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Autore: Imhere    31/08/2013    2 recensioni
John è ormai un relitto e si trascina giornalmente senza avere idea del tempo che scorre.
Sherlock -come John- ha bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi.
Un gesto estremo farà riunire due uomini che non sono riusciti a scendere a patti con i propri sentimenti.
Dal testo:
"Che pena che si fa John ad essersi mostrato così debole davanti a lui, ma davvero non voleva morire: solo non sentire più niente. Eppure è un medico, doveva sapere quando fermarsi..
Adrenalina o morfina?
L’adrenalina non parla, non si lamenta, non si annoia come Sherlock. L’adrenalina non corre come un forsennato sui tetti di Londra come Sherlock.
L’adrenalina sterile di un farmaco non è Sherlock."
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E' più pre-slash che slash!
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Prima ff pubblicata!!! Lettori, aspetto vostre notizie :D
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Trascinarsi per le strade di Londra, con il volto basso e le mani ficcate nelle tasche di una giacca consumata dal tempo.

È quello che fa John tutti i giorni, tutto il giorno.

Si trascina in bagno la mattina, si trascina a lavoro dove svolge fa il bravo medico più per inerzia che per passione, si trascina al supermarket e, sempre trascinandosi, torna a casa.
Insieme ai movimenti, trascina anche pensieri e parole, l’uno dietro l’altra, come un treno a vapore che sta finendo il carbone.

Trascinarsi.

John si è ripetuto talmente tante volte questa parola per prenderne consapevolezza che se ne è anche dimenticato il significato.
Ciò che sa di lui, è ciò che vedono di lui: un relitto.

*
“Basta così.”-esclama una voce baritonale.
È furioso e pacato Sherlock, mentre osserva, tramite le telecamere, il lento incedere di un John che attraversa la strada con il volto basso e le mani ficcate nelle tasche di una giacca consumata dal tempo.

Mycroft guarda il fratello con malcelato stupore e si chiede quando sarà la sua prossima mossa e quanto aiuto gli servirà questa volta.
E Sherlock decide che semplicemente non gli interessa più alcunché.

*

John sa di non essere pazzo .

Non ha le allucinazioni -peccato-, non sente le voci -Dio, come mi manca la tua- e non parla da solo -anche se spesso penso a te come la mia coscienza-.
Quindi, quando vede Sherlock Holmes seduto sul divano di casa loro -no, mia- non pensa di avere le traveggole ma anzi, si sente perfettamente lucido. E con perfetta lucidità prende la sua pistola dal mobile del salotto e la punta su Sherlock e con voce ferma gli dice un secco “vattene”.

Sherlock è sorpreso, ma sa che non gli sparerà. Si aspettava -cosa si aspettava?-. Con John è sempre così. È sempre stato così, nel bene o nel male.

“John sono io sto bene sono viv-“
“Fermo lì”-Sherlock viene interrotto nel suo parlare velocemente, mentre fa un passo avanti, dall’occhiata gelida che John gli riserva. E fa male. Più di tutte le ferite che ha subìto per proteggerlo.
“Lo sapevo che eri vivo. L’ho sempre saputo, sin da quando ti sei buttato da quel maledetto tetto. Mi sentivo – mi sento – le telecamere di tuo fratello addosso, Sherlock. Non credo che Mycroft abbia tutto questo istinto di protezione nei miei confronti.” La voce di John è impassibile e sottilmente ironica.

Sherlock lo guarda sorpreso –ancora-, una traccia di emozione sul suo volto inespressivo che risalta come una pennellata rossa su una tela bianca.

“e allora non capisco. Perché mi fermi?”

John è esasperato e disilluso. Sherlock lo deduce dalla sua postura rigida e dallo sguardo che da gelido diventa cattivo; ma sa che non ci vuole un consulente investigativo per capirlo.
“Non ti sei fidato di me, Sherlock. Di me! Mi hai infarcito di complimenti durante la nostra convivenza, come fossi un tacchino, e poi mi hai lasciato a marcire qui quando sapevi benissimo che tutto quello di cui ho bisogno è adrenalina.” –E di te- ma questo non lo dice perché la delusione è troppo forte.
“Ma John lasciami spiegare per favore”
“Non.” – pausa, respiro – “un’altra parola, Sherlock.” La pistola ancora puntata e la rabbia malamente trattenuta. “esci dalla MIA casa immediatamente prima che ti piazzi una pallottola in fronte. Conosci la mia mira.”

Sherlock lo guarda ancora qualche secondo –mi sparerebbe davvero?-

 Sa che oggi è una battaglia persa e perciò batte in ritirata a passi calcolati mentre non perde il contatto visivo con John.  John che lo guarda irremovibile con il braccio armato che lentamente si abbassa.

*

Rivedere Sherlock è stato adrenalinico, vitale ma l’effetto è svanito nel momento in cui lui ha lasciato l’appartamento.

Ora John è seduto sulla sua poltrona a fissare il vuoto già da qualche ora. O così crede. A volte il tempo perde importanza. In quei momenti riesce a riprendere un contatto con la realtà solo grazie alla signora Hudson che porta il tè alle 17 in punto. Lei entra, lo guarda, gli lascia la bevanda sul tavolino della sala, gli poggia una mano sulla spalla –rassicurante- e se ne va, silenziosa come è entrata. E così ogni pomeriggio, per scandire delle ore che per John non hanno più senso.
Ma quel giorno John ha riassaggiato l’antico sapore dell’eccitazione che solo Sherlock sapeva offrirgli: un brivido intenso che gli agitava il sangue e stringeva i visceri.
Adesso, dopo tutto il tempo passato a cercare di convivere con la mancanza, tornare a provare quel genere di sensazioni è troppo, per un uomo distrutto. John ne è consapevole; così consapevole che decide di compiere un gesto estremo.

Adrenalina o morfina?

*

John-John-John-John parlami-John ascoltami-John cosa-

Sherlock, vuoi del tè?” – viene così interrotto nel tappezzare di John le pareti del suo palazzo mentale dalla presenza concreta e quasi rassicurante di Mycroft.
“No. Grazie.”
Non vuole il suo aiuto, non questa volta perché è giunto il momento, per sé stesso, di prendere le proprie responsabilità e accettarne le conseguenze. Combatterà da solo per riprendersi ciò che vuole, ciò che gli è necessario. Ogni essere, per quanto freak possa essere, ha bisogno della propria cura per stare bene e Sherlock ha bisogno di John. Più dell’aria –breathing is boring-, più dei casi –senza di te sono noiosi-, più della nicotina –so che ti infastidiscono i miei cerotti-.
John è il filo che lo collega alla vita. Tutto quello che è diventato, umano, lo deve a lui e non può quindi semplicemente rimanere a guardare mentre John trascina la propria vita in un baratro senza limite.

L’egoismo: un’altra novità che gli appartiene da quando John è diventato il suo tutto.

“.. certo arriviamo subito.”
Sherlock capta le ultime parole di una telefonata di Mycroft che si era allontanato senza che lui se ne accorgesse, troppo preso a realizzare la portata dei suoi sentimenti.
Vede il fratello avvicinarsi con aria contrita e preoccupata che lo induce ad alzarsi velocemente dalla poltrona e chiedere, senza indugio, “cosa è successo a John?”

*

Arrivano in ospedale di fretta, Sherlock quasi corre per i corridoi perdendo la sua abituale compostezza.

John John John John perché John.

Mycroft gli ha detto che la signora Hudson ha trovato John nel bagno, semi-svenuto, in crisi respiratoria con ancora il barattolo di morfina in mano, ormai vuoto. Ha chiamato subito il 911 ma non sapeva da quanto tempo era in quelle condizioni.
Ha detto che hanno dovuto intubarlo, che l’operazione di lavaggio gastrico è andata bene e che ora è in reparto di rianimazione e dorme.
Di tutto, Sherlock registra solo “è andata bene”, perché significa che John è salvo. Significa che il tempo per parlare ce n’è ancora, ma un po’ di ritardo e il rimpianto e il rimorso avrebbero mangiato la possibilità di una riappacificazione.

Lo fanno entrare nella stanza di John – grazie Mycroft – e quello che vede è un uomo schiacciato dalla vita a causa di un qualcuno che non sa scendere a patti con i proprio sentimenti.

Quello non è John.  E’ un relitto.

*

È notte fonda quando John si sveglia alla tenue luce del neon della stanza. Guarda il soffitto –bianco-, guarda a sinistra –bianco-, guarda a destra –bianco e qualcuno seduto su una sedia. Che lo sta fissando.-
Quel qualcuno è Sherlock.

Che pena che si fa John ad essersi mostrato così debole davanti a lui, ma davvero non voleva morire: solo non sentire più niente.  Eppure è un medico, doveva sapere quando fermarsi..

Adrenalina o morfina?
L’adrenalina non parla, non si lamenta, non si annoia come Sherlock. L’adrenalina non corre come un forsennato sui tetti di Londra come Sherlock.
L’adrenalina sterile di un farmaco non è Sherlock.
“Ciao John.” –Sherlock lo salva dai suoi pensieri più neri. Sherlock lo salva sempre al momento giusto. Sherlock lo salva sempre dopo averlo messo –lui stesso- in pericolo mortale.

John lo guarda e non risponde.

“John non è..” – la voce non è ferma come vorrebbe. Se la schiarisce- “John non sei tu questo. So che è colpa mia ma ciò che è stato, era necessario. Non cercherò di giustificarmi per qualcosa che credo ancora sia giusto. Lo crederò sempre. Mi fido di te. Mi fido di te perché sei l’unica persona che ho.” –una pausa come a pensare quanto può spingersi oltre-“l’unica persona davvero importante che ho.” E calca sulla parola DAVVERO.

Non dice più niente ma spera che il suo sguardo dica tutto.

John sospira. Ha riavuto indietro Sherlock, ignorarlo è come farlo sparire di nuovo.
“Non sarà semplice Sherlock.”
“Non ho detto che lo sarà.”
“Ci vorrà tempo.”
“Mi prenderò cura di te, John. Non è ricominciare da capo. È andare avanti e imparare dagli errori.”
“Sempre così razionale tu.”
“Sempre così impulsivo tu, invece.” –John sente una nota di rimprovero nella voce di Sherlock e abbassa gli occhi, colpito ed affondato.
“Non hai il diritto di giudicarmi.”
“No, John. Ne ho fatte di cose peggiori. Ma tu sei la mia àncora e se ti fermi tu, io non posso andare avanti.”
“E’ una specie di dichiarazione Sherlock?” John lo guarda stranito.
“Non lo so John. È quello che sento. Ma è tutto molto confuso.” La voce di Sherlock è ferma.

John sorride, dopo tanto. Forse dopo sempre. Un sempre che ora ha una fine.
 
  
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