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Autore: cc_criss    30/08/2013    0 recensioni
N/A: Kurt è un bambino intelligente, al di sopra della media della sua età. È un'anima sincera e buona, ma alla ricerca di qualche stimolo in più rispetto a quello che i suoi coetanei possono dargli. Alla ricerca di un rapporto più profondo, un'amicizia speciale che lo leghi a qualcuno, Kurt passa la sua infanzia e poi l'adolescenza a crescere fianco a fianco ad un giovane Blaine.
Questa è la sua storia, narrata da lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ero un bambino particolare. Non è che fossi strano, o particolarmente diverso, ero solo eccezionalmente selettivo, e forse anche un po’ pieno di me già all’epoca. Non ero solo e non mi sentivo solo; avevo i miei genitori, che amavo in modo indescrivibile, ed un discreto rapporto con i miei compagni di classe – niente di speciale con nessuno di questi, giusto due chiacchiere qua e là fra le lezioni ed una generale serenità nel relazionarmi con le persone che mi circondavano nella vita. Avevo comunque le mie buone ragioni per l’essere un po’ sulle mie ed il fare fatica a stringere un’amicizia sincera. I bambini della mia età non erano alla mia altezza a livello emozionale od intellettivo. Cercavo un’anima che mi fosse affine, ed ancora ero troppo giovane ed ingenuo per far crollare in breve tempo le speranze di trovarla; ogni giorno speravo che qualcuno entrasse nella mia vita e puf l’avrei riconosciuto subito quel qualcuno, se fosse stato come me, me lo sentivo. Ma di nuovo qui mi sto mostrando come una persona diversa; ero invece semplicemente superiore, ma con umiltà; ero mediamente più intelligente dei miei compagni ( come potevano distrarsi tanto facilmente dalle lezioni e non prestare ascolto solo perché le ritenevano noiose? Imparare era meraviglioso. Ciò che studiavo, e leggevo, era meraviglioso. Certo il mio interesse calava un po’ quando si trattava di esercitarmi sulle frazioni o le divisioni perché era un esercizio troppo meccanico e troppo poco stimolante, a mio parere, ma capivo l’importanza di saper fare i calcoli, quindi mi davo da fare); ero, come precedentemente detto, più emotivamente sviluppato dei miei coetanei: non cercavo compagnie frivole e divertimento con chiunque, non volevo passare i pomeriggi ai parchi giochi o a giocare con le macchinine a casa di qualcuno di loro, perché la loro compagnia, per quanto piacevole fra le ore di lezione, non mi dava niente di più che un normale passatempo e qualche persona fisica con cui parlare di cose di nessun conto. Volevo – necessitavo – qualcuno di più maturo. Inutile dire che non potevo rivolgermi ai ragazzi più grandi, quale tredicenne avrebbe passato volentieri del tempo con un bambino di sette anni? Per loro ero un marmocchio. ( Fidatevi, mai a quell’età provare ad integrarsi in un gruppo di ragazzi più grandi, parlo per esperienza personale. Esperienza che, per altro, mi ha mostrato che la maturità che ricercavo nelle persone non l’avrei trovata semplicemente in persone più grandi di me a livello d’età.)
Avevo un’idea forse un po’troppo romantica dell’amicizia. Nella vita di ciascuno le persone e gli amici vanno e vengono, per un motivo o per l’altro, e cambiano dunque con il passare le del tempo. Io non volevo una cosa del genere. Forse avevo letto un po’ troppi libri e visto troppi film che mi avevano portato a deviare un po’ da quella che era la realtà delle cose – e se anche nella vita avessi davvero dovuto trovare un’amicizia come la intendevo io, difficilmente l’avrei trovata in così giovane età per poi farla rimanere duratura. Eppure non demordevo; mi sentivo, io, un po’ come Werther, alla ricerca di se stesso e di quel rapporto perfetto ( anche se lungi da me era trovare l’amore: non mi interessava minimamente, le bambine che conoscevo non mi interessavano minimamente e comunque ero troppo giovane per imbarcarmi in un’impresa così grande), e per questo ed altri motivi mi sentivo un po’ anche Matilda - Matilda sei mitica era forse il film preferito della mia infanzia (vedete, qualcosa adatto ai bambini lo vedevo) e se avete qualcosa contro di esso potete anche smettere di leggere la mia storia.
Comunque, in poche parole ero un bambino di compagnia, ero gentile, educato, maturo, rispettoso, ma avevo interessi diversi da quelli degli altri. Per il momento, in ogni caso, passavo i miei giorni fra scuola e casa, qualche uscita occasionale se venivo invitato alla festa di compleanno di qualche mio compagno o al luna park a cui non potevo, onestamente, dire di no, ed i compiti. E nel mentre, aspettavo e speravo. Ho detto che non mi sentivo solo, ed è vero, ma sapevo che trovare un vero amico avrebbe reso la mia vita molto più interessante e viva.
Fui estremamente fortunato, lo posso dire in tutta onestà e riconoscenza. Un giorno quel qualcuno effettivamente arrivò, e si rivelò essere diverso da ciò che mi ero aspettato, ma, col passare del tempo, mi resi conto che non avrei voluto fosse andata in alcun altro modo, o per lo meno che non avrei voluto nessuno di altro.
Era il primo giorno di terza elementare. Dopo una noiosa e calda estate avrei finalmente ripreso la scuola che avrebbe ridato un ritmo ai miei giorni e qualcosa da fare, volti conosciuti e non da vedere nei corridoi, solite scenate in classe di compagni che facevano casino e maestre che si inalberavano e cercavano di ristabilire il silenzio e l’ordine. Il solito, insomma, ma certo sarebbe stato più movimentato dell’essere in vacanza al mare con mamma e papà che, per quanto bello, dopo un po’ era diventato monotono, senza considerare il fatto che io ed il prendere il sole non andiamo particolarmente d’accordo.
Ero seduto al mio banco a sistemare quaderni ed astuccio, godendomi i saluti rivoltimi dagli altri e osservandoli intanto pieni di energia e senza riserve correre fuori e dentro dalla classe e salutarsi fra loro e scherzare come se fossero amici di lunga data che non si vedevano da anni. Dopo un po’ che li osservavo e sentivo l’eccitazione coinvolgermi, facendomi nascere in viso un sorriso di aspettativa per l’anno a venire, vidi entrare nella nostra classe un nuovo ragazzino che mai avevo visto prima. Era posato e vestito impeccabilmente – forse troppo, considerato l’ambiente –, aveva un timido sorriso sul volto – un bel volto, curato anch’esso, notai con piacere – nascosto sotto una chioma di capelli graziosamente ed elegantemente rivolti all’indietro e tenuti mediamente fermi da un po’ di gel. Mi piaceva. Mi piaceva che fosse vestito in colori pastello abbinati e non con jeans, t-shirts e felpe di colori assurdi ed assortiti come tutti i miei coetanei, mi piaceva il suo modo di presentarsi riservato ma non eccezionalmente timido – o almeno questo mi ero creato in mente visto che lo avevo notato da forse un minuto –, mi piaceva che fosse pacato, ma sembrava incuriosito ed eccitato all’idea di cominciare in un posto nuovo. Mi intrigava. Se si fosse dimostrato all’altezza delle mie aspettative, delle idee che in quei pochi istanti mi ero fatto del nuovo arrivato, sapevo che avrei finalmente trovato la mia persona, il mio amico.
Ero terribilmente indeciso se rimanere seduto ed osservare quali sarebbero stati i suoi movimenti o lanciarmi in prima fila, dietro le linee nemiche dei miei compagni che appena lo avrebbero notato gli si sarebbero lanciati contro, ed andare ad accoglierlo. L’intensa emozione che avevo provato appena avevo osato sperare potesse essere colui che cercavo mi spinse in piedi, sull’attenti, e marciai con estrema cura nei miei movimenti verso di lui – non potevo mostrarmi irruente come gli altri, dovevo essere diverso come sapevo di essere, dovevo fare colpo su di lui. Mi fermai davanti a lui e gli sorrisi, allungando una mano in fronte a me per presentarmi.
«Kurt Hummel. Piacere di conoscerti, nuovo arrivato.»
Gli si illuminarono gli occhi nel ricevere le mie attenzioni, e non me lo immaginai solo perché ci speravo, giuro che successe per davvero. Gli si allargò il sorriso e mi strette la mano con decisione ma non forza.
«Blaine Anderson. Grazie per l’accoglienza!»
Rimasi – rimanemmo – qualche attimo lì vicino alla porta dell’aula, poi, non sapendo di preciso cosa fare, guardai verso terra un po’ imbarazzato e tornai in seguito al mio posto. Perché fin’ora non avevo mai pensato a come avrei dovuto reagire, cosa avrei dovuto dire, quando mi si fosse presentata davanti l’occasione che avevo tanto aspettato? Ero deluso da me stesso. Avevo sempre, o quasi, una risposta o una battuta pronta, eppure in quello che sul momento mi era sembrato il momento più importante della mia infanzia, ero rimasto in silenzio. Lanciai un’occhiata all’orologio posizionato sul muro di fronte a me, poco staccato dalla lavagna, e notai che grazie al cielo la lezione sarebbe cominciata nel giro di cinque minuti. Blaine non venne a sedersi di fianco a me. Il posto era già occupato da Jack ( i ragazzi facevano a gara per prendere i banchi vicini al mio in modo da poter copiare i compiti dai miei – la cosa mi faceva mediamente piacere, la vedevo come un riconoscimento delle mie capacità da parte loro). Si sedette due file più avanti, vicino alla finestra, e dalla mia posizione potevo guardarlo con facilità senza farmi notare. Ovviamente non lo feci subito, od almeno ci provai. Continuai invece a ripetere la scena da poco successa nella mia mente, venendone fuori con possibili continuazioni che però non avvennero e non sarebbero mai successe. L’ingresso di Miss Spencer in aula mi liberò della piccola autocommiserazione in cui ero entrato e mi fornì una distrazione.
Blaine si presentò ufficialmente alla classe. Come avevo immaginato, parlava con moderazione e buone maniere, chiaramente educato con un certo rigore, però notai che scalpitava un poco sui suoi piedi e ciondolava leggermente in avanti, chiaramente elettrizzato, e se quelli non fossero stati elementi sufficienti a dimostrarlo, l’enorme sorriso che ci stava rivolgendo di certo non lasciava adito a dubbi. Venni a sapere, dal suo stesso discorso, che i suoi genitori si erano appena trasferiti in Ohio per questioni di lavoro ( sperai per loro, e per lui, che quel lavoro valesse la pena, perché chi diamine si trasferiva, volontariamente, in Lima, Ohio?) che ovviamente lui sperava di trovarsi bene, e di fare nuove amicizie, e varie formalità di questo genere che in un discorso costruito con un minimo di cura non devono mancare. Però Blaine sembrava sentisse davvero le parole che stava dicendo.
Quel giorno, ed in quelli a venire, io e Blaine ci scambiammo sorrisi o saluti quando incrociavamo gli sguardi a inizio e fine giornata scolastica o durante gli intervalli – e questo era quanto. Era un po’ come con gli altri miei compagni, ma anzi con quasi meno interazioni. Nel mentre, presi ad osservarlo con attenzione dalla mia posizione avvantaggiata. Così come si era presentato appena comparso il primo giorno, era rimasto anche in seguito: composto, educato, posato, elegante. Le lezioni però mi avevano permesso di conoscere un po’ di più. Era attento in classe, scriveva quando era necessario, non si faceva distrarre dai nostri altri compagni, ma riusciva comunque in qualche modo a rivolger loro battute o piccole azioni che servivano a dar loro corda senza però perdere il filo di ciò che la nostra maestra stava dicendo e continuando quindi poi a seguire senza problemi. Era carismatico e si era guadagnato la benevolenza di chiunque – chiunque! Posso giurarvi che quella scorbutica di Silver, bambina piena di sé senza alcun apparente motivo e conseguentemente insopportabile, che riservava a chiunque una sguardo di disprezzo o disapprovazione, era lì che cercava in ogni modo le attenzioni di Blaine dopo meno di tre giorni. Se non è carisma questo, giuro non so cosa lo sia. Il fatto che lui non la filasse se non per il minimo indispensabile a non risultare maleducato, non faceva altro che fargli ricevere punti dalla mia prospettiva.
L’ultimo giorno della prima settimana, Blaine mi si avvicinò alla fine della prima lezione e si sedette al posto di Jack, che già si era lanciato in piedi per andare a fare chissà cosa con i suoi amici, per girarsi poi verso di me ed iniziare una conversazione come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, come se fossimo amici, come se io non avessi passato gli ultimi quattro giorni ossessionato dalla sua figura e dalla sua presenza e dalla sua persona.
«Hey, Kurt! Oggi ti siederai al tavolo a cui ti metti di solito, in mensa? Posso sedermi con te? Ugh, stamattina ho fatto poca colazione e mi sembra di star morendo di fame. E mancano ancora ore prima di pranzo, Kurt!»
Avevo dimenticato di dire che era piuttosto esuberante, quando non si ricordava di dover rimanere composto, e la cosa, oltre che essere la maggior parte delle volte divertente, era intrigante. Il punto comunque era che non si era mai lasciato andare così con me.
Mi ritrovai ad allungargli, un po’ allibito ma piacevolmente colpito, la pastafrolla con il cioccolato che la mamma mi aveva preparato quella mattina, per porre fine alle sofferenze che stava sbandierandomi in faccia. Dire che mi sarei aspettato una prima conversazione più matura e certamente ben diversa da questa credo sia, oltre a non necessario, un eufemismo. Dire invece che ricoprì mia mamma di complimenti e me di gratitudine, per quanto inutile perché ovvio anche quello, serve per farvi capire che in quel momento Blaine salì un altro gradino sulla mia scala di approvazione nei suoi confronti. 

  
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