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Autore: Dama Grigia    29/08/2013    11 recensioni
“Sherlock. Ciao.” Lo saluto. [...] Se la mia psicologa sapesse di queste conversazioni a senso unico, mi riprenderebbe in cura gratis. [...] “Comunque.”
Sfioro la lapide. Sorrido.
“C’è una cosa che ti vorrei raccontare."
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“Buongiorno Diane!”
“Ciao, signor John.”
“Perché così triste, principessa? L’infermiera Morstan mi ha detto che ieri è stato un gran giorno per te. Se tutto va bene tornerai a casa presto, non sei contenta?”
“Non ci starò tanto, signor John.”
“E perché mai?”
“È sempre così. Sto un po’ a casa, ma appena cresco qualche centimetro la pelle mi tira tutta, perché quella bruciata non vuole crescere con me!”
“E allora devi tornare qui?”
“Sì. Non voglio più crescere, lo sai, signor John?”
“Che dici?”
“Così potrò restare a casa.”
“Sai, conosco una bella storia su un bambino che non voleva proprio saperne di crescere. Ti va di ascoltarla?”
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si fa sentire, ormai. Anche qui, in un posto come questo, in un cimitero, se ne avvertono i sintomi. La primavera.
Uccellini, fiori, mattine soleggiate e tutte quelle cose che i miei piccoli amici scrivono nei loro pensierini.
Sorrido appena. L’idea del volontariato è stata della mia psicologa, ma alla fine ho deciso io in che cosa buttarmi.
Leggere storie ai bambini ricoverati. Scontato? Forse. Sottovalutato? Sicuramente.
Quando mi vedono entrare, mi rivolgono un immenso sorriso sdentato.
I miei cassetti ormai sono pieni di disegni stilizzati, corredati da dediche semplici ma enfatiche, intitolati“Al mio amico John” e firmati come Linda, Sam, Jacob, Sandy, Vera, Tristan, Liam, Emma …
Potrei farne l’elenco completo. Non dimentico mai uno solo di loro, nemmeno dopo che sono stati dimessi.
Inspiro.
La lapide nera è davanti a me, come sempre. Cupa bandierina di segnalazione su un mare di terra, non manca mai di farmi presente che il subacqueo sotto di lei ha finito l’ossigeno da tempo.
I fiori sono secchi, ormai.
Non vengo qui da una settimana, contro i tre giorni che di massima passano tra una mia visita e l’altra.
“Sherlock. Ciao.” Lo saluto. “Scusa. Sarei dovuto venire prima. È solo che … umh. Sai Mary? L’infermiera, te ne ho parlato. So che non sei bravo con i nomi, ma cerca di imparare questo, perché potrebbe essere l’ultimo.”
Mi fermo. Inspiro.
“L’ho aiutata a traslocare, negli ultimi giorni. Vive con me, adesso.”
Allungo una mano per togliere quelli che ormai sono poco meno che sterpi, salvo rendermi conto di non aver portato i fiori freschi in sostituzione.
Idiota.
“Va bene. So che sei arrabbiato, Sherlock. Non ti va che ti trascuri per le ragazze, ma stavolta è diverso, d’accordo? Non tenermi il muso.”
Se la mia psicologa sapesse di queste conversazioni a senso unico, mi riprenderebbe in cura gratis.
“Mi piacerebbe fartela conoscere, Mary. Lei dice che ci terrebbe, a conoscerti.”
Anzi, probabilmente la dottoressa mi offrirebbe del denaro pur di avere sottomano un caso come il mio.
“Insomma, hai capito. Vorrebbe accompagnarmi, quando vengo qui. Qualche volta, ovvio, non sempre. Non fare l’offeso, per favore. Lei è diversa. Ti piacerebbe. Ti piacerà. Domani ti portiamo i fiori freschi insieme, che ne dici?”
Aspetto, come se potesse rispondermi.
“Comunque.”
Sfioro la lapide. Sorrido.
“C’è una cosa che ti vorrei raccontare. Una cosa che mi è successa stamattina. Se hai tempo.”
Ma che dico?
Chissà, magari sta spiegando a San Pietro come migliorare le serrature della porta del Paradiso, mi prendo in giro da solo, ironico.
Ovvio che ha tempo, idiota di un Watson.
“Oggi Diane era piuttosto giù, sai, giusto ieri le hanno operato la gamba ustionata. Una plastica a “z”. Nulla di divertente. Allora le ho chiesto se le andasse di ascoltare una storia.”


“Buongiorno Diane!”
“Ciao, signor John.”
“Perché così triste, principessa? L’infermiera Morstan mi ha detto che ieri è stato un gran giorno per te. Se tutto va bene tornerai a casa presto, non sei contenta?”
“Non ci starò tanto, signor John.”
“E perché mai?”
“È sempre così. Sto un po’ a casa, ma appena cresco qualche centimetro la pelle mi tira tutta, perché quella bruciata non vuole crescere con me!”
“E allora devi tornare qui?”
“Sì. Non voglio più crescere, lo sai, signor John?”
“Che dici?”
“Così potrò restare a casa.”
“Sai, conosco una bella storia su un bambino che non voleva proprio saperne di crescere. Ti va di ascoltarla?”


“Ovviamente, mi ha sorriso e ha fatto di sì con la testa. Dovevi vedere come rimbalzavano quei dannati riccioli. Allora ho cominciato a raccontare, sono dovuto andare a memoria perché non aveva il libro con me. Ricordavo bene il film, però. Penso che tu lo conosca, l’abbiamo visto insieme. Beh, io l’ho visto. Tu criticavi le inesattezze.”


“Allora, questa è la storia di un bambino di nome Peter Pan. L’hai mai sentita? No? Bene, allora cominciamo.”


“Peter Pan. Il bambino sperduto. Un classico, insomma, ma non l’aveva mai sentita. Buffo, no? Inutile che te lo dica, Sherlock, le è piaciuta tantissimo. Pendeva dalle mie labbra. Una parte in particolare l’ha davvero emozionata. Dovevi vedere come stringeva il suo peluche mentre le leggevo del momento in cui …”


Peter cominciò a piangere. Trilli, la sua piccola amica, era perduta.”
“No!”
“Buona, Diane, lasciami finire.
 Il ragazzo allora disse:
-Io credo nelle fate! Lo giuro, lo giuro!
Poi lo disse ancora, e ancora. Lo disse cinque, dieci, venti volte.
Allora anche Wendy cominciò a ripeterlo, e con lei tutti gli altri bimbi sperduti.
-Io credo nelle fate, lo giuro, lo giuro! Io credo nelle fate, lo giuro, lo giuro!
Gridavano.
Per un istante l’intero mondo ripetè quelle parole. Ed ecco che improvvisamente Trilli mosse le ali. Le parole sincere dei suoi amici le avevano ridato la vita.”



“Sai, no, quando la fatina sta morendo? E tutti partono a dire che credono nelle fate, finchè lei non torna in vita? Ecco.”
Meglio avviarsi alla conclusione, lo sto annoiando, so che lo sto annoiando.
“Insomma, spunta lei e comincia a dire …”

“Io credo in Batuffolino, lo giuro lo giuro.”
“Come?”
“Era il mio cricetino, ma è morto l’anno scorso. Ero all’ospedale e tutti si sono dimenticati di dargli da mangiare.”
“Oh.”
“Io credo in Batuffolino, lo giuro, lo giuro.”


“  -Io credo in Batuffolino- Il suo criceto morto, sai. Le ho messo una mano sul braccio e ho cercato di spiegarle, con tutto il tatto possibile, che non funziona così.”


“Diane, sono sicuro che il tuo criceto fosse davvero un ottimo animaletto. Ma questa è solo una favola, capisci?”
“Io ci ho provato, signor John. Bisogna sempre provare tutto.”
“Non fare quel musino triste.”
“Non era un ottimo animaletto, mi mangiava sempre le matite. Però mi manca, ogni tanto.”



“Insomma, lei era così triste che ho fatto una cosa stupida. Sai come sono i bambini, sarebbero capaci di far credere a uno come me che Babbo Natale esiste davvero. Quindi le ho preso una mano, e ho cominciato a ripetere anch’io quella frase.”


“Io credo in Batuffolino, lo giuro, lo giuro.”
“Ma signor John! Hai detto che è una favola!”
“E tu hai detto che vale la pena tentare.”



“E niente, lei mi ha sorriso e abbiamo continuato insieme a dire che credevamo in Batuffolino. Ho parlato con sua madre per telefono, poco dopo. Quando la dimetteranno troverà un roditore arancione ad aspettare il suo ritorno, e stavolta nessuno si dimenticherà di lui.”
Deglutisco. Quella bambina è veramente dolce, merita tutta la felicità di questo mondo.
Ogni bambino la merita.
Mi inginocchio accanto alla tomba di Sherlock. Si starà chiedendo perché gli abbia raccontato quest’episodio.
“Dovevo parlarne con qualcuno, sai. Scusa se ti ho infastidito, so che non ti piacciono queste storielle. Probabilmente saresti stato più contento se ti avessi detto dell’uomo a cui hanno ricucito male gli organi -sì, è morto adesso-, ma avevo bisogno di parlartene. Abbi pazienza con me, lo sai, sono solo una persona comune.”
Silenzio. Mi lecco le labbra, aride come gli steli che giacciono ai piedi della lapide.
Inspiro di nuovo, a fondo. Chiudo gli occhi, una mano posata sul -aggrappata al-
marmo scuro.
Le parole mi escono di bocca in una sola, disperata esclamazione.
“Io credo in Sherlock Holmes!” Sento le lacrime pungermi gli occhi.
“Lo giuro.” Voce arrochita.
“Lo giuro.” Flebile sibilo.
Piango. Non succede niente, non succederà mai niente.
Valeva la pena provare.
   
 
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