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Autore: Fridolin    01/09/2013    0 recensioni
Da via Milano si accedeva, svoltando a destra all’angolo tra il negozio di fiori ed il baldacchino dell’edicola, in via IV Novembre, esattamente come gli avevano indicato nel bar due strade più in là. Lo studio del notaio si trovava al civico 102, al secondo piano di una palazzina degli anni settanta da poco restaurata...
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Da via Milano si accedeva, svoltando a destra all’angolo tra il negozio di fiori ed il baldacchino dell’edicola, in via IV Novembre, esattamente come gli avevano indicato nel bar due strade più in là. Lo studio del notaio si trovava al civico 102, al secondo piano di una palazzina degli anni settanta da poco restaurata.

 

Perché mai avrà scelto un notaio in questo paese così lontano da casa?”.

 

Luca aveva appuntamento con il dottor Matera alle ore 15.30, per l’apertura e la lettura del testamento del padre.

 

Il testamento di mio padre?!?

 

Così gli aveva gentilmente detto la signorina Sonia che due giorni prima l’aveva contattato al telefono di casa.

 

Strano, non immaginavo che il vecchio avesse pensato di fare testamento…”

 

Poi, riflettendo, si era reso conto che sì, effettivamente un po’ di soldi il vecchio ce li aveva sicuramente da parte, non avendo mai speso nulla nella sua vita: erano un po’ di anni che non lo sentiva, ma non pensava che suo padre avesse cambiato abitudini negli ultimi tempi.

La casa, poi, quella villetta su due piani mansardati, curata nei minimi particolari e che lui aveva sempre odiato, certamente l’avrebbe venduta e sarebbe riuscito a racimolare un bel gruzzoletto. Aspetta, poi c’erano i buoni fruttiferi ed i BOT.

Sì, adesso gli tornava in mente, quando ogni secondo martedì del mese suo padre si recava prima in Posta e poi in Banca per comprare i titoli di risparmio, titoli che, poi, rigorosamente richiudeva in cassaforte, dimenticandoli fino alla scadenza.

Dalla telefonata della signorina Sonia, Luca non aveva fatto altro che pensare e ripensare a quanto poteva ammontare l’eredità che gli stava lasciando il vecchio. A cosa ci avrebbe fatto con tutti quei soldi che gli stavano piovendo dall’alto, lui, che tra un lavoro precario e l’altro non poteva permettersi nemmeno di possedere un'auto e che quel poco che guadagnava lo spendeva tutto in affitto e bollette.

Eh, alla fine anche suo padre se n’era andato, come la mamma, del resto, dodici anni prima: aveva quel brutto male lì, questo era quello che gli avevano detto gli zii quando, ancora bambino, aveva chiesto spiegazioni sul perché mamma era morta.

Ed il vecchio? Di cosa era morto? Suo padre, malgrado lui lo chiamasse il vecchio, non poteva certo definirsi tale, vista la sua età anagrafica. Non si ricordava più, però, cosa gli avevano riferito i Carabinieri che lo avevano trovato seduto, grazie ad una segnalazione di un passante, con il capo chino su una panchina del parco in centro, dove era solito andare a passeggiare dopo pranzo.

 

Dottor Matera, secondo campanello dall’alto. Eccolo. Suonò, rispose sempre la signorina Sonia:

  • Sì?

  • Buongiorno, sono Luca, ho appuntamento con il notaio per le tre e mezza, sono un po’ in anticipo…

  • Secondo piano, c’è l’ascensore appena entra sulla sinistra, la porta è quella socchiusa.

Luca entrò nell’atrio del palazzo, un po’ tetro, non prese l’ascensore.

 

Preferisco fare le scale, mi scarico un po’”.

Un piano, poi l’altro. Il secondo piano era occupato da quattro appartamenti: quattro portoncini blindati, tre chiusi ed uno semiaperto, con un'enorme targa dorata a far bella mostra di sé: NOTAIO – DOTT. MATERA. L’entrata era quella.

Lo studio era strano: niente pareti, niente tavoli, niente computer, niente libri. Sterile. Sembrava un magazzino vuoto, un grande spazio di forma rettangolare.

 

Ma cos’è quello?”

 

Al centro della stanza solo un inginocchiatoio ed una sedia.

 

Un inginocchiatoio?!?”

 

E una piccola porta scura in fondo, sul lato corto della stanza.

Luca era perplesso. E anche un po’ intimorito.

  • Si accomodi.

Luca si girò di scatto, ma non vide nessuno. Era di nuovo la voce della signorina Sonia.

 

Ma da dove viene?”

 

Era robotizzata, come se provenisse da un citofono. Luca si guardò attorno, titubante. Nella stanza nemmeno l’ombra di un citofono. E poi: “si accomodi” – sì, ma dove?

  • Si accomodi, pure, il dottor Matera arriva subito, è con un altro cliente.

Di nuovo la signorina Sonia. Di nuovo la voce citofonata.

Erano le tre e un quarto, un quarto d’ora in anticipo. D’improvviso la piccola porta in fondo, sul lato corto della stanza, si aprì. Ne uscì un ometto, non più grande di così, capelli corvini, una fitta barba finemente curata, doppiopetto blu scuro e cravatta grigia. In ciabatte. Si avvicinò con passo sicuro a Luca:

  • Buongiorno Luca, scusi l’anticipo, ma sa, i troppo pochi impegni… Ma La prego, non resti lì in piedi, La prego si accomodi, Luca, si accomodi qui.

Ma Luca restò immobile, esterrefatto, impietrito. Non solo e non tanto perché il dottor Matera, in ciabatte, nell’invitarlo ad accomodarsi gli aveva indicato, e diversamente non avrebbe potuto fare, l’unico posto dove avrebbe potuto onorare l’ospitalità – l’inginocchiatoio e la sedia; non solo e non tanto perché era la prima volta che sentiva qualcuno scusarsi dell’anticipo dovuto ai troppo pochi impegni.

 

Ma non era impegnato con un altro cliente fino a due minuti fa?”.

 

Era la voce, quella voce che lo aveva bloccato. No, non poteva sbagliarsi, quella voce era la sua. Il dottor Matera parlava con la voce uguale alla sua.

  • Tutto bene ragazzo? Desidera una tazza di latte con biscotti? Sonia? Una tazza di latte con biscotti per il signor. Luca, grazie, senza zucchero.

  • Subito dottore, scendo a comprarli i biscotti, perché li ha finiti poc’anzi il signor Enrico, ricorda?

  • Bene Sonia, bene.

Luca non fiatò. Seguì, basito, il notaio che si accomodava sull’inginocchiatoio, dalla parte del penitente, lasciando libera la sedia, e si inginocchiava.

  • Se non prende posto Lei, allora lo faccio io. Ma si sbrighi, però, perché poi il latte si fredda.

E da sotto il banco dell’inginocchiatoio con disinvoltura sfilò e gli porse una tazza di latte fumante.

  • L’ha preparata poc’anzi la signorina Sonia. Fra poco Le porta anche i biscotti.

Luca prese la tazza di latte tra le mani giunte a coppa e si sedette di fronte al notaio. Serio. Non capiva se stava sognando

 

Adesso mi sveglio, adesso mi sveglio”

 

O se stava prendendo parte, inconsapevolmente, ad una messinscena. Sotto sotto si aspettava, o sarebbe meglio dire: desiderava, che dalla solita piccola porta in fondo, sul lato corto della stanza, uscisse la signorina Sonia, e gli gridasse che era tutto uno scherzo, che suo padre, il vecchio, aveva dato disposizioni affinché, prima di aprire il testamento, si mettesse in scena quella ridicola commedia. E che il notaio, per diletto, si divertiva ad imitare le voci dei clienti, così per ridere. Ma non usciva nessuno.

Prese coraggio:

  • Lei mi sta imitando.

  • Prego?

  • Lei. Sta imitando la mia voce, parla con lo stesso tono con cui parlo io, lo sente? La signorina Sonia è di là, dietro la porta, e comunicate via citofono. Mi state prendendo in giro…

  • Ma figliolo, che mi dice? La signorina Sonia è andata a comperare i biscotti. Il latte è caldo a sufficienza?

  • Si, ma cosa c’entra il latte?

  • Eh c’entra sì! Non le hanno mai insegnato che fa male il latte freddo da frigorifero? Andava sicuramente riscaldato un altro po’. Ah ecco, sono arrivati i biscotti.

E da sotto il banco dell’inginocchiatoio, dallo stesso posto da cui aveva sfilato la tazza di latte fumante, il dottor. Matera cavò un piattino ricolmo di biscotti alla cannella e li porse a Luca.

Della signorina Sonia manco l’ombra.

  • Faccia come se fosse a casa Sua.

Luca cominciò a spazientirsi. Il gioco è bello finché dura poco e ogni cosa vuol misura. Bevve d’un fiato il latte, scottandosi la lingua da quanto era caldo.

 

Così la smetti di stressarmi e andiamo subito al sodo”.

 

E sbatté la tazza sopra all’inginocchiatoio. Afferrò un biscotto, poi un altro.

 

Tiè, guarda, ne prendo pure due”.

 

E se li ficcò in bocca. Masticò con cura. Quindi si sfilò il portafoglio dalla giacca e cavò la carta d’identità. Fece tutto con molta platealità. La aprì. Fece come per sventolarla sul naso del dottor. Matera, ma si trattenne. La poggiò aperta, invece, sopra all’inginocchiatoio. E aspettò. Aspettò che il notaio parlasse.

Inutilmente. Questo, anzi, aveva cavato fuori, dall’interno della giacca, un vecchio libro rosso sgualcito dal titolo: De Bestiarum Naturis, e si era messo a sfogliarlo avidamente.

  • Vede, bestie siamo, bestie…

  • Dottore, il mio tempo non è infinito. Qui ci sta la mia carta di identità con le mie generalità. Lei mi ha fatto chiamare dalla signorina Sonia che mi ha riferito che mio padre aveva fatto testamento e che questo era pubblicato qui da lei… Vogliamo vederlo?

  • Bestie siamo, bestie.

  • …voglio che sia aperto e letto. Ora!

  • Bestie siamo, bestie.

  • E la smetta di scimmiottare la mia voce.

  • Bestie siamo, bestie.

Era inutile; sembrava di parlare due lingue differenti. Luca temette per un attimo di aver capito male e di essere finito in un ospedale psichiatrico, di aver capito per errore, magari, che il notaio si chiamasse dottor Matera e, invece, doveva cercare il dottor Pasera, o il dottor Badera, o il dottor… No, non poteva essere. Quando era arrivato al civico 102 di via IV Novembre e aveva suonato al campanello del dottor Matera – Notaio, la signorina Sonia l’aveva subito riconosciuto e l’aveva fatto entrare.

La signorina Sonia! Doveva chiamare la signorina Sonia. Lei avrebbe fatto sicuramente ritornare in sé il notaio.

  • Mi chiami la signorina Sonia per favore, debbo parlarle!

  • La signorina Sonia è scesa a comprare i biscotti per lei… Bestie siamo, bestie.

  • Non dica fesserie per favore, mi chiami la signorina Sonia!

  • No. Bestie siamo, bestie.

  • Me la chiami!

  • No! Bestie siamo, bestie.

  • Me la chiami o vado di là a cercarla io.

  • Se la chiami da Lei! Bestie siamo, bestie.

  • Signorina Sonia… Signorina Sonia!

E d’un tratto la piccola porta in fondo, sul lato corto della stanza, si schiuse:

  • Sono qui, sono qui, non urli per favore.

  • Bestie siamo, bestie.

Dall’interno della stanza si udì la solita voce citofonata della signorina Sonia.

 

Ecco, l’avevo detto che era tutto una messinscena, adesso viene qua e ci facciamo tutti una bella risata”.

 

E Luca si protese sulla sedia verso quel lontano spiraglio, bramoso di vedere comparire la signorina dalla piccola porta. Avrebbe risolto tutto lei.

La piccola porta in fondo, sul lato corto della stanza, si spalancò:

  • Eccomi.

  • Bestie siamo, bestie.

Ma, oddio, non uscì la signorina Sonia; o meglio, non uscì la signorina Sonia che Luca si aspettava di vedere. Uscì un cane, un cagnolino, un carlino per la precisione. Grasso e goffo. Grassa e goffa, sarebbe più corretto dire.

  • Cos’è tutto questo trambusto? Non Le piacciono i biscotti alla cannella? Se vuole vado a comprarne altri al cioccolato, o degli amaretti se preferisce.

  • Bestie siamo, bestie.

Luca saltò sulla sedia. Esterrefatto. Non aveva visto, né sentito male; sì, era proprio il carlino che stava parlando con la voce citofonata della signorina Sonia, e si stava avvicinando scodinzolando alla sua sedia!

  • Ma voi siete tutti matti!

  • Bestie siamo, bestie.

Luca si alzò di scatto dalla sedia che per l’irruenza cadde all’indietro. La signorina Carlina, pardon, Sonia, sobbalzò ed emise un guaito spaventato. Il dottor Matera, sempre più assorto nella sua lettura, continuava nell’enunciazione imperterrita dell’animalesca natura del genere umano.

Luca afferrò la carta d’identità ancora poggiata sopra all’inginocchiatoio e così facendo urtò la tazza che cadde e andò in mille pezzi. Infilò in tasca il documento alla bell’e buona e se la diede a gambe levate fuori dalla porta e giù per le scale. Uscì dall’atrio con la velocità di una saetta e corse, corse, corse finché raggiunse l’angolo tra il negozio di fiori ed il baldacchino dell’edicola. Solo qui si fermò e prese fiato. Si rivolse all’edicolante:

  • Scusi? Scusi, dico a lei?

  • Sì?

  • Sa mica dirmi dov’è il più vicino Ospedale Psichiatrico?

  • È qui vicino. Proprio qui all’angolo con il negozio di fiori deve svoltare a destra e imboccare via IV Novembre.

  • Via IV Novembre…?

  • Sì, esatto. Al civico 102, al secondo piano di una palazzina degli anni settanta da poco restaurata…

 

  
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