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Autore: StefanoSnig    31/08/2013    1 recensioni
rob aveva imparato a non affezionarsi, a sognare, a disegnare, a stare solo, a fare finta di niente, a trattenere le emozioni, a ignorare il dolore fisico e psicologico.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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Rob aveva imparato a non affezionarsi.
Col passare del tempo la sua mente si era autoconvinta del fatto che se avesse continuato ad affezionarsi a qualcosa, questo qualcosa lo avrebbe lasciato solo.
Non che questo fosse un problema per lui. In fondo era nato da solo in una squallida camera d'albergo in uno squallido paesino del Montana. I suoi genitori ci erano andati in viaggio di nozze, in quanto una desolata vallata tra le pecore era l'unica cosa che un dicianovenne disoccupato ed una sedicenne prossima al parto costretti dalle famiglie a sposarsi avevano potuto permettersi.
Rob nacque in anticipo di qualche settimana durante la prima notte di nozze dei suoi genitori. Sua madre aveva passato le ultime notti chiusa in camera a specchiarsi con indosso quel vestito bianco, ad immaginare quello che sarebbe dovuto essere il giorno più bello della sua vita: fiori, parenti in lacrime, un eterno giuramento.
In realtà il tutto si era rivelato una cerimonia tanto noiosa quanto sbrigativa, e se fino a qualche settimana prima si sentiva una principessa di fronte allo specchio con quel vestito addosso, ora, sporca di sangue e infastidita dalle grida di un neonato indesiderato che aveva abitato abusivamente il suo stomaco, si paragonava ad una di quelle prostitute che sua madre le aveva insegnato a non degnare della minima umanità.
Probabilmente il suo ultimo pensiero fu rivolto al suo neomarito che, spaventato, correva via dall'albergo, abbastanza maturo per concepire un figlio, ma ancora troppo giovane e bisognoso di libertà per prendersene la responsabilità.
Fu un miracolo a salvare Rob. Una cameriera lo trovò in lacrime tra le gambe di sua madre che ormai non respirava più. E da quel momento sua madre fu lei.
Non che Rob avesse mai avuto intenzione di conoscere i suoi veri genitori. Nutriva solo una certa curiosità verso la sua discendenza, tanto che spesso passava le notti immobile nel letto ad immaginare di provenire da stirpi di nobili principi o imbattibili supereroi. In un certo periodo si era persino autoconvinto di somigliare in modo eccezionale a James Dean, e lo aveva incluso nella lista dei suoi probabili padri che teneva sotto il letto.
Rob aveva imparato a non affezionarsi e a sognare.
Diciamo che quell'anonima cameriera lo salvò più per pena che per amore. Era incapace di amare, nessuno mai glielo aveva insegnato. Infatti Rob ricevette più amore dai suoi peluches che da quella signora distratta. Ma imparò a non affezionarsi neanche a loro. Perchè le poche volte che ciò era successo, ci era rimasto sempre male.
Non che stare male gli dispiacesse, in fondo ci era abituato, ma quando stava male non riusciva a disegnare, e questo gli dispiaceva parecchio.
Rob aveva imparato a non affezionarsi, a sognare e a disegnare.
Era l'unica alternativa che non lo costringesse a pensare. Perchè pensare lo faceva star male, e stando male non riusciva a disegnare. Occupava interi pomeriggi con una matita in mano e, quando ne sentiva l'estremo bisogno, lo faceva anche durante la lezione di matematica, tanto non ci avrebbe capito nulla comunque.
Ma c'era un'altra cosa che non capiva oltre alla matematica. Non riusciva a realizzare perchè tutti ce l'avessero con lui. Non capiva perchè la gente ridesse mentre camminava. Non capiva perchè sempre lo stesso ragazzo, ogni giorno, alla stessa ora lo facesse cadere a terra di fronte a tutti in mensa. Non capiva perchè spesso sentisse gente che pronunciava il suo nome e rideva di lui. Non capiva perchè si divertissero a sputare sul suo maglioncino rosso preferito, perchè insultassero il suo taglio di capelli, perchè ogni mese lo costringessero a comprare un nuovo paio di occhiali dopo averglieli rotti. Si sentiva in colpa di essere semplicemente così com'era.
La solitudine gli piaceva, comunque. Il silenzio gli piaceva, perchè non lo faceva pensare e gli dava lo stimolo per disegnare.
Rob aveva imparato a non affezionarsi, a sognare, a disegnare e a stare solo.
In fondo si era autoconvinto che relazionarsi alle altre persone fosse solo una perdita di tempo. Erano tutte piene di idee, pensieri, concetti, e tentare di comprenderli avrebbe compromesso il pensare, e a Rob non piaceva pensare, perchè poi stava male e non riusciva a disegnare. Rob preferiva sognare.
Per anni aveva sognato che quella cameriera, che lui mai aveva sentito la necessità di chiamare "mamma" e che lei mai aveva sentito la necessità di imporglielo, potesse trovare un uomo da amare. Magari un francese coi baffi, perchè a Rob piaceva tanto la Francia.
Rob sapeva cosa fosse l'amore. Da piccolo l'aveva provato. Il suo cuoricino batteva forte forte quando una bionda bimba con gli occhi azzurri gli sorrideva. Si incontravano spesso nel parco giochi del quartiere, non parlavano ma si tenevano la mano, e Rob si era autoconvinto che lei fosse francese, perchè a Rob la Francia piaceva un sacco, e a Rob quella bambina piaceva un sacco. Un giorno provò persino a baciarla.
Lei probabilmente non gradì il sapore dei brownies che Rob aveva mangiato a colazione, ma lo lasciò fare. Lui, invece, provò la sensazione più intensa della sua vita.
Il suo esile corpicino fu invaso da brividi così forti che quasi gli diedero fastidio. La testa si svuotò ed un sapore che il suo cervello aveva registrato come "petali di rosa e marmellata" gli si posò sulle labbra.
Da quel giorno non fece altro che disegnare quella bambina, di cui nemmeno sapeva il nome, ma a cui pensava così tanto.
Si videro poche altre volte dopo quel bacio. La bimba soffriva infatti di una brutta malattia al cuore.
Lui ci rimase un po' male nel non vederla più al parco giochi, ma in breve tempo si autoconvinse che fosse stata costretta a tornare in Francia per costruire una fabbrica di marmellata. E fu qui che smise di affezionarsi a qualunque cosa.
Restava sempre per conto suo, per questo non desiderò approfondire la conoscenza dell'uomo che finalmente la cameriera aveva trovato. Non era nè francese, nè aveva i baffi. Era grossolano, puzzava di birra ed era pieno di tatuaggi. A Rob non stava simpatico. Non si interessò nemmeno quando, dopo poco tempo, quell'uomo si trasferì in casa loro e cominciò a picchiare la cameriera. Una volta lo intravide persino mentre le puntava una pistola in fronte.
Ma a Rob non interessava. Lui sconfiggeva il nervosismo, il fastidio, disegnando.
Rob aveva imparato a non affezionarsi, a sognare, a disegnare, a stare solo e a fare finta di niente.
Faceva finta di niente a casa, quando la cameriera sempre più piena di lividi gli serviva la colazione, o quando quell'uomo lo insultava per il fatto che stesse sempre zitto a disegnare.
Faceva finta di nulla a scuola, quando veniva spintonato contro gli armadietti, quando veniva rinchiuso nello sgabuzzino delle scope, quando nello spogliatoio gli nascondevano i vestiti, quando riuscirono a rompergli una gamba facendolo cadere dalle scale.
Ma a Rob non interessava, l'importante era che le sue mani rimanessero integre per disegnare.
Ci fu una sola volta in cui non riuscì a fare finta di niente. Trovò i disegni che aveva lasciato sotto il banco nella sua classe completamente ricoperti di scarabocchi, osceni disegnini ed insulti nei suoi confronti. Non gli diedero fastidio i "Rob Gay" o i "Rob Senza Amici" o i "Faresti un piacere a tutti se solo ti uccidessi", ormai ci era abituato. Non riusciva a sopportare il fatto che i disegni a cui aveva lavorato, in cui aveva messo tutta la sua anima, nei quali aveva scaricato tutta la tensione, tutto il disagio, tutto il male che la vita gli regalava ogni giorno, erano stati rovinati.
E questo lo aveva fatto pensare.
E questo lo aveva fatto star male.
E questo lo aveva fatto piangere.
Rob non lo faceva mai. Aveva imparato a trattenere le emozioni. Era così tanto tempo che non sentiva quello stupido liquido salato sgorgare dai suoi occhi.
E questo gli diede fastidio.
Rob tornò a casa dopo le lezioni. Superò le ragazze che ridevano di lui, non le notò nemmeno. Non si rese nemmeno conto della spallata che un ragazzo del primo anno bisognoso di attenzioni gli aveva lanciato nella schiena, nonostante non lo avesse mai visto prima, nonostante non sapesse nemmeno che si chiamava Rob e aveva 16 anni.
Rob aveva imparato a non affezionarsi, a sognare, a disegnare, a stare solo, a fare finta di niente, a trattenere le emozioni, a ignorare il dolore fisico e psicologico.
Ma Rob aveva imparato anche il posto nel quale il fidanzato della cameriera teneva la pistola.

  
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