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Autore: giusky    30/08/2013    2 recensioni
«Ripetimi perché mi sono lasciata convincere.» disse la castana, con una nota di dolore, come se le avessero appena mollato un pugno nello stomaco.
«Perché sono un abile ricattatore e tu una buonanima.» ghignò Ed, sorseggiando la sua birra.
«Ti odio, Edward.» sbottò irritata, dando un morso feroce alla sua pizza.
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«Non so chi sia questo Ed, ma comunque ciao.» e sorrise. Un sorriso davvero bello, ma le apparenze ingannano, si sa.
«H-hey.» balbettò la ragazza, leggermente tremante. Adesso l’avrebbe violentata e fatta a pezzi, ne era sicura.
«Io sono Louis, piacere.»
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante fosse metà estate, fuori dalla finestra pioveva e il vento forte faceva picchiettare le gocce di pioggia sulla finestra. La ragazza posò il libro che stava leggendo e sbuffò.
«Vuoi smetterla?» la rimproverò il fratello, mettendo il gioco in pausa e poggiando il joystick sul tavolino.
La ragazza si voltò, incrociando gli occhi azzurri del fratello e lanciandogli un’occhiataccia. Si guardarono per qualche secondo, poi lui inarcò un sopracciglio biondo-rossastro e lei sbuffò di nuovo, tornando a leggere il suo libro.
«Si può sapere che cos’hai?» chiese allora lui. Poggiandosi le mani sulle cosce si diede la spinta e si alzò dal divano, raggiungendo la sorella seduta su di una sedia accanto alla finestra. Lei, come se non sapesse fare altro, sbuffò. «Ti ho detto di smetterla.» aggiunse lui ormai di fronte alla ragazza. Tra i capelli castani di lei, alcune ciocche bionde luccicavano, riflettendo quasi, la poca luce che arrivava da fuori. Ed sorrise e, chinandosi per essere alla sua stessa altezza, la osservò mentre leggeva, le sopracciglia corrugate in un’espressione concentrata, le labbra socchiuse che, a volte, si muovevano senza emettere alcun suono, mentre leggeva una riga con più attenzione. «Allora?»
La ragazza sobbalzò sentendo il fratello così vicino. Era talmente assorta che non si era resa conto che le si era avvicinato. «Che cosa?» disse indifferente, senza alzare gli occhi dal libro.
Questa volta fu Ed a sbuffare. «Cosa c’è che non va, Joanne?»
Lei chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, quasi come se volesse calmare la rabbia, poi li riaprì e fece una strana smorfia. La solita faccia da “adesso-ti-uccido”. «Non chiamarmi Joanne.» disse con tono freddo. Ed poté giurare di aver sentito davvero una folata di vento gelido che gli attraversava il corpo. «Non interrompermi mentre leggo.» continuò. «Sai quanto lo odio.»
Il rosso alzò gli occhi al cielo. «Scusa.» sussurrò, per niente convinto. «Ma ora, dimmi che cos’hai.»
Joanne, che aveva riportato lo sguardo sul libro, gli lanciò uno sguardo più glaciale del primo, se possibile. «Cosa ti fa credere che abbia qualcosa?» brontolò irritata, sempre con tono freddo.
«Oh, a parte il fatto che sei più fredda del solito, sbuffi almeno due volte al minuto e stai leggendo sempre la stessa pagina da almeno un’ora?» rispose ironico, guardando la ragazza nei suoi occhi verdi. Lei non rispose, si limitò a guardarlo, cercando una risposta. Si sentiva irritata e non sapeva nemmeno perché.
«Deve essere la pioggia. Insomma, siamo ad Agosto e diluvia. Non sono psicologicamente preparata per questo.» affermò lamentosamente, gesticolando in una maniera che solo lei sapeva fare, agitando in aria il libro che aveva ancora in mano e rischiando di colpire in pieno volto il fratello. «Amo la pioggia, ma d’inverno. D’estate è più malinconica del solito e mi toglie persino la voglia di leggere.» Ed la guardava, mordendosi il labbro inferiore per non ridere; il modo in cui la sorella si sfogava, aveva sempre quel non so che di esilarante, e il più delle volte doveva trattenersi dal ridere. «E IO AMO LEGGERE.»
«Lo dici come se fosse un dato di fatto.» sussurrò lui, con un ghignetto sul volto che indicava che non avrebbe retto a lungo.
«E’ un dato di fatto.» esordì lei, alzandosi di scatto dalla sedia, che cadde all’indietro, e aprendo la braccia per rendere meglio il concetto. Ed scoppiò. «Non ridere.» lo rimproverò Joanne, mollandogli una librata vicino all’orecchio sinistro.
Il rosso mugolò un ‘Ahi’ guardando storto la sorella e massaggiandosi la parte lesa.
«Chissà che adesso il cervello riprenda a funzionare.» aggiunse la castana, scoppiando a ridere subito dopo, notando lo sguardo metà infastidito, metà ‘ha parlato’ che il fratello le aveva lanciato.
«Sai una cosa?» chiese Ed alzandosi; era più alto di Joanne di almeno una ventina di centimetri, infatti la ragazza le attivava a mala pena al mento. La ragazza sollevò lo sguardo e dopo aver sussurrato un ‘mmh’ facendo capire al fratello che aveva tutta la sua attenzione, Ed continuò. «Stasera potremmo uscire. Io e te. Al cinema, in pizzeria, in discoteca.»
La sorella lo guardò male. «Non ci penso neanche.» disse, spingendo leggermente il rosso per spostarsi da quel piccolo spazio in cui era bloccata. «Ti sembro il tipo da discoteca?» sbraitò, agitando nuovamente le braccia.
«Potremmo andare al cinema-» iniziò a dire lui, ma lei lo interruppe.
«No. Non voglio uscire.» disse, poggiando con forza il libro sul tavolo. Lo guardò con una faccia dispiaciuta e sussurrò «Scusa.»
«Ma non puoi rimanere chiusa in casa per sempre! Da quando siamo arrivati non ti ho vista uscire nemmeno una volta, se non per buttare la spazzatura nel marciapiede.» la sgridò, serio. «E poi ti sei così rimbecillita che chiedi scusa ad un libro.»
«Non per dire, ma sono sicura che quel libro sa più cose di te.» affermò convinta. «Quindi direi che può anche provare più sentimenti.» e annuì, come per confermare quello che aveva detto.
«Bastarda. Io cerco di fare il bravo e tu mi insulti.» mise il broncio. Il più finto che Joanne avesse mai visto. Sollevò gli occhi al cielo.
«Okay, scusa anche a te.» sbuffò. Ed non rispose. «Ora dovresti dire: “Scuse accettate”, e magari ci potremmo abbracciare, così per suggellare il tutto.» Ed tenne il broncio. «Oh, e va bene. Cosa devo fare per farmi perdonare?»
Ed parve pensarci, nascondendo un sorrisetto che però gli sfuggì non appena cominciò a parlare. «Stasera pizzeria e poi discoteca.»
Joanne quasi svenne.
 
«Ripetimi perché mi sono lasciata convincere.» disse la castana, con una nota di dolore, come se le avessero appena mollato un pugno nello stomaco.
«Perché sono un abile ricattatore e tu una buonanima.» ghignò Ed, sorseggiando la sua birra.
«Ti odio, Edward.» sbottò irritata, dando un morso feroce alla sua pizza. «Te, i tuoi ricatti e la tua mania per l’arancione.»
«Sono felice che mi ami così tanto.» sorrise alla ragazza di fronte a lei. «Vedo che almeno la pizza ti piace.»
La ragazza strappò un altro morso; sembrava un leone che sbranava un povero animaletto della savana. «Ringrazia che non sia il tuo braccio, e che io non sia cannibale.»
Mangiarono pizza e patatina per circa un’ora, cominciando poi a parlare di come si sentivano nella nuova casa lì, a Wolverhampton. Ed ordinò un’altra birra e Joanne prese una fetta di torta al limone. Usciti dalla pizzeria l’aria fresca lì colpì e la ragazza si pentì di non aver voluto portare una giacca con sé.
«Ed,» cominciò con fare lamentoso. «dobbiamo andarci per forza?»
«Possibile che ti lamenti per tutto?» sbuffò il ragazzo.
«Oggi semplicemente non è giornata. Ti prego torniamo a casa.» mise il broncio, proprio come aveva fatto quel pomeriggio il fratello, ma era decisamente più convincente. Purtroppo per Joanne, il fratello non era così generoso come lei.
«E’ inutile che fai così. Puoi anche metterti a piangere, ma l’hai promesso e le promesse si mantengono.»
«Ti odio.» ribadì.
Dentro la discoteca c’era un odore repellente di alcol e Joanne si sentì ubriaca solo al sentirne l’odore.
Il fratello la trascinò al bancone dove ordinò una qualche bevanda alcolica, poi si voltò dalla sorella. «Tu cosa prendi?»
Lei lo guardò storto. «Sai che odio l’alcol.» disse con ovvietà. «Perciò non prendo niente.» continuò  poi, rivolgendosi al barista. «E dovresti fare anche  tu la stessa cosa, altrimenti non torneremo a casa vivi.» aggiunse tornando di nuovo al fratello.
«Ti ho portato qui per divertirti, non per fare la suora astemia.» la rimbeccò lui.
«Uff, non ho detto che non mi divertirò, ma non berrò niente di più forte di un caffè macchiato.»
Ed la osservò per un po’, poi quando arrivò il suo drink, di un colore rossastro, cominciò a sorseggiarlo facendo segno alla sorella che si sarebbero rincontrati in pista.
«Vedi di tenere il cellulare acceso.» disse, ma non era sicura che il fratello l’avesse sentita, dato il baccano che si era creato.
Joanne si voltò per capire il motivo di tutto quel vociare sopra la musica. Si sollevò in punta di piedi e a mala pena scorse due figure che erano appena entrate in discoteca. Uno aveva i capelli biondi e una pelle molto chiara, per quanto le luci forti permettessero di percepire. L’altro aveva un cappellino nero e rosso, ma non riuscì a vedere altro.
Decise di lasciar perdere e di mettersi a ballare, dimenticandosi per un po’ di quello che c’era là fuori.
Guardò la gente in pista e venne presa dal panico. Non conosceva nessuno, era sola e per lo più si rese conto di soffrire di claustrofobia. Si voltò verso il bancone alla ricerca del fratello, trovando nel posto occupato precedentemente da Ed uno sconosciuto. Quasi non le venne un attacco d’asma.
Avvertì una mano posarsi sulla sua spalla sinistra, rimanendo pietrificata per un instante, ma poi si voltò capendo chi era. «Ed mi ha spaventata. Ti stavo cerca-»
Le parole le morirono il gola quando notò che il ragazzo che aveva di fronte non era suo fratello. «Non so chi sia questo Ed, ma comunque ciao.» e sorrise. Un sorriso davvero bello, ma le apparenze ingannano, si sa.
«H-hey.» balbettò la ragazza, leggermente tremante. Adesso l’avrebbe violentata e fatta a pezzi, ne era sicura.
«Io sono Louis, piacere.» levò la mano dalla spalla della ragazza per porgergliela. «E tu sei?»
Sorrideva ancora. «Joanne.» Osservava timorosa quella mano, ma poi sollevò lo sguardo, osservando quegl’occhi azzurri che, doveva ammetterlo, facevano concorrenza al sorriso perfetto. Strinse la mano al ragazzo e poi aggiunse, in un sussurro. «Ma chiamami Jo, per favore.» Sorrise impercettibilmente.
A quel leggero sorriso, che indicava una leggera fiducia, se così possiamo chiamarla, gli occhi del ragazzo si illuminarono e tossicchiò, schiarendosi la voce. «Bene Jo, ti va di ballare con me?»
«Ba-ballare?» balbettò ancora lei.
Non vuole uccidermi? pensò.
«Beh, sai. Andare in pista e muoversi al ritmo di musica. Ballare significa questo.» spiegò Louis con sarcasmo, e le labbra incurvate in un sorrisetto ironico.
Anche Joanne, sorrise. «So cosa vuol dire.» affermò ridacchiando. «E’ che non capisco perché tu voglia ballare con me.»
«Il destino mi ha portato qua e poi *poof* sei comparsa tu.» raccontò tutto con fare serio, il ché si rovinò quando al “poof” fece il segno di una piccola esplosione con le mani.
Lei inarcò il sopracciglio. «E ti aspetti che mi beva questa storia da fiabe per bambini?» Trattenne un sorriso divertito.
«No, ma almeno speravo che ti convincessero a ballare con me.» ammise Louis.
«Potevi dirlo prima.» rise lei, dandogli una leggera spintarella.
«L’ho detto.» si giustificò il ragazzo.
«E va bene, Lou. Andiamo a ballare.» e detto questo prese la mano del ragazzo senza accorgersene e lo trascinò verso la pista.
«Com’è che mi hai chiamato?» urlò Louis stringendosi tra la folla.
«Emh, Lou. Non ti piace?» chiese la ragazza voltandosi a guardarlo, mentre con un bracci si faceva strada.
«Si.» disse.  «Si, mi piace.»
Joanne sorrise e si rigirò davanti, per non fare troppi casini. Quasi al centro della pista trovarono uno spazio per starci entrambi. Lei respirava velocemente e lui ridacchiava guardandola. Lo stava tenendo ancora per un braccio.
«Mi è sembrato» disse lei tra un respiro e l’altro. «di stare sott’acqua per mezz’ora. Sono più attaccati delle cozze agli scogli.»
Louis rise più forte. «E non li hai visti quando inizio a ballare, vengono irrimediabilmente attratti a me, manco fossi una calamita.»
«Non sapevo fossi così modesto.» lo prese in giro Joanne.
«Sono modesto quanto brutto e antipatico.» disse, sbattendo le ciglia con fare altezzoso, cosa che fece scoppiare dal ridere la ragazza.
«Da ciò deduco che tu ti veda come una sorta di Dio. Bellissimo e simpatico.»
«No, come un Dio no. Non sono ancora immortale.»
Lei scosse la testa, continuando a ridere. Quel ragazzo era davvero bello e simpatico come si credeva ed era sicura che alla fine non l’avrebbe violentata o uccisa.
«Allora, da quanto tempo vivi qui?» chiese Louis, avvicinandosi a lei e mettendole un braccio intorno alla vita. Joanne arrossì di colpo a quel gesto. Ma poi si disse di stare calma, stavano solo ballando.
«Co-come scusa?» balbettò, imbarazzata.
Lui sorrise. «Da quanto tempo sei qui a Wolverhampton?» richiese.
L’altra spalancò gli occhi. «Come sai che non sono di qui?»
«Oh, per favore. Louis William Tomlinson conosce tutti, e specifico tutti, gli abitanti di Wolverhampton.
Lei sollevò un sopracciglio. Per niente convinta di quell’affermazione.
«Okay, si sente dall’accento.» ammise. «Vieni dall’America vero?»
«Si sente così tanto?» chiese, leggermente allarmata. Louis annuì. «Sì, ho vissuto a New York per più di tre anni. I miei genitori- Mia madre e John, suo marito, lavorano tanto e sono costretti a traslocare spesso.» spiegò.
«Suo marito?» chiese lui, curioso. Si era fatto più vicino, notò Joanne. Ma, alla fine, non le importava.
«Mio padre è morto quindici anni fa.»
«Mi dispiace.» fece Louis a mo’ di scuse.
«Non devi dispiacerti.» gli sorrise. «Avevo solo tre anni, e all’ora non capivo. Ricordo ancora la sua voce e il suo viso. Era un uomo fantastico per quello che ricordo.» Il ragazzo le sorrise, dispiaciuto ma anche attento. «L’anno dopo mia mamma cambiò lavoro e conobbe John. Credo fu amore a prima vista. Quando avevo sei anni si sposarono; io ero la damigella d’onore. E John aveva- ha un figlio. Ed. Dovevi vederlo il giorno in cui mi hanno detto che io sarei stata la damigella; lui è più grande di me di due anni, all’ora ne aveva otto. A quell’età capisci ma non capisci. Non so se mi spiego.» lui annuì, ridacchiando leggermente. Joanne mise le braccia attorno al suo collo. «Beh, si arrabbiò, dicendo che lui doveva essere la damigella d’onore, perché lui era il più grande. Solo a pensarci se ne vergogna ancora.» rise e, senza rendersene conto, posò per qualche secondo la testa sulla spalla di Louis. «Scusa, ti sto annoiando con i miei racconti divagati.»
«No, no. Sono interessanti. Continua.» le sorrise. «Se ti va, naturalmente.» si affrettò ad aggiungere.
«Non c’è molto altro da dire. A parte che con Ed ci sono cresciuta, ed è come un fratello di sangue per me.» sorrise guardando il niente dietro la spalla di Louis. «E’ il mio migliore amico. Mi aiuta sempre ad ambientarmi quando ci trasferiamo. Chissà cosa farei senza di lui.» disse, sospirando.
«Vi trasferite spesso?» chiese Louis cercando i suoi occhi.
Quando si incrociarono, Joanne continuò. «Dopo il matrimonio, ci trasferimmo in Scozia. Ricordo i due inverni che trascorremmo là, e la parola ‘gelati’ è troppo lieve per descriverli. Poi passammo un anno in Italia. Mi piaceva l’Italia. Faceva abbastanza caldo anche in inverno. O almeno, rispetto a qui. Però i bambini là erano un po’ dispettosi.»
«Credo lo siano dappertutto.» affermò il ragazzo che, al contrario di quanto credeva Joanne, era davvero interessato a quella storia. E soprattutto, era lusingato del fatto che tra tutte le persone che c’erano lì, era con lui che stava ballando, era con lui che si stava confidando, nonostante lo conoscesse si e no da mezz’ora.
«Oh, no. Lì erano molto peggio. Te lo posso assicurare.» un ghigno le comparve sul volto. «Dispettosi e bulletti. Tutto ciò che non mi va a genio. Tu non sei così vero?» chiese.
«Dipende dalle persone.» sussurrò con fare sospetto Louis. Lei lo guardò storto, con il solito sguardo quasi minaccioso. «Scherzo.» disse poi. «Sono buono come il pane, anche se l’aria da cattivo ragazzo mi donerebbe, non trovi?»
Joanne scoppiò a ridere per la millesima volta in quella sera. «Sai, in pochi riescono a farmi ridere. Ridere per davvero, intendo.»
«Davvero? Ne sono lusingato.» e chinò leggermente il capo, come se volesse inchinarsi, ma non poteva perché era troppo vicino alla ragazza. «Ti pregherei però di non ridere mai per finta dopo una mia battuta. Sai io le ripeto e potrei non farci una bella figura. Non so se capisci.»
«Capisco. Ma con “ridere per finta” io intendevo quelle risate nervose che si fanno quando si è in imbarazzo.»
«Oh, beh, in tal caso non avrai nessun problema.» continuava a sorridere, non solo con le labbra ma anche con gli occhi, e quel sorriso gli donava eccome. «Ma continua a raccontarmi di te. Sei rimasta all’Italia.»
«Giusto, l’Italia. Dopo l’Italia, avevo circa nove anni, siamo andati in America. Per tre mesi siamo stati in una cittadina del Kansas, talmente piccola che non te la nomino nemmeno, tanto non la conosci. Poi ho passato altri due anni e mezzo a Jacksonville in Florida. E devo ammetter che è stata davvero una bella permanenza. Un anno poi l’abbiamo passato a Miami, l’anno peggiore della mia vita. Lì i ragazzi erano tutti figli di papà. Non che i miei fossero poveri, ma avevano la mentalità aperta di un re con il popolo di contadini. Per lo meno, nella mia scuola.»
«Che avventura.» disse Louis, provando ad immaginare i luoghi dove visse la ragazza. «Io non ho mai lasciato l’Europa, sai?»
«Davvero?» Annuì. «Un giorno viaggerai. E, chi lo sa, magari viaggeremo assieme.» Il volto di Louis si illuminò all’affermazione.
«Mi piacerebbe.» Joanne ricambiò il sorriso.
«L’ultimo spostamento fu New York, dove vissi per tre anni. E lì mi sono ambientata meglio che in qualunque altro posto.»
«Meglio di qui?»
«Non posso ancora saperlo.» sorrise.
«Da ciò, deduco tu abbia all’incirca diciotto anni.» affermò dopo averci pensato un attimo.
«Li compirò il mese prossimo.»
«Io ne ho già venti. Vado al college sai. In una città non molto lontana da qui. In treno non ci impiego neanche mezz’ora.»
Joanne stava per dire qualcosa, ma una voce dietro Louis li distrasse entrambi. Lei riconobbe il cappellino che aveva visto ad uno dei ragazzi entrati prima che incontrasse Louis.
«Buonasera ragazzi. Vi state divertendo?» Il ragazzo, alto e muscoloso, aveva un viso dolce, quasi da bambino, ma si capiva che non era tale dall’accenno di barba e quel ghigno sarcastico.
«Payne. Cosa vuoi?» chiese Louis, cambiando tono. SI staccò dalla ragazza per fronteggiarlo meglio, ma quel Payne lo superava di una decina di centimetri.
«Sta calmo, Loulou. Non sei tu che mi interessi in questo momento.» e detto ciò, spostò il suo sguardo sulla ragazza.
«Ti va di ballare con me?» chiese, con uno sguardo malizioso.
Joanne spalancò gli occhi. Okay, altri ragazzi le avevano chiesto di ballare prima, ma mai due in una sera. Che facessero così solo perché è nuova e non sa chi ha veramente davanti?
«Perché dovrei?» disse diffidente. Sapeva mantenere comunque la sua facciata fredda. «Non so nemmeno come ti chiami.»
«Liam.» disse solo il ragazzo. «Ora lo sai.»
«Smettila. Lei stava con me quindi-» si intromise Louis, ma venne zittito da un’occhiata di fuoco dell’altro ragazzo.
«Hai detto bene, stava.» ghignò. «Ora vorrei passare un po’ di tempo con lei, da solo. Quindi evapora.»
«Uh, altrimenti cosa mi farai?» fece la vocina da bambino.
«Lo sai bene.» disse Liam con un tono che non ammetteva repliche.
«E’ una minaccia?» urlò Louis, rosso in volto per la rabbia.
Liam serrò la mascella e strinse i pugni, Joanne lo notò.
«Va’ via Louis.» disse, seria.
Lui staccò gli occhi dall’altro ragazzo e la osservò, sconcertato. «Che cosa?»
«Va’ via.» ripeté, pregandolo con lo sguardo.
«Hai sentito?» ringhiò l’altro. «Vattene.»
Louis lanciò un’altra occhiata alla ragazza con cui aveva ballato fino a poco prima poi se ne andò.
«Finalmente se n’è andato.» sbuffò Liam. «Che scocciatura.»
Adesso che il territorio sembrava liberato, la voce del ragazzo prese un tono più calmo, quasi.. dolce.
«Perché vuoi ballare con me?» chiese Joanne, sempre in tono distaccato.
«Perché mi va.» disse lui, sorridendo.
«Non sai nemmeno come mi chiamo.»
«Hai la fissa dei nomi? Che differenza fa?» chiese, sguardo impassibile.
«Fa che non sai niente di me.» disse Joanne con tono accusatorio.
«E non è meglio? Niente da spiegare, niente che possa complicare tutto questo.» spiegò dolcemente.
«Perché fai così?»
«Così come?» chiese confuso.
«Con lui- l’hai trattato malissimo, come se fosse niente. E con me- Perché con me fai così?» domandò, spaventata e confusa.
«E’ una lunga storia. Questo è il vero Liam Payne.» disse, aprendo leggermente le braccia, come a presentarsi.
«Beh, a me se n’è presentato un altro.» continuò, riacquistando il tono freddo.
«Mi dispiace. Ricomincio, okay?» si schiarì la voce, poi le tese la mano. «Piacere, il mio nome è Liam James Payne. Ho diciotto anni, quasi diciannove, il mio secondo rene che non ha mai lavorato ha ripreso a funzionare qualche giorno fa e ora sono qui a festeggiare. E tu sei?»
Sembrava convincente.
«Credi che sia così facile?» lo rimproverò lei.
«Non dovrebbe?» chiese con aria innocente.
«No. Non puoi minacciare il ragazzo che stava con me e poi chiedermi di ballare. Non puoi fingere che non sia successo perché, si da il caso, che è successo.» sputò fuori con tutta l’acidità che aveva in corpo e fece per sorpassarlo quando lui la bloccò per un braccio.
«Solo un ballo.» la supplicò con gli occhi. Lei continuò a guardarlo male. «Solo uno, ti prego.»
Perché sono così buona? Si disse.
«E va bene. Ma appena finisce la canzone, fingerai che non ci siamo nemmeno incontrati.»
Liam sorrise e la tirò verso lui con il braccio. Lei si lasciò stringere, ma non troppo, non si è mai troppo cauti.
«Grazie.» sussurrò.
«Non ringraziare me, ringrazia l’idiota che mi ha fatta buona.» sbottò, acida.
«Buona e acida.» specificò, ridacchiando. «Come la torta al limone.»
Rimasero a ballare per un po’, sicuramente più di una canzone, e Liam cominciò a raccontarle di lui e di Louis, di come erano stati amici e di come gli aveva rubato la ragazza.
«Quindi tu e lui avete litigato a morte per questo? Perché ti ha rubato la ragazza?» chiese lei, un po’ stupita, il tono acido ormai lasciato in disparte.
«Ehi. Ero innamorato e lui lo sapeva, e me l’ha presa lo stesso.» rispose lui, offeso.
«Avevate quindici anni.»
«Ero innamorato.» replicò. «E lui era il mio migliore amico.»
«Ma non è che questa “voglia” di ballare con me è solo una vendetta contorta?» chiese Joanne, un po’ triste della sua stessa affermazione.
«Cosa? NO. Assolutamente no.» si affrettò a correggerla. «Non sapevo nemmeno fosse lui, finché non si è girato.» si giustificò.
«E allora perché proprio io?»
«Sei davvero insistente! Ringrazia che mi stai simpatica o ti avrei già buttata fuori.»
Lei sollevò le sopracciglia, confusa.
«Sai, ho il potere di farlo.» spiegò. «Quando litigai con Louis, e litigai per davvero, tra di noi rimase sempre aria di sfida. Ma lui era più grande e quindi più forte. Cominciai a fare box per diventare più forte e un giorno lo sfidai.»
«Fammi indovinare, vinsi.» disse la castana, con aria di sufficienza.
«Assolutamente no. Mi ritrovai con un occhio nero, una montagna di lividi e tagli un po’ dappertutto.» raccontò. «Lui ne uscì praticamente illeso.»
«E allora come?»
«Due anni fa, verso dicembre, lo sfidai nuovamente, nel parco cittadino. Ma feci in modo che non si potesse presentare, e, fingendo di non sapere, vinsi a tavolino. Tutti mi temettero per un po’, incutevo talmente tanta paura che Louis Tomlinson non si era presentato all’incontro.»
«Ma Louis poteva raccontare a tutti la verità.» affermò Joanne.
«E così lo minacciai.»
«Come?» chiese, curiosa.
«Eravamo migliori amici, io sapevo tante cose di lui, cose anche molto imbarazzanti.» spiegò.
«Ma lui altrettanto di te.»
«Io non avevo segreti, se non dei semplici sgarri che commettevo dando poi la colpa alle mie sorelle. Lui ne aveva uno in particolare che lo faceva morire di vergogna.»
«Quale?» non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire qualche domanda.
«Non so se posso fidarmi di te.» le disse, incerto.
Lei mise un broncio spontaneo.
«Eddai.» insistette. «Te lo prometto.»
«Non saprei..»
«Per favoooreee.» disse mettendo le mani unite come in preghiera e sbattendo le palpebre velocemente. Sembrava una bambina.
«Okay, te lo dirò. Ma acqua in bocca.» Joanne esultò, così avrebbe potuto conoscere un po’ Louis, anche se le dispiaceva un po’ di saperlo così.
«Sarò muta come un pesce.» disse, comunque.
«Perché mi sono lasciato convincere.» sussurrò a se stesso. Poi si avvicinò alla ragazza e sussurrò: «Quando eravamo in quinta io ero già fidanzato mentre lui non trovava interesse nelle ragazze. Così un giorno mi confessò che forse gli piacevano i ragazzi. Naturalmente questa idea sparì ai dodici anni quando si fidanzò per la prima volta. Ma se ne vergognava talmente tanto.»
«E’ un po’ crudele da parte tua, non trovi?» lo rimproverò.
«Oh, ma insomma. Chi è quello che mi ha rubato la ragazza? E’ lui.» disse, sulla difensiva.
Joanne sbuffò.
«Quindi, suppongo, da allora tu sei il forte e potente Liam Payne» e dicendolo gesticolò molto apertamente. «E lui Louis sono-un-perdente Tomlinson.»
«Si, più o meno è così.» annuì l’altro.
La ragazza scosse la testa.
«Mi è venuta sete, andiamo a bere qualcosa?» chiese.
«Vado io.» disse Liam e si avvicinarono alle poltroncine, dopo aver sorpassato una marea di gente.
«Niente di alcolico per me, grazie. Odio quel sapote.» disse, prima che Liam si allontanasse.
«Sicura?» chiese.
«Sicurissima.» e detto ciò Liam si allontanò.
La ragazza si guardò intorno, seduta su una delle poltroncine rosse della discoteca. La gente accanto a lei pomiciava o, più specificatamente, si mangiava la faccia. Un ragazzo completamente sbronzo era sostenuto da altri due, che non erano ridotti meglio, e aveva la faccia verde, come se stesse per vomitare. Joanne notò un’ombra ma pensò fossero solo le luci. Osservò la gente che ballava, corpi che si strusciavano, gente che più che altro si muoveva assecondando i movimenti di chi gli stava accanto, per quanto erano stretti.
«Non dovresti fidarti di lui.» Joanne sobbalzò e si voltò verso quella voce.
L’ombra che gli era sembrata di scorgere era un ragazzo, alto e magro, con capelli lunghetti.
«Chi sei?» chiese.
«Non importa chi sono, non fidarti di Payne.» le disse.
Lei provò a vedere il volto di quel ragazzo ma era completamente nascosto.
«E perché dovrei ascoltarti?» disse, e non poteva mancare il suo tono acido.
«Perché ti conviene, se non vuoi farti male.»
«Farmi male?»
Joanne si alzò e provò ad avvicinarsi all’ombra.
«Sì. Non in senso fisico.» specificò. «Se mi ascolterai, andrà tutto bene.»
«Cosa-»
«Jo?»
Liam era tornato e aveva due bicchieri in mano. Uno era pieno di un liquido nero-rossastro e l’altro aveva lo stesso rosso del bicchiere del fratello.
«L-liam.» disse.
«Tutto okay? Sei pallida.» disse avvicinandosi, con tono preoccupato.
«Mmh? Si, si. Tutto a posto. Ho solo molta sete e caldo.» Liam allora le porse il bicchiere col liquido nero. «Grazie. E-emh. Cos’è?» chiese incerta.
«Coca cola, tranquilla.» le sorrise.
 Joanne prese il bicchiere e lo bevve in un sorso.
«Devo andare. Scusa Liam.» disse, posando il bicchiere nel tavolino e incamminandosi.
«Aspetta.» la fermò Liam.
«Si?» chiese, voltandosi.
«Ci rivedremo?»
Ci pensò su. Cosa doveva fare? Quell’ombra- quel ragazzo le aveva detto di stargli lontano. Ma da quando ascoltava quello che gli diceva uno sconosciuto? Beh, l’aveva praticamente fatto due  volte quella sera.
«Te lo prometto.» e andò alla ricerca del fratello.

Lo trovò un quarto d’ora dopo buttato sul bancone.
«Ed?» chiese, incerta.
«Jo?» disse alzando la testa dal bancone. «Jo!» urlò appena la vide e la abbracciò forte. «JOANNE CARAX DOVE SEI STATA?» urlò dopo aver realizzato che era davvero lei.
«Emh, qui?» tentò.
«Non fare la spiritosa. Ti avrò chiamata minimo venti volte.» la sgridò con tono autoritario.
«Scusa, ma la musica era alta e non l’ho sentito.»
Lui la guardò con aria severa ma poi si addolcì e le mise un braccio intorno alle spalle.
«Allora, ti sei divertita? Hai fatto amicizia? Ho fatto bene a farti uscire?» chiese tutto di seguito, curioso di sapere i dettagli di quella serata.
«Si.» disse soltanto Joanne.
«’Si’ cosa?» chiese ancora Ed, non capendo a quale delle tre domande avesse risposto.
«Tutte e tre.» disse, e mise un braccio intorno alla vita del fratello.
E così uscirono dalla discoteca col sorriso sulle labbra, e Joanne già sapeva che adesso la sua vita sarebbe cambiata radicalmente e, almeno lo sperava, in meglio.

 
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Eccomi qui, sono tornata.
Dopo mesi che non scrivevo niente (assolutamente niente) ho deciso di rientrare in scena con questa One Shot che dedico interamente ad edishilyn, la ragazza che mi incita a scrivere e che ringrazio molto perché senza di lei non sarei qui a scrivere.
Ringrazio anche chiunque sia arrivato fin qui.
Volevo avvertirvi di non rimanere delusi dal praticamente niente che accade in questa FF, ma è una sorta di pezzo della Long che sto scrivendo e che spero di poter pubblicare il prima possibile.
Spero che vi abbia incuriositi con questo pezzo di storia, che non è niente rispetto a tutto quello che ho in mente.
Non vi dirò di leggere le mie altre FF perché sarebbe come chiedervi di buttarvi da un balcone del terzo piano (chiamato anche un suicidio) ma vi chiedo (aka vi supplico in ginocchio) di recensire, perché gli elogi e le critiche fanno di un autore quello che è. Ringrazio già chi lo farà.
Un bacio e a presto.

Giusky.
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