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Autore: Kruaxi    29/08/2013    1 recensioni
In un futuro non troppo distante, l'Italia è tornata ad essere una mera 'espressione geografica'. Sull'Appennino tosco-romagnolo un piccolo gruppo di soldati combatte una battaglia senza speranze contro un nemico forte e motivato. Nel buio della foresta, il maggiore Gianfranco Gherardi scoprirà un'altra impensabile minaccia, molto più pericolosa dell'esercito avversario...
Ho scritto questo racconto pensando ad uno scenario distopico di guerra civile, improbabile, forse non impossibile. Per uscire dal semplice genere della 'fantapolitica' ho preferito aggiungere un elemento decisamente fantasy.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Li vedemmo spuntare dalla curva. In testa una vecchia jeep armata di mitragliatrice pesante e  dietro   alcuni camion, inframmezzati da un paio di tecniche. Aspettammo di vedere la fine del convoglio: nessun blindato, nessun pezzo pesante.

Pazzi, pazzi incoscienti ed arroganti.

Gli automezzi erano troppo vicini fra loro; forse pensavano di apparire come un inespugnabile treno corazzato, invece erano soltanto molto più vulnerabili.

Ce li trovammo praticamente tutti esposti al nostro fuoco, impegnati lentamente in due stretti tornanti in discesa. Un bersaglio perfetto.

Le nostre MG iniziarono a sputare fuoco senza soluzione di continuità, tranne per i rapidi secondi del cambio canna, mentre gli RPG sganciavano razzi sul convoglio senza risparmio.

La bassa foschia dell'autunno inoltrato ci aveva reso indistinguibili dai greppi non più curati che spesso invadevano il tratto stradale, aprendosi ampi varchi nel grigio smunto ormai in debito di asfalto.

Gli automezzi, tutti verniciati di quel verde pallido che ben conoscevamo, presero fuoco uno dopo l'altro; i miliziani che saltavano giù dai teloni in fiamme non facevano in tempo ad usare le loro armi prima di essere falciati. Il raro sibilo di qualche proiettile di Beretta molto sopra di noi, il breve gracchiare di Uzi subito impotenti.

Urla e bestemmie sempre uguali si alzavano dal convoglio; per qualche secondo mi venne il pensiero blasfemo di quanto mancassero di fantasia nell'offendere le divinità.

In pochi minuti l'intero convoglio era distrutto. Sentivamo chiaramente urla angoscianti e frasi sgrammaticate che ci offrivano la resa. Con calma scendemmo, spianando gli AK47; non trovammo resistenza, soltanto mani alzate. Ragazzi pallidi, già vecchi anzitempo, in ginocchio con le mani intrecciate dietro la nuca. Occhi bassi e pieni d'odio, che risaltavano sui visi decorati da quello strano cosmetico che imbelletta i volti dei combattenti: fumo, sudore e sangue.

E lacrime.

Non potevamo permetterci prigionieri, ed avevamo poco tempo: potevano aver chiamato gli elicotteri e rischiavamo una pesante rappresaglia. Recuperammo il possibile dagli automezzi e ne mettemmo uno in funzione. Armi ed un po' di cibo; un buon bottino.

Scalzi e disarmati, i superstiti si incamminarono verso il Muraglione, poco convinti che non gli avremmo sparato alle spalle. Eravamo lontani ben prima che qualcuno di loro avesse il coraggio di guardare indietro. Come uso avemmo la pietà di finire i feriti gravi con una rapida raffica. Ringraziai il cielo, denso di nuvole scure; una situazione ottimale per sfuggire a qualsiasi ricognizione.

Lasciammo un paio di trappole lungo la strada, rudimentali ma efficaci, e tornammo verso le rovine di San Godenzo.

 

Ore dopo eravamo ben nascosti in quello che il vecchio sergente si ostinava a definire 'Presidio Alfa', ma che per tutti noi era soltanto 'il Covo'. Una vecchia e grande officina, ben nascosta dalle macerie  di una villetta e dal verde di una collinetta smottata.

L'adrenalina del combattimento ci teneva svegli ed euforici. I più giovani si alternavano davanti ad un paio di vecchi 62 pollici, con molti pixel bruciati dall'uso e dall'incuria.

Li osservavo curioso, mentre uccidevano migliaia di nemici, uomini od alieni, con le loro playstation tenute insieme col nastro adesivo. Il sangue vero non gli era bastato, a quanto pareva.

Li lasciai giocare, ormai sordo alle loro grida di vittoria ed al turpiloquio.

L'alcool girava, insieme a qualche canna. Non eravamo un esercito troppo attento alla forma, non ce lo potevamo permettere; soltanto chi era di guardia, occhi ed orecchie a difesa del perimetro, avrebbe dovuto aspettare pazientemente il suo turno per affogare la guerra nel vino.

La grande parabola in superficie, mimetizzata con una sapiente colorazione, ci teneva in contatto col mondo esterno.

-Erano solo ragazzini,- sbottò Luca accanto a me, mentre guardavamo distrattamente qualcosa sul nostro schermo gigante, 'quello dei vecchi'.

-Ragazzini mandati allo sbaraglio, chiaramente per testare le nostre forze.

Abbassò il suo bicchiere, pieno di non so quale porcheria e continuò a parlare guardandomi negli occhi: -Gianfra, loro possono spazzarci via quando vogliono. Se ne stanno buoni su quel cazzo di crinale, facendosi vivi soltanto con qualche cannonata ogni tanto, ma sono già molti e crescono costantemente di numero. Presto scenderanno attraverso le foreste e verranno i veterani, quelli cazzuti. Prima spianeranno un po' la zona con i loro elicotteri ed i loro aerei, poi ce li vedremo arrivare da tutte le direzioni e... Bang ! Addio presidio ! Non faranno prigionieri, gliene abbiamo già combinate troppe.

Socchiusi gli occhi stanchi, non c'era bisogno di essere Napoleone per capire che aveva ragione.

-Luca- mi alzai dalla sedia, stirandomi un po' i muscoli della schiena, -il nostro sistema d'avvistamento è più che buono, abbiamo decine di uomini pronti ad informarci anche quando loro vanno a pisciare; so che il preavviso sarebbe comunque poco, ed in caso di attacco massiccio non potremmo fare di meglio che ripiegare, lo sanno anche al comando. Quindi cosa vorresti fare ?

Strinse i denti: -Se non ci mandano uomini e mezzi faremo la fine di Massa Carrara.

Luca era bravissimo nell'evocare immagini oltremodo spiacevoli.

-Cosa proponi dunque ?

-Ripiegare, ovvio- buttò giù un lungo sorso, rovesciandosi addosso un bel po' di quello che, dall'odore, identificai finalmente come un pessimo brandy, -fino a Dicomano è terra persa, dovremmo attestarci nel Mugello, rafforzarci. Quelle merde al comando non sanno che se ci spazzano via 'loro' avranno la strada aperta fino a Firenze ? Dove sono i rinforzi promessi ? Credono davvero che potremmo fermarli con qualche vecchio Pajero corazzato con pezzi di binario e tettoie d'alluminio ? Chi siamo... L' A-Team ?

Mi infilai un mozzicone di toscanello in bocca, tenendolo ostentatamente con la punta rivolta verso l'alto: -Adoro i piani ben riusciti, Murdock !

Ci mettemmo a ridere come due scemi, mentre qualche giovanotto, all'oscuro del significato della mia pantomima, guardava interrogativo. Quel telefilm era già vecchio quando guardavamo le ultime repliche da ragazzini.

-Luca, qui siamo ancora su di un terreno che rende loro difficile l'utilizzo dei mezzi corazzati e degli elicotteri, in pianura ci spazzerebbero via in un secondo. 

-Si, ma...- lo fermai con un gesto della mano: -Il nostro unico scopo è fargli credere che siamo molti di più e molto meglio armati di quanto si sia veramente, sperando di guadagnare quel po' di tempo necessario a fare arrivare qualche serio rinforzo. A Pistoia li abbiamo bloccati, ed hanno preso una legnata che non si aspettavano; adesso che quel fronte è consolidato è possibile che qualcosa possa essere dirottato anche verso di noi.

Luca abbandonò definitivamente il bicchiere, impadronendosi di una bottiglia senza etichetta: -Certo maggiore ! La fortezza Gherardi resisterà impavida ad ogni assalto; gli unni risaliranno definitivamente le colline e se la batteranno a gambe !- Nel dir questo simulò malamente una posizione d'attenti, con tanto di saluto.

-La fortezza si chiamava Bastiani, ed erano tartari, non unni.

Luca mi guardò: -Non ti chiami Gherardi tu ? E di che parli ? Chi è Bastiani ?

Abbassai gli occhi e mi sentì terribilmente stupido; Luca era un grande soldato, migliore di me. In quella guerra i miei studi classici non avevano più importanza della citazione di un vecchio telefilm.

Presi una birra dal frigo, e provai a guardare un po' di televisione.

 

Strano, ma la televisione era migliorata da prima della guerra.

Nessuno aveva più il tempo di controllare i decoder, non si era più soggetti all'offerta blindata e censurata di prima.

Negli ultimi tempi della Repubblica, ben dopo la privatizzazione ultima dei canali RAI, non si riusciva a veder nulla se non reality, fiction dozzinali e talk show interminabili.

Ah, beh, a parte lo sport, ovvio.

I telegiornali non informavano più, ormai delegati soltanto all'incitamento all'odio verso questo e quello: i nemici si moltiplicavano ogni giorno. 

Il seme della discordia era stato legalmente gettato quando ero ancora un bambino e la pianta era cresciuta pian piano, quasi insignificante all'apparenza. Però aveva radici ben robuste e queste avevano infine sgretolato la Repubblica, mentre i giardinieri perplessi gridavano: -Ma come è possibile ? Era soltanto una piantina, come può aver fatto questo ?

Dal primo colpo di fucile erano passati sette anni; la seconda guerra mondiale era durata di meno.

 

Purtroppo non potevamo utilizzare la rete, ci avrebbe reso tracciabili facilmente.

I vari satelliti ci fornivano una buona varietà di canali e l'inglese aveva smesso da tempo di essere un problema per la maggioranza di noi.

Mi impadronii del telecomando, fra le proteste dei sottoposti ed iniziai un po' di zapping.

Non c'erano molte novità; gli USA in costante recessione ed alle prese con le molte rivolte popolari, i festeggiamenti cinesi per il secondo anniversario della base lunare permanente, qualche nuovo porto qua e là che finiva sotto il livello del mare per il riscaldamento globale.

Mi colpii la vendita all'India di due superportaerei atomiche americane: un altro pezzo della potenza statunitense che se ne andava. Passai ai canali che un tempo definivamo 'nazionali'.

'Padania 1' parlava del summit con l'Austria per l'annoso problema tirolese ed  elencava le continue vittorie dell'Esercito Verde, ultimo baluardo di civiltà contro i 'mafiosi, islamici e comunisti'.

Ovviamente non una parola sul 'fronte toscano'; ufficialmente eravamo la Padania Tirrenica Meridionale, momentaneamente soggetta a qualche disordine interno.

Bugiardi.

'Firenze digitale' ci informava dell'improbabile ritorno dei turisti stranieri nella nostra capitale, 'città d'arte come nessun'altra' e dell'abbattimento di ben tre Typhoon padani da parte della nostra 'impenetrabile' contraerea, guidata 'dal cuore e dalla giustizia'.

Chissà, probabilmente eravamo riusciti a buttarne giù uno, se non era caduto da solo: i loro Eurofighter dovevano essere un bel po' in difficoltà con la manutenzione, visto il casino che c'era in Europa, la vecchia Europa non più unita.

Lanciai il telecomando ad un commilitone. Il vecchio plasma 70 pollici tornò sintonizzato sulle partite della Bundesliga. Mi presi un libro in previsione di restare ancora sveglio a lungo, il solito 'Signore degli anelli' che tentavo inutilmente di finire da mesi, ma toccata la branda precipitai in un sonno avvolgente e senza sogni.

 

Alle quattro fui svegliato da un paio di colpi della 'Grande Berta', in realtà dei grossi obici piazzati nel loro presidio del Muraglione. Soliti colpi a casaccio, col solo scopo di tenerci in tensione.

Mi rigirai, tornando a dormire profondamente, non senza essermi ripromesso di infilargli prima o poi quegli obici dove non avrebbero gradito.

 

Per motivi di sicurezza neppure il Comando di Zona sapeva esattamente dove eravamo acquartierati; la mattina, insieme al sergente ed a Luca, ci incontrammo nel solito punto prestabilito con il portaordini proveniente da quel presidio.

Arrivò in sella ad una Kawasaki, malamente colorata di grigio scuro, che di certo aveva visto tempi migliori: -Saluti dal comando !- Ci urlò, mentre portava la mano alla fronte, superando il rumore preoccupante che usciva dagli scappamenti della sua motocicletta.

-Salute e te- risposi, -questo è il resoconto delle ultime azioni intraprese.- Dissi porgendogli una busta chiusa. Lui l'afferrò e la infilò con attenzione in una tasca della giberna che aveva a tracolla; dal casco grigio e senza insegne si intravvedeva il volto di un ragazzino forse maggiorenne. Con enfasi prese una piccola busta dalla tasca anteriore dell'uniforme e me la porse come fosse una delicata reliquia: -Sono ordini importanti, signore, ho avuto la consegna precisa di difenderli con la vita !

Accennai un sorriso, soprattutto per quel suo accento livornese che ho sempre trovato esilarante.

-Bravo soldato, segnalerò la tua efficienza; adesso torna al presidio. Nel caso tu venga intercettato, limitati a distruggere la mia lettera. Non vale la vita di nessuno.

Un nuovo saluto entusiasta, un colpo di gas ed il ragazzo era già lontano.

-Ce la farà a tornare con quel cadavere sotto il culo ?- Ridacchiò Luca.

-Sono certo di si, sa il fatto suo- dissi, troncando il discorso che, come sapevo benissimo, avrebbe portato Luca ad una lunga dissertazione sui 'giovani esaltati'. Tornammo sui nostri passi, il Covo non era lontano, ma erano pur sempre diversi chilometri a piedi per la boscaglia.

 

Ore dopo, comodamente seduti sui nostri divani di pelle consunta, un tempo sedili posteriori di grosse berline, aprimmo il plico degli ordini. Al solito conteneva promesse di rinforzi e ringraziamenti per il nostro operato. C'era anche altro, molto più interessante.

Lessi ad alta voce le richieste del comando; vidi il sergente invecchiare di colpo e Luca attaccare con una sfilza di bestemmie inimmaginabili.

-Sono pazzi ! Ma che richiesta è questa ? Non ci mandano armi, non ci mandano uomini, di mezzi neppure a parlarne e se ne vengono fuori con queste pretese da rincoglioniti; ma scherziamo !?

Il mio sguardo eloquente fermò il suo sfogo: -L'ordine è semplice: è richiesta una ricognizione della  posizione nemica sul Muraglione nonché, se vi fossero le condizioni, l'attuazione di qualsivoglia forma di sabotaggio del presidio stesso.- Guardai Luca sfoderando un falso sorriso a trentadue denti, come per dire: 'tutto qui, cosa vuoi che sia...'

-Non capisco, dovrebbero avere foto della ricognizione aerea, ogni tanto qualcuno dei nostri macinini ci passa là sopra. Dovrebbero avere anche foto satellitari: hanno finito i soldi per comprarle dai russi ?

-Luca è naturale conseguenza del bluff che stiamo reggendo qui- dissi, accendendomi una sigaretta vecchia e secca, che mi provocò immediatamente ripetuti colpi di tosse stizzita, -andargli in casa e riuscire a lanciargli anche soltanto un paio di granate potrebbe mettere in crisi la loro arrogante sicurezza.

-E' un suicidio,- ci girammo a guardare il sergente, era così raro esprimesse le sue opinioni, -sarà impossibile arrivarci senza farsi scoprire, anche attraverso il bosco più fitto, ed anche fosse... Come potremmo scappare senza che ci ammazzino tutti ?

Già, il problema era esattamente questo. 

Il comando ci definiva gli 'eroi dell'Appennino', magari pensavano che 'martiri' avrebbe suonato meglio per la nostra indipendenza. 

Di fronte alle vecchie carte della forestale studiai a lungo la situazione, mentre il sergente si affogava nel vino in cartone e Luca inventava sempre nuovi irripetibili aggettivi per i nostri comandanti, per tutti i santi del calendario e per ogni metro di terra che ci divideva dal Muraglione.

-Adesso vado in paese, cerco qualcosa che abbia un motore funzionante ed arrivo da quelle teste di cazzo del comando; ne rompo due o tre e dopo gli spiego perché questa missione è bene la facciano fare a qualcun altro, magari a quegli esaltati del battaglione politico !- Luca scandì con enfasi teatrale ogni sua parola, -sei d'accordo con me maggiore, no !?

-No.- Luca strabuzzò gli occhi alla mia risposta, in preda all'ira frantumò a terra il bicchiere che aveva fra le mani, -ed allora cosa cazzo vuoi fare ? Sono sicuro che di volontari ne troverai per questo scherzetto ma, cazzo, io non voglio mandare nessuno di questi bambocci a morire inutilmente, cazzo ! Sai cosa ? Ci vado io, da solo !

Mi toccai la barba di tre giorni, slacciai gli anfibi e con la testa chinata, dissi lentamente: -No Luca, non andrai tu, o meglio, non andrai da solo. Non sai neppure pulirti il culo senza di me. Andremo noi due e ti prometto che riporteremo a casa pure la cotenna.- Sorridendo picchiettai sulla carta un punto invisibile, in mezzo alla boscaglia più fitta.

Luca ed il sergente si chinarono a guardare.

 

Nei primi anni 70' nacquero in quelle zone diverse comunità di hippie, persone che avevano recepito il messaggio proveniente dalla controcultura allora in voga in America: Pace ed Amore.

In breve tempo alcune centinaia di persone, di diversa estrazione e con diversi desideri, si erano ritrovate a vivere in comuni sperse fra i boschi, ad ore di cammino dal più vicino avamposto civile. Ovviamente, così come in America, fin da subito non aveva funzionato.

Prima se ne andarono quelli che si erano imbarcati nell'impresa con la convinzione di scopare facilmente, poi quelli che avevano semplicemente visto troppe volte il film su Woodstock.

Infine erano partiti quelli alla ricerca di 'erba' facile. Anche gli ultimi si erano presto scontrati con le enormi difficoltà del vivere uno pseudo comunismo utopico senza comodità e senza aspirina. In breve tempo quasi tutti erano ritornati all'elettricità ed all'acqua corrente.

Ciò nonostante decenni dopo sopravviveva uno sparuto gruppo di persone, troppo convinte di vivere nell'Eden, o semplicemente troppo disadattate per sopravvivere in qualunque altro posto.

Da giovane, brevemente fulminato da idee tardo romantiche, ero andato a vedere l'ultima comune rimasta, dopo un trekking estenuante con la mia compagna di allora. Avevo incontrato poche persone, sporche e malaticce, che a mala pena sopravvivevano allevando asfittiche galline e coltivando Marjuana ben nascosta alla ricognizione aerea della polizia. Provai soltanto disgusto, ripromettendomi che mai più sarei fuggito dalla realtà alla ricerca di chissà quale verità occulta.

Però avevo conosciuto Alessandro, che tutti chiamavano lo 'Yeti'.

Doveva essere sulla quarantina all'epoca, almeno dal poco che si vedeva spuntare dalla sua enorme capigliatura sporca e scomposta. Era li da almeno vent'anni, ma non si era mai unito agli altri. Abitava da solo, in quella che mi sembrò una grotta e che in effetti era quanto rimaneva di un bunker della seconda guerra mondiale. Anche lui era un combattente.

Ma la sua era una guerra bizzarra, contro nessuno se non il mondo.

Gli altri lo evitavano, ne avevano paura. Le sue apparizioni erano sempre collegate a strani avvenimenti. Magari un tipo stava male e giaceva morente fra gli altri, impotenti. Oppure la comunità rischiava improvvisamente di morire di fame, per la solita totale disorganizzazione. 

Si presentava improvvisamente, muto come sempre, mentre tutti gli facevano spazio. Dopo un po' spariva ed il malato stava meglio, oppure si trovava improvvisamente del cibo sulle tavole. L'ambiente favoriva l'irrazionale e molti pensavano fosse un nuovo profeta, se non il Cristo in persona redivivo. L'importante era non disturbarlo, ne fargli domande. 

Almeno così dicevano.

A me non era bastato. Ero andato a cercarlo e me lo ero trovato dietro le spalle.

Non mi disse nulla e neppur io aprii bocca. 

Ci sedemmo e ci guardammo per un tempo indefinito.

Infine si alzò, mi sorrise brevemente e scomparve. Mi incamminai nuovamente verso la comune, dove trovai Elena, la mia ragazza, piangente e disperata. Mancavo da quattro giorni, a sentir lei, io ricordavo di essere stato via un pomeriggio.

Tornai a casa alquanto turbato. Pensavo alle leggende sugli uomini rapiti dai folletti, od erano fate ? 

Poco prima della guerra passai per caso da queste parti ed ebbi il forte impulso di sapere che fine avesse fatto quella strana persona. Con enorme difficoltà trovai la comune, ridotta ormai a soli tre nuclei familiari e... si, lo yeti era sempre in giro. Andai a cercarlo.

Stavolta pensai di averlo sorpreso, salvo vederlo alzare un braccio per salutarmi mentre mi dava la schiena, accovacciato vicino ad un falò.

Mi sedetti, mi parve non fosse invecchiato di un giorno; la cosa mi sembrò normale.

Mi offri una tazza sbroccata, da cui bevvi senza chiedermi cosa contenesse.

Poi non so. Forse mi addormentai e sognai. Forse.

Ma vidi la guerra. Vidi mezza Roma in fiamme, vidi il Po tinto di rosso. Osservai viadotti crollare e lunghe file di profughi. Vidi treni presi d'assalto da una povera umanità.

Mi svegliai ore dopo, sudato, sicuro di essere stato drogato. Ero arrabbiatissimo, proprio incazzato nero per questo scherzetto. Lui era li, scosse leggermente la testa e parlò: -Quando sarà il momento ti prometto che lo farò.

Poi si alzo e se ne andò. Tornai alla mia automobile lontana, ripromettendomi di non tornare mai più da quelle parti. 

Mesi dopo iniziò tutto.

Riguardai la cartina: Lui era lì, a non molte ore di cammino, più o meno dentro il nostro territorio.

Ed aveva promesso di fare qualcosa, qualcosa per me.

 

A Luca raccontai una versione alquanto edulcorata di questa storia; il punto era semplicemente che conoscevo qualcuno e che, probabilmente, si sapeva muovere in quel bosco come un viet-cong nella giungla, qualcuno che sarebbe stato in grado di accompagnarci fino all'obiettivo.

Non lo convinsi affatto ma, come sempre, accettò il mio piano.

Quel diavolo sarebbe venuto con me fino in paradiso se glielo avessi chiesto.

In nottata ricevemmo ulteriori inattese istruzioni.

Partimmo la mattina dopo, prima dell'alba. Nero fumo sul viso.

Dotazione standard: mimetica regolamentare, zaini carichi di bombe a mano e semtex ucraino , gadget vari; Luca si era voluto portare per forza dietro il suo vecchio Garand, io avevo il mio inseparabile AK47 di produzione serba nonché una lucida Skorpion alla cintura.

Camminammo a lungo, con attenzione, dentro una foresta intricata, molto più ostile di quanto ricordassi. Verso mezzogiorno ebbi l'impressione di essermi perso, finché non vedemmo un fuoco lontano. Ci avvicinammo strisciando, mentre Luca accompagnava ogni metro con la solita interminabile litania di bestemmie sussurrate.

Il posto era quello, ma non era come ricordavo. C'erano molte, molte persone.

Ragazzi, perlopiù, ma anche famiglie con padri canuti. Profughi, pensai.

Vidi diverse divise verdi, sporche e stracciate e riconobbi anche quel figlio di puttana di Leonardo, che aveva disertato mesi prima: almeno non si era venduto al nemico.

Contai circa quaranta persone intorno al fuoco. Cuocevano qualcosa, ridevano, fumavano e qualcuno strimpellava una chitarra scordata.

-Profughi e disertori- dissi a bassa voce, più a me che a Luca, -e qualcuno dei residenti originari.

Ero indeciso sul da farsi. Palesarsi poteva comportare reazioni inconsulte: difficile che tutti quei rinnegati non avessero conservato un UZI sotto qualche frasca.

-Venite con me.

La voce dello yeti dietro le spalle mi arrivò stranamente attesa, Luca invece si era ferocemente morso la lingua per lo spavento. Solo per riflesso automatico ero riuscito a fermarlo prima che piantasse un coltello nel cuore di quell'ombra apparsa improvvisamente.

Vecchio soldato, affidabile e pazzo.

Nell'ombra della foresta non vedevo granché del nostro ospite, ma non feci fatica a riconoscerlo.

Lo seguimmo a lungo e mi ritrovai nel solito vecchio bunker diroccato.

-Cazzo ! Guarda Gianfranco, da questi graffiti pare ci siano passati in tanti qui. Scritte in tedesco, in inglese, italiano.- Osservai con attenzione alla luce del fuoco subito acceso dal padrone di casa: -Nel secolo scorso ci fu un bel po' di movimento da queste parti- risposi a Luca, facendogli occhiolino, -però non c'é ancora nulla scritto in bresciano.

Luca accennò un sorriso, poi spostò lo sguardo interrogativo sullo yeti.

-Lascialo fare- dissi, mentre osservavo anch'io quell'incredibile cascata di capelli sudici che ormai toccavano terra, -quando vorrà sarà lui a dirci cosa fare.

Luca fece l'unica cosa sensata che un veterano fa in questi casi; tirò fuori un panino dallo zaino, bevve un po' d'acqua e si addormentò di schianto sul pavimento distrutto pochi secondi dopo aver mangiato. Io mi sedetti ed aspettai che il nostro amico parlasse.

Aspettai a lungo; gli occhi mi si stavano chiudendo, finché lui girò la testa verso di me, fissandomi. Alla luce del fuoco sembrava un lupo fra i cespugli: -C'é qualcosa di terribile qui sotto.

-Che vuoi dire ?- Chinai la testa sulla spalla sinistra, fra l'interessato e l'esausto.

-Qui, sotto di noi... C'é una forza potente, sinistra, cattiva. Qualcosa che non puoi immaginare.

Rimasi deluso, non mi aspettavo certo un discorso misticheggiante nonostante il personaggio; eravamo in guerra ed avevo bisogno di aiuto, non di favole nere.

Lui capì subito il mio disappunto, sorrise amaramente: -Non hai possibilità, puoi solo credermi, devi credermi!- Era la prima volta che lo sentivo alzare la voce, anche se a dire il vero era la prima volta che lo sentivo mettere in fila così tante parole. Si alzò di scatto, e continuò: -Quanti anni credi che abbia io ? Non sforzarti, sono nato a Manheim il 12 maggio del 1921.

Ecco, un pazzo ! Ed io idiota a catturare lucciole: -Senti, non mi interessano queste cose, credo in tutto quello che vuoi, io ho soltanto bisogno di qualcuno che possa accompagnarci non visti fino al Muraglione, potresti aiutarci ?

-Vieni- disse, e mi ritrovai comunque a seguirlo una volta di più. Luca aprì un occhio, il suo solito sonno da gatto, ma bastò un impercettibile segno della mia mano per tranquillizzarlo e farlo tornare a dormire.

Lo yeti entrò in una macchia particolarmente intricata; i rovi quasi mi strapparono la mimetica in un paio di punti, vidi del sangue sul mio palmo destro. Poi scendemmo. Si, c'era una scala in pietra, strettissima, nascosta nel nulla. Scendemmo quasi in verticale, a lungo. Lo yeti in scioltezza, io sbuffavo ad ogni gradino. Faceva caldo, sempre più caldo. Come poteva essere possibile ?

Mi balenò l'immagine di Dante che entrava all'Inferno, seguendo Virgilio a rispettosa distanza.

Poi ci ritrovammo in una grande stanza scavata nella roccia, di pianta irregolare; in quel momento realizzai che questa era illuminata senza che fosse evidente nessuna fonte di luce. Misi la mano sulla Skorpion di riflesso. -Lascia fare,- ora sorrideva, -non servono armi qui dentro.

Punto un dito su di una parete: -Li dietro è imprigionato qualcosa, qualcosa che esiste da milioni di anni. E' un Dio, un Dio cattivo, un'ombra diafana del male. Ha accompagnato gli uomini per millenni, nutrendosi della loro violenza. Si diverte ad appoggiare questo o quel popolo in guerra,  mangiando morte ! Qualunque cosa voglia dire...

Ero stufo di essere preso per il culo: -Basta con queste cazzate ! Se puoi aiutarmi dimmelo subito, altrimenti ci leviamo dai coglioni; ti sarai fumato la foresta e flippato il cervello con chissà quale merda ma noi non abbiamo tempo da perdere !- Alzai la pistola verso la sua testa, in preda all'ira.

Poi sentii qualcosa. Dicono che il Diavolo non è brutto come lo si dipinge. Percepii soltanto come una nebbia intorno a me, gradevole, tonificante perfino. Mi entrava dentro le narici, la bocca, gli occhi. La sentivo muoversi dentro il mio corpo, restituendomi sensazioni impossibili, precluse alla razza umana. Subito pensai di essere stato nuovamente drogato, ma come era possibile ? La nebbia mi mostrava il funzionamento di ogni mia singola cellula: come potevo credere a quella sensazione ? Il pensiero correva velocissimo senza andare da nessuna parte, nella nebbia vedevo lo yeti, lontanissimo, inoltre vedevo la mia mano armata.

-Respira profondamente e capirai da solo. Non sei il primo a vivere questa sensazione. Stai solo leggendo un avvertimento scritto tanti secoli fa.

'Lasciate ogni speranza o voi che entrate' fu la prima frase a venirmi in mente.

Ma non era corretta. Qui nessuno doveva entrare. Soprattutto nessuno e niente doveva uscire.

Visualizzai eserciti antichi, combattere guerre sanguinose con l'aiuto di qualcosa che sembrava magia. Pensai a popoli, piccoli e bellicosi, fare strage ed abbattere antichi imperi, vidi intere flotte di fragili navi di legno scomparire nei marosi. Onnipresente una strana nebbia, che cresceva sempre di più. Poi successe qualcosa, qualcosa di poco chiaro. Altre entità, altre 'divinità', che spingevano la nebbia dentro un anfratto della terra, per poi sparire dopo aver constatato che gli uomini continuavano lo stesso ad uccidersi fra di loro.

'E' un saprofita, non provoca la guerra, se ne nutre. Con gli uomini ha trovato l'ambiente ideale e lui li ricompensa aiutandoli. Chi lo ha dalla propria parte vince, ma perde l'anima. Non in senso cristiano, semplicemente non può più smettere di combattere'. Questo pensai o meglio, questo fui indotto a pensare.

-Ed Alessandro raggiunto il mare pianse, perché non c'era più nulla da conquistare.- Dissi.

-Ora sai,- lo yeti mi prese per un braccio, -quel che ti rimane da sapere è che è necessaria la presenza costante di un guardiano, anche se non ne conosco il motivo, se non quello di non permettere a nessuno di avvicinarsi a questo posto. Lui ti fa forte, ti fa vivere quanto vuoi, ti permette cose strane ma non vuole essere abbandonato, mai. Soltanto questo lo obbliga a rimanere dov'é. E Dio non voglia esca mai ! Si metterebbe al servizio di qualcuno e la prossima guerra potrebbe essere l'ultima, perché dopo non ci sarà più nessuno.

Quando lo riguardai in faccia eravamo già in superficie.

L'aria fresca ripulì velocemente i miei polmoni.

-Mi chiamo Helmut,- disse, -davamo la caccia ai partigiani quando capitai qui nel 1944. Io ed il tenente trovammo la scala vicino alla nostra posizione e scendemmo fino in fondo. Io capii subito, ma il tenente iniziò a sbraitare e si incamminò per chiamare il resto della squadra; era sua intenzione far saltare in aria la stanza. Lo uccisi con un colpo di taglio del piccolo badile che portavo alla cintura, come avevo imparato a fare in Russia.

Lo vidi rabbuiarsi per un secondo: -Poi apparve quell'uomo fra gli alberi, appoggiato ad un faggio in modo quasi beffardo. Un irriconoscibile esemplare umano, quasi umano perlomeno, nascosto da una folta capigliatura e da una barba incredibile.

Per un attimo sembrò guardare se stesso: -Mi parlò in tedesco, con un forte accento della Renania francese: 'Bravo, non capita spesso che qualcuno si scelga da solo. Ora posso andarmene, posso tornare ombra fra le ombre... ricorda però, questo passaggio non è mai indolore, ha bisogno di sangue; possa esserti di conforto il fatto che non sarà colpa tua'. Lo vidi trasfigurarsi e per un attimo ebbi la visione di un ussaro napoleonico. Poi scomparve.

Si sedette, sembrava non credere alle sue stesse parole. Io non sapevo proprio a cosa credere.

Quello che nel sottosuolo mi era sembrato lampante si dimostrava sempre più assurdo alla mia mente lucida.

-Più tardi raggiunsi la squadra e dissi che il tenente era stato ucciso in una imboscata. Gli uomini si misero ad urlare e mi seguirono invasati fino al corpo dell'ufficiale. Non capivo cosa stavo facendo, portandoli lì mi sarei autoaccusato. Ma non ci arrivammo mai.- Girò la testa verso di me, piangeva: -Entrammo per puro caso in un accampamento di partigiani e... erano morti ! Erano tutti morti ! Trovammo almeno 40 corpi a terra, molte le donne, anche giovanissime. Rimanemmo stupiti di questa posizione così vicina alla nostra ed ugualmente non comprendemmo la natura del massacro. Sembravano tutti uccisi all'arma bianca, pochissimi i colpi di arma da fuoco e tutti sparati da distanza ravvicinata. C'era un pazzesco odore di cordite.- Lo yeti, od Helmut che fosse, aveva la voce fortemente incrinata. 

-Bruciammo l'accampamento, in preda alla rabbia e ci aggirammo come lupi nei dintorni. Incappammo in un casolare e,- abbassò gli occhi, - sterminammo un paio di famiglie di contadini, infierendo sui corpi.

La notte era calata, ed oramai sedevamo accanto al fuoco, vicino a Luca che continuava a dormire, ovviamente a suo modo.

-Nelle settimane seguenti non cambiò nulla, tenevamo la posizione. Gli anglo-americani erano prossimi ed infine ripiegammo. O meglio, ci provai. La nostra colonna in ritirata fu attaccata dagli aerei nemici ed il mio camion fu il primo a saltare. Unico sopravvissuto mi nascosi, non visto, nella foresta, mentre continuava l'attacco dal cielo. Mi sembrò chiaro che dovevo rimanere. 

Lo yeti chiuse gli occhi e si addormentò, lo seguii immediatamente. Per un po'.

 

Ci svegliammo nel tardo pomeriggio.

Luca faceva uno sforzo enorme per evitare di farmi domanda, lo vedevo continuamente bofonchiare e sbuffare fra se e se. Tipico.

Lo yeti ci indicò la strada e lo seguimmo. Il viaggio fu lungo e faticoso, ore ed ore di bosco fitto.

Alle prime luci dell'alba seguente il suo dito indice si sporse dalle frasche; potemmo finalmente osservare il presidio dei lumbard.

Era un bell'assembramento, niente da dire.

Contai vicino al vecchio albergo semidistrutto una ventina di grossi Iveco telonati, diverse postazioni di obici ed un gran via vai di camice verdi. Ai lati della strada, ben nascosti sotto gli alberi, era presente un discreto numero di vecchie Centauro, tirate a lucido. Quello che mi impressionò veramente furono gli Abrams. Questi maledetti ne avevano una decina, comprati chissà dove; pensai ai quattro T 59 cinesi che difendevano Dicomano: non ci sarebbe stata storia.

-Adesso inizierà il sacrificio !- Disse lo yeti, -il cambio del guardiano verrà suggellato dal sangue di quegli uomini !- Lo presi per una spalla: -Stai giù, adesso ci pensiamo noi.

Si scansò con violenza e mi guardo irato: -Tu... tu credi, no ? Tu sai che ho ragione. Adesso sai cosa succederà ? Adesso usciranno dai boschi le ombre dei miei camerati, saranno migliaia ! Avranno bombe, carri armati e mitra, saranno imbattibili, uccideranno tutti. E tu pagherai sostituendomi, fino a che qualcuno non darà il cambio a te !

Ad un mio cenno Luca lo stese con un colpo sapiente, senza fargli troppo male.

Ci mettemmo a guardare gli orologi; dalla piccola radio portatile feci partire un breve segnale, poi la spensi. Rimanemmo ad osservare nascosti: la loro tecnologia funzionava bene, infatti ci fu subito dell'agitazione nel presidio; avevano avuto sentore che qualcosa o qualcuno aveva lanciato un'onda radio nei dintorni. Vidi formarsi delle squadre, con dei cani lupo al guinzaglio.

-Ci verranno a cercare- di Luca leggevo il labiale, tanto parlava piano: -Hai detto dieci minuti ?

-All'incirca, non ci vuole granché dalla costa grossetana. Come sta il tipo ?

-Il pazzo ? Sta bene, vai tranquillo... Lui ed i suoi tedeschi.- Un sorriso sornione si accese sulla bocca del vecchio soldato: -Dunque cos'é quella caverna ?

Tirai fuori di tasca una piccola agenda semidistrutta dal tempo: -Nel 44' un contingente tedesco costruì alcuni bunker, compresa quella stanza credo, non so con quali intenzioni. La trovarono comoda, anche perché in prossimità di una qualche attività geotermica che la riscaldava. Dovette sembrare fantastica d'inverno. Sul soffitto ci sono alcune fessure naturali che portano luce dall'esterno; sono difficili da notare, sul momento non ci avevo fatto caso. 

Guardai nuovamente l'orologio, ancora sette minuti. Intanto da basso stavano iniziando a cercarci.

-Quello che non sapevano è che c'é effettivamente qualcosa lì, ma non è nulla di magico. Ci sono delle esalazioni, un qualche gas sotterraneo che ha sottili effetti psicogeni.

-Ti sei accorto di questo tornandoci stanotte ?! Come hai fatto, non capisco.

-Luca, io non mi sarei accorto di nulla, se non avessi trovato questa,- gli mostrai nuovamente l'agendina; sulla copertina di pelle erano ancora visibili un'aquila ed una svastica. 

-Ovviamente non c'era più luce, ma con la lampada ho visto molto meglio: in un lato c'erano un sacco di fogli, divise consumate ed un po' di ossa, ossa umane.

Luca fece finta di rabbrividire. -Dovevano essere di quell'Helmut,- dissi. -Aveva questo diario in mano e mi è stato tutto chiaro: sono stati li dentro per giorni e si sono intossicati senza rendersene conto. Lui descrive situazioni surreali, fantastiche. Racconta di vedere il futuro, ritiene che gli altri si stiano trasformando in mostri.- Luca picchiettò l'orologio e mi fece un due con le dita. -Poi è successo qualcosa, non so. Forse si sono uccisi a vicenda. Drogati di allucinogeni. 

-Mi sembra una storia strana, senza senso. Fortuna che parli tedesco, và.- Mi diede una pacca sulle spalle a tradimento, una delle sue, da tramortire. Poi rise senza rumore.

-La storia è piena di posti del genere, i vari indovini e sibille del passato usavano divinare in caverne o grotte che, secoli dopo, abbiamo scoperto contenere gas particolari.

-Mi inchino sempre alla tua cultura, Gianfra.- Luca sembrava davvero colpito.

-L'ho visto su History channel...

Cani ! Sempre più vicini. Ma ancora non tanto da doversi preoccupare.

-E' ora, iniziamo le danze.- Tirai fuori dallo zaino un illuminatore laser.

Luca guardò il cielo: -Sei sicuro verranno ?

-Sono già qui, alti e lontani per sentirli, ma ci sono.

Puntai il mio illuminatore sugli Abrams per prima cosa, Luca usò il suo sulla costruzione apparentemente adibita a caserma.

Non passarono due minuti.

Un inferno di fuoco scese dal cielo. Via via che i bersagli illuminati venivano colpiti ci aggiornavamo su nuovi obiettivi. Le esplosioni erano relativamente vicine e ci ritrovammo presto quasi sordi. Bombe guidate, potenti bombe che scendevano precise da migliaia di metri di altezza. Sopra di noi si trovava un intero gruppo di Rafale francesi imbarcati; l'improvviso asso nella manica del nostro governo. Con quest'azione la Francia tornava a dire la sua in Italia, in quell'espressione geografica che l'Italia era tornata ad essere.

Poco prima di partire alla ricerca dello yeti era tornato il motociclista livornese e finalmente aveva portato novità davvero interessanti.

Il presidio andava a fuoco, non c'era più un bersaglio valido da illuminare.

Luca ed io ci girammo per scappare, prima avremmo recuperato lo yeti.

Ma non c'era più. -Dov'é quel pazzo ?- Luca allargò le braccia: -Non lo so, e non abbiamo tempo. Scappiamo forza !

A malincuore gli diedi immediatamente ragione, a gambe levate ci dirigemmo verso l'interno più oscuro della macchia; forse non ci seguiva nessuno, ma in ogni caso non avevamo più nulla da vedere in quel posto. 'C'é stato il tuo sacrificio' pensai, 'Ora chi ti sostituirà Helmut ?'

Ci fermammo soltanto dopo ore di marcia veloce, esausti ci accasciammo a ridosso di un pino.

-Che faranno adesso i verdi ?- Chiese Luca, non prima di una fragorosa bestemmia liberatoria.

-Non lo so, avranno le loro belle gatte da pelare ai confini del nord ovest, credo ci lasceranno in pace.- Guardai verso il basso: -Ci sono cinque nazioni in quella che era l'Italia, siamo stati gli ultimi a far entrare nuovi stranieri in nome della difesa nazionale. Non avremo più diritti sul nostro paese, sarà ancora un comodo campo di battaglia per gli altri.

-Lascia stare.- Luca stava mangiando una scatoletta tirata fuori dallo zaino: -Oggi abbiamo vinto. Dimmi piuttosto ancora di quel rincoglionito.

-Non è un pazzo: è semplicemente drogato da quei fumi ed immagino anche dai funghi che crescono da queste parti,- ripensai alla prima volta che lo conobbi: -Avrà trovato quello scheletro, avrà letto la piastrina... Un transfert, non vedo altra spiegazione. Aggiungici decenni di solitudine in questi boschi; nonostante l'aspetto credo abbia più di sessant'anni, vissuti qui in gran parte.

Luca si lasciò scappare un fischio di meraviglia: -Anche tu hai respirato quella roba, giusto ?

-Si, credo sia molta di più di quanta ce ne fosse quando i tedeschi usavano quel posto, ma quando ci sono tornato indossavo questa,- tirai fuori dallo zaino una maschera antigas russa.

-E guarda caso il demone imprigionato non si è fatto sentire ! Ebbravo.

Fermai Luca alzando una mano, c'era qualcosa vicino a noi.

Uomini, uomini e cani. I superstiti non ci avevano lasciati andare.

-Presto, sono vicini, troppo vicini.- Mi morsi fortemente le labbra: -Troppo per scappare ancora, temo dovremo affrontarli.- Luca imbracciò il Garand: -Rimani qui, provo ad aggirarli, sai che ho ragione.- In un attimo scomparve fra gli alberi.

Il rumore era sempre più vicino, sdraiato per terra puntavo l'AK47 verso dove pensavo sarebbero arrivati.

'Stavolta non si torna a casa.'

Poi rumori, spari, urla. Sentì gracchiare decine di mitragliatrici all'unisono. Strano, non riconoscevo quel suono. Non durò molto. Poi solo silenzio.

Aspettai nascosto per un'ora almeno, finché intravvidi un'ombra: -Non sparare, sono io.

Luca. Mi avvicinai e rimasi colpito come mai in vita mia. Il vecchio guerriero era bianco come un cencio, sudato e con due capocchie di spillo al posto delle pupille. Non l'avevo mai visto così, neppure la volta che fece esplodere un carro Ariete da solo.

Si sedette, o meglio, svenne accanto a me: -Stai tranquillo, non siamo più in pericolo.

Come lo ebbe detto cadde in un sonno profondo.

Mi svegliai che tornò l'alba. Luca si faceva la barba approfittando di un piccolo ruscello.

Quando mi avvicinai si limitò ad indicare un posto dietro gli alberi: -Vai a vedere.

A non più di un paio di centinaia di metri, in un minuscolo spiazzo, giacevano i corpi di una ventina di camice verdi e di alcuni cani. Erano tutti stati massacrati da moltissimi colpi, alcuni erano smembrati dalle bombe a mano.

Tornai da Luca incapace di parlare. -Puoi guardare il mio fucile se vuoi,- disse Luca con una strana espressione sul viso che ricordava la Gioconda di Leonardo: -Io non ho sparato un colpo.

-Che vuoi dire ?

-Che li ho visti, ma non parliamone più.

Non riuscii più a togliere una parola dalla bocca di Luca. Per tutto il viaggio di ritorno non disse nulla, neppure una delle sue bestemmie.

Fummo accolti come eroi; la sera stessa eravamo a Firenze e dopo il rapporto ci portarono a cena con i maggiori esponenti del governo toscano. Notai molti ufficiali francesi.

C'era bisogno di eroi e fummo festeggiati a dovere per qualche giorno, poi mi ritrovai comandante in capo dei Nuovi Lupi di Toscana. Il prossimo obiettivo era palese, vendicare Massa Carrara.

Luca però scomparve. La cosa venne subito coperta, un eroe che diserta dopo una grande azione era inaccettabile. Se ne smise semplicemente di parlare. Nei rapporti confidenziali avallai l'ipotesi che il vecchio amico avesse ceduto di schianto e che, probabilmente, fosse andato a suicidarsi da qualche parte.  Dopo un po' la cosa venne archiviata.

 

E' passato molto tempo ormai.

Ora siamo più potenti, abbiamo meno paura di essere attaccati da nord o da sud, anche se non so quanto pagheremo questa nostra nuova forza. 

Ci sono degli accordi, la pace regge, per il momento.

So dov'é Luca: è andato a pagare il mio debito.

Lui ha visto.

Lui è li, in compagnia delle ombre delle camice verdi che hanno dato il cambio alla Wehrmacht.

Fino alla prossima guerra.

 

  Stefano Tanci (aka Kruaxi)

 

   
 
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