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Autore: thatsjonasmile    30/08/2013    2 recensioni
-mi ami?- -si.- -saresti felice con me?- -si.- -allora perchè stai rinunciando alla tua felicità?-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joe Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PRINCIPE AZZURRO E' ARRIVATO. 



Odiavo quando internet non collaborava. Dopo trent’anni di vita, ancora avevo bisogno di trovare il significato di alcune parole, e senza un PC funzionante dovetti accontentarmi del vocabolario. Mi alzai dal letto e afferrai il tomo, per poi risedermi a gambe incrociate davanti al portatile.
Quella mattina mi ero alzato presto perché il mio direttore mi aveva incaricato di scrivere una lettera ad un suo cliente, quindi avevo deciso di togliermi subito il pensiero, per poi potermi finalmente godere il compleanno.
Aprii il volume ad una pagina a caso, dove vi trovai una fotografia. La guardai per un tempo infinito, revocando i ricordi di ben sette lontanissimi anni prima.
La foto ritraeva i volti di un ragazzo ed una ragazza distesi su un letto, abbracciati e sorridenti. Erano cambiate tante cose da quando fu scattata quella foto: il letto era lo stesso, ma lei non c’era più e nella sua partenza si portò via anche il mio sorriso. Mentre una profonda tristezza si propagava dal centro del mio petto, il mio sguardo cadde sulla pagina del vocabolario. Una parola era stata cerchiata: Matrimonio, e accanto vi era una didascalia. La mia grafia era un po’ storta, immutata nel tempo. Lei mi prendeva sempre in giro per come scrivevo. Avevo scritto: “Ti amo. Giuro che ti porterò sull’altare”. L’altra, delicata, elegante e minuta, diceva: “Ti amo. Giuro che risponderò di sì.” Involontariamente, una lacrima rigò il mio volto, prima che un terrificante dubbio facesse spazio nella mia testa.
Mi precipitai in salone e rovistai nel cestino della carta, seduto a terra, finché non lo trovai: l’invito a un matrimonio. Non lo avevo neanche aperto; io non partecipavo mai ai matrimoni. Tremante, aprii l’elegante foglio di carta giallognola e lessi ciò che diceva:
“Kathleen Amy Ross e Jacob Michael Bryant sono lieti di annunciare il loro matrimonio che si terrà il giorno 15 agosto alle ore undici presso la chiesa S. Gabriel.”
Il cuore cominciò a tambureggiare dentro il mio petto, mentre le lacrime scendevano copiosamente dai miei occhi. No, no, no! La mia piccola non poteva sposarsi, non con un altro uomo. Ce l’eravamo giurato. Avevo bisogno di sfogarmi, così urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Avevo la fortuna di vivere in una grande casa colonica isolata, così che non avrei disturbato nessuno. I minuti passavano ed io ero ancora seduto sul pavimento di legno a piangermi addosso. La sveglia che avevo dimenticato di disattivare suonò le dieci e mezzo come tutte le mattine estive e mi fece trasalire.
Muoviti, coglione! – disse una voce nella mia testa. – Lei si sposerà tra mezz’ora, vai a riprendertela!
In tutta fretta, con l’adrenalina che mi scorreva nelle vene, indossai le scarpe e, afferrate le chiavi della macchina, mi precipitai fuori. 
Guidavo come un pazzo, tenendo i finestrini abbassati in modo che l’aria calda di metà agosto mi schiarisse le idee. Intanto pregavo Dio che non si fosse trasferita, per paura di arrivare tardi in chiesa.
Una volta arrivato, parcheggiai alla bell’e meglio davanti al portone di quercia dell’abitazione e suonai il campanello una, due volte, impaziente.
Aprì una donna sui sessanta, castana, con gli stessi occhi color oceano della figlia. ‹‹Buongiorno signora Ross, sua figlia è in casa?›› domandai, timoroso della risposta. ‹‹E tu chi saresti?›› domandò la donna, sospettosa. ‹‹Mi hanno mandato dalla parrocchia, signora, devo assolutamente parlare con sua figlia.›› se mi avesse riconosciuto, non mi avrebbe mai fatto entrare. ‹‹Puoi riferire a me.›› ‹‹Sono desolato, ma mi hanno detto di riferire ciò che so solamente alla sposa.›› Sposa. Mi faceva male al cuore pensare ad una parola del genere. La donna ancora non si fidava. ‹‹Hai un viso familiare…›› ‹‹Probabilmente mi ha visto in chiesa, ogni tanto vado ad aiutare il parroco. La prego signora, è urgente, mi faccia entrare.›› ‹‹E va bene, entra.›› acconsentì scostandosi dalla soglia. ‹‹Mia figlia è nell’ultima porta a destra, in cima alle scale.›› ‹‹Grazie, signora Ross.›› dissi precipitandomi al piano superiore. 
Davanti alla porta mi bloccai, tremante, fin quando le mie nocche non urtarono da sole il legno.
‹‹Avanti.›› disse una voce vellutata. Aprii la porta lentamente, ansioso, e vidi un’esile figura femminile avvolta in un lungo abito bianco, seduta immobile davanti allo specchio. Non appena entrai, i suoi occhioni blu in contrasto con i capelli castani, raccolti in un’elaborata crocchia, si puntarono su di me.
‹‹Joseph.›› sussurrò lei, sconvolta. Dio, era bellissima, talmente bella che guardarla faceva male. ‹‹Che ci fai qui?›› ‹‹Non puoi sposarti.›› Fu l’unica cosa che riuscii a dire. ‹‹Perché no?›› domandò venendomi incontro e fermandosi a pochi passi da me. ‹‹Perché hai giurato che ti saresti sposata con me.›› ‹‹È stato tanto tempo fa.›› mormorò con gli occhi umidi. ‹‹Ma è pur sempre un giuramento.›› insistei. ‹‹Sei bellissima, e non sei cambiata affatto.›› ‹‹Tu invece sei irriconoscibile.›› sorrise. ‹‹Allora come hai fatto a capire subito chi ero?›› ‹‹Dagli occhi.›› rispose, facendomi battere forte il cuore. ‹‹Ti amo.›› le dissi. ‹‹È sempre tardi per amare.›› mormorò abbassando lo sguardo. ‹‹L’amore è la pena da scontare per non voler restare soli. È meglio amare e perdere che vincere e non amare mai.›› ‹‹Questo che significa?››
‹‹Che ti amo, ma voglio vincere contro il tempo, contro il destino, contro tutto. Significa che anche se ti sposerai, io ci avrò provato, e l’avrò fatto perché sono innamorato di te. Tu lo ami?›› ‹‹No.›› mormorò abbassando lo guardo, facendomi battere il cuore ancor più di quanto già non battesse. ‹‹Allora perché lo sposi?›› ‹‹Perché è ciò che vuole mia madre.›› ‹‹Lui non ti rende felice, vero?›› le chiesi, e lei mi rispose scuotendo il capo. ‹‹Meriti di essere felice, Kathleen. Lo meriti più di ogni altra persona.›› Lei alzò il capo e mi guardò, ammutolita. ‹‹Mi ami?›› le chiesi, a bruciapelo. ‹‹Sì.›› sussurrò lei. ‹‹Saresti felice insieme a me?›› ‹‹Sì.›› ‹‹Allora perché stai rinunciando alla tua felicità?›› Lei non mi rispose, ma mi abbracciò stretto, come se fosse un abbraccio d’addio. Io la strinsi a me più forte che potevo, inebriandomi del suo profumo, incidendo sul mio corpo la sua pelle, in modo da non scordarla mai. ‹‹Portami via.›› disse in un soffio.
Ci guardammo e le nostre labbra si congiunsero. Lei avvolse le sue braccia intorno al mio collo ed io le strinsi il volto delicato mentre le nostre bocche si cercavano bramose, nostalgiche. Sette anni erano passati dall’ultima volta che quelle labbra vellutate furono mie, ma non le avevo mai dimenticate.
‹‹Ce la fai a scendere dalla finestra?›› le domandai.
‹‹Ehi, ho venticinque anni, sono ancora agile. Non ho certo dimenticato tutte le volte che sei venuto a prendermi di nascosto.›› ‹‹Menomale.›› le risposi, sorridente.
Lei scrisse qualcosa su un post-it che lasciò attaccato allo specchio della camera, mentre io cacciavo fuori dall’armadio tutti i suoi vestiti.
Mentre lei infilava tutto alla rinfusa nelle valigie, io sbirciai il biglietto. C’era scritto solo: “Il principe azzurro è arrivato.”
Sorrisi, e l’aiutai a calare le valigie di sotto, usando le sue lenzuola per non far rumore.
Appena lei scese, nel retro della casa, io uscii salutando cordialmente la madre e la raggiunsi con la macchina. Scaraventammo le borse nei sedili posteriori e ci affrettammo a partire, ridendo, estasiati da quella pazzia. Il mio sorriso era tornato.
  
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