Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Acinorev    01/09/2013    7 recensioni
La comunicazione, verbale e non verbale, si basa su cinque assiomi, ovvero cinque principi impliciti e fondamentali. Il primo dice che è impossibile non comunicare: Caren l’ha studiato al liceo, accantonandolo subito dopo perché era troppo impegnata ad uscire con Henry o con Kim.
Eppure, a ventidue anni compiuti, si ritrova a ragionare sul serio su quel piccolo concetto sbiadito dagli anni, perché Lake lo incarna alla perfezione.
Lake non parla molto, perché le parole sono spesso inutili o superflue, ma questo non vuol dire che non comunichi: Caren l’ha capito quando lui le ha accarezzato un braccio con le dita ruvide per svegliarla. Quando ha baciato il suo collo prima di uscire di casa, con la sigaretta pronta ad essere accesa e i capelli in disordine. Quando ha percorso il suo corpo con le dita e le ha dato un confine.
Lake è comunicazione pura in ogni movimento che compie, in ogni respiro trattenuto e in ogni sguardo. Caren l’ha solo compreso in ritardo.
"Lui che dice qualcosa del genere? - domanda l'altra, divertita. Subito dopo scuote la testa e riprende. - No, non mi ha detto niente. Ma poi ti ha guardata, ed io ho capito".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
Capitolo due – Randy is dead
 
 
Quando Caren viene svegliata all'improvviso da un tonfo sul letto, accompagnato da una risata inconfondibile, sa già di chi si tratta e, di conseguenza, chi dovrà uccidere.
Si mette il cuscino sopra la testa e borbotta qualcosa di incomprensibile, sia per la bocca impastata dal sonno, sia perché nessuno ha voglia di parlare alle... Che ore sono?
«Ren, andiamo, svegliati!» squilla la voce della sua amica, che sta saltellando con il sedere sul materasso, mentre con una mano scuote il corpo della bella addormentata.
«Perché diavolo ti ho lasciato fare un copione delle mie chiavi di casa?» chiede retoricamente Caren, più a se stessa che a lei.
«Perchè mi vuoi bene - è la spiegazione. - E perché so cucinare».
Caren non aveva certo bisogno di una risposta, d'altronde, perché la sua è stata solo una domanda con la quale esternare la frustrazione derivata dall'essere stata svegliata.
Si rigira nel letto, cercando di togliersi i capelli dal viso: quando apre gli occhi a stento, si accorge che la camera è ancora immersa nel buio, contrastato solo dagli spiragli di luce provenienti dalla serranda grigia e un po' difettosa che oscura la finestra.
«Non hai nemmeno acceso la luce»  commenta, sospirando e tirandosi su a sedere.
L'amica si alza velocemente e si fionda a premere l'interruttore accanto alla porta, rendendo la stanza completamente visibile.
«Ma che importa? Io voglio sapere di ieri sera!» spiega, calcando la "s" come al suo solito e precipitandosi di nuovo sul letto.
«Enriqua Fuentes Nieto, mi hai svegliata solo per questo?» la rimprovera Caren, premendo con indice e pollice sulle proprie tempie. Gli occhi strizzati per il mal di testa e le gambe piegate e nude.
Enriqua annuisce con enfasi, facendo ondeggiare i capelli neri e voluminosi, con i tanti ricci che Caren ha sempre voglia di contare anche se non lo fa mai, perché ci metterebbe davvero troppo. Le iridi della ragazza che le sta di fronte le ricordano quelle di Eli: sono un buco nero, anche se sono più grandi e terribilmente vivaci.
Le ricordano anche i capelli di Lake.
Caren le invidia tutta quella bellezza, rincarata da una carnagione abbronzata anche in pieno inverno e da un fisico formoso. La invidia dalla prima volta che si sono viste, tre anni prima, da quando ha incontrato quella ragazzina di diciotto anni che lavorava in una tavola calda due vie più in là, dopo essersi trasferita da Madrid con solo uno zaino in spalla e un gruzzoletto di soldi.
«Avanti, raccontami tutto! Com'è andata? Ti ha portata in un posto carino, almeno? E ha pagato il conto? Perché, se non l'ha fatto, è proprio un...»
«Ho bisogno di un caffè» sospira Caren, scivolando giù dal letto a piedi scalzi e con indosso una maglia del suo ex ragazzo, quella che non gli ha mai restituito.
«Aspetta!» la rincorre Enriqua, prendendola a braccetto.
«En, ti racconto tutto, te lo giuro - la consola dirigendosi verso il salotto, dove, nell'angolo opposto alla porta, c'è un piccolo cucinino. - Fammi solo svegliare del tutto».
«E va bene, va bene.»
Caren non riesce ad iniziare una giornata senza la caffeina. Ci ha provato, ma è davvero difficile disintossicarsi, infatti non ci è riuscita. Nemmeno un po'. In realtà, la sua è una dipendenza strana, perché le basta una sola tazzina con due cucchiaini di zucchero: non è una di quelle persone che ne bevono in continuazione, ma ha un inarrestabile bisogno di quella minuta quantità di caffè nel proprio corpo per carburare, per sospirare e iniziare la giornata. Questo, poi, la rende ancora più frustrata, dato che dovrebbe essere più facile per lei, smettere.
Con Enriqua in trepidante ascolto sul divano che Caren ha portato lì da casa dei suoi genitori, la bionda racconta più o meno nei dettagli l'appuntamento della sera precedente.  La schiena appoggiata ad uno dei ripiani della cucina e le mani incrociate sul petto.
«Quindi ci uscirai di nuovo» è l'ultimo dei commenti della spagnola, che non si è risparmiata in fatto di esclamazioni di approvazione o di perplessità per una parola detta o per un comportamento.
Caren sospira. «Sì, ma non ne sono entusiasta come dovrei. O come vorrei - spiega, mordendosi l'interno di una guancia. - Lui sembra davvero uno di quei ragazzi perfetti...»
«Alt! - La interrompe Enriqua, con il palmo della mano destra aperto davanti al volto. - Sai che non puoi dire che un ragazzo è perfetto se prima non hai dato una sbirciata nelle sue mutande!»
L'amica ride e scuote la testa. «Stavo dicendo... Sembra perfetto: certo, a volte è un po' egocentrico, ma è divertente, sa come comportarsi con una ragazza, ha un lavoro fisso e un mucchio di altri punti a suo favore - riprende Caren. - Però per ora è così che lo vedo: una persona piacevole con la quale ho passato un'altrettanto piacevole serata. Niente di più, ecco».
«Capisco - commenta En, assumendo un'espressione pensierosa mentre tamburella l’indice sul suo mento. - Secondo me fai bene a dargli comunque un'altra occasione. Può servire a lui per riscattarsi e a te per capire cosa ne pensi realmente».
«Già. Magari domani lo chiamo.»
«Sempre se non ti chiama prima lui - la riprende, divertita. - Ma in entrambi i casi, ti consiglierei di dare quella famosa sbirciatina, prima di prendere una decisione».
Caren alza gli occhi al cielo e sorride, mettendo la tazzina nel lavandino.
 
In effetti è proprio Eli a chiamare, verso le quattro del pomeriggio.
Caren ha declinato l'invito di Enriqua, che aveva progettato una giornata all'insegna dello shopping sfrenato: lei, infatti, aveva già un programma completamente diverso.
È uscita dopo aver pranzato con l'amica e dopo aver riordinato un po' casa, cosa che si riprometteva di fare da qualche giorno.
Ora cammina per la strada guardandosi intorno con aria curiosa e speranzosa: le è sempre piaciuto passeggiare, non tanto per l'azione in sè, ma per le persone che si incontrano; la diverte il poter immaginare le loro vite e i loro pensieri. Worthing, poi, è piena di soggetti interessanti e curiosi.
Quando il suo cellulare inizia a suonare nella piccola borsa di finto cuoio, però, deve interrompere le fantasticherie su una vecchietta intenta a cucire qualcosa su una panchina.
«Eli!» lo saluta, con un sorriso che lui non può vedere. Si ferma sul largo marciapiede e dà un'occhiata al cielo nuvoloso sopra di sè, maledicendosi per non aver preso l'ombrello.
«Oh, niente di che, in realtà - risponde, alzando le spalle, quando lui si scusa per averla disturbata "così presto" e le chiede cosa stia combinando. - Sono uscita per cercare quel lavoro di cui ti ho parlato ieri».
«Giusto, l'avevo dimenticato! Spero che la ricerca darà buoni risultati» esclama gioiosamente. A Caren viene da chiedersi come sia Eli da arrabbiato o nervoso: per adesso non riesce proprio ad immaginarlo.
«Lo spero anche io» risponde, annuendo tra sè e sè.
Cazzo, se lo spero.
Dopo un attimo di silenzio, la voce dall'altra parte del telefono torna a farsi sentire. «Probabilmente avrei dovuto aspettare almeno un altro giorno per chiamarti, ma non sono molto bravo in queste cose - ammette, velando una piccola risata. - Il fatto è che vorrei invitarti a prendere un caffè, domani».
Lei abbassa il capo e calcia un sassolino davanti ai suoi piedi, mentre si prepara a cogliere l'occasione. «Volentieri - risponde infatti. - Dimmi solo il posto e l'ora, non voglio far scomodare un altro dei tuoi amici» confessa, salutando con un cenno del capo la signora Tosh, conosciuta dalla parrucchiera che hanno in comune.
«Sei sicura? Lake potr...»
«Sono sicura» lo interrompe, con un sorriso. Non vuole assolutamente essere di peso per un'altra persona, che dovrebbe scarrozzarli in giro solo perché loro vogliono uscire - e questo le fa capire ancora di più quanto abbia bisogno di risparmiare per quella macchina che deve ancora comprare -, tantomeno Lake. Non lo conosce affatto, è vero, ma è comunque convinta che il favore che ha fatto ad Eli sia solo stato forzato dalle circostanze: non crede che sia stato davvero entusiasta di acconsentire.
«Ok, allora direi... Per le cinque al Geoffrey's Coffee
«Perfetto» acconsente, mentre apprezza il fatto che lui abbia scelto un posto vicino casa sua per compensare la scelta di non immischiare i suoi amici nel loro appuntamento.
«A domani, quindi! E grazie per aver accettato» risponde Eli, spiazzando Caren ancora una volta.
«Non devi ringraziarmi. A domani.»
La telefonata è finita e la ragazza si sente leggermente in colpa: non che abbia secondi fini o ne stia solo approfittando, ma le dispiace non ricambiare a pieno l'interesse che Eli prova e dimostra con tanta tranquillità.
Si schiarisce la voce e si incammina di nuovo: in fondo non è detto che qualsiasi ragazzo conosciuto ad un'edicola debba essere l'uomo per lei. Non ha niente da rimproverarsi.
 
Il "Morning Bar" è in una via secondaria - o addirittura terziaria - che Caren non ha mai percorso e che ha faticato a trovare. L'insegna del locale sporge in verticale dalla parete in mattoni grigi, e non ha un aspetto molto... Nuovo. I caratteri sono costituiti da linee morbide e sottili, con le luci al neon che chissà di che colore sono quando si accendono.
Da fuori, l'ambiente non sembra così grande, anzi, ma la vetrina è cosparsa da offerte scritte in stile graffiti che rendono il tutto molto più accogliente.
Caren sbircia all'interno e tossicchia, cercando di acquisire un po' di coraggio: la verità è che non è fiera di avere ventidue anni e di essere senza lavoro, di nuovo. Certo, è un periodo di crisi, ma è anche colpa sua: avrebbe dovuto iscriversi all'università di scienze politiche, al posto di rinunciare ai suoi veri sogni per inseguirne uno che si sarebbe rivelato un'enorme fandonia.
"Vieni con me" le aveva detto lui, invitandola a seguirlo a Worthing, a circa due ore di viaggio da Swindon, la città nella quale avevano vissuto fino a quel momento. Il liceo era finito, entrambi erano accecati dai sentimenti impellenti che erano cresciuti con loro e dallo spirito di avventura, lui era intenzionato a partire ed era pronto a tutto per convincerla ad accompagnarlo in quella piccola follia.
La verità è che, a diciannove anni, non aveva ancora capito che quel ragazzo fosse un enorme cazzone. Ne aveva impiegati due, di anni, per esserne certa.
Caren alza il mento ed apre la porta del bar, producendo lo scampanellio di un piccolo aggeggio sospeso su di essa. L’odore di brioche e di caffè le invade subito le narici, mischiandosi al profumo dei propri capelli, ancora molto forte dopo quella doccia frettolosa. I tavoli saranno in totale una decina, tutti rotondi e rivestiti da una tavoglia blu scuro: al loro centro, c’è un vasetto trasparente, in cui è riposta una candela più o meno consumata. Ci sono solo tre clienti, tutti intorno allo stesso tavolo.
Il pavimento ai suoi piedi è in parquet, e potrebbe giurare che sia la prima volta che ne vede uno in un bar del genere: le pareti bianche sono cosparse da fotografie dei grandi della musica e da altre che ritraggono persone che non conosce. È tutto così intimo, da assomigliare ad una piccola casa, se non fosse per il bancone in legno scuro  che le sta davanti.
Dietro di esso, c'è un uomo sulla quarantina. La testa calva e la pelle tesa, ricoperta da uno spesso strato di barba nera. Il naso adunco e le labbra sottili gli conferiscono un aspetto severo, mentre asciuga dei bicchieri con indosso un grembiule bordeaux e macchiato legato al collo. Gli occhi sono scuri e scavati.
Il sorriso che le rivolge quando la vede, però, smonta la sua apparenza, facendolo sembrare molto più alla mano di quanto i piercing appuntiti alle sue orecchie vorrebbero far sembrare.
«Buongiorno - saluta Caren, avvicinandosi. - Ho parlato al telefono con un certo... Randy, ieri pomeriggio. Mi ha detto che sarei potuta passare di qui, se ero davvero interessata al lavoro».
L'uomo la guarda con un'espressione seria e appoggia lo strofinaccio sul bancone. «Randy è  morto stamattina» sono le sue parole, pronunciate con una freddezza glaciale.
Caren spalanca gli occhi e si irrigidisce. Si trova persino a boccheggiare, alla ricerca di qualcosa da dire, mentre prende a stritolare le maniche del giubottino di stoffa color panna tra i palmi delle mani.
«Randy, ma vuoi farla finita una buona volta?» lo rimprovera una voce femminile ed acuta proveniente da lì vicino. Una donna compare al fianco dell'uomo, con gli occhietti azzurri scocciati e divertiti puntati su Caren: i capelli di un ramato scuro sono raccolti in una coda più che disordinata e il viso sembra voler riflettere un certo livello di stanchezza, obbligando gli angoli della bocca larga ad inclinarsi all'ingiù.
«Scusalo, è un bambino mai cresciuto - dice ancora, dando un pizzicotto sul braccio magro di Randy, quello vero. Caren tira un respiro di sollievo, rendendosi conto di essere stata vittima di uno scherzo che fa ancora ridere quell'uomo. Rivolge un sorriso alla donna e annuisce. - Io sono Barbara, la proprietaria di questa bettola, e lui è quello scalmanato del mio compagno. Dio solo sa a cosa stavo pensando quando me ne sono innamorata, o, peggio ancora, quando gli ho permesso di lavorare qui» spiega, con un'espressione serena e vivace.
«Ah, smettila: senza di me saresti ancora in Scozia a lavorare nella lavanderia di tua nonna» la riprende Randy, facendosi gioco di lei, dato che si guadagna uno schiaffetto giocoso sulla nuca lucida.
Caren è affascinata da quelle due persone: sono esuberanti, segnate dal lavoro e in vena di scherzare. Barbara, poi, le ha dato l'impressione di essere più fiera del suo bar e del suo compagno di quanto volesse far intendere con le sue parole.
È convinta che sarebbe davvero divertente lavorare con loro.
 
Caren esce dal bar con un sorriso a trentadue denti sul volto e il petto leggero: ha un lavoro. O meglio, ce l'ha quasi.
Randy e Barbara le hanno fatto poche domande di routine, giusto per capire che persona fosse, e non hanno nemmeno voluto sapere se avesse già avuto  esperienze di lavoro simili.
“Qualche giorno di prova ci basterà, per farci un'idea su di te" le hanno solo detto, annuendo soddisfatti.
Lei è rimasta alquanto stupita da quel colloquio improvvisato e fuori dagli schemi, intervallato da battute e aneddoti raccontati, ma le è piaciuto molto il clima di quel piccolo locale. Da che l'idea di lavorare come cameriera non la entusiasmava molto, ora non vede l'ora che sia l'indomani per cominciare.
Attraversa la strada dopo aver controllato che non arrivasse nessuna macchina, con il telefono in mano perché freme di raccontare la notizia ad Enriqua tramite un messaggio carico di faccine sorridenti e punti esclamativi.
Quando arriva sul marciapiede, di gran lunga meno largo di quello che affianca il bar, si gira verso sinistra per continuare il pomeriggio con un'altra passeggiata di sicuro meno ansiosa. Eppure, quando alza lo sguardo dallo schermo del cellulare dopo averlo riposto in borsa, si immobilizza e spalanca gli occhi.
«Lake» dice soltanto, con un tono tra l'interrogativo e lo stupito. Ce l'ha davanti, ed è quasi uno shock vederlo alla luce del sole.
I capelli neri non hanno un vero e proprio ordine, e contrastano con la pelle pallida che Caren ricordava più scura. Le iridi sottili riflettono la luce del tiepido sole, che ha fatto capolino da una nuvola, e brillano, lei può giurarlo: non sono affatto scure come pensava, tutto il contrario. Le profonde borse sotto gli occhi sono i segni evidenti di un sonno mancato, e il neo sullo zigomo sinistro è in realtà un piccolo tatuaggio a forma di croce.
Le labbra sono leggermente secche e ospitano una sigaretta, che lui tiene tra la base dell'indice e quella del medio.
Caren, in tutto ciò, è consapevole del fatto che l'improvvisa attrazione che sente non sia affatto normale.
«Ciao» è il semplice saluto di Lake, pronunciato dopo aver espirato del fumo.
Il tatuaggio sul collo è una rondine. È perfettamente riconoscibile, adesso, perché Lake indossa solo un maglioncino viola scuro, quindi non c'è più l'impiccio del colletto del giubbotto. Caren si rende conto solo adesso di quanto quel ragazzo sia esile, con le gambe magre coperte da jeans neri stracciati e le dita affusolate. Le stesse dita della mano destra che mostrano dei tatuaggi, delle lettere: a partire dal mignolo, una "m", una "i", una "s" ed una "c", che formano la parola “mischief” se si contano le lettere presenti anche sulle dita speculari. Le stesse dita che conducono a un dorso della mano che ospita un'altra rondine tatuata.
Non riesce a carpire ulteriori particolari, però, perché Lake la supera l'attimo dopo, senza dire altro e senza guardarla: lei lo segue con lo sguardo confuso, lo osserva entrare nel negozio davanti al quale si sono incontrati. È un negozio di attrezzi e abbigliamento sportivi, al quale non aveva fatto caso, distratta com'era. E Lake sembra lavorarci, perché saluta il ragazzo dietro il bancone e prende il suo posto, iniziando a servire un cliente.
Perché lo sta spiando da una vetrina, comunque?
Enriqua interrompe i suoi assurdi pensieri chiamandola al cellulare. Caren risponde e si allontana con un sorriso sul volto.





 
 
 

Giuro che non pensavo di aggiornare così presto, ma io ho un serio problema con il tenere i capitoli pronti nel pc hahah È più forte di me, quindi non ho resistito oltre e ho pubblicato!
Anche questo è un capitolo relativamente introduttivo, perché si scoprono alcune cose su Caren (so che alcune di voi non l’hanno ancora inquadrata, giustamente, ma pian piano verrà delineato anche il suo personaggio!) – come il fatto che vive da sola, anche se Enriqua ha la possibilità di piombare in casa sua come e quando vuole, il suo passato con un certo ragazzo che l’ha convinta a trasferirsi a Worthing ma con il quale la storia è finita, e il suo bisogno di un lavoro -, la seconda possibilità ad Eli, il “Morning Bar” (Randy e Barbara fska) e Lake, che a quanto pare lavora dall’altra parte della strada (: È una coincidenza bella e buona, ma nemmeno poi tanto!
Sono davvero felice che Lake abbia catturato la vostra attenzione fjsak E spero che anche gli altri personaggi vi piaceranno allo stesso modo :) Dal prossimo capitolo ne entreranno in scena di nuovi, soprattutto uno, e niente, non vedo l’ora haha
Vi ringrazio davvero tantissimo per aver letto, per le recensioni allo scorso capitolo e per aver inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite! Mi ha fatto davvero molto piacere :)


E adesso è meglio che vada! Spero che il capitolo non abbia deluso le aspettative e che mi farete sapere cosa ne pensate! Sono curiosa di sapere cosa vi aspettate che succeda :)
Un bacione,
Veronica.
 
AskTwitterFacebook
 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Acinorev