Come se fosse colpa mia. Nessuno me lo chiedeva, nessuno se ne interessava. Nessuno se ne fregava di me.
<<”perché ogni volta che mi guardo allo specchio veda che sono divisa. Una parte di me desidera una cosa, l’altra l’esatto opposto. Sono un errore genetico.”>>
Passarono alcuni secondi in silenzio. Stavo per pentirmi di essere stata tanto fredda. In fondo non era colpa sua se ero così. Ma probabilmente lo feci diventare solo più curioso per il mio incupimento: <<”chi secondo te vuole vederti così divisa?”>>
Questa volta fui io a ridere. Non era colpa di nessuno se i miei occhi erano uno differente dall’altro! Non mi ero però resa conto che con la mia isterica risata le cicali avevano smesso completamente di cantare, quasi impaurite. I lupi invece ululavano ancora più forte ed i pipistrelli si rintanavano nell’oscurità mostrando di nascosto il luccichio dei loro occhi.
<<”perché qualcuno dovrebbe volermi vedere così? Non ha alcun senso. Sono una mutazione, niente di più, niente di meno. Forse è Dio che ce l’ha con me”>>
Sentii a malapena un sussurro da parte sua, e nemmeno ero sicura di quel che avesse detto, ma mi si gelò il sangue nelle vene: <<”non sai quanto ti sbagli…”>>
Passarono diversi minuti in cui io ero indecisa se chiedergli che avesse detto per conferma o se fosse meglio non farlo, prima che lui mi chiedesse in modo del tutto normale: <<”cosa ne pensi della luna?”>>
Per istinto sollevai la testa ad osservarla. Il suo bianco illuminava tutto il cielo nero. Persino le stelle non si vedevano, tanta era la sua luce. Non so quanto rimasi in quella posizione incantata dalla bellezza argentea di quell’astro, ma quando guardai il suo cespuglio risposi: <<”la luna è l’unica cosa che mi capisce. Non lo fa nessuno. E la sua bellezza è disarmante. Non come il sole. Il sole illumina troppo, rende i colori troppo vividi, da alla testa. La luna è rassicurante. I suoi colori sono calmi e tranquillizzanti. Nero, bianco, grigio. Le cose migliori escono nella notte, non alla luce del sole. Guarda questo fiore – indicai il fiore notturno accanto a me – è bellissimo, non trovi? Eppure mostra la sua bellezza solo alla luce di questa luna.”>>
Credo che si ritenne soddisfatto di quella risposta, lo sentii forse mormorare qualcosa come “la regina della notte”, accennare ad una lieve risata e dire: <<”pare che le mie domande siano finite. Tocca a te adesso. Fammi vedere chi sei”>>
Mi presi alcuni secondi per pensare una domanda appropriata, poi contro ogni logica gli chiesi: <<”tu invece cosa ne pensi della luna?”>>
Probabilmente non era la domanda che si aspettava. Ma il suo nome potevo saperlo anche più tardi. In quel momento mi sembrava importantissimo sapere cosa ne pensava. Il mio stomaco si contrasse nell’attesa di udire quella risposta, come se da essa dipendesse la mia stessa vita.
Poi finalmente rispose con una voce profonda, come mi stesse raccontando tutto se stesso: <<”tu hai diviso la luna ed il sole. Ma sono facce della stessa medaglia. La luna vive in funzione del sole. La vedi adesso? Così piena, così grande, così bella? E anche così luminosa? E da cosa deriva la sua luminosità e bellezza? La luna è una semplice roccia. Banale. Senza il sole dall’altra parte della terra non la noteresti nemmeno. È come uno specchio. Riflette la sua luce. Rendendola di una bellezza completamente diversa. Semplice roccia resa importante da una stella luminosissima. Sono due anime gemelle. E lo sai l’elemento di divisione delle due? La terra. Si mette tra di loro. E durante la notte di novilunio, la luna scompare, perché la terra si mette tra lei ed il sole, assorbendo indegnamente la luce rivolta altrimenti alla luna. Solo in notti come queste il sole riesce a godere pienamente della bellezza della sua amata, e la luna si sente importante, bella come non mai.”>>
Rimasi affascinata dal suo discorso. Non avevo mai pensato alla luna ed il sole in questo modo. Per me erano due cose completamente differenti. Una governava sul regno caotico e disordinato del giorno. L’altra su quello pacifico e tranquillo della notte. Avrei voluto chiedergli di più, fare altre domande sulla sua stupefacente spiegazione, ma all’improvviso lo sentii urlare: <<”ABBASSATI SARAH!”>>
Guardai dietro di sfuggita e vidi un enorme lupo grigio che mi scrutava ad una decina di metri di distanza. La sua figura era molto possente, e i suoi occhi scintillavano. Lo vidi muovere qualche passo verso di me. Mi accucciai a terra coprendo gli occhi e stringendo le gambe al petto. Avevo paura, ma alla fine sarebbe stato un bene se mi avesse sbranata. Avrei sofferto per un po’, ma poi avrei lasciato questo mondo per passare a miglior vita. Rapido, indolore. Nessuno avrebbe mai saputo chi ero. Forse un po’ mi dispiaceva andarmene senza prima aver provato a spiegare cosa c’era sempre stato nella mia testa. Vivere una vita piatta, fine a se stessa. Ma non tutti possono eccellere. Il mondo va così: c’è chi è capace e lascia un segno. Poi c’è chi, come me, non vale niente e preferisce morire in un modo strabiliante per essere sicuro di essere l’oggetto dell’attenzione anche solo per un giorno.
Non so per quanto tempo rimasi in posizione fetale aspettando un morso alla spalla o direttamente alla testa, ma quando tolsi le mani dagli occhi era tutto esattamente come prima. Piano piano ricominciai a sentire il ronfare dei gufi, il canto delle cicali, l’ululato triste e lontano dei lupi. Mi alzai leggermente rimanendo in una posizione accucciata, ma tirava lo stesso fresco venticello che mi solleticava le braccia e increspava leggermente lo specchio d’acqua. Il riflesso della luna era lo stesso, ma comunque c’era qualcosa che mancava. Mi guardai ancora più attentamente intorno cercando di scorgere le differenze, ma non ce n’erano. Cominciai a sussurrare verso il cespuglio del ragazzo : <<”ehi, ci sei? Tutto bene? Che è successo?”>> prima di rendermi conto che quello che mancava non era avvertibile attraverso la vista. Mancava il suo respiro.
Cominciai a percorrere il perimetro del laghetto cercando di arrivare al suo cespuglio e vedere se andava tutto bene quando mi resi conto che era tardissimo. I raggi del sole stavano cominciando a smorzare il nero della notte con le loro dita rosate. Non avevo più tempo: dovevo correre al college altrimenti mi avrebbero beccata fuori.
Girai e corsi a perdifiato lungo la strada che ore prima avevo percorso infiltrandomi nel cuore della notte. Correvo, come non avevo mai fatto. Mi ero trattenuta davvero troppo quella sera, non ero sicura di farcela. Finché non arrivai al punto dove si riusciva a vedere il contorno dell’edificio, corsi fino a bruciare i polmoni. Poi finalmente cominciai a rallentare il passo. Ero appena arrivata davanti l’enorme portone, nascosta dietro un alto cespuglio, quando il sole aveva mostrato una minima parte della sua massa. Il cielo era diventato violetto e schiariva man mano che si volgeva lo sguardo ad est. Puntai di nuovo lo sguardo verso il portone. Di solito lo scavalcavo, ma non ero ben sicura degli orari dei guardiani. Per quel che sapevo potevano benissimo aver già cominciato il loro turno. Decisi allora che era meglio rischiare e cominciai ad arrampicarmi per le mie solite pietre sporgenti, cadendo in uno dei miei soliti salti dall’altra parte del portone. Mi appoggiai cauta ad esso, guardandomi intorno circospetta, prima di correre lungo il selciato fino ad arrivare al portone. Mi avvicinai al vaso destro scavando con le mani nel terreno intorno alla pianta di cycas fino a trovare le chiavi. Le presi e le ripulii con le mani tremanti per l’ansia e mi avvicinai alla serratura cercando di fare meno rumore possibile. Il cielo era ancora fortunatamente buio.
Aprii il portone e mi fiondai nel college, preoccupandomi a malapena di socchiuderlo e salendo silenziosamente le scale. Misi le chiavi in tasca e cercai quelle della mia camera. Arrivai al secondo piano e contai tre porte prima di fermarmi. La camera numero 128. Girai le chiavi di metallo mantenendo il portachiavi nero del college con la mano per evitare di fare rumore ed aprii.
Ma invece di entrare furtivamente nella mia stanza, mi girai dietro. Avevo sentito un rumore, un cigolio. Mi girai appena in tempo per vedere la porta numero 129 chiudersi silenziosamente. Non ci sarebbe stato assolutamente niente di strano se non fosse che una delle poche stanze rimaste vuote era proprio quella.
Lasciai le chiavi nel chiavistello e cominciai ad avvicinarmi a quella porta. Alzai la mano chiudendola a pugno per bussare. Ero ad un centimetro dal toccarla, quando mi resi conto che non dovevo essere fuori dalla mia camera a quell’ora e che chiunque ci fosse stato lì dentro avrebbe fatto la spia. Meglio non rischiare. Indietreggiai di qualche passo e quando fui dentro la mia camera chiusi definitivamente la porta lasciando fuori quella serata tanto fuori dall’ordinario.

   
 
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