Ottavo Capitolo.
Daniel si
svegliò più presto del solito quella mattina.
Si
premette le mani sugli occhi e guardò l’orologio, storcendo le labbra in
un’espressione amara: le cinque del mattino. Oramai la sveglia suonava a vuoto,
per un letto già sistemato e una persona più che pronta ad affrontare una
giornata. L’ennesima e di merda.
Da quando
si era laureato e trasferito, nulla aveva smosso il suo interesse a parte il
suo obiettivo.
Quella
mattina si fece una lunga doccia calda e mangiò una mela, decidendo di fare un
giro per la città. Sarebbe tornato a casa in tempo per cambiarsi e andare
diritto in ufficio, pronto per aiutare persone a lui sconosciute.
Seguì il
suo piano e, in un batter d’occhio, si trovò seduto sulla propria poltrona, ad
ascoltare e memorizzare ciò che Stefania gli stava dicendo.
<<
...e non so come fare per sistemare questa situazione. Io penso che sia inutile
andare a parlargli, non mi ascolterebbe! Lei che mi consiglia? >>
Improvvisamente
ebbe una sensazione di deja-vù e rivisse una discussione con la defunta signora
Nina. Come un automa disse una frase della loro discussione. << ...se prima non ne parli con lui, come fai a
sapere se potresti rimediare o meno? Certo un cuore ferito non si può riparare
del tutto, però si può sempre rattoppare con pazienza, sincerità e buona
volontà. Non credi? >>
Osservò
con fare critico e sentito il viso della giovane e vide chiaramente il colore
tornare sulle sue guance e la luce della speranza accendersi con forza in fondo
agli occhi neri.
<<
Sa che ha ragione? >> Jacopo aspettò un altro sfogo e annuì
meccanicamente ad ogni frase, confortando con frasi perfette e azzeccate la
ragazza. Consigliandola, per giunta!
Lui, che non aveva mai accettato un semplice consiglio, era capace di
consigliare.
Divertente, pensò con falso entusiasmo. Proprio divertente.
<<
Dottore? Mi sta ascoltando? >> Daniel trasalì sulla poltrona e fece mente
locale per capire cosa fosse successo.
<< Scusami
Stefania, mi sono lasciato andare un attimo. >>
La
ragazza sorrise e alzò le spalle, indifferente. << Si figuri, almeno...
adesso sembra umano! >> e scoppiò a ridere, alzandosi in piedi per
andare.
Non
appena la ragazza uscì dalla porta e entrò un altro paziente, cercò di essere
sentimentalmente lucido e freddo, così da non lasciarsi andare.
Finì il
suo turno puntualmente alle due del pomeriggio e, puntualmente, scese al bar di
fronte al palazzo dove lavorava.
Come al
solito salutò Nicola, il barista dai capelli ramati, e come al solito salutò
Flavia, l’addetta al ristorante dagli occhi di un colore grigio tendente
all’ametista. Il cassiere era Pio, un uomo scorbutico e omofobo che l’aveva da
subito guardato male, senza capelli ma con un portamento elegante e fiero.
Non ci
era certo voluto un genio per intuire il fulcro di ogni malumore.
<<
Il solito? >> domandarono insieme i due e lui annuì, sedendosi al solito
posto isolato e difficilmente abbordabile.
Consumò il suo panino con calma e aspettò il
caffè, guardandosi poche volte intorno e parlando a monosillabi con Flavia.
<<
Ci sposiamo! >> esultarono insieme e un sorriso sincero gli nacque sulle
labbra. << E, mi sa che settimana prossima arriveranno i sostituti...
>> mormorò il ramato.
A Daniel
quasi dispiacque che andassero via, anche perché erano due tipi solari che
mettevano il buonumore a qualunque ora del giorno.
<<
Chissà come saranno! >> cinguettò Flavia e Nicola la guardò scettico.
<<
Vuoi saltare il tuo matrimonio per incrociarli? >> fece finta di essere
offeso e la ragazza ridacchiò, decisa a non dargli sazio.
A causa
di ciò presero a battibaccare allegramente e vennero rimproverati dallo stesso
Pio.
<<
Ragazzi, finitela. Sono due che un mio amico mi ha raccomandato dalla Sicilia.
>>
Daniel
trasalì, ma tornò a fare finta di nulla, dirigendosi verso la cassa a pagare.
<<
Davvero?! Perché addirittura dal meridione?! >> chiese Nicola e Pio alzò
le spalle.
<<
Voleva dare loro una possibilità fuori
A Daniel
mancò un battito. Jacopo... Jacopo qui?
Perché?
Se ne
andò da quel locale il più in fretta possibile, salutando e augurando la più
sentita felicità alla coppietta, prima di tornare a casa.
Sei mesi
da quando non aveva più messo piede in Sicilia per evitare di pensarlo e
adesso... adesso era lui che andava a cercarlo in capo al mondo?
No. Si disse. Dev’essere una fottutissima coincidenza. La mente di Daniel prese a
mostrargli i ricordi di Jacopo in ospedale e tornò lucido.
Chi aveva
parlato del biondo? Nessuno. Quindi non aveva motivo di pensare che potesse
essere lui. E se fosse stato Jacopo, avrebbe fatto finta di non conoscerlo.
Anche se
il cuore avrebbe protestato e insistito per parlargli, lui avrebbe fatto di
tutto pur di non causargli alcun male. Aveva fatto già abbastanza in
precedenza: si sarebbe sentito più merda di quanto già non si sentisse a
rientrare nella sua vita.
Non aveva
alcun diritto. Però...
Quel però
risuonò solitario nel suo cuore.
Tornò a
casa con il procinto di un fiatone e scosse molte volte la testa, al pensiero
che il cervello gli catapultò in fondo agli occhi: Jacopo in ospedale.
Rise
leggermente di strazio e si gettò sul divano in pelle bianco, adagiando la
testa sui cuscini che la designer gli aveva accollato con un costo aggiuntivo e
che a lui sembravano, inizialmente, inutile.
Adesso
non sapeva se tornare a ringraziare quella donna oppure no.
Il suo
telefonino vibrò dopo i primi dieci minuti di totale silenzio in cui si era
gettato con tanta foga.
Non era
più la suoneria che tanto amava del suo nokia-modello-carro-armato e ogni tanto
faceva fatica a ricordare che fosse il suo.
<<
Pronto? >> borbottò, sapendo che fosse la sorella.
<< Fratello! Non posso credere che tu sia a
casa con le tapparelle chiuse! >>
Daniel
storse il naso, non capendo se la sorella fosse seria o avesse semplicemente
tirato ad indovinare. << Perché tu
non sei a casa con le tapparelle chiuse, vero? >> aveva tirato ad
indovinare.
<<
Sara, si sono a casa, dimmi, cosa ti serve? >>
<< Andiamo a mangiare in qualche posto solo io
e te? >> Daniel sospirò teatralmente e ringraziò il cielo di avere un
locale come quello del signor Speranza.
Poteva
mangiare prima che la sorella uscisse da lavoro e si salvava sempre per pochi
minuti.
<<
Sara ho già mangiato. >> si mostrò fin troppo rilassato.
<< Ah... ok, allora vengo io da te con qualcosa
di istantaneo come... ecco, vediamo... ramen! >>
<<
Io... >> non seppe che rispondere.
<< Ok, allora è deciso! Sono da te fra cinque
minuti! >>
Daniel
sussurrò un imprecazione e senza salutarla chiuse la chiamata, nonostante
avesse preferito rimanere solo, la sorella era una di quelle compagnie che
erano in grado di rivoluzionarlo per un intera giornata – se arrabbiata.