Il
cielo
nero
della
notte
era
pervaso
da
una
miriade
di
punti
offuscati.
Non
si
vedevano
le
stelle
né
la
luna.
Era
freddo.
Terribilmente
freddo.
Forse
quel
freddo
aveva
spento
la
luna
e
le
stelle.
In
lontananza
si
levò
il
fruscio
degli
alberi
del
bosco.
Una
nuova
folata
di
vento.
Mi
preparai
a
quella
carezza
inclemente,
ma
solo
nella
mia
testa.
Le
braccia
non
mi
rispondevano.
Avrei
voluto
stringere
le
mani
sulla
giacca
e
chiudermela
sul
petto,
ma
rimasi
immobile.
Mi
sarei
dovuto
alzare.
Le
gambe
non
rispondevano.
Se
avessi
chiuso
gli
occhi
forse
sarebbe
stato
meglio,
ma
mi
ostentavo
a
fissare
quel
cielo
indistinto
da
cui
cadevano
senza
peso
innumerevoli
fiocchi
di
neve.
Ognuno
si
posava
su
di
me
e
contribuiva
a
nascondermi
a
quella
realtà
che
avevo
sempre
odiato.
Qualcuno
cadeva
sui
miei
occhi,
quasi
a
sussurrarmi
di
chiuderli,
ma
ostinatamente
li
riaprivo.
Steso
nel
nulla.
Immerso
in
un
candore
assoluto
e
ovattato
che
nessuno
poteva
rompere.
Bianco
e
Nero.
Neve
e
Notte.
Ormai,
per
quanto
mi
sforzassi,
non
riuscivo
più
neanche
a
pensare.
Semplicemente
nella
mia
mente
riaffioravano
ricordi
che
credevo
cancellati.
Correvano
sbiaditi
davanti
ai
miei
occhi,
come
una
serie
di
filmati
vecchi.
Le
immagini
sfocate
e
sgranate,
le
voci
deboli
e
incomprensibili.
Rividi
mio
padre.
Alto
e
imponente
sulla
mia
figura
di
bambino.
Lo
fissavo.
Era
sempre
stato
il
mio
ideale.
Lo
vidi
arruffarmi
i
capelli,
dare
un
bacio
a
mia
madre,
prendere
la
giacca
e
la
valigetta
e
uscire
di
casa.
"A
stasera"
disse.
Quella
sera
non
rientrò.
Né
quella,
né
quella
dopo,
né
quella
dopo
ancora.
Mio
padre
non
rientrò
mai
più
da
quella
porta.
Ogni
sera
passavo
ore
interminabili
davanti
a
quella
porta.
Possibile
che
non
volessi
capire
che
mio
padre
non
sarebbe
mai
tornato?
Mia
madre
mi
sorrideva
appena
e
mi
portava
a
tavola.
Quella
tavola
era
sempre
apparecchiata
per
tre.
Ma
il
terzo
piatto
rimaneva
sempre
vuoto.
Perchè
mamma
cucinava
sempre
per
tre?
Il
suo
sguardo
era
spento.
Una
sera
la
vidi
parlare
da
sola.
Parlava
con
mio
padre.
Io
non
lo
vedevo
però.
Non
capivo.
Ero
così
sciocco,
forse
non
volevo
vedere
la
realtà.
Poi
un
giorno,
senza
preavviso,
trovai
mia
madre
distesa
nella
vasca
da
bagno.
Fissava
il
soffitto
con
quello
sguardo
assente.
Solo
dopo
mi
accorsi
dell'acqua
tinta
di
color
rubino.
Non
compresi,
neanche
provai
a
capire
perchè
mai
fosse
rossa
quell'acqua.
Rimasi
lì,
inginocchiato
al
bordo
della
vasca
parlandole
di
cosa
avevo
fatto
quel
giorno
a
scuola,
fin
quando
mia
nonna
non
entrò
in
casa
con
la
spesa
e
ci
trovò.
Il
suo
urlo
infranse
il
mio
mondo.
Fui
travolto
dai
frammenti
di
quel
mondo.
Vissi
qualche
anno
con
mia
nonna.
Ricordai
la
sua
sagoma
snella
e
piena
di
rughe
distesa
sul
letto.
Ricordai
tutte
le
figure
indistinte
vestite
di
nero.
Ricordo
i
fiori
bianchi
che
spiccavano
su
quell'oscurità
opprimente.
Allora
come
adesso.
Due
opposti
che
si
uniscono
in
un
contrasto
quasi
soffocante
e
irreale.
Rimasto
solo.
Abbastanza
grande
da
rimanere
solo.
Chi
giudica
le
persone
ritenendole
adulte
e
in
grado
di
vivere
sole?
A
me
la
solitudine
non
è
mai
piaciuta.
Eppure...Eppure
adesso
questa
solitudine
non
mi
dispiace.
La
neve
cade.
Prima
o
poi
mi
seppellirà
e
allora
ci
sarà
solo
bianco.
Almeno
per
qualche
istante.
Cosa
c'è
dopo
non
so
neanche
immaginarlo.
Eppure
me
lo
sono
chiesto
tante
volte...
I
frammenti
di
quel
mondo
erano
ancora
conficcati
su
di
me
e
facevano
male.
Chiusi
gli
occhi
per
evitare
l'ennesimo
fiocco,
ma
non
accettai
la
sua
proposta.
Tornai
a
guardare.
Non
ero
solo.
Non
mi
parve
strano
vedere
quella
figura
vicina
a
me.
Era
una
bambina
vestita
di
bianco,
con
un
abito
tutto
gale
e
merletti,
nastri
e
fiocchi.
Sembrava
una
bambola
dai
boccoli
dorati
e
gli
occhi
splendenti
e
profondi.
Sorreggeva
un
lungo
bastone
bianco
lavorato
a
sembrare
avvolto
da
tralci
di
rose.
In
cima
ad
esso
brillava
una
lama
ricurva
e
trasparente.
Sembrava
fatta
di
ghiaccio.
"Chi
sei?"
lei
mi
fissava
emblematica,
senza
sorrisi.
Spenta
come
lo
sarebbe
stata
ogni
bambola
nella
sua
immacolata
perfezione.
"Chi
vuoi
che
io
sia?"
Per
quanto
mi
suonasse
strana
quella
domanda,
avrei
voluto
poterle
dare
più
di
una
risposta.
Non
sapevo
quale
scegliere.
Magari
sarebbe
stata
davvero
ciò
che
io
avrei
voluto
e
proprio
per
quel
pensiero
la
scelta
mi
risultava
impossibile.
"L'Indecisione
è
tipica
dei
Mortali"
sospirò
teatralmente
"Volevo
illuderti
di
un
briciolo
di
felicità.
Occasione
sprecata"
continuava
ad
osservarmi.
La
sua
voce
era
infantile,
ma
profumava
di
saggezza,
una
saggezza
che
deriva
dal
Tempo.
Quell'aspetto
ingannevole
celava
la
sua
lunga
vita.
Quella
falce
mi
fece
sorridere.
Effettivamente
una
risposta
ovvia
c'era,
ma
stonava
con
quell'apparenza.
"Mi
faresti
un
favore?"
le
chiesi
"Quale?"
rispose
lei
"Mostrati
come
sei"
dopo
tutta
quella
vita
fatta
di
illusioni
in
un
mondo
che
si
costruiva
sulla
falsità
non
tolleravo
che
anche
la
Morte
mi
prendesse
in
giro.
Per
un
attimo
mi
sentii
stupido.
Forse
era
solo
una
visione
della
mia
testa
congelata.
Forse
stavo
parlando
col
vuoto
proprio
come
un
pazzo.
Ma
chi
avrebbe
potuto
sentirmi?
"Prego?"
mi
rispose
quasi
irritata
"La
tua
vera
forma"
insistetti
"Ovvero?"
rispose
ancora
lei
inarcando
un
sopracciglio
"Nera.
Alta.
Così
non
fai
paura...insomma..."
Sentivo
che
le
labbra
si
tiravano
e
spaccavano
ad
ogni
parola.
La
gola
mi
doleva
terribilmente.
Ogni
parola
mi
costava
fatica
quasi
i
polmoni
congelati
durassero
fatica
a
riempirsi
dell'aria
necessaria
a
formulare
parole
sensate.
Lei
sbuffò
alzando
gli
occhi
al
cielo,
mormorando
qualcosa
di
incomprensibile
"Nera?
Alta?"
sbuffò
"Voi
Mortali
avete
una
percezione
tutta
Vostra
delle
cose"
"Non
sei
così?"
"Ma
ti
pare!"
ribattè
seccata
"Perchè
la
Morte
dovrebbe
essere
vecchia
e
brutta?"
In
quelle
parole
mi
sembrò
di
leggere
davvero
una
bambina,
oltretutto
vanitosa.
Cercai
di
rispondere,
ma
il
fiato
mi
mancava.
Arrancai
qualche
respiro
stentato.
Tossii.
Poi
il
peggio
sembrava
passato
e
provai
ancora
a
parlare.
La
gola
era
trafitta
da
mille
lame
acuminate,
aghi
tremendi.
"Sei
venuta
a
prendermi?"
"Uhm"
Inarcò
un
sopracciglio
squadrandomi
quasi
con
aria
schifata.
"Faccio
schifo
anche
alla
Morte"
mi
dissi
con
un'amara
ironia.
Rigirò
la
falce
per
qualche
istante,
poi
indietreggià
di
qualche
passo
impugnandola
con
entrambe
le
mani.
Mi
chiesi
se
avrebbe
fatto
male.
Chiusi
gli
occhi
attendendo.
Sentii
l'aria
tagliarsi
con
un
sibilo
al
calare
di
quella
lama.
Non
sentii
nulla.
Rimase
solo
il
silenzio.
Riaprii
gli
occhi
dopo
interminabili
istanti
di
silenzio.
Lei
era
ancora
lì,
immobile
nella
sua
perfezione.
Io
ero
ancora
disteso
nella
neve.
Neve
che
continuava
a
cadere
tranquilla
in
quella
notte
silenziosa.
Non
mi
sarei
mai
immaginato
l'altro
mondo
identico
a
quello
dove
avevo
vissuto.
"Siamo
arrivati?"
domandai
"Prego?"
mi
rispose
lei
perplessa
Qualcosa
non
andava.
Mi
dava
fastidio
quell'aria
superiore
che
si
dava.
Era
solo
una
bambina!
Ma
quella
bambina
era
la
Morte,
quindi
non
c'era
da
sottovalutarla.
Ma
in
fondo
perchè
temere
la
Morte?
Non
avevo
nulla
da
perdere.
"Sono
Morto?"
chiesi
con
decisione,
quasi
avessi
perso
la
pazienza
che
pareva
avvolgere
quel
luogo.
Lei
sbuffando
tirò
fuori
dalla
manica
un
orologio
d'oro
che
brillava
come
i
suoi
capelli
e
lo
guardò
annoiata.
"Macchè"
rispose
sospirando
"Non
è
ora"
Il
tutto
mi
sembrava
troppo
comico,
troppo
scontato.
Stavo
sicuramente
sognando,
eppure
tutte
le
sensazioni
del
mio
corpo
erano
terribilmente
reali.
Terribilmente
dolorose.
Sembrava
quasi
sollevata
di
non
dover
prendere
la
mia
vita,
ma
allora
perchè
era
lì?
Sospirai
irritato.
A
che
serviva
farle
delle
domande?
Non
mi
rispondeva
mai
come
avrei
voluto.
D'un
tratto
il
silenzio
si
ruppe
con
un
soffice
tonfo
nella
neve.
Durai
una
fatica
enorme
per
volgere
appena
il
capo.
Vidi
un
cervo
accasciato
nella
neve.
Il
suo
respiro
si
dilatava
in
dense
nuvole
bianche.
Sempre
meno
frequenti.
Sempre
più
stanche.
"E'
in
ritardo"
commentò
lei
infastidita
"Cosa?!"
chiesi
allibito.
Lei
già
non
mi
guardava
più.
Si
avvicinò
all'animale
morente
dandomi
le
spalle.
Con
una
freddezza
disarmante
la
vidi
calare
quella
falce
cristallina
sulla
povera
bestia.
Un
ultima
nuvola
bianca
si
spanse
dalla
sua
bocca,
poi
silenzio.
Gli
occhi
fissavano
il
nulla
perso
innanzi
a
sé.
Con
un
sospiro
lei
si
voltò
battendo
la
mano
alla
gonna
quasi
richiamasse
qualcuno
"Forza
andiamo"
mormorò
cantilenante
Dal
corpo
del
cervo
si
levò
una
sagoma
eterea,
identica
a
quel
corpo
materiale,
ma
ormai
scissa
da
esso.
Seguì
placidamente
la
bambina
che
avanzava
nel
bianco
senza
lasciare
impronte.
Si
allontanava
inesorabilmente
senza
più
volgermi
neanche
un'occhiata.
Quando
ormai
la
sua
sagoma
stava
per
perdersi
tra
la
neve
si
volse
accigliata
"E
alzati
scemo!"
mi
urlò
"Non
voglio
mica
tornare
qui
tra
poco
solo
per
te!"
Detto
ciò
riprese
a
camminare
con
il
cervo
borbottando
"Tutti
vogliono
morire
quando
non
è
ora
e
quando
la
sveglia
suona
implorano
sempre
altro
Tempo!"
*°*°*
Vocedelsilenzio - Penso la delicatezza derivi anche un po' dal silenzio della notte deserta con questa neve che cade lenta. Penso l'ambientazione spesso influisca molto, e influisce, almeno nel mio caso, anche sul modo di scrivere. Il riuscire a figurarmi la scena e a viverla sia nei panni del protagonista, sia con occhio esterno, spesso mi condiziona