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Autore: synn    29/08/2013    1 recensioni
Volevo scrivere una breve storia in cui Harry capisce che non sempre l'amore ha la tempistica migliore.
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“Harry Styles? Mr. Stlyes? Harry?” La voce della ragazza arrivò poco chiaramente alle sue orecchie, quasi come fossero sott’acqua.
“E’ il mio nome.” Mormorò distrattamente. Harry la sentì tirare un sospiro di sollievo.
“Mi dispiace. Ero di fretta e mi sono dimenticata delle porte che si aprono facilmente per far sì che i bambini possano aprirle anche se sono deboli o seduti sulle sedie a rotelle –scusa. Quello che voglio dire è… scusa.” La ragazza non riusciva a smettere di parlare. “Oh dio stai sanguinando! Ti serve un dottore!”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry Styles entrò col fiatone nell’edificio e storse il naso non appena sentì che nell’aria c’era lo stesso asettico odore da…ospedale –non importa dove fosse, sia pure Londra o Los Angeles, gli ospedali per lui erano tutti uguali. E non si sarebbe mai abituato al persistente odore di candeggina e disinfettante che gli infettava i vestiti ogni volta che ci entrava. Era lì –con tutta la band per far visita ai bambini per qualcosa di cui Harry non aveva capito molto -poteva essere sia per il film che per semplice pubblicità, il loro agente insisteva sempre su ospedali ed orfanotrofi. E un po’ doveva ammettere che si vergognava a non sapere di cosa fossero malati. Era cancro? Doveva essere cancro; era sempre cancro.

Comunque, era in ritardo.

Stava per aprire la porta del reparto (sì, era cancro, le indicazioni gliel’avevano confermato) quando quella si aprì di scatto, colpendolo dritto in faccia. Forte. L’ultima cosa che vide prima delle stelle fu la ragazza che l’aveva accidentalmente colpito mettersi le mani davanti alla bocca in completo shock.

“Harry Styles? Mr. Stlyes? Harry?” La voce della ragazza arrivò poco chiaramente alle sue orecchie, quasi come fossero sott’acqua. Era seduto sul pavimento con la schiena appoggiata al muro –doveva essere scivolato a terra durante il breve periodo di incoscienza.

“E’ il mio nome.” Mormorò distrattamente. Harry la sentì tirare un sospiro di sollievo.

“Mi dispiace. Ero di fretta e mi sono dimenticata delle porte che si aprono facilmente per far sì che i bambini possano aprirle anche se sono deboli o seduti sulle sedie a rotelle –scusa. Quello che voglio dire è… scusa.” La ragazza non riusciva a smettere di parlare. “Oh dio stai sanguinando! Ti serve un dottore!”

“No, aspetta, posso camminare.” Harry si alzò piano ma si sentì un po’ troppo traballante e mancò poco che non finisse a terra di nuovo. La ragazza gli prese un braccio e lo fece appoggiare al muro. “Non è che puoi accompagnarmi al pronto soccorso o qualcosa del genere?”

“Certo!” Lei fece scivolare il suo braccio destro attorno ai fianchi di lui e gli prese una mano. Harry pensò che se fosse svenuto lei non sarebbe di sicuro riuscita a tenerlo in piedi, e che quindi sarebbe stato
decisamente meglio non svenire.

“Mi dispiace così tanto” mormorò, mordicchiandosi il labbro e cercando di nascondere quanto in realtà stesse tremando. Era, in effetti, più probabile che fosse lui a tenere in piedi lei che il contrario. “Per favore, non fatemi causa.”

Anche se l’intera faccia gli doleva terribilmente, Harry voleva ridere. Sembrava così terrorizzata. Il pronto soccorso era qualche corridoio più in là, e finché la ragazza spiegava al dottore che cosa era successo, Harry ebbe il tempo di osservarla. Non era poi così alta come gli era sembrata all’inizio, ma era senza dubbio più slanciata di quanto credesse. Il viso era poco colorito e più pallido del normale, ma nessuno sembrava preoccuparsene. L’unico colore che Harry notò fu il rosso acceso delle sue labbra –anche se poteva affermare, per quel poco che ne sapeva, che non aveva addosso nessun trucco.

Biancaneve. Biancaneve l’aveva colpito in faccia con una porta e l’aveva fatto svenire dal dolore. I lunghi capelli neri che ricadevano mossi sulle spalle, le labbra rosse e la pelle bianca come la neve (ok, forse un po’ meno bianca della neve ma poco importava) gli fecero tornare in mente quando doveva leggere quella storia decine di volte alla sua cuginetta prima che quella prendesse finalmente sonno.
Dopo che il dottore l’aveva controllato per bene, medicato il bernoccolo che stava già crescendo sulla sua fronte e dato il via libera, la ragazza si avvicinò, incerta. I suoi occhi blu sembravano implorarlo di stare bene.

“Di nuovo, mi dispiace davvero tanto. E’ una cosa grave?”

“No, sono stato peggio.” Harry sorrise e lei sembrò calmarsi un po’. “Ora dovrei davvero raggiungere i ragazzi.”

Il piccolo sorriso sulle labbra della ragazza svanì. “Ah, già. Non mancare l’occasione di far vedere al mondo che ragazzi d’oro siete.”

Harry si morse un labbro. “Non sembri approvare, Miss. …”

“Bell” rispose. “Non mi chiedere per cosa sta e no, non è che non approvo. Va bene che delle persone del vostro calibro vengano a far luce su argomenti delicati come il cancro, e poi le bambine sono sempre così contente quando ci siete voi…”

“Ma?”

Lei sospirò e guardò a terra. “Ok, non dovrei essere io a dirlo ma… Sarebbe ancora meglio se voi ragazzi veniste anche quando non ci sono telecamere nei paraggi. Sapere cos’hanno dovuto passare, conoscere le loro storie, sai. Alcuni di loro sono davvero incredibili e tutti quanti hanno un disperato bisogno di qualcuno che li ascolti.”

Harry pensò che lei doveva davvero tenerci, a quei bambini. “Lavori qui?”

“Lavorare vuol dire essere pagati. Io faccio volontariato.”

Lui alzò le sopracciglia e la guardò ammirato. “Wow.”

“Non è poi così super.”

“Lo è.” Harry le prese una mano e per la prima volta, lei lo guardò dritto negli occhi. Rimase pietrificato: più lei lo guardava, più Harry si sentiva completamente e disperatamente in balia del vuoto più assoluto. I suoi occhi erano uno specchio che rifletteva ogni cosa, ed Harry era innamorato di quel tipo di persone. Lui capì’ che lei doveva avere una storia interessante da raccontare, e lui voleva sentire ciò che aveva da dire.

“Se ti senti meglio, ora ti porto in reparto.” Bell parlò e l’incantesimo si spezzò.
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“E poi mamma ha detto che quando esco di qui mi porta a Disneyland!” Susan le raccontava, seduta sul letto, mangiucchiando uno spicchio di mela. Era una bambina di appena sei anni che era stata sotto chemio per quasi un anno, ed ora era piena di vita e voleva scoprire il mondo. Bell non avrebbe dovuto avere preferenze, ma Susan era sua. Giù le mani.

“Io sono stato a Disneyland. Non volevo più andarmene.” Una voce maschile che Bell conosceva la face voltare.

“Harry!” Si alzò in piedi. “Che ci fai qui?”

Harry sorrise alla bimba e le passò una mano tra i capelli. “Ho pensato che avevi ragione quando mi hai detto che avremmo dovuto essere presenti anche senza telecamere quindi, eccomi qui.”

L’occhiata che Bell gli lanciò lo fece sentire alto due metri e mezzo.

“Dov’è Louis?” Susan chiese, osservando Harry curiosa.

“Louis non è qui, piccola.” Harry rispose incerto, cercando aiuto in Bell che cercava in tutti i modi di non scoppiare a ridere.

“Okay.” Susan rispose, tornando a mangiucchiare tranquilla la sua mela. “Sei salito sulle montagne russe? Perché io ci salirò. Non ho paura.”

Harry scrollò le spalle e si sedette accanto alla bimba. “Sei decisamente più coraggiosa di me, allora.”

Susan alzò il mento e sorrise. “Mi hanno operata tre volte. Vuol dire che mi hanno aperto la pancia tre volte. Non ho paura delle stupide montagne russe.”

Bell prese la mano di Susan e la strinse dolcemente, ed Harry giurò di aver visto i suoi occhi diventare un po’ più lucidi. “Perché tu sei una bimba speciale, Suzie.”

“Non tutti sono coraggiosi come te.” Harry le accarezzò una gamba e sorrise.

Quando le ore di volontariato finirono, Harry e Bell uscirono dall’ospedale camminando piano, come se non se ne volessero andare. Dovendo essere onesti, Harry non era andato all’ospedale per far visita ai bambini, bensì perché aveva la speranza di poter rivedere Bell. Adesso che usciva, però, non gli piaceva quant’era stato felice nell’entrare l’ospedale. Non dovrebbe essere felice. Aveva una fidanzata.

“Quand’è che Susan esce?” Harry chiese con un mezzo sorriso sulle labbra. “Mi piacerebbe sponsorizzare la sua giornata a Disneyland.”

Bell si fermò e lo guardò. “Possiamo sederci?”

Harry annuì. Si sedettero su una panchina vicino alla fontana nel giardino dell’ospedale. Non c’era nessuno tranne loro. Ovviamente, nessuno va in ospedale per sedersi in giardino.

Lei esitò a lungo prima di parlare. “Non ci andrà a Disneyland, Harry.”

“Che?” Harry chiese, corrugando la fronte. Si sentì come se fosse su una barca e la barca stesse iniziando ad affondare. Non c’era niente se non acqua nel raggio di miglia e nessuno poteva salvarlo. Stava andando giù.

“Susan ha un epatobalstoma –cancro al fegato a livello avanzato. Si è esteso e le hanno trapiantato il fegato ma il suo corpo non lo accettava.” Bell spiegò, la voce le venne a mancare alla fine ed Harry voleva abbracciarla.

Lui prese un respiro profondo. Scosse leggermente il capo e si morse le labbra. Non poteva essere. Sembra così viva, così…attiva. Ed era giovane. Troppo giovane. Stava nadando, stava andando...era andato.

“I suoi genitori non volevano che vivesse con la consapevolezza di dover morire.” Bell continuò. “Scusa, Harry. Magari mi sbagliavo. Magari non avrei dovuto dirti di conoscerli. La parte difficile arriva quanto se ne vanno e tu ti rendi conto di non poter andare con loro.”

Lei nascose il viso con le mani ed iniziò a singhiozzare. Harry non diede ascolto alla vocina che nella sua testa urlava di scappare via e le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé. Bell appoggiò la faccia contrò il suo petto e pianse.

“Mi dispiace.” Harry disse, tentando, per quanto poco potesse, di consolarla. Si sentiva completamente inutile e ciò non gli piacque affatto.

La sentì annuire. Piano, smise di singhiozzare e si alzò, quasi come si vergognasse di stare abbracciando Harry in pubblico.

“Grazie.” Mormorò, passandosi una mano sul viso. “Mi spiace che tu sia venuto in un brutto giorno. Mi spiace anche per aver bagnato la tua maglietta con le mie lacrime.” Ridacchiò tristemente. “Di solito non scoppio a piangere davanti a quasi sconosciuti –arrivo fino a casa e poi lo faccio, ma, comunque, scusa.”

“Continui a scusarti.” Harry disse. “Penso che tu mi abbia chiesto scusa almeno un milione di volte, solo oggi.”

Bell sorrise. “Scusami.”

“Un milione e uno.” Harry sorrise a trentadue denti e inclinò un po’ la testa verso sinistra. La guardò e poi sbatté le palpebre tante volte. Non credeva ancora ai suoi occhi: non poteva essere così uguale a Biancaneve. Perché lui se l’era immaginata proprio così.

“Dovrei andare a casa, adesso.”

“Dov’è ‘casa’?” Harry sorrise. “Ti ci posso portare io.”

Bell srollò le spalle. “Non dovresti farlo, davvero.”

Non doveva farlo per davvero, ma voleva.  
  
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