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Autore: Melinda Pressywig    31/08/2013    4 recensioni
«Buongiorno Piccola Indy...»
È così che mia madre mi salutava al mattino. Con quella sua voce delicata, ridotta a un sussurro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un Nuovo Arrivo Inaspettato











«Buongiorno Piccola Indy...»

È così che mia madre mi salutava al mattino. Con quella sua voce delicata, ridotta a un sussurro.
Poi apriva dolcemente le tende alla mia finestra per far entrare la luce giusta. 
Ero una bambina di soli sei anni a quei tempi, ma me lo ricordo ancora come se fosse oggi. 
Al mio risveglio lei era sempre lì, con tanta voglia di vedermi. 
Com'era bella con quei suoi capelli lunghi, biondi e mossi, sempre ordinati, che incorniciavano il suo viso dai lineamenti fini e gli occhi neri, intensi. 
Mi alzavo dal mio letto, e con il tempo necessario mi preparavo. Ero abbastanza grande da arrangiarmi da sola; mia madre mi aveva insegnato bene.
Lei nel frattempo tornava di sotto a prepararmi la colazione più buona del mondo.
La casa aveva due piani, la zona notte ai piani superiori e quella giorno ai piani inferiori. Avevamo davvero una bella casa, grande, e con tutte le comodità possibili.
Era bello incominciare la giornata in quel modo, soprattutto quando mia madre sorrideva felice. E lo ero anche io fino a prova contraria.
Sceso le scale, e respirando quegli odori caratteristici che mi facevano venire l'acquolina in bocca, raggiungevo la cucina, dove trovavo anche il mio adorato padre, già seduto al tavolo, con in mano una rivista da leggere sempre diversa. Un uomo distinto, che ammiravo e rispettavo già a quell'età.
Portava degli occhiali su quel suo viso, ormai adulto e segnato da molte più esperienze di me.
Era poco più alto della mamma e aveva capelli neri ed occhi grigi come la cenere. 
Raggiante, mi accoglieva con un caldo sorriso ed io correvo subito a dargli uno schioccante bacio sulla sua guancia morbida.
Poi, finalmente, mi sedevo al tavolo e assaporavo le delizie che con tanto amore mia madre aveva preparato. Ciò che gustavo la mattina erano le frittelle rotonde, con così tanto miele dolce sopra da darmi tutte le energie indispensabili per affrontare la giornata.
In quei momenti, insieme alla mia famiglia mi sentivo amata.
Mia madre si chiamava Brenda Light e mio padre invece Brian Neshville.
Lei si occupava normalmente della casa, mentre lui lavorava per un'azienda importante.
Loro erano tutto il mio mondo, mi donavano l'affetto di cui una bambina ha bisogno.
Niente sarebbe andato storto con persone straordinarie come loro al mio fianco.
Volevo loro tanto bene  e  niente sarebbe mai mutato! Almeno così credevo fino a quel periodo...
Ah, dimenticavo di dirvi una cosa importante: i miei genitori mi hanno dato un nome particolare.
Mi chiamo  Indionil... Indionil Neshville, e quella che leggerete è un pezzo della mia vita.





 




 



Ho un ricordo molto vivido di quel giorno in cui le cose incominciarono a cambiare.
Una domenica pomeriggio stavo giocando con le mie bambole nella mia stanza. Adoravo parlare con loro, cambiare  i vestiti e giocare, immaginando tante piccole storie fantasiose.
Avevo anche una casa costruita a mano da mio padre. Era molto bella. Mi piaceva tanto.
Ad un certo punto sentii bussare alla porta. Mi voltai e vidi entrambi i miei genitori entrar dentro.
«Tesoro, possiamo entrare, vero?» fu mia madre a chiederlo. 
Io sorrisi entusiasta e risposi di sì. Ero contenta quando venivano a trovarmi e farmi compagnia. Magari anche giocare un po' con me.
Ma quel giorno non fu così. 
I miei genitori chiesero di sedermi sul letto insieme a loro, perchè dovevano dirmi una cosa molto importante. «Vieni Indionil, siediti qui, tra mamma e papà» mi invitarono.
Io obbedii subito, anche se quel comportamento mi sembrava strano.
Avevo la mamma alla mia destra e il papà alla sinistra. Mi guardavano trepidanti, con espressione diversa dal solito. Un sorriso misterioso che faticavo a capire. Poi mio padre esordì dicendo:
«Piccola Indy, tu sai quanto io e tua madre ti vogliamo immensamente bene... vero?»
«Sì, anche io ve ne voglio! Tanto tanto!» dissi sincera e innocente.
Loro sorrisero dolcemente, poi prese parola mia madre e disse:
«Vedi tesoro, c'è una cosa che dobbiamo chiederti»
«Che cosa?»   chiesi io curiosa.
«Ti piacerebbe avere un fratellino o una sorellina?» chiese in modo diretto. In quel momento una nuova realtà era apparsa ai miei occhi. Non ne avevamo mai parlato prima di allora. Era un argomento totalmente nuovo e inesplorato per me. Forse sapevo cosa volesse dire, ma non del tutto.
Così rimasi momentaneamente in silenzio, senza rispondere. A quel punto  mio padre aggiunse:
«Sì, qualcuno con cui crescere e giocare insieme. Diventerai la sorella maggiore più brava del mondo!» sorrise nel dirlo, cercando di rassicurarmi. Guardai mio padre con occhi attenti. Poi finalmente parlai:
«Vuol dire che diventeremo quattro invece che rimanere in tre?»
I miei rimasero sorpresi da quella domanda. Così mia madre rispose:
«Sì tesoro, sarebbe bello, non trovi?»
Mia madre sembrava più coinvolta emotivamente e quel dettaglio mi colpì molto. A quel punto mi venne istintivo chiedere: «E voi mi vorrete bene lo stesso?».
Sentivo che qualcosa nel mio mondo perfetto stava crollando. Poi sentii mia madre rispondere:
«Ma certo, ti daremo le stesse attenzioni di adesso... stai tranquilla».
Mia madre era stata convincente nel dirlo, aveva usato un tono docile e sicuro, così io sorrisi sollevata e risposi: «Va bene...» poi chiesi ingenuamente:  «Quando arriverà?» .
Mio padre rise divertito  nel sentirmi fare quella domanda, poi rispose:
«Non lo sappiamo ancora Indionil, ma speriamo il più presto possibile. Sei contenta?»
«Sì!» il mio assenso era sincero e in quel momento l'idea mi piacque molto. I miei mi abbracciarono forte. Mi baciarono uno sulla fronte e l'altra sulla guancia. Anche io ricambiai felice. Mi avevano donato tutto l'affetto che ben conoscevo e pensai che non avrei avuto davvero niente di cui preoccuparmi.
«Forza, adesso torna a giocare...». Detto quello, i miei genitori si alzarono dal letto e poi uscirono rivolgendomi un ultimo sorriso. Io tornai dalle mie bambole e nel frattempo metabolizzavo la notizia appena ricevuta. Una piccola parte di me era cambiata, dovevo solo attendere il giorno fatidico.




 





Passarono diversi mesi e ancora un fratellino o una sorellina non arrivavano. Io non riuscivo a capire, così, quasi ogni giorno facevo sempre la stessa domanda:
«Mamma, Papà, quando arriva?»
Credevo fosse una cosa immediata, oggi si dice, domani succede. E invece non era così. Loro sorridevano divertiti e mia madre rispondeva:
«Indy, molto presto vedrai. Sarà una bella sorpresa per tutti noi».
Io mi accontentavo di sentirmi dare la solita risposta, ogni qualvolta lo chiedevo; perchè vedevo i miei genitori felici ed entrambi avevano una luce diversa negli occhi. Mi faceva piacere vederli in quel modo.  
Mentre i giorni si trasformavano in mesi, e trascorrevano veloci, mi accorgevo sempre più, che la pancia della mamma diventava incredibilmente più gonfia.
Ogni sera,  seduta sul divano del soggiorno, la vedevo accarezzarsi dolcemente la pelle in quel punto.
Un giorno mi invitò ad appoggiarsi a lei per ascoltare. Ricordo che fu un'esperienza strana, che non dimenticherò mai.
«Vieni tesoro, avvicinati» disse.
Quando appoggiai timidamente l'orecchio sulla pancia sentii solo il silenzio.
«Io non sento niente!»  protestai quasi offesa.
«Ascolta meglio» mi incoraggiò lei con tono pacato. Lo feci. Affinai l'udito e mi parve di sentire un battito. Cosa poteva essere?  Mia madre notò il mio diverso silenzio e disse  a bassa voce:
«Lo senti? Quello è il cuore del tuo futuro fratellino...»
In quel momento non appresi bene la notizia, avevo chiuso gli occhi, concentrata nell'ascoltare quel battito magico provenire da dentro il corpo di mia madre. Ci rimasi un po' in quella posizione. Mia madre capì e sorrise intenerita dal mio gesto. Quando mi staccai esclamai:
«Mamma, tu sei magica!». Lei rise. Ero contenta di averla fatta ridere. Ormai avevo già dimenticato il fatto che il mio futuro compagno di giochi sarebbe stato un maschietto. 
Il tempo passava e incominciavo a notare anche l'atteggiamento diverso di mio padre nei confronti della mamma. Diventava più premuroso.  Altre volte invece sentivo la mamma andare in bagno a rimettere.  Io mi preoccupavo subito, ma ogni volta lei mi diceva di stare tranquilla, che era normale. Allora io obbedivo, ma mi dispiaceva tanto ugualmente.
Fu un periodo strano, ma ancora  non vi era stato un drastico mutamento della mia vita.





 





Una notte d'autunno, mentre stavo sognando di abitare nella casa delle mie bambole e giocare insieme a loro, sentii una forte voce nella testa. Mi svegliò bruscamente, riportandomi alla realtà. 
Esattamente nel mio letto, sotto le coperte, al caldo. La voce era quella di mio padre.  Aprii gli occhi, alzai la testa e lo guardai. 
«Papà?» ero ancora intontita dal sonno. Non capivo il motivo per cui fosse piombato in camera mia, nel bel mezzo della notte. Non sapevo nemmeno che ore fossero.  Lui mi disse che dovevo vestirmi in fretta, perchè dovevamo correre all'ospedale.
«Il tuo fratellino sta arrivando!» concluse elettrizzato e preoccupato allo stesso tempo. Quando capii ciò che stava succedendo obbedii immediatamente alle parole di mio padre. Scattai in piedi e iniziai a cambiarmi.  Poi realizzai che mia madre non era venuta a svegliarmi, così chiesi ad alta voce: 
«Dov'è la mamma?» 
Stavo incominciando inconsciamente a preoccuparmi per lei. Non avevo assolutamente idea di quello che avrebbe dovuto passare, aspettando l'arrivo di quel bambino. Lui mi rispose dalla sua stanza da letto, mentre stava radunando qualche indumento della mamma da portar via.
«È già in macchina che ci aspetta! Tu sei pronta tesoro?»
Non avevo mai visto, né sentito mio padre in quel modo.  Andava frettolosamente di stanza in stanza per controllare di aver preso tutto. Sembrava dovessimo partire per andare in vacanza, come quando andavamo a trovare la nonna. Per me era un'esperienza nuova e dovevo affrontarla serenamente.
«Sì papà, sono pronta!» risposi subito.
Mi ero preparata il più in fretta possibile per non perdere altro tempo. Così papà mi prese per mano, scendemmo di corsa le scale e ci precipitammo fuori di casa.
«Indionil, va' in macchina dalla mamma, presto, io arrivo subito!». E non me lo feci ripete due volte. 
Salii sul sedile posteriore della macchina e guardai mia madre. Aveva un'espressione strana in volto. «Mamma, che cos'hai?» chiesi turbata. Lei parlando a tratti mi rispose:
«Tesoro... non preoccuparti... sto bene... è...  è solo il tuo fratellino che... vuole uscire».
Uscire!? Pensai allarmata. Che intendeva dire? Non ero più  molto contenta del suo arrivo, quell'evento aveva stravolto totalmente i miei genitori, erano quasi irriconoscibili da come li avevo sempre visti ogni giorno. E il fatto iniziò a spaventarmi. In quel momento pensai di non volere più un fratellino con cui giocare. Volevo rimanere sola insieme ai miei genitori per sempre. Rimasi in silenzio, ascoltando lo strano respiro di mia madre. Poi mi voltati a guardare fuori. Era ancora buio e le luci dei lampioni illuminavano la nostra strada. Vidi mio padre camminare in fretta verso di noi.
Montò in macchina e in men che non si dica eravamo già partiti. Le luci scorrevano veloci ai miei occhi e le strade non erano ancora completamente vuote. Qualche altra macchina girava insieme a noi. Non sapevo quanto ci sarebbe voluto ad arrivare a quell'ospedale, ma il sonno si impadronì di me e durante il viaggio, mi addormentai. 





 





In quel lasso di tempo da casa all'ospedale feci un  incubo spaventoso. Il mio fratellino era già arrivato; era enorme con una faccia da mostro orripilante. Eravamo nella mia stanza e lui si divertiva a strappare i capelli delle mie bambole e distruggere la  loro bellissima casa. Non ebbi il tempo di iniziare a piangere che mio padre mi svegliò di nuovo.
«Tesoro vieni presto, siamo arrivati» mi disse.
Sempre rintontita dal sonno scesi dall'auto, mi stropicciai gli occhi e mi guardai intorno.
Un edificio si stagliava, a pochi metri, di fronte a me. Realizzai che quello fosse l'ospedale e mi ricordai  il motivo per cui eravamo lì. Così guardai subito la mamma. Era già in piedi accanto all'auto che aspettava papà. Continuava a respirare in maniera strana e le espressioni del suo viso erano sempre più preoccupanti per me. A quel punto  mio padre mi prese per mano e iniziammo a camminare. Accompagnammo la mamma verso l'ingresso abbastanza velocemente. Io camminavo il più in fretta possibile, anche se mi risultava faticoso tenere il passo. Appena oltrepassato l'ingresso dell'edificio  mio padre disse a gran voce: 
«Presto! Mia moglie ha le doglie! Deve partorire nostro figlio!»
Quel che disse per me fu del tutto incomprensibile, ma due donne vestite di verde, ci vennero subito incontro. Presero la mamma e dissero che potevamo stare tranquilli. Ci avrebbero pensato loro a lei.
Poi Papà diede un bacio in fronte a mia madre dicendole:
«Brenda, andrà tutto bene vedrai...» e le sorrise. Lei ricambiò felice il gesto. Io, a quel punto, lasciai la mano con cui mio padre mi teneva e istintivamente corsi da lei dicendole:
«Mamma! Dove vai? Vengo anche io con te!»
Non capivo. Dove la stavano portando? Ma lei sorrise di nuovo tranquillizzandomi.
«Indionil, la mamma torna presto... rimani col papà adesso... manca poco!» le sue parole non mi aiutarono a stare meglio.  Poi sentii mio padre afferrare dolcemente le mie piccole spalle e la guardai  allontanarsi seguita da quelle che erano le due infermiere.
«Papà...» dissi quasi piagnucolando «Dove la portano?» chiesi. Avevo paura.
«Piccola mia, non devi preoccuparti per lei, la rivedremo presto» mi rispose lui con tono pacato.
Poi aggiunse: «Adesso vieni, andiamo sederci su quelle sedie. Ci verranno a chiamare tra un po'».
Non aveva risposto alla mia domanda, ma essendo ancora un po' scossa non ci feci caso. Così lo seguii senza dire una parola. Ero turbata. Forse potevo sembrare esagerata, ma per una bambina quale ero, era uno shock vedere la propria madre in quelle circostanze. Semplicemente non capivo.
Appena raggiunte le sedie della sala d'attesa, il papà mi fece sedere sulle sue gambe e mi abbracciò forte, dandomi un bacio caldo sulla fronte. Poi mi distanziò da se, mi guardò negli occhi e mi chiese con un sorriso rassicurante: «Va meglio adesso?»
Io feci un mezzo sorriso e annuii lentamente. Avevo gli occhi lucidi, ma non volevo piangere.
Pensavo alla mamma e volevo sapere cosa le stava succedendo. Volevo andare da lei.
Poi mio padre mi strinse ancora a sé e rimanemmo lì ad aspettare.





 





Passò una buona mezz'ora da quando la mamma si era allontanata da noi. Mio padre mi teneva ancora abbracciata a sé, dondolandosi leggermente, mentre teneva il mento appoggiato, delicatamente, sulla mia testolina. Io ero ancora in ansia per la mamma e non vedevo l'ora che qualcuno ci chiamasse.
Passò anche un'infermiera a chiederci se avevamo bisogno di qualcosa. Ma mio padre rispose che era tutto a posto e lei se  ne andò con un gentile sorriso.
«Piccola Indy?» mi chiamò mio padre. Io mi distanziai nuovamente da lui e  risposi:
«Sì? Che cosa c'è Papà?»
Lui mi sorrise e mi chiese: «Sei tranquilla adesso?»
«No... voglio la mamma» ammisi sincera io. Così mi fece scendere dalle sue gambe ed io andai a sedermi automaticamente sulla sedia libera accanto a lui. Non disse niente, capiva come mi sentivo, così si limitò a sospirare e accarezzarmi affettuosamente i capelli. Poi lo vidi alzarsi e iniziare a camminare avanti e indietro lentamente. Forse incominciava ad essere agitato anche lui quanto me.
Ad un certo punto dell'attesa vedemmo  arrivare le due infermiere di prima che si precipitarono  verso mio padre e dissero:
«Signor Neshville... è nato il suo bambino! Sua moglie vuole vedervi!» e nel concludere la frase, la donna guardò anche me, sorridendo felice. A quel punto balzai in piedi e corsi vicino a mio padre che già era entusiasta. Mi prese subito per mano e  seguimmo le due infermiere. Finalmente avrei rivisto la mamma! Non avevo ben capito che avrei visto anche il mio fratellino. Ciò che mi importava realmente era vedere il volto di mia madre. Guardai mio padre e chiesi:
«Papà... la mamma sta bene, vero?»
Lui mi guardò, sorridendo e mi rispose:
«Certo Indionil... e adesso la vedrai! Ma ci pensi? Il tuo fratellino è nato!»
Aveva detto nato e non arrivato, il che mi confuse leggermente. Così mi resi conto che di lì a poco avrei visto il mio futuro compagno di giochi. Subito mi ritornò in mente il mio incubo. Sperai  tanto di non vedere un mostro, altrimenti mi sarei messa a piangere come una fontana.





 





Uno strano odore permeava il corridoio che io, mio padre e le infermiere stavamo percorrendo.
Il mio olfatto non lo aveva avvertito prima di allora. E mi dava un certo fastidio. Mi guardavo attorno; era tutto di un colore azzurro opaco, perfino i muri lo erano. Io mi sentivo strana, come se il luogo fosse del tutto estraneo. Superammo diverse porte una dopo l'altra. Poi le infermiere  rallentarono il passo e  si fermarono dinnanzi ad una porta situata quasi alla fine  del lungo corridoio.
«Eccoci» disse  una di loro.
Dopodiché  bussò  alla porta e la aprì. Guardai mio padre. Un sorriso illuminava il suo viso.
Mi teneva ancora stretta la mano, che iniziava già ad essere sudaticcia dall'emozione.
A quel punto sentii una delle due donne parlare dall'interno della stanza:
«Signora Light, ci sono suo marito e sua figlia... prego entrate» e la donna si voltò verso di noi.
Il papà entrò, seguito a ruota da me. In quel momento una strana sensazione mi colse d'improvviso.
Che cosa avrei visto? Chiusi istintivamente gli occhi a quella domanda ed entrai alla cieca nella stanza.
Mio padre lasciò la mia mano e si allontanò da me. Allora aprii di colpo gli occhi e vidi una scena stranissima. La mamma seduta su di un letto anonimo dalle coperte bianche, con il papà in piedi accanto a sé. Erano entrambi felici e sorridenti come non li avevo mai visti prima. Avevano uno sguardo gioioso e in pace con il mondo intero. Guardavano un fagotto che teneva la mamma saldamente stretto a sé, come se fosse la cosa più bella del mondo. Emetteva degli strani rumori, gridolini soffocati che non comprendevo. Che cosa aveva di tanto speciale da renderli così felici?
Io non osavo muovermi, guardavo la scena da semplice spettatrice, come se niente di tutto ciò mi riguardasse. Poi finalmente, gli occhi della mamma si posarono su di me, accompagnati poi da uno splendido sorriso.  
«Indionil, tesoro, che ci fai lì? Vieni a vedere!» mi disse in tono amabile.
Anche il papà mi guardò come la mamma e  aggiunse:  «Vieni, non avere paura...».
Paura. Era quello che provavo? Forse sì. Ma il tono con cui mi era stato chiesto mi rassicurò e mi avvicinai cautamente a loro. Il fagotto aveva smesso di mugolare. Mi accostai al fianco di mio padre, che mi prese in braccio, per poi mettermi  a sedere sul letto con la mamma. Lei intanto aveva spostato il fagotto per farmelo vedere meglio. Io mi voltai a guardare, e per la prima volta, mi ritrovai ufficialmente faccia a faccia con mio fratello. Lo osservai: era piccolissimo. Aveva gli occhi chiusi, forse stava dormendo. Sembrava uno di quei bambolotti che vedevo spesso nei negozio di giocattoli dove mi portava ogni tanto  la mamma. Non ne ho mai voluto uno, preferivo le bambole.
Ma quello si muoveva per davvero. Respirava come facevo io. Provai una sensazione strana nel guardarlo. Sorrisi lievemente. Poi, dopo un tempo indefinito tornai a guardare i miei genitori interrogativa. Loro mi sorrisero dolcemente e il papà disse:
«Indionil, questo è Nathaniel».
Capii che quello sarebbe stato il suo nome. Lo trovai particolare quanto il mio, si assomigliavano tanto come pronuncia. Così tornai a guardare Nathaniel e nell'attimo seguente la mamma aggiunse:
«Tesoro, prendi la sua manina e senti com'è...»
La proposta mi lasciò spiazzata, avrei dovuto toccarlo? Timidamente avvicinai la mano a lui. Notai che la sua manina era semiaperta. Il mio cuore batteva forte, e appena toccai la sua pelle mi accorsi che era liscia, calda e soprattutto morbida. Improvvisamente, Nathaniel si mosse, aprì gli occhi e ci guardò. Passò in rassegna la mamma, il papà e infine me. A quel punto ebbi un tuffo al cuore. Aveva gli occhi neri come la mamma, i miei invece erano grigi come quelli del papà. Ci guardammo per un istante interminabile e poi richiuse gli occhietti. Provai un senso di tenerezza ed esclamai:
«Mi piace!»  era vero. Subito dopo mio padre mi fece scendere dal letto.
«Adesso va' a sederti laggiù» mi disse indicandomi una sedia poco più in là. Io obbedii e andai a sedermi. I miei genitori erano contenti della mia reazione e lo ero anche io. La paura che avevo provato si era dissolta nel nulla. Ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto in futuro,  ma  lo avrei scoperto presto.
Qualche ora dopo l'arrivo di Nathaniel, io e mio padre eravamo già a casa. Mi spiegò che la mamma sarebbe dovuta rimanere in ospedale insieme al bambino, e che saremmo tornati a trovarla. Tra tutti, dovevamo riposare. Io mi ero quasi dimenticata che fosse ancora notte, anche se mancava ancora qualche ora all'alba. Non ero molto contenta della decisione, ma con le parole rassicuranti della mamma mi convinse che era giusto così.





 





Il mattino seguente, mi risvegliai tra le coperte del mio letto.
Dalle tende della finestra filtrava la luce del giorno. Non sapevo che ora fosse, e non sentivo alcun rumore familiare provenire dal resto della casa. Dov'era mio padre? Non mi aveva svegliato per andare a trovare di nuovo la mamma? 
Nella mia mente tornarono a farmi visita il succedersi di eventi accaduti durante la notte. Mi ricordai la forte emozione nel vedere quel fagotto in braccio a mia madre.
Il mio fratellino, Nathaniel.  Era così piccolo e fragile quando la sua manina stringeva forte il mio dito! 
Quegli occhi neri, così simili a quelli della mamma. Io, però, non sapevo se essere felice del suo arrivo, oppure temere che la sua presenza nella famiglia potesse alterare la bella vita che stavo vivendo insieme ai miei genitori. O dovrei dire nostri? Non lo sapevo. 
Mi alzai dal letto, piano, a piedi scalzi, e andai direttamente al piano di sotto a controllare se c'era qualcuno o mi avevano lasciato sola. Scesi l'ultimo scalino con un salto, e giunta in cucina vidi una donna seduta al tavolo. Era intenta a scrivere qualcosa. La riconobbi subito, era una cara amica della mamma. Il suo nome era Josi, Josi Randal. Molto gentile. I capelli neri, lunghi e lisci le incorniciavano il volto raffinato. I suoi occhi azzurri, mi scrutarono, appena si accorse della mia presenza. Con un sorriso mi accolse e disse: 
«Buongiorno Indionil! Ti sei svegliata finalmente!» 
Di solito Josi veniva a trovarci nel fine settimana, portandoci in dono sempre qualche dolcetto fatto in casa. Ma quel giorno era un giovedì, che ci faceva a casa nostra? 
Sorrisi, salutandola a mia volta, poi le chiesi: 
«Perché sei qui? Dov'è Papà?»
Josi capì subito come mi sentivo e gentilmente mi rispose:
«Oh tesoro, non preoccuparti. Brian è tornato in ospedale dalla Mamma e il tuo fratellino Nathaniel! Mi ha chiesto se per oggi potevo badare io a te, e così eccomi qua!»
A quel punto mi resi conto che il papà mi aveva escluso e non aveva mantenuto la parola. Mi aveva detto che saremmo tornati insieme, e invece no, mi aveva lasciato a casa, con Josi. Perché? Josi notò il mio silenzio, così parlò dicendo:
«Sai che ore sono signorina? Le undici! Hai dormito tanto!» mi fece notare.
Era vero, capitava solo la domenica. Che confusione! Desiderai che tornasse tutto alla normalità. Nathaniel stava già scombussolando la mia vita! Non lo trovavo giusto.
Guardai Josi e le chiesi se saremmo andate anche noi a trovare la mamma. Lei rispose:
«Te lo dirò solo se adesso ti siedi qua con me e mangi qualcosa. Hai fame?» 
«Sì» risposi di getto.  Lei ridacchio tra se poi disse:
«Lo immaginavo... Forza! Adesso siediti, ti preparo dolci frittelle! Ci stai? So che ti piacciono tanto!»  sorrise. Quell'invito mi fece sentire meglio, anche se non sapevo esattamente come comportarmi nei suoi confronti. Così obbedii, annuendo, e mi accomodai al mio posto.
Le frittelle che mangiai non erano buone quanto quelle della mamma, ma altrettanto gustose! 
Dato che ero stata così brava nell'ascoltare il consiglio di Josi, lei mi premiò raccontandomi come stavano le cose. Mi disse che la mamma era libera di tornare a casa solo il pomeriggio del giorno dopo, e che saremmo andati a trovarla tutti insieme.
La notizia mi rattristò un po'. Non ero d'accordo. Così protestai come la bambina più capricciosa del mondo, ma Josi mi disse amareggiata  che non era possibile e che dovevo avere pazienza. Che seccatura! Così mi rassegnai e chiesi a Josi se potevo alzarmi dal tavolo. 
Lei mi diede il permesso e in più mi disse: 
«Puoi andare in camera a giocare se vuoi!»
Ma io non avevo voglia di giocare. Me ne andai in salotto e mi misi a sedere sul divano in silenzio.
Josi si mise a riordinare la cucina e mi lasciò in pace. Aveva già capito come mi sentivo.





 





Quella sera, mio padre tornò a casa alle otto in punto. Nel pomeriggio, io e Josi eravamo uscite a fare una passeggiata, così, giusto per farmi pensare ad altro. Nonostante facesse un po' freddo, mi comprò un bel gelato al gusto di fragola.
Eravamo andate anche al parco giochi, dove avevo incontrato qualche piccola amica di scuola. Passai quelle ore abbastanza serenamente, la spensieratezza del gioco mi fece dimenticare per un po' la preoccupazione per la mamma.
Quando tornammo a casa, Josi mi propose di preparare una torta al cioccolato, ed io accettai volenterosa. Ci impiastricciamo le mani di farina e assaggiammo un sacco di volte l'impasto. Era davvero gustoso. Quando sentimmo mio padre entrare, avevamo appena sfornato la torta dal forno, il profumo zuccheroso invadeva l'ambiente. Subito il mio entusiasmo svanì, e andai in fretta da lui. 
«Ben tornato Brian!» esclamò Josi, contenta di rivederlo.
Mio padre sorrise cordiale, e l'attimo dopo posò lo sguardo su di me, mentre gli correvo incontro. 
«Indionil!» esclamò il mio nome come se fosse passata un'eternità dall'ultima volta che mi aveva visto. Mi prese in braccio al volo ed io la abbracciai forte, quasi soffocandolo. 
«Papà!» Stavo per scoppiare a piangere, ma trattenni le lacrime. Rimasi appiccicata a lui ancora un po'. Sembrava felice del mio gesto, così mi assecondò, lasciando che lo abbracciassi a lungo.
«Piccola Indy,  va tutto bene?» mi chiese. Io rimasi in silenzio. Ero così felice che fosse tornato a casa, che mi mancavano le parole. Mio padre mi accarezzò dolcemente i capelli, ripetendomi a voce bassa che era tornato e che potevo stare tranquilla. Poi si avvicinò al tavolo della cucina, ammirando la grande torta che avevamo preparato.
«Vi siete sbizzarrite oggi» commentò. Allora io mi scostai da lui e mi voltai a guardare la nostra creazione. Mi tornarono subito le parole e dissi:
«Sì! Oggi mi sono divertita tanto con Josi!» era vero. Papà mi mise a terra e mi lascio andare. 
Dopodiché mi venne in mente la mamma e chiesi:
«Come sta la mamma?»
Lui sorrise «Sta bene, e anche il piccolo Nathaniel. Domani torneranno a casa e potremo stare tutti insieme. Tranquilla» 
Un po' le sue parole mi rassicurarono, ma io ero ansiosa che tutto tornasse alla normalità.





 





Il pomeriggio del giorno seguente, alle cinque e un quarto, io e il papà eravamo già pronti per uscire.
Josi era rimasta a dormire a casa nostra, mio padre le aveva preparato la stanza degli ospiti.
Ero felice fosse rimasta. Così venne anche lei con noi a trovare la mamma e Nathaniel.
La strada per raggiungere l'ospedale risultava diversa dalla fatidica notte. Lungo i marciapiedi era pieno di gente e molte macchine giravano, riempiendo le strade. Per fortuna era una bellissima giornata. Il cielo era privo di nuvole e il sole accennava a tramontare.
Arrivati a destinazione scendemmo dall'auto, raggiungemmo l'entrata, e a passo sicuro, andammo diretti verso la stanza dove si trovava mia madre. Le infermiere, che questa volta erano diverse, ci salutarono cordiali, lanciando un sorriso più caloroso a me che ero la più piccola. La porta della camera  era aperta, ed ecco, finalmente, la mamma. Era in piedi, alla finestra. Portava una vestaglia azzurra. I capelli erano sciolti  e le ricadevano lungo il corpo. In braccio a sé, teneva il mio fratellino. Lui aveva addosso una tutina blu, e al polso portava un braccialetto con su scritto il suo nome. Nathaniel Neshville. Suonava bene. Ero felicissima di rivedere entrambi. Quando entrammo dalla porta, la mamma ci vide e ci rivolse un bellissimo sorriso. 
«Eccovi finalmente!» e ci accolse.
Io le corsi incontro, e l'abbracciai, aggrappandomi al suo fianco. 
«Piccola Indy, che bello rivederti! Sei stata brava con Josi?» chiese.
Io risposi di sì, e Josi confermò che ero stata una brava bambina.
La mamma ne fu contenta. Così anche papà e Josi si avvicinarono a salutare.
Tutti guardavano estasiati il faccino di mio fratello, e anche io.
Alla luce del giorno, i suoi occhi neri brillavano. Mi accorsi che assomigliava alla mamma.
Poi Josi chiese di prenderlo in collo, e la mamma fu ben disposta ad affidarglielo. Ci furono diversi gridolini entusiasti. E anche il piccolo Nathaniel sembrava gioirne. Poi passò in braccio al papà e il bambino sorrise di nuovo, guardandolo negli occhi. Fu un momento emozionante, come se una luce  opaca illuminasse solo i contorni delle due figure e il resto non esistesse.
A quel punto mi precipitai al fianco di mio padre interrompendo il contatto visivo tra i due. Lui staccò gli occhi da Nath e guardò me dicendo:

«Indionil, vuoi prenderlo tu in braccio?» mi chiese.
La domanda mi aveva spiazzato e non sapevo cosa rispondere.
Fissai Nathaniel, poi mio padre, poi mi voltai a guardare la mamma e Josi.
Loro mi guardarono sorridenti e mi incitarono ad accettare la proposta. Così tornai a guardare papà e Nathaniel, e mi ricordai il momento in cui avevo stretto la sua manina.
Non dev'essere così difficile, pensai. Così accettai con un timido cenno di assenso e subito dopo il papà mi avvicinò Nathaniel. Lui si agitò e mi guardò. Sorrideva. Così io allungai in alto le braccia pronta a prenderlo.

«Fa' attenzione» mi avvertì il papà.
E finalmente sentii il corpicino del mio fratellino in collo a me. Fu una sensazione altrettanto intensa e unica. Sentii la morbidezza del tessuto sulle mie mani e l'attimo dopo, il calore che emanava.
Nathaniel sorrise e agitò le manine. Per un attimo ebbi paura, ma con mio padre accanto tutto si sistemò.

«Ecco... hai visto quant'è bello?» aveva detto.
Guardai Nathaniel per un tempo indefinibile, mi piaceva sempre di più.
Poi sentii parlare la mamma, dicendo: 
«Vieni Indionil, ora portalo qui».  
Ubbidii e con molta cautela restituii a mia madre il piccolo fagotto.
La mamma sorrise ancora una volta con un'espressione così dolce in viso che mi commosse.

«Congratulazioni Brenda, tuo figlio è meraviglioso, ti assomiglia!» commentò Josi.
La mamma ringraziò gentilmente e poi tornò ad occuparsi di Nathaniel.
Avevo vissuto un'altra forte emozione quel giorno. Per me tutta quella situazione era nuova e inaspettata. Avrei dovuto farci l'abitudine alla presenza di un nuovo componente in famiglia.
Così io, mio padre e Josi, rimanemmo lì un altro po' fino alla fine dell'orario di visita.
Mi sedetti sul letto accanto alla mamma e rimasi ad osservare il mio fratellino. Volevo comprenderlo il più che potevo.
In quella stanza d'ospedale, mi sentii di nuovo parte della famiglia. Tutti quegli eventi e le preoccupazioni che avevo provato, erano svaniti nel nulla, e in quel momento capii che niente sarebbe cambiato tra me e i miei genitori e che Nathaniel, ormai, faceva parte del mio mondo perfetto.





 








 

Un anno dopo...





Dopo un anno, Nathaniel ed io eravamo diventati inseparabili. Giocavamo spesso insieme.
Mamma e Papà erano così felici per noi. Avevano creduto che io non avessi affrontato bene l'improvviso cambiamento nella nostra famiglia. Invece andò tutto per il verso giusto.
Quando la mamma poté tornare a casa dall'Ospedale fui molto più sollevata.
Per me l'importante era avere tutta la famiglia riunita.
Avrei potuto accettare un piccolo "intruso" nella mia vita.
Certo, all'inizio fu un trauma vederlo giocare con la mia casa delle bambole, ma presto, con l'aiuto di mamma e papà riuscii a trovare un compromesso.
E da quel giorno diventammo veri e propri compagni di giochi.
Ero contenta di avere un fratellino, soprattutto uno come Nathaniel.
Crescendo ci  saremmo divertiti tanto insieme ed io non vedevo l'ora che accadesse. 

















 

___



















Spazio Autrice

Salve gente! Spunto dal nulla con questa storia che avevo in cantiere da fin troppo tempo.
Alla fine mi sono decisa a rileggerla e concluderla.
Sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Spero tanto vi sia piaciuta e spero altrettanto in un parere. 
Positivo, negativo, critica costruttiva, è uguale!
Grazie a chi ha letto e grazie a chi ha apprezzato!
Saluti - Melinda Pressywig 





 

  
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