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Autore: Charlie_Cmb    31/08/2013    1 recensioni
Improvvisamente Kurt si sentì soffocare, faceva caldissimo, e avvertì una forte voglia di camminare all’aria aperta e andarsene immediatamente da quella stupida festa, così cercò di alzarsi senza farsi notare e si avviò barcollando nella mischia, tentando di individuare l’uscita in mezzo alla calca e contemporaneamente di evitare contatti con l'unica persona che non voleva vedere. [...] Kurt si immobilizzò proprio mentre aveva intravisto la porta: la musica era cambiata e qualcuno gli aveva afferrato i fianchi per farlo girare. Con il cuore in gola, si voltò lentamente, e per poco non gli venne un infarto quando si ritrovò a dieci centimetri scarsi da Sebastian Smythe, i cui occhi di una sfumatura di verde un po’ più scura del solito lo stavano fissando attentamente. “Io e te dobbiamo parlare, principessa”
Kurtbastian con Quinn Fabray come co-protagonista ambientata a Yale nell'estate tra le terza e la quarta stagione.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Kurt Hummel, Nuovo personaggio, Quinn Fabray, Sebastian Smythe
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Charlie's Corner:
Hi everybody! Solitamente il commento dell'autrice andrebbe in fondo al capitolo, lo so, ma ci tengo a dire alcune cose prima che iniziate a leggere: questa non è la prima fanfiction che scrivo, ma è la prima che pubblico su Efp ed è una specie di esperimento, sono nervosissima, quindi spero davvero tanto che vi piaccia, siate clementi! Non sono certa di averla catalogata nel modo giusto, quindi vi prego, se ci sono degli errori ditemelo, e li correggerò subito. Ho scritto questo capitolo in particolare ascoltando "Cry", di Kelly Clarkson, che mi ha dato l'idea su come iniziare, ma la fanfiction è ispirata alla mia Bea (che non lo sa, ma è la mia musa). Un'ultima cosa, e poi prometto che vi lascio leggere in pace (sempre che qualcuno si dia la pena di farlo, ahahaha): in questa storia è presente una relazione tra un professore e un'alunna, che è stata ispirata da Aria ed Ezra di Pretty Little Liars, nel caso qualcuno stia seguendo anche quel telefilm. Grazie infinite a chiunque leggerà questo primo capitolo, se andrà bene continuerò ad aggiornare regolarmente una volta alla settimana, quindi se volete sapere come continua recensite, mettete nelle seguite o nei preferiti o leggetela semplicemente in tanti; un bacione a tutti!
Charlie


Correva, correva e le lacrime le rigavano il viso ricadendole sui capelli spettinati, sui vestiti, sul collo, e tutto quello che riusciva a fare era andare avanti a correre, a correre e a tentare inutilmente di soffocare il dolore che le riempiva il petto e le offuscava la mente; faceva male, faceva più male di qualsiasi altra cosa al mondo, un male diverso, peggiore, che non permetteva di avere lucidità e di pensare razionalmente, e cazzo, quando diavolo ho perso il controllo della situazione?! Io ho sempre il controllo, perché questa volta è diverso? E Dio, dov'è andata a finire la mia intelligenza?! Mentre correva, i respiri affannati e il cuore che batteva irregolare, si chiese perché fosse così dura, perché non riuscisse a tenere a bada quelle fitte che le invadevano il corpo e i pensieri, perché non ce la facesse a rimanere impassibile come sempre, perché, perché, perché… Troppe domande, troppo confuse, tutte insieme, tutte inutili; perché Quinn, mentre schizzava veloce per quei corridoi di solito familiari, ma che improvvisamente le sembravano sconosciuti, dentro di se conosceva perfettamente la risposta.
 
Tre mesi prima …
 
Kurt Hummel si svegliò molto presto, quella mattina, più presto del solito; un raggio di sole gli accarezzava il viso, invitandolo gentilmente ad alzarsi e a iniziare quella nuova, importantissima giornata. Mentre si pettinava accuratamente i capelli, non potè fare a meno di sorridere al pensiero di ciò che stava per fare, e una familiare sensazione di gioia gli riempì il petto: di tutti i trecentosessantacinque giorni dell’anno bè, trecentosessantasei se considera l’anno bisestile, non potè fare a meno di puntualizzare nella sua testa, quello era di  gran lunga il suo preferito, il giorno in cui si partiva per le vacanze, sempre che si possano realmente chiamare vacanze. Come da routine, dopo essersi diligentemente preparato, vestito, idratato, esfoliato e tonificato, dopo aver riposato per venti minuti gli occhi sotto a due fettine di cetriolo e dopo aver chiuso le enormi valigie, si diresse saltellando giù dalle scale, felice come una pasqua. “Giorno papà” Strillò all’uomo seduto al tavolo della cucina, intento a leggere il giornale e a fare colazione; Kurt fece scorrere veloce gli occhi azzurri sul piatto da cui Burt stava mangiando, e subito il suo sguardo si riempì di un misto di preoccupazione, irritazione e rabbia che sostituì in un baleno l’euforia, che gli fece imporporare all’istante le guance di porcellana: “Ancora pepsi e salsicce?! Papà, hai sentito benissimo cosa ti ha detto il dottore, cibi sani. Santa Gaga, hai rischiato un infarto e continui a mangiare come se avessi quindici anni?! –senza aspettare una risposta, fece scorrere lo sguardo con fare accusatorio sul sacchetto della pattumiera, da dove vide spuntare una cima di sedano- E hai perfino buttato via la colazione di verdure che ti avevo preparato ieri sera! Come faccio ad andare via tranquillo adesso, me lo spieghi?!” Burt guardò il figlio e si lasciò scappare un sorriso divertito, ma se ne pentì immediatamente quando vide Kurt fulminarlo, per poi riprendere a raffica la sua ramanzina: “Ah, lo trovi divertente. Molto divertente, vero? Perché devo sempre fare io l’adulto responsabile in questa dannatissima casa, perché?! Certe volte mi irriti più di Rachel quando mi ruba gli assoli!” Kurt, senza fermarsi nemmeno un secondo a pensare, iniziò a schizzare come un razzo per la cucina, accendendo mille fornelli e tagliando verdure e tofu alla velocità della luce, non prima di aver fatto sparire in un baleno le salsicce ipercaloriche e la zuccherosissima pepsi, mentre continuava a brontolare: “Ecco, mi farai pure arrivare in ritardo alla stazione, me lo sento, me lo sento, e cavolo, cosa ti è saltato in mente?!” In tutta risposta Burt rimaneva in silenzio a leggere la cronaca sportiva sul giornale, e quando Kurt gli mise davanti un piatto di tofu e verdure bollite, storse il naso: “Bè, buongiorno anche a te figliolo, hai dormito bene?” Kurt si sedette vicino a lui e fece roteare gli occhi: “Ah-Ah-Ah, molto divertente; dai, non me ne vado fino a quando non hai finito di mangiare, e ti avviso che se mi fai correre in macchina per essere puntuale divento peggio della Minaj quando aggredisce i paparzzi” Burt tastò con fare sospettoso il tofu, per poi posare la forchetta e guardare Kurt: “Kurt, sei sicuro che sia… commestibile? Questa roba ha il sapore e la consistenza della gomma e.. – notando lo sguardo contrito del figlio e le guance che stavano tornando rosse, Burt corresse il tiro- se tu ci tieni tanto, cercherò di mangiarla. Non credi di star esagerando un tantino? Insomma,ormai sono passati mesi dal mio infarto e anche se una volta ogni tanto faccio uno strappo alla regola non succede nulla.” Kurt sospirò tra sé e sé: era un bel po’ che sospettava che suo padre si alzasse prima alla mattina per fare colazione a modo suo, non ch ci volesse Nancy Drew, i piatti straunti e le lattine di pepsi nascoste sotto al lavandino sono indizi piuttosto evidenti, ma quella mattina i suoi timori si erano confermati. Tormentandosi una pellicina sul pollice, Kurt rispose tenendo lo sguardo basso: “Non è quello che ti dicono i dottori, e non mi risulta che tu sia laureato ad Harvard in medicina con il massimo dei voti” Sapeva che con quelle parole stava ferendo suo padre, che nonostante fosse fiero del suo lavoro di meccanico si era sempre rammaricato di non aver fatto l’università, ma non ci poteva fare nulla: quel giorno sarebbe partito, e di certo non avrebbe lasciato che la pigrizia di Burt gli facesse avere una ricaduta, non dopo tutti gli sforzi che aveva fatto in quei mesi per rimetterlo in riga. “Kurt, ti sto solo dicendo di stare tranquillo. Ti prometto che quando sarai via cucinerò tutte le ricette che mi hai lasciato, farò jogging ogni mattina, non andrò più a mangiare le patatine fritte dopo il lavoro e di sera farò quegli esercizi di pilates che ci sono nei dvd” Ancora una volta però Kurt non era del tutto tranquillo, conscio del fatto che ormai il buon umore con cui si era alzato era sparito definitivamente: “Ricordati di fare la spesa al supermercato bio, e di fare davvero la polvere, non spingere lo sporco sotto al tappeto come fai di solito, e anche di provare la pressione tutte le mattine, e di annotarti le calorie e…” Burt gli mise una mano sul braccio cercando di tranquillizzarlo e zittirlo al tempo stesso, poi, mentre con calma mangiava il suo orripi.., ehm, delizioso tofu, iniziò a parlare lentamente con lo sguardo fisso negli occhi di Kurt: “Kurt, sei preoccupato per queste settimane che trascorrerai via?” Che domande, ovvio che non lo sono! Ok, forse solo un po’; ok, sono terrorizzato “No papà, cosà ti salta in mente? Io cercavo solo di… tu insomma… il tofu…” Preso alla sprovvista dall’acutezza del padre, Kurt si ritrovò a farfugliare cose senza senso, sentendo un groppo di ansia che gli tormentava la gola, ma grazie al cielo Burt continuò a parlare con talmente tanta pacatezza da riuscire a calmare anche suo figlio: “Vedi Kurt, lo so che di solito sei piuttosto apprensivo, e che ti preoccupi per me, ma figliolo, sono un adulto e so badare a me stesso, diamine ho badato a te da solo da quando la mamma è morta, e tu solitamente non sei così… ossessivo; inoltre, sono solo le sei di mattina, e hai il treno alle sette e mezza, quindi credo che tu sia talmente nervoso da non riuscire a controllare nemmeno il sonno” Kurt scosse la testa, non erano affatto le sei di mat… per le labbra rifatte di Rhianna, sono davvero le sei di mattina!, pensò mentre fissava sgomento il suo orologio da polso “Beh, forse hai ragione; intendo, questa mattina ero euforico all’idea di partire, entusiasta a dire poco, e poi sono sceso e ti ho visto con le salsicce e mi è preso il panico. Ok che i cibi grassi mi fanno questo effetto, però…”Kurt ammise con riluttanza, e Burt annuì, mentre ingoiava a forza l’ultimo boccone di colazione: “E’ normale essere nervosi figliolo, ma è l’occasione con la O maiuscola, non la buttare via, è giusto avere paura, ma come hai detto tu, stamattina ti è presa l’euforia: quello è lo spirito giusto” Burt annuì convinto, mentre si alzava da tavola e prendeva le chiavi della macchina: “Io ho del lavoro da sbrigare, forse è meglio che tu ti riposi un po’ adesso, sai… oggi sarà una giornata piuttosto impegnativa –Burt aveva già un piede fuori dalla porta, quando si girò e aggiunse orgoglioso- e Kurt, sono fiero di te.” Detto questo, uscì definitivamente di casa, e Kurt si concesse il lusso di lasciarsi cadere sul divano e sospirare: non si era immaginato che le cose per la sua partenza sarebbero state così difficili, pensò mentre socchiudeva gli occhi e cercava di identificare quel miscuglio di emozioni che provava in quel momento. In effetti, quegli ultimi mesi erano stati piuttosto incasinati, doveva ammetterlo: prima il litigio con Blaine, poi l’audizione per la NYADA, le nazionali, il rifiuto da parte dell’università dei suoi sogni, la salute altalenante del padre, e a tutto questo bisognava aggiungere la lettera; ricordava ancora il momento in cui l’aveva ricevuta, era a guardare Chicago con Blaine, ancora euforico per la sua fenomenale esibizione di Not the Boy next door, quando era squillato il campanello. Un fattorino gli aveva lasciato il pacco della posta di quella giornata, e tra una lettera di conferma di abbonamento a Vogue e un buono sconto per la crema idratante, Kurt aveva intravisto una busta molto elegante, intestata a suo nome; riusciva ancora a ricordare l’euforia, la speranza che la NYADA gli avesse già risposto, il cuore che batteva velocissimo e lui che cercava di spiegare a Blaine, un po’ farfugliando e un po’ strillando, cosa aveva appena ricevuto. Si erano seduti sul divano, fissando ipnotizzati quella busta, Blaine che gli teneva un braccio intorno alle spalle con fare protettivo e Kurt che con le mani che tremavano che apriva la lettera; ripensandoci, Kurt riuscì a sentire perfettamente l’amaro in bocca di qualche mese prima, la delusione e la frustrazione: mentre leggeva pietrificato la lettera, tenendola a due centimetri dal naso per non farsi sfuggire nemmeno una parola, Blaine gli aveva gentilmente chiesto, stringendolo un po’ di più: “Allora? Sei… stato ammesso?” Kurt ci aveva messo un po’ a collegare il cervello, e poi aveva risposto con tono di voce piatto per nascondere quanto fosse amareggiato: “Non.. non è una lettera della NYADA” Blaine aveva corrugato le sopracciglia, quindi Kurt aveva continuato: “E’ da Yale; mi offrono una borsa di studio per partecipare ad un campus estivo, dicono che sono stato ammesso l'anno prossimo e che sono lieti di avermi con loro per tre mesi quest'estate” Blaine era immediatamente diventato raggiante: “Kurt, ma è magnifico! Insomma, Yale è nella Ivy League, ed è incredibile che ti abbiano scelto, io… non mi avevi detto che avevi fatto domanda per Yale” Ora una nota di tristezza si era insinuata nella voce dell’usignolo “Non l’ho fatto per il semplice motivo che io non ho mai fatto domanda per entrare a Yale, ne tantomeno per andare a un campus estivo” aveva risposto monotono Kurt.
Kurt fu ridestato dai suoi ricordi, che si erano velocemente trasformati in un dormiveglia, per via del campanello che squillava insistentemente; un po’ seccato, guardò l’orologio e realizzò che erano solamente le sei e venti, quindi si avviò verso la porta piuttosto irritato. Era già pronto a fare una ramanzina all’ennesimo venditore ambulante, quando si ritrovò davanti Blaine: “Kurt, ciao; scusa l’ora –sorrise imbarazzato, ma con gli occhi che fissavano il pavimento- posso entrare?” Kurt fu immediatamente messo in allarme dall’espressione del ragazzo, e sentì una familiare agitazione riempirgli il petto, oddio mi lascia, oddio mi vuole lasciare, oddio mi vuole dire addio, oddio è venuto a dirmi che è malato di tumore e che vuole vivere i suoi ultimi mesi da solo in Tibet, ma cercò di scacciarla e iniziò a parlare a raffica per colmare quel silenzio che si stava formando: “Ovvio che si! Allora, che ci fai qui? Credevo che ci saremmo salutati alla stazione! Non mi dire che sei venuto a controllarmi le valigie, per vedere se ho preso i papillon che mi hai regalato!” Blaine ridacchiò sommessamente alla battuta di Kurt, ma teneva sempre lo sguardo basso: “Kurt, siamo… soli?” Kurt annuì, un po’ confuso, insomma, Blaine aveva davvero intenzione di fare la parola con tre esse in quel momento? Con quella faccia da funerale?, e Blaine continuò: “Ti va se ci sediamo sul divano?” Blaine era freddo, di solito non chiedeva cose del genere, dato che casa Hummel era ormai un po’ anche casa sua, così Kurt annuì, ma gli domandò subito: “Blaine… c’è qualcosa che non va?” Blaine scosse la testa, stringendo un po’ le labbra, si vedeva che stava scegliendo con cura le parole da utilizzare: “Kurt… Dobbiamo parlare” No, non dobbiamo parlare, pensò Kurt agitatissimo, ma si sforzò di deglutire e annuire rimanendo calmo: “Oh, ok” Blaine prese un bel respiro, finalmente alzò lo sguardo dopo essersi seduto con Kurt, non lontano da lui ma nemmeno vicino come al solito, e attaccò: “Ci sono delle cose che ti devo dire; Io… io andrò in Francia con i miei genitori per tre mesi, Kurt” Kurt sorrise raggiante, sentendo tutta le tensione che gli si era accumulata nel petto diminuire, ed era sinceramente felice per lui: “Oh Blaine, ma è meraviglioso! Insomma, Parigi, Moint-Saint-Michelle, Cannes… E’ una cosa magnifica!” Per a prima volta in quella giornata, Kurt vide gli occhi di Blaine illuminarsi e la sua bocca aprirsi  in un sorriso: “Sì, è fantastico! Poi quando staremo a Parigi mi hanno iscritto ad un corso di recitazione molto prestigioso, insomma è… pazzesco” Kurt lo abbracciò, ormai completamente entusiasta, e si sporse ber baciarlo, ma Blaine si ritrasse, e subito Kurt sentì l’ansia salire nuovamente e distruggergli la bocca dello stomaco: “Perché non me lo hai detto prima?” Chiese cauto, e abbastanza confuso; Blaine gli prese la mano, la strinse forte e lo guardò con espressione grave; Kurt pensò che la faccia del suo fidanzato era sempre stata come uno specchio, dove si riflettevano tutte le sue emozioni, senza lasciargli il lusso di potersene tenere alcune per sé “Kurt, ora voglio che mi ascolti senza interrompermi, ok?” Kurt annuì, con ancora stampato il sorriso di prima sulle labbra, nonostante i suoi occhi fossero colmi di terrore: “Va bene” Blaine sospirò, per poi iniziare a parlare: “Parigi è molto lontana, Kurt, non come Connecticut e Ohio, dove te la cavi in un weekend; e io ho paura di una relazione a distanza, perché potrebbe diventare una specie di “sentiamoci solo per abitudine”, e questo sciuperebbe tutto quello che c’è, c’è stato e spero ci sarà tra di noi. Tu parti tra meno di un’ora Kurt, e voglio che tu parta da single” Kurt era immobile, con tutti i muscoli tesi e la bocca secca, mentre un acuto dolore si impossessava del suo corpo e della sua mente: “Tu mi… mi stai lasciando?” Blaine era visibilmente frustrato, non riusciva a far capire a Kurt l’importanza di non sentirsi in quei tre mesi, e pareva che le sue paure più remote si fossero avverate: lo stava ferendo: “Kurt, non è un lasciarsi definitivo… E’ solo che siamo arrivati ad un punto in cui non c’è altra soluzione, per preservare la nostra storia per il futuro; se continuiamo a stare insieme, andrà a finire che rovineremo tutto con questo sentirci senza vederci… Io ti amo tantissimo, e voglio che funzioni tra di noi, per questo voglio lasciarti; ti sto solo chiedendo di premere il tasto pausa sulla nostra storia e di schiacciare il tasto play a settembre, ricominciando esattamente da dove ci siamo interrotti” Blaine guardò Kurt con aria interrogativa, chiedendogli tacitamente se aveva capito, e per tutta risposta sentì che gli lasciava la mano, e che il suo tono di voce era freddo come il giaccio e affilato come un rasoio: “Capisco cosa intendi, Blaine, ma non credo di poter mettere la mia vita in pausa tre mesi; tu sarai a Parigi e l’unico collegamento che avrai con la tua vita in America saranno i tuoi genitori, ma io ci rimango in America, ed è difficile mettere in pausa la propria vita quando tutti i tuoi amici vanno avanti davanti a te” Blaine spalancò un po’ gli occhi sorpreso: si era aspettato pianti, urla, tristezza, ma non di certo gelida consapevolezza da parte di Kurt; inoltre, pensò mentre arrossiva, non aveva considerato che mentre lui andando via tre mesi e metteva automaticamente tutto quanto in pausa, per Kurt stoppare una grossa parte della sua vita sarebbe stato difficile. “Io… non ci avevo pensato” Ora Kurt, mischiata al dolore, sentiva una collera sconosciuta impossessarsi di lui, non piangere, non piangere, non piangere, e riversò su Blaine tutta la sua sofferenza tramite parole piene di veleno, dette con il solo intento di ferirlo, mentre le lacrime gli rigavano il viso, accidenti: “Oh certo, mr. Blaine perfezione Anderson non ci aveva pensato, giusto; quando mai consideri davvero le cose, Blaine? Eh, quando?! E’ come se non pensassi che sulle altre persone ci sono delle conseguenze, pensi solo alla teoria, dal tuo fottutissimo punto di vista perfetto, e mai al fatto che in pratica la vita reale è ben diversa! E sai cosa?” Kurt, sconvolto, era balzato in piedi dal divano e stava puntando un dito contro a Blaine con fare accusatorio, che basito guardava il suo fidanzato, ex fidanzato, forse per sempre, totalmente fuori di se; Blaine non sapeva cosa rispondere, mentre ferito a morte dalle parole veritiere di Kurt iniziava a piangere in silenzio, consapevole di avere forse rovinato la cosa più bella della sua vita con la sua ingenuità: “K-Kurt, no-non lo so… Non, non fare così, cerca di capire, io volevo solo…” E fu allora che Kurt esplose, non riuscendo a sopportare il male che la persona che amava di più al mondo gli stava facendo: “Non fare così?! Non lo sai?! Te lo dico io allora: tu che dici di avere pensato tanto, hai considerato che non sarei stato in grado di partire dopo una cosa del genere?! Cosa credi che faccia, che vada a Yale tranquillo dopo che mi hai lasciato?! Ovviamente non ci hai pensato, giusto?!?!” Blaine era paralizzato, si sentiva la bocca secca e non riusciva a reagire, a parlare, ancora seduto come qualche minuto prima, quando Kurt aveva cercato di baciarlo; dopo qualche istante, che a entrambi parve un’eternità, Kurt, senza smettere di tremare e di piangere, eppure calmo allo stesso tempo, si diresse in camera sua e tornò al piano terra carico di valigie: “Ora vado in stazione; non venire a salutarmi, credo che per oggi tu abbia fatto abbastanza” Blaine finalmente si riscosse dal suo stato apatico, e corse verso Kurt: “Aspetta, noi… non… non possiamo lasciarci così” Kurt lo guardò, lasciando trasparire tutto il suo dolore e la sua rabbia: “Io ti amo Blaine, e tu hai voluto buttare via tutto. Divertiti a Parigi” Kurt si girò e raccolse le valigie “Kurt non andartene, ti prego, ti prego, ti scongiuro, non andartene” Ma in tutta risposta Blaine sentì solo la porta d’ingresso che sbatteva.
  
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