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Autore: Melinda Pressywig    02/09/2013    6 recensioni
"La stanza sembra farsi più stretta ogni minuto che passa. Colpa di quelle maledette pillole giallognole che l'infermiere barbuto mi ha costretto ad ingoiare."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tra pillole, negazioni e apparenti libertà.






La stanza sembra farsi più stretta ogni minuto che passa. Colpa di quelle maledette pillole giallognole che l'infermiere barbuto mi ha costretto a ingoiare. Mi ha lasciato strisciare in basso contro la parete e finire penosamente a terra. Mentre ha chiuso la porta blindata mi ha detto di alzarmi, ma io non l'ho ascoltato. 
Rimango seduto in una posizione scomoda, fissando assente il pavimento grigio, di fredda pietra. 
Non hanno alcun rispetto per noi matti, ci trattano come se fossimo anime perse, senza alcuna speranza, e a me non resta che combattere contro gli effetti della medicina. 
Gli occhi iniziano a lacrimare,  la vista è offuscata; le pareti si fanno inconsistenti, come se una mano potesse passarci attraverso. Dall'altra parte della parete c'è il mio letto: una branda consumata e rimboccata da lenzuola sbiadite che odorano di acido; i suoi contorni si fanno tremolanti. 
Guardo in alto e la luce della lampadina quasi mi acceca. La testa inizia a girare, sbatto gli occhi ripetutamente, scacciando via la sensazione di stordimento che non mi vuole lasciare in pace.
Allora chiudo gli occhi, abbandonandomi alle grinfie della realtà alterata. Vedo figure scure negli angoli della stanza; rivedo la faccia scontrosa dell'infermiere bastardo, i suoi occhi mi guardano con disprezzo.
Riapro gli occhi, cercando ancora di contrastare la sensazione inevitabile di perdere il controllo su me stesso.
La stanza continua ad abbattersi contro di me. 
Nel frattempo risuonano risate folli. Sento urla di dolore. Un vortice interminabile di elementi contrastanti che cozzano tra loro. Passeranno ore prima di tornare alla normalità. Ci danno quella pasticca per tenerci a bada. Non vogliono seccature, non vogliono guai. Preferiscono farci cadere nell'oblio di una mente già disturbata e aumentare la sofferenza.
Il delirio più totale.
Poi il buio cala su di me, avvolgendomi come una coperta di seta, pronta a lenire le mie ferite mentali. 
Perdo conoscenza e mi lascio trascinare nel vuoto. La medicina ha ottenuto l'effetto desiderato: sono fuori gioco.
Quando mi risveglio le luci sono spente. Il mio corpo è accovacciato, scomposto; la mia guancia tocca terra. 
Sento le gambe formicolanti, dolenti. Sembra che qualcuno ci abbia posato sopra un masso gigante. 
A fatica apro gli occhi, sento le palpebre pesanti, come se non riposassi da giorni interi.
Poi, lentamente, aspettando che gli arti riprendano sensibilità, provo a tirarmi su, in piedi. 
In quel preciso istante, mentre sto piegando una gamba in avanti, sento dei passi provenire dal corridoio esterno e un cigolio costante che fa vibrare il pavimento. Probabilmente è l'infermiera di turno che porta il vassoio della cena. Sento anche l'aprirsi di ogni porta e la conseguente frase di rito: ecco la tua cena
È sempre la stessa storia. Non cambierà mai. 
Ecco il mio turno. Un viso di donna appare dalla finestrella alla porta. Sento il clack familiare e quella si apre. 
È Gina Winby; lo leggo sul suo cartellino di riconoscimento. Una donna bassa, dall'aria risoluta.
«Ecco la tua cena» mi dice. E appoggia il vassoio sul tavolo sgangherato alla mia destra. 
Io sto ancora tentando di alzarmi in piedi e lei con tono serioso aggiunge: «E vedi di non lasciare avanzi». 
Detto questo fa per andarsene, ma io la trattengo dicendo: «Aspetta Gina...». 
Lei si ferma e si volta a guardarmi con sguardo poco disponibile. 
«Che vuoi Norman?» dice seccata. 
«Vorrei usufruire della mia ora di libertà». 
Lei mi guarda scettica e vagamente allarmata. Poi cambia espressione, le è venuto in mente qualcosa. 
Guarda l'orologio. «Lo sai che ore sono? Le sette di sera; l'ora libera può venire concessa solo dalle quattro alle sei. Dovresti saperlo ormai» conclude. 
Ma quella notizia non mi sconvolge, so benissimo dell'orario restrittivo, ma non intendo rinunciare al mio proposito di uscire.
«Questo lo so Signora Winby, ma ho un urgente bisogno di respirare aria fresca; dell'aria viziata ne ho saturi i polmoni» dichiaro.
Gina mi guarda con distacco e un sopracciglio alzato, poi subito risponde: 
«No Norman, non puoi». L'ennesimo rifiuto. Ne ho abbastanza. 
Urlo con tutto il fiato e la rabbia che ho in corpo. La donna mi guarda terrorizzata e si affretta a uscire dalla stanza. Ma io sono più veloce. Recuperato l'equilibrio e la forza, corro verso l'uscita. Spingo via l'infermiera che cade a terra gemendo dal dolore.
Nel corridoio non c'è nessuno... un'ottima occasione per evadere. Gina a terra inizia a urlare, a chiamare aiuto, a dare l'allarme; ma io sto già correndo via, lungo i corridoi che sembrano tutti uguali. 
Mi dirigo verso la porta che dà all'esterno, nella zona sorvegliata durante il giorno. Quando quella si apre, l'aria fresca è un totale sollievo per me. Respiro a pieni polmoni e mi lascio cadere a terra. Per un attimo mi sento libero. 
Sento l'aria fredda della sera, ghiacciarmi il sudore sulla fronte e l'erba umida mi bagna i vestiti... una sensazione unica. Chiudo gli occhi, crogiolandomi ancora un po' nel piacere. 
Nel frattempo sento delle voci lontane, segno che le guardie stanno tornando a prendermi. Almeno mi sono guadagnato qualche minuto di pace interiore; me lo merito. 
Apro gli occhi e osservo il cielo stellato, la luna fa da padrona lassù. 
Negli attimi che seguono, ecco che la porta d'uscita si spalanca, mostrando all'improvviso cinque o sei guardie armate di spara-tranquillanti. Vengo immediatamente circondato, senza darmi il tempo di guardare in alto un ultimo istante.
Mi ritrovo a ridere con gusto e gioia. Mi sento agguantare dalle spalle e tirato su di peso come un sacco di patate. Continuo a ridere, stranamente felice. Dev'essere l'effetto dell'aria circostante. 
Poi sento un colpo partire dalla pistola speciale e un ago si pianta nel mio collo. Mi hanno sparato un tranquillante. 
Le stelle si fanno più brillanti, la luna sembra addirittura sorridermi tristemente. I contorni degli uomini tremano. Ancora una volta, il buio e il vuoto mi risucchiano nel loro vortice infinito. 
Sapevo sarebbe andata a finire così, ma almeno ho ottenuto ciò che volevo. 
Adesso tornerò a marcire in quella cella maledetta, e torneranno a imbottirmi di schifezze, e continueranno a negarmi la mia ora di libertà. Del resto sono un pazzo, ed è così che vengo trattato.






























 
Spazio Autrice
Salve oh lettori adorati!
Non so come, ma improvvisamente l'ispirazione mi ha colto e tra un'idea e l'altra è uscita fuori questa specie di storia.
Per me è insolita, non me l'aspettavo nemmeno io. Quindi mi sorprendo di me stessa.
Devo dire che mi piace. Spero piaccia anche a voi, almeno un poco!
Grazie a chi ha letto e grazie a chi ha apprezzato!
Come sempre: spero in un commento o qualunque altra cosa vogliate farmi sapere!
Un saluto - Melinda Pressywig






 
  
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