Film > Il Gladiatore
Ricorda la storia  |      
Autore: Madcap    06/03/2008    10 recensioni
Massimo Decimo Meridio, tu che sei Generale hai tutto, io che sono Principe cerco di stringere a me il nulla, ma sfugge persino questo. Tu che sei schiavo, hai l’amore, io che sono Cesare ho l’odio intorno a me che mi spezza la schiena, come quei maledetti occhi fanno con la mia coscienza, e non possono fare a meno di accusarmi, ingiusti, inflessibili, ammiccando dovunque io mi volti, nel buio, nel buio dove il bambino fragile figlio di re può solo tremare ed accucciarsi sperando nell’intervento del padre.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Io, Commodo, secondo imperatore della dinastia degli Antonini, figlio del grande Marco Aurelio, confesso

And I’ve had recurrent dreams

That I was loved for who I am,

And missed the opportunity

To be a better man.

(Muse – Hoodoo)

 

Io, Lucio Elio Aurelio Commodo, figlio del grande Marco Aurelio Antonino, Cesare di Roma, confesso.

 

Confesso di essere cresciuto eternamente nell’ombra di un padre imponente, inebriato dalla sua gloria e dai suoi successi, ammirandolo con un ardore superiore di gran lunga a quello di un normale figlio per suo padre. Confesso di essermi sentito speciale, grazie a lui; unico.

 

Confesso di aver creduto fin dalla tenera età che fosse semplice conquistarsi l’amore del popolo e la vittoria sui Barbari come aveva fatto lui, il Filosofo, il Guerriero, Marco Aurelio. Confesso di essere cresciuto assaporando nei miei sogni più luminosi il momento in cui anch’io sarei stato il padre del popolo, e tutti mi avrebbero amato e mi avrebbero rispettato.

 

Confesso di essermi scontrato subito con la realtà, da bambino. Confesso di aver provato un’angoscia solitaria e irreversibile, quando gli studi che avevo condotto mi scivolarono tra le dita come sabbia dorata e ingannevole. Tragica, la scoperta di non essere diverso da un qualsiasi ragazzo; ne fui disorientato, sconvolto al punto da restarne stordito.

Confesso, lo confesso, che quando vidi le opere di quell’uomo ammirevole, capii subito che non ero destinato ad essere altrettanto saggio, temperante, amato.

 

Confesso l’ansia di un cuore grande, troppo grande, troppo vuoto e troppo bisognoso di essere riempito di affetto e amore, confesso la delusione bruciante come mille fiamme infernali che man mano lo colmavano ad ogni abbraccio del padre riservato alla sorella o a dei perfetti sconosciuti, e che rodeva continuamente senza scrupoli per le mie richieste di pietà, e arroventava le sue armi ad ogni manifestazione di stima.

 

Mai, mai a me. Mai una parola gentile per il figlio che doveva crescere forte e che non aveva il diritto, non doveva avere il tempo, di ripiegarsi su se stesso e sul labirintico vuoto che si apriva tenebroso laddove era nato un cuore, un errore non contemplato dal programma.

 

Confesso la ricerca affannosa delle mie virtù personali, confesso la corsa folle contro me stesso e la mia pochezza, confesso l’essermi aggrappato con la forza e le grida della disperazione alla prima maschera che ho trovato; la maschera dell’ambizioso, del subdolo, che non ha bisogno del coraggio e della nobiltà d’animo –virtù, virtù candide e divine che giudicaste troppo spaventoso l’abisso vasto di questo cuore per abitarlo!

 

Confesso tutta la rabbia, e l’odio, che ribollente al pari di olio riscaldato e bruciante mi salì fino al cervello, fino all’anima, fino al cuore quella maledetta sera; confesso la frustrazione e il dolore di un uomo rinnegato da suo padre, di un ragazzo mai amato e mai sognato, di una persona, di un essere umano dimenticato da chi l’ha generato –confesso, confesso di aver ucciso mio padre Marco Aurelio perché non avrei mai potuto essere come lui, il Luminoso, il Saggio, il Padre!

 

Confesso il pentimento, la paura paralizzante come quella di un bambino che scopre di essere solo nella reggia quando c’è buio, che scopre che la notte suo padre è troppo impegnato a proteggere il popolo per cullarlo tra le braccia.

 

Confesso l’invidia, l’invidia per un uomo che non ha paura, per un uomo che non si vergognerà mai dei suoi atti, per quell’uomo che ha una moglie e un figlio che lo amano –lo amano! E confesso l’invidia per quel bambino che sarebbe dovuto crescere abbracciato e stretto al petto dal suo valoroso e forte padre, e che sarebbe dovuto diventare un uomo forte e sano.

 

Massimo Decimo Meridio, invano contro di te ogni fibra del mio essere manda maledizioni dettate dalla realtà che è pari ad unghia affilate che mi scarnificano dall’interno; vane, vane sono le maledizioni di un uomo debole contro chi valorosamente lotta per proteggere i suoi e perché è spinto da amore, e perché sa che lo amano.

 

Io ti odio, uomo giusto, onesto, uomo che abiterai ai Campi Elisi. Ti odio, mia nemesi che desidererei essere più di qualsiasi altro tesoro.

 

Massimo Decimo Meridio, tu che sei Generale hai tutto, io che sono Principe cerco di stringere a me il nulla, ma sfugge persino questo. Tu che sei schiavo, hai l’amore, io che sono Cesare ho l’odio intorno a me che mi spezza la schiena, come quei maledetti occhi fanno con la mia coscienza, e non possono fare a meno di accusarmi, ingiusti, inflessibili, ammiccando dovunque io mi volti, nel buio, nel buio dove il bambino fragile figlio di re può solo tremare ed accucciarsi sperando nell’intervento del padre.

 

Non verrà, non verrà, come tutte le volte che avresti voluto un complimento o una rassicurazione, un insegnamento detto a quattr’occhi; non verrà nessuno, povera creaturina gemente e dimenticata.

 

Confesso l’amore tenero e fuor di misura per un padre la cui perfezione era irraggiungibile, i cui pensieri erano in cieli troppo alti per essere raggiunti dai bassi bisogni di un figlio normale, comune, di un bambino desideroso di amore che ha dovuto colmare il suo cuore di scaglie acuminate che ne accentuarono il sanguinare, che ne accentuarono il desiderio sempre incompiuto rendendolo impensabile, insopportabile, inumano; che ne accentuarono la consapevolezza di essere disposto ad ogni atrocità pur di rifugiarsi per un istante solo in quel paradisiaco abbraccio di amore ricambiato che ogni uomo prova una volta nella sua vita, per poi accettare ogni punizione, ogni dolore, ogni atrocità per un momento di amore puro.

 

Confesso la mia colpa, confesso e la allontano da me, chiudendo gli occhi, voltando il capo, dimenticando l’amore non corrisposto, convincendomi di valere di più dell’amore di un padre, di un Cesare.

 

Convinzioni dolci come le droghe che stordiscono i sensi, convinzioni evanescenti come una reggia costruita su pilastri fragili di cristallo e vetro.

 

Confesso di aver riversato tutto l’amore che si è mescolato al sangue e al veleno in questo cuore smisurato e pulsante sull’unica creatura che mi fu accanto sempre. Confesso, sorella mia, confesso le uniche gioie che mi fecero sentire vivo, confesso che le provai al vedere la tua bellezza, a sentire che eri accanto a me nel buio, che non mi abbandonavi nelle tenebre come tutti gli altri.

 

Mi prendevi la mano, mi sorridevi nelle tenebre e io lo sentivo, mi carezzavi i capelli e io chiudevo gli occhi e piangevo perché non volevo che finisse, non volevo che l’oscurità benedetta grazie a cui ero riuscito a legarti a me rompesse questa catena –di cristallo e vetro– che faticosamente avevo costruito, che con gioia portavo al collo ogni notte.

 

Confesso di non aver mai compreso la luce e il giorno. Confesso, lo confesso, di essermi sempre chiesto a cosa servissero, queste maledizioni degli dei che ci fanno vedere le apparenze, che ci mostrano le vesti e i volti degli uomini, che ci mostrano chi è Principe e chi è soldato, chi è donna e chi è sorella.

 

Confesso e ne prendo atto, che da sempre ho respirato il buio e la notte, che da sempre mi sono colmato di quei pochissimi attimi in cui io non vedevo mia sorella, ma vedevo una donna premurosa che mi amava, mi amava, era tutta per me, era la mia donna.

 

Confesso di gioire adesso, con il campo visivo tinto di sangue e di nero, confesso che è bello sapere che la vita del teatro e delle apparenze è conclusa, confesso che amo morire, e che sono pronto ad ogni punizione e sofferenza, adesso che la Morte mi ha abbracciato e stretto al petto, grande madre che consoli i cuori rifiutati e negletti.

 

Confesso ancora l’illusione che mi bastava chiudere gli occhi per evocare, perché guardandoti riconoscevo la sorella, ma ad occhi chiusi, toccando le tue labbra sognavo che tu fossi la mia donna, che mi amassi per quello che sono, che amassi Commodo e non il fratellino debole o il Principe, come le puttane che mi avrebbero dato il loro corpo.

 

Per questo volevo te, per questo volevo l’amore completo e perfetto da te; ti avrei dato la mia vita, avrei esaudito ogni tuo desiderio se soltanto ti fossi accostata a me e mi avessi detto che mi amavi, con la tua voce tranquilla e conosciuta, con i tuoi occhi belli e luminosi, con le tue labbra così simili alle mie e così diverse! Luce, luce che squarci la notte paurosa, perché mi hai tradito, perché te ne sei andata via da me?

 

Perché, perché mi hai tradito, prediletta, unica, amata dolcemente, consolazione a ogni timore e a ogni spaventoso incubo? Come puoi non sentire le mie grida!

 

Perché mi hai abbandonato? Io ti amo! Ti amo, ti amo, amerei il mondo se solo tu, su cui ho riversato questo maledetto amore misto a sangue, misto ai delitti, avessi avuto cura di me, ti fossi preoccupata di sanare quelle ferite che il tempo e l’amore avrebbero potuto curare!

 

Non abbandonarmi, no, Lucilla! Se resto solo, se resto solo con il mio vuoto ne verrò risucchiato, diventerò pietra, e io non voglio morire prima di aver provato cos’è essere amati!

 

-Essere amati per quello che si è, è perdere l’opportunità di migliorarsi.-

 

Pur di essere amato da te, dal popolo, da tutti gli uomini sulla terra ero pronto a diventare un uomo migliore, migliore persino di mio padre, volevo cambiare e diventare finalmente amato.

 

-L’opportunità di migliorarsi, però, viene concessa solo agli animi saldi.-

 

Come se vedessi il mio riflesso su un frammento di specchio, vedo che sono incompleto, vedo che sono un errore, uno scherzo della Natura, il giocattolo difettoso degli dei.

 

Un uomo mediocre nato in una famiglia di Imperatori –confesso di aver tentato con ogni mezzo.

 

Un cuore così smisuratamente grande da non essere mai pago –confesso di aver cercato amore, solo e sempre amore.

 

Una debolezza infinita e indecente, una paura umana e comprensibile –confesso la mia debolezza, confesso di avere avuto paura tutta la vita, confesso e confido che nessuno può giudicarmi perché sono un debole.

 

Il mio corpo giace freddo e insanguinato sull’arena, nessuno vuole toccare il corpo di un traditore del suo sangue, sleale contro un uomo valoroso, abbietto criminale senza scrupoli e zio diabolico nei confronti di un innocente bambino.

 

Confesso che lo sapevo, cosa erano i miei atti. Confesso ogni mio delitto e lo riconosco.

 

Confesso che la maschera che portavo non era sufficiente, non era abbastanza, non l’avevo mai voluta.

 

Confesso di essere cosciente di ogni omicidio e di ogni dolore da me causato, confesso di non rinnegarli perché erano gli unici mezzi per me che non sapevo come uscire dalla spirale della disperazione e della solitudine.

 

Confesso di essere stato debole e solo per tutta la vita. Confesso di aver perso l’occasione di riscatto che mi era stata posta tra le mani, e me ne struggo dal profondo di questo cuore scoppiato per la follia di un dolore a cui gli Dei furono sordi.

 

Accuso, però. Accuso l’ingiustizia, accuso l’odio degli Dei per Roma, perché dalla Luce hanno fatto nascere la Tenebra, e l’hanno posta sul trono per tiranneggiare a piacimento il popolo romano, e per ridere della miseria di un uomo che non doveva diventare Cesare, che non ebbe mai diritto a una famiglia.

 

Dalla Luce è scaturita la Tenebra, e solitario ho intonato il lamento funebre per quel principio di bontà che è stato costretto all’impotenza e alla tortura dal sadico pazzo, dal disumano Fato.

 

Ho avuto sogni ricorrenti

Di essere amato per quello che ero,

Perdendo l’opportunità

Di essere un uomo migliore.

  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Il Gladiatore / Vai alla pagina dell'autore: Madcap