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Autore: mysoul    01/09/2013    4 recensioni
One-shot seguito di “Tre piccoli Leoni”
Tutti conosciamo l’ erede al trono: Joffrey Baratheon, figlio di Robert Baratheon e Cercei Lannister. Il ragazzino dal viso d’ angelo, il sadico, il crudele, il re.
Ma non conosciamo la sua vita da bambino, la sua trasformazione in un vero leone. Una one-shot, cinque momenti della sua vita da cucciolo.
Hear me Roar.
#A 3 anni guardava Cercei
#A 4 anni piangeva perché si era tagliato
#A 7 anni giocava con le bambole
#A 9 anni aveva trovato uno svago divertente
#A 11 anni voleva una cosa
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joffrey Baratheon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un piccolo Leone


Sin da quando era venuto al mondo, Joffrey era una peste, un piccolo demonietto.
Crescendo, non aveva perso quella qualità.
Al castello, nessuno poteva soffrirlo; su quella sua faccia da sberle c’ erano sempre una smorfia insoddisfatta o un ghignetto sadico.
Se qualcuno era in difficoltà non lo aiutava, anzi rideva della sua condizione.
E se era in una difficoltà maggiore, rideva più forte.

Perché questo è Joffrey Baratheon.



Quando Joffrey aveva tre anni, amava guardare sua madre.
Guardava la sua bellezza, il suo portamento, la sua regalità.
Lui adorava guardare il modo in cui si muoveva, in cui interagiva.
Ma in particolare adorava quando si preparava.
Ad ogni movimento di lei, lui prestava attenzione: quando sceglieva l’ abito, quando raccoglieva i suoi capelli.
Cercei era Joffrey da grande, ne era sicuro.
Vedeva la loro somiglianza: gli stessi tratti, gli stessi occhi, gli stessi capelli.
Ma vedendo così tanta somiglianza con sua madre, Joffrey si chiedeva perché non assomigliasse per niente al suo papà.

Quando Joffrey aveva quattro anni, una volta pianse.
Stava toccando davvero troppo quella piccola spada che gli avevano regalato, ma soprattutto, la stava maneggiando con troppa abilità per avere solo quattro anni.
In un momento di distrazione, si tagliò il dorso della mano, e corse da sua madre.
Non era il dolore che causava le sue lacrime.
Piangeva perché aveva sentito dire che i reali avevano il sangue blu, mentre il suo era rosso.
Ma quando capì che il sangue, a chiunque appartenesse, era rosso, quel colore gli iniziò a piacere davvero molto.

Quando Joffrey aveva sette anni, giocava molto spesso.
Generalmente lo faceva da solo, ma usava i giocattoli di Myrcella: le bambole.
Le metteva in fila, ognuna veniva accusata di un crimine, e tutte dovevano essere giustiziate:  nessuna si salvava.
Ma quando entravano le serve, rimanevano sconvolte dalla vista raccapricciante che si proponeva davanti ai loro occhi: bambole torturate, dilaniate, impiccate, senza testa.
“sto giocando a fare il re” si giustificava il diavolo dal volto angelico.

Quando Joffrey aveva nove anni, trovava svago in molte cose.
Cose poco consone per un bambino della sua età.
Una delle cose che lo divertiva era costruire.
Costruiva catapulte, trappole, strumenti di tortura.
Ma quando finiva di costruirli, pensava che fossero davvero sprecati, messi lì solo per guardarli.
Così provò a maneggiare quegli oggetti, e trovò che, oltre ad essere più divertente, gli riusciva molto meglio usarli, che costruirli.

Quando Joffrey aveva undici anni, era stanco.
Ormai, tutto l’ annoiava: non era più divertente osservare sua madre o pensare al colore rosso.
Era monotono giustiziare le bambole di Myrcella, e nemmeno costruire strumenti mortali l’ appagava più.
Lui era un principe, poteva, anzi, doveva! Avere uno svago.
Ma lui voleva qualcosa di diverso.
Qualcosa che gli piacesse, ma che gli provocasse dei brividi di eccitazione.
Qualcosa di proibito, ma che lui avesse fatto lo stesso.
Qualcosa che poteva fare più volte, ma che lo divertisse sempre.
E poi capì.
Capì che ciò che voleva, non poteva riceverlo, ma poteva solo essere donato: la morte.

 
  
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