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Autore: Naamah    03/09/2013    3 recensioni
Doveva essere un giovedì il giorno in cui si erano incontrati la prima volta. Doveva esserlo per forza, perché ricordava cosa aveva mangiato per colazione: uova strapazzate, solo l'albume con un pizzico di sale, due fette di pane bianco in cassetta senza crosta e un bicchiere di latte, e quella era la colazione del giovedì. Il giovedì era bianco. Era bianca la colazione, bianca la camicia che indossava, bianca la sua anima, come un foglio che attendesse parole per essere riempito... |Destiel|AU|
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balthazar, Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Doveva essere un giovedì il giorno in cui si erano incontrati la prima volta. Doveva esserlo per forza, perché ricordava cosa aveva mangiato per colazione: uova strapazzate, solo l'albume con un pizzico di sale, due fette di pane bianco in cassetta senza crosta e un bicchiere di latte, e quella era la colazione del giovedì. Il giovedì era bianco. Era bianca la colazione, bianca la camicia che indossava, bianca la sua anima, come un foglio che attendesse parole per essere riempito.

 

E c'erano le parole, sulla felpa che l'altro indossava quel giorno, ma erano parole troppo colorate e per Castiel quel giorno era bianco, così quando lui era sceso dalla metro Castiel aveva proseguito per un'altra stazione, per poi prendere il treno che lo riportasse indietro e arrivare con venti minuti di ritardo al lavoro.

 

La seconda volta che si erano incontrati era un sabato mattina, Castiel indossava la sua camicia rossa, marmellata di fragole su una fetta biscottata e succo d'uva per colazione, e quel ragazzo era davanti alla corsia del cibo in scatola a fissare una confezione di zuppa campbell e Castiel avrebbe voluto avvicinarsi, ma lui aveva una maglietta blu sotto la giacca di pelle e il sabato è rosso per Castiel. Così aveva girato il carrello ed era andato alla cassa, aveva pagato ed era tornato a casa con solo mezza spesa fatta.

 

La terza volta era un lunedì, e il lunedì è nero per Castiel, un caffè bollente e una sola sigaretta prima di uscire di casa, e c'erano troppi colori, troppe righe sulla camicia di quel ragazzo, e Castiel non aveva intenzione di fermarsi mentre camminava lungo il marciapiede, ma lui aveva alzato la testa e i suoi occhi erano sbucati da sotto la visiera del cappellino grigio e Castiel si era reso conto che non c'erano più colori, solo il verde di quegli occhi fissi nei suoi.

 

E lui aveva sorriso.

 

E Castiel aveva sorriso.

 

La quarta volta, fu la prima in cui sentì la sua voce. Era un martedì, Castiel aveva una maglietta arancione e un bicchiere di succo d'arancia tra le mani e beveva lentamente, a piccoli sorsi, cercando di non fissare i capelli corti del ragazzo, seduto pochi tavoli più in là. Non era solo, con lui c'era un altro ragazzo, i capelli più scuri e lunghi, doveva essere molto alto, viste le lunghe gambe rannicchiate a fatica sotto il basso tavolino. Castiel li vide scambiarsi qualche parola sottovoce e non riuscì a distogliere lo sguardo in tempo e il cuore gli fece una capriola, quando incrociò per un istante di nuovo quegli occhi verdi. Il ragazzo alto soffocò una risatina e sentì l'altro dirgli 'Finiscila Sammy!' allungandosi per dargli un pugno sul braccio e Castiel aveva finalmente una voce con cui poter parlare nella sua testa, la sera, prima di addormentarsi. Anche se non aveva ancora un nome.

 

E di nuovo giovedì, c'era la neve per la strada e Castiel pensò fosse perfetta. Camminava a passo svelto verso la metro senza guardare dove metteva i piedi e bastò un passo falso per perdere l'equilibrio e ritrovarsi addosso a lui; portava un giaccone bianco e un sorriso splendido e Castiel pensò fosse come la neve, ma le sue mani che lo aiutavano a rialzarsi bruciavano, anche attraverso i vestiti.

 

«Hey... tutto bene amico?»

 

«Sì... grazie! Sono solo inciampato. Credo di aver... invaso il suo spazio personale. Le mie scuse...»

 

«Nessun problema! Comunque io sono Dean. Dean Winchester»

 

«Castiel... Novak.»

 

E Castiel aveva finalmente un nome da sussurrare tra la veglia e il sonno.

 

Poi Castiel smise di contare le volte in cui incontrava per caso Dean.

 

Lo trovava la mattina sulla via per raggiungere la metro, prendevano lo stesso vagone sedendosi a qualche posto di distanza e scendevano un'ora dopo alla stessa fermata, diretti ognuno al proprio posto di lavoro, e la sera poi prendevano lo stesso treno, senza mai scambiare una parola a parte qualche timido saluto, appena un gesto della testa o un piccolo sorriso o un gioco breve di sguardi. Castiel era convinto che Dean non si ricordasse nemmeno di lui.

 

Era un mercoledì, succo di mela e un pullover verde, quando Castiel comprese che non erano affatto degli incontri casuali i loro, quando uscì dall'ufficio un'ora più tardi e trovò Dean sulla banchina della metro. Castiel avrebbe voluto avvicinarsi, parlargli, ma Dean portava una giacca grigia ed era mercoledì, così Castiel si strinse nel suo trench ed attese l'arrivo della carrozza a pochi metri da lui, senza nemmeno guardarlo.

 

«Cassy... mon petite bonbon... sei proprio un coglione!»

 

Castiel sbuffò alla cornetta del telefono che reggeva incastrata tra la spalla e il collo, mentre preparava qualcosa per cena. Da quando Balthazar si era trasferito a Lione a vivere con quella soprano, aveva iniziato a parlare francese anche con lui, lo trovava tre chique, come diceva a volte

 

«Da come lo descrivi, questo Dean sembra proprio un bocconcino! Lo incroci casualmente ovunque da mesi... gli cadi tra le braccia a volo d'angelo... ti aspetta per prendere assieme la corsa del ritorno, per un'ora e al gelo vorrei farti notare, e tu nemmeno un salutino! Cassy, mon Dieu! Sveglia tesoro!»

 

Le labbra di Castiel si strinsero nervose, passò la cornetta sull'altra spalla per dare solievo al collo, le conversazioni con Balthazar avevano la caratteristica di durare ore, fortunatamente chiamava lui almeno una volta a settimana così Castiel non era costretto ad accendere un mutuo per pagare la bolletta del telefono

 

«Non so Balth, magari mi sbaglio... forse quel giorno ha fatto tardi anche lui e...»

 

«Si, come no! E io stanotte ho avuto un menage a douze... e in mezzo c'era pure Scarlett Johansson! Castiel, sei il mio fratellino e ti voglio bene, ma non sei esattamente un tipo sveglio, quando si tratta di flirtare! Che deve fare questo Dean? Saltarti addosso e prenderti sui sedili della metro, con tutti gli altri passeggeri a guardare?»

 

Castiel deglutì a vuoto immaginando la scena; dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non avere un'erezione lì e subito, sarebbe stato imbarazzante, con suo fratello all'altro capo della cornetta

 

«Castiel, sei solo da tanto tempo... almeno prova a parlarci con questo Dean, chessò! Invitalo a bere qualcosa o...»

 

«Lo sai che non posso...»

 

Nel silenzio che seguì gli sembrò di vedere gli occhi azzurri di suo fratello maggiore rivolgersi al soffitto, c'era una nota di stanchezza nella sua voce quando Balthazar riprese a parlare

 

«Come sta andando la terapia?»

 

«Bene... sì, benino. Ora non ho più bisogno di vestirmi dalla testa ai piedi dello stesso colore. C-cioè... capita raramente, ormai...»

 

Ci fu ancora silenzio nella cornetta, solo il ronzio della linea, Balth faceva del suo meglio per non prenderlo in giro e Castiel apprezzò lo sforzo

 

«Sono felice per te...»

 

«Lo psicologo mi ha consigliato di prendere un animale da compagnia... pare faccia bene avere qualcuno di cui occuparsi...»

 

«Dovresti prendere altro... e per via...»

 

«Balth!»

 

«Ok, ok! Scusa... hai già pensato a che animale vorresti?»

 

«Non lo so... un gatto, magari. Dicono siano molto indipendenti e non soffrano la solitudine, io sono via quasi tutto il giorno e...»

 

«Balle! I gatti sono creature adorabili e hanno bisogno di compagnia e affetto! Soffrirebbe troppo nel tuo appartamento striminzito, solo soletto per quattordici ore al giorno!»

 

«Allora... magari un coniglio. Uno di quelli nani, o un criceto...»

 

«Così gli fai passare la vita in gabbia, a girare sulla ruota... sai che spasso!»

 

«E che cosa dovrei...»

 

«Tu? Un camaleonte, sarebbe perfetto!»

 

«Non credo che un rettile sia... oh, ho capito... ha-ha Balth! Molto spiritoso!»

 

Ascoltò suo fratello ridere di gusto e il cuore gli si alleggerì almeno un po'

 

«Ok, mon petit frère... ti lascio cenare in pace...»

 

Castiel sorrise

 

«Va bene Balth, dormi bene...»

 

«Dormire? Ma se qui sono appena le tre? Sei tu che vai a letto con le galline Cassy, io preferisco le belle pollastrelle...»

 

Stava per riagganciare, ma la voce di Balthazar lo richiamò dell'apparecchio

 

«Cassy!»

 

«Sì, che c'è?»

 

«... Penso davvero che ci dovresti provare, con questo Dean. Sei un ragazzo stupendo e meriti di essere felice e se gli piaci davvero vedrai che saprà incastrarsi tra tutte le tue paranoie e... Cassy?»

 

«Sì Balth?»

 

«... Ti voglio bene fratellino. Lo sai vero?»

 

Castiel respirò a fondo e chiuse gli occhi

 

«Ti voglio bene anch'io Balth...»

 

«Ok, adesso basta, o farai diventare checca anche me! Au revoir!»

 

Balthazar riappese il telefono e Castiel sorrise, c'era voluto l'oceano in mezzo e quasi un anno di lontananza perché suo fratello si decidesse finalmente a dirgli che teneva a lui.

 

Mangiò in silenzio sul divano guardando un programma sciocco alla televisione e andò a dormire poco prima delle undici, crollando appena toccato il cuscino.

 

Era ancora lo stesso mercoledì, quando Castiel fu svegliato dal bussare gentile alla sua porta. L'aprì e c'era Dean sulla soglia, giacca in pelle e la felpa con le parole, che morirono in bocca a Castiel nel trovarselo di fronte.

 

«Ciao... Cass»

 

Cass. Gli piaceva Cass? Gli piaceva. Tutto quello che usciva dalla bocca di Dean non poteva che piacere a Castiel. A Cass.

 

«Dean...»

 

Dean nervoso, quel sorrisino a metà sulle labbra perfette e la mano che ci passava sopra un momento

 

«Senti... penserai che sono pazzo... o uno stalker... insomma, presentarmi qui a quest'ora e...»

 

Gli occhi verdi che guizzavano insicuri. No, Dean non era nervoso. Era terrorizzato. E Castiel lo sapeva, lo sapeva perché anche Castiel era terrorizzato

 

«Non siamo nemmeno amici, noi due... sì, ci vediamo in metro la mattina... e la sera, qualche volta un saluto, un sorriso o uno sguardo, ma...»

 

«Conoscenti...»

 

«Come?»

 

«Si potrebbe dire che siamo... conoscenti, noi due...»

 

Castiel piegò la testa da un lato e strinse gli occhi, vide il pomo d'adamo di Dean danzare sulla sua gola per un attimo e desiderò poter posare la bocca su quel collo e salire, rubare ogni singola lentiggine con le labbra. Avrebbe baciato lievemente ogni centimetro di pelle, le palpebre chiuse, alternando ad ogni contatto quel nome che quando lo pronunciava sentiva riverberare nella propria anima, Dean... Dean... Dean...

 

«Esatto... conoscenti, sì...»

 

«Uhm...»

 

«Però... voglio dire, è proprio questo il punto. È per questo che sono qui in piena notte, Cass... Non so nemmeno se l'hai capito, sono mesi che faccio in modo di incontrarti per caso e... cerco il coraggio di parlarti, ma tu sembri sempre così lontanto e io non so cosa dire, a parole non sono bravo e... solo che non riesco a non pensare a te... ai tuoi occhi. Vorrei... io... non ce la faccio più ad aspettare... vorrei capire se anche tu... oppure no, ecco! Ma solo capire se tu, se io... possiamo... anche saltare tutte quelle cose, tipo hey come va, e l'imbarazzo e poi...»

 

Le parole uscivano veloci come una piena dalla bocca di Dean, ognuna finiva dritta nel cuore di Castiel allagandolo, credeva che gli sarebbe esploso nel petto se non avesse smesso di battere all'impazzata, così rimase immobile, le labbra socchiuse e la paura che, se avesse fiatato, Dean sarebbe scomparso nel nulla come una bolla di sapone; rimase fermo in piedi ad ascoltare finché l'altro non si fece silenzioso, gli occhi bassi a terra e il respiro corto. Poi Dean alzò di nuovo lo sguardo nel suo e il cuore davvero gli scoppiò tra le costole e faceva male ed era bellissimo allo stesso tempo, e tutto quel verde così intenso offuscava gli altri colori e Castiel, per un attimo, si scordò esistessero altri colori all'infuori degli occhi di Dean, finché l'altro riprese a parlare portandosi via il silenzio

 

«Forse mi sbaglio, cioè, non so se anche tu sei... ma...»

 

«... Sì.»

 

Dean lo guardò con i suoi occhi verdi e grandi, e di nuovo quel gesto della mano sulle labbra e Castiel voleva essere quella mano

 

«Sì... cosa?»

 

«Sì... tutto»

 

Rimasero immobili, occhi negli occhi, a pochi centimetri l'uno dall'altro, poi Dean fece un passo verso di lui e Castiel indietreggiò lasciandolo confuso un metro più in là

 

«Cass... io... scusa, forse ho esagerato. Magari è meglio se me ne vado...»

 

«No! N-no... io... vorrei ma... oggi è mercoledì...»

 

Dean non capiva, aggrottò le sopracciglia e lo guardò a lungo con l'aria di chi sta iniziando a sentirsi preso in giro

 

«E quindi? Il mercoledì non puoi... è una cosa religiosa forse?»

 

Castiel scosse la testa, il cuore a mille e le guance arrossate

 

«Non è questo è che... il mercoledì è verde e... io... sono incasinato Dean... sono molto incasinato e non so se tu... non posso chiederti di...»

 

Sembrò ancora più confuso Dean, poi abbassò lo sguardo e afferrò il bordo della propria felpa con le mani, fissandola per un momento pensieroso, come cercasse di ricordare qualcosa, e parve capire

 

«Il sabato... le volte che ti ho visto... indossavi sempre qualcosa di rosso... e nero il lunedì, di martedì invece...»

 

«... Arancione»

 

Finì per lui Castiel, quasi mormorando, sorpreso e colpito sia perché Dean ricordava cosa lui indossasse nei giorni in cui si erano incontrati, sia per aver trovato qualcuno che avesse capito così in fretta lo strano meccanismo che aveva in testa

 

«Che colore è il giovedì, Cass?»

 

«Co-come?»

 

«Il giovedì, di che colore è?»

 

«... Bianco»

 

Come la neve, come l'attesa e la pazienza, come la giacca di Dean la prima volta che si erano toccati, bianco come la faccia di Castiel, impallidito di colpo mentre lo guardava togliersi la giacca di pelle e la felpa e lasciarle sui gradini. Bianco come la leggera t-shirt che indossava Dean sotto i vestiti, Dean che tremava di freddo e lo guardava sorridendo, con il fiato che condensava in piccole nuvolette dalla sua bocca

 

«È mezzanotte passata, Cass. Ora è giovedì»

 

E Dean aveva sorriso.

 

E Cass aveva sorriso.

 

Dean aveva fatto un passo e Castiel era rimasto fermo ad aspettare le sue labbra.

 

Era giovedì e giovedì era bianco, per Castiel. Ma Dean aveva capito che sotto il bianco c'era altro, un colore oscuro, ma non era nero, perché il nero è piatto e senza fantasia; era il colore della paura, della rabbia inespressa, della gioia che cerca di scoppiare e della tristezza, ed erano tutti lì, a saperli cercare, amalgamati e confusi. E Dean aveva saputo cercare, aveva scavato a mani nude sporcandosi e graffiandosi la pelle con i cocci rotti dell'anima di Castiel ed ora c'era anche il rosso del sangue di Dean che si mescolava agli altri colori lì, nel fondo del fondo di Cass.

   
 
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