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Autore: kenjina    03/09/2013    2 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buon pomeriggio, miei adorati lettori e carissime lettrici!

Molti incontri, tanto per citare il romanzo, ci saranno in questo capitolo. Ma le presentazioni non finiranno qui. :)

Un gigante grazie a tutti coloro che leggono, commentano, preferiscono, seguono e ricordano. :)

Buona lettura!

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

06.

 

12 Settembre 3019 T. E.

 

La carovana di viaggiatori era ormai visibile anche ad occhio umano. Si muovevano con calma, ma i loro pesanti piedi e gli zoccoli dei pony sollevavano ugualmente un gran polverone. In prima linea cavalcava il Re, affiancato dai suoi migliori amici e dai nipoti. Nonostante fossero passati parecchi anni per la vita di un Nano, e neanche un battito di ciglia per un Elfo come lui, Legolas notò che Thorin non fosse cambiato poi tanto dall’ultima volta che si erano visti. Non aveva perso quel suo portamento regale e dignitoso che lo avevano contraddistinto in quella combriccola di Nani che era piombata a Bosco Atro, e se ben ricordava, non lo aveva perso neppure quando lo aveva minacciato con il suo arco.

Legolas sorrise, per nulla preoccupato dall’inevitabile scontro con il Nano. Sapeva che non sarebbe stato felice di rivederlo, neppure dopo tutto quel tempo; esso era infatti capace di serbare rancore fino alla fine dei suoi giorni, ma aveva letto anche una profonda saggezza in quegli occhi chiari e stanchi, e sperò con tutto il cuore che gli risparmiasse i suoi modi burberi e arroganti.

Raggiunse Gimli e Boromir, saltando da una rovina all’altra con agilità e leggerezza, e li trovò in quella che doveva essere stata una delle piazze principali della città, dove una fontana rotonda in disuso ne segnava il centro.

«Allora? Sono vicini? Stanno arrivando?» domandò Gimli, stringendo la sua ascia tra le mani callose e reprimendo a stento il suo entusiasmo.

«La tua attesa verrà presto ripagata, amico mio. Giungeranno in città in meno di un’ora. Thorin guida il gruppo, e tuo padre gli è accanto, insieme a Dáin II.»

Gli occhi del Nano brillarono di contentezza e rise, come non faceva da tempo. Rimasero in attesa, finché Legolas montò nuovamente il suo bianco cavallo, affiancando Boromir sul proprio, mentre Gimli rimase con i piedi ben saldi a terra. I tre si mossero verso l’entrata nord, al Cancello di Condir, seguiti dai soldati incaricati di tenere alto lo stendardo di Gondor, e andando incontro ai loro ospiti. Quando i cancelli si aprirono, il suono delle trombe li accolse e così i canti degli Uomini che diedero loro il benvenuto nella loro vecchia capitale. Boromir si ritrovò a respirare profondamente, orgoglioso.

Thorin fu il primo a smontare dal suo pony e si chinò davanti a lui, credendolo il Re di Gondor. Ma egli sorrise e, smontato anch’esso, si chinò a sua volta.

«Sono io che devo inchinarmi ad un Re, sire Thorin.» disse l’Uomo, portandosi una mano sul cuore. «Benvenuto a Gondor, nella bella Osgiliath. Io sono Boromir, figlio di Denethor II, Sovrintendente di Gondor, Capitano della Torre Bianca e di Gondor, e Signore di questa città.»

Il Nano alzò lo sguardo sull’Uomo. «Ebbene, sei regale quanto un re, Boromir, figlio di Denethor II, poiché sebbene non abbia una corona in testa, credevo di avere Re Elessar dinnanzi ai miei occhi. Ed egli deve riporre grande fiducia in te, a ben vedere dai titoli che seguono il tuo nome.»

«Il Re avrebbe voluto accogliervi qui, con me, ma lo incontrerete a Minas Tirith. Le difese dei confini lo tengono occupato. Purtroppo anche mio fratello, Principe dell’Ithilien, non è potuto essere presente, ma sarà felice di guidarti tra gli alberi della sua foresta domattina, se lo desideri.»

Thorin annuì, e spostò lo sguardo verso il Nano dalla barba ramata, ancora in ginocchio ai piedi del suo sovrano. «Gimli, figlio di Glóin, fierezza della nostra stirpe! Vieni qui e abbraccia un vecchio amico.»

Il padre si fece avanti e osservò con orgoglio il figlio, che ricambiava il gesto d’affetto del Re. «Ebbene, partisti quasi nove mesi addietro, e rieccoti qui, sulle tue gambe! Che Durin ti benedica, figlio mio!»

I due risero, commossi dopo la lunga lontananza e consapevoli entrambi dei pericoli che avevano corso durante quel periodo. Poi, Gimli si voltò verso Legolas e, puntellando l’ascia sul terreno, lo indicò ai Nani. «Mi rincresce doverlo ammetterlo, padre, ma queste corte gambe non camminerebbero più se non fosse stato anche per i miei compagni di viaggio. La mia ascia ha saggiato molto sangue nemico, ma anche l’archetto di quest’Elfo si è dato da fare.»

I suoi amici e parenti spostarono lo sguardo scettico su Legolas che, sceso anch’esso da cavallo, si portò una mano alle labbra, al petto ed infine verso loro, nel tipico saluto Elfico. Sopportò con deferenza lo sguardo pesante del Re dei Nani, che non diede il tempo a Gimli di terminare le presentazioni.

«Legolas, figlio di Thranduil, Principe di Bosco Atro. Come dimenticarti.» disse, mal celando il sarcasmo. «Mi stupisce che sia arrivato fino in fondo alla missione, Elfo, giacché credevo fosse abitudine della tua razza voltare le spalle agli amici al minimo segno di pericolo.»

Quello sorrise pacatamente, ripensando che, con il temperamento di qualche anno prima gli avrebbe risposto con una freccia puntata su quel naso grande e aquilino che il Nano si ritrovava in mezzo alla faccia. «E io sono felice di averti sorpreso, sire Thorin. Mi rincresce solo che la tua memoria rimanga ostinatamente ferma sul passato.»

«La mia memoria funziona perfettamente.» sbottò il Re.

«Non lo metto in dubbio, ma a quanto pare neppure gli anni ti hanno portato la saggezza che dovresti avere.»

Thorin mosse un passo verso l’Elfo, stringendo un pugno. «Non mi farò insultare dal figlio di un codardo.»

«Signori, per favore.» fece Balin, sollevando le mani in segno di resa. «Siamo in tempo di pace, non roviniamoci questo momento con vecchi asti, che superammo a tempo debito; tu e Re Thranduil chiariste molto tempo fa il rapporto tra le nostre razze. E hai forse già dimenticato del nostro fortuito incontro durante il viaggio, Thorin?»

Passarono secondi di tensione, dettati dagli sguardi impenetrabili dei due contendenti. Poi Gimli, resosi conto dell’aria pesante che era improvvisamente calata tra loro come le nuvole che solevano provenire da Mordor, tentò di salvare la situazione. «E comunque, vorrei far presente che qualsiasi cosa l’Elfo vi dirà sul numero di nemici che uccise, non credetegli. A meno che non sia io a vincere.»

«Chiaro!» rise Legolas, che gli batté una mano sulla spalla. Il cielo tornò limpido e tutti, Boromir compreso, tornarono a respirare regolarmente.

«Vogliate seguirmi verso il banchetto di benvenuto, signori miei.» fece il Sovrintendente, muovendo una mano verso la piazza, dove gli Uomini avevano apparecchiato un lungo tavolo ricco di carni arrosto, patate e frutta. La sola vista e il solo odore di quel ben di dio fece brontolare gli stomaci dei Nani, che si scoprirono improvvisamente affamati.

Prima di sedersi a tavola, Thorin terminò le presentazioni e prese posto accanto al Signore della Città. Il sole era alto nel cielo quando iniziarono a banchettare. Discussero molto sulla guerra che avevano dovuto combattere solo pochi mesi prima, e si scambiarono i racconti delle battaglie che li avevano visti protagonisti, da una parte e dall’altra. Thorin, udendo ciò che era accaduto alla Città Bianca, ringraziò il lavoro dei Nani per la solidità della roccia e della montagna su cui si erano rifugiati, per non aver subito la stessa sorte.

Ma gli animi erano lieti e rilassati, ora che erano giunti a Gondor dopo il lungo viaggio, cosicché i dialoghi si spostarono su racconti più sereni. E qualcuno di loro cantò anche, dopo qualche coppa di buon vino in più. Boromir brindò ai Nani e alla loro gentilezza, ringraziandoli più volte per essere accorsi in loro aiuto. E Thorin alzò a sua volta il calice, poiché l’amicizia tra Nani e Uomini era ben salda e il loro onore gli ordinava di rispondere alle richieste del loro giusto Re, così come era sicuro avrebbero fatto anch’essi nel momento del bisogno. Non ci fu bisogno di lanciare l’ennesima occhiata di disprezzo all’Elfo, per fargli intendere che era quello il modo in cui gli alleati si comportavano solitamente.

Terminato il pranzo, Boromir lasciò i suoi ospiti a riposare, poiché erano stanchi. Solo Gimli e Legolas, strattonato dall’amico, rimasero in compagnia di Balin e del padre. Kili, d’altronde, conoscendo l’abilità degli Elfi con l’arco e le frecce e ricordandosi quella del figlio di Thranduil, gli domandò se un giorno avessero potuto allenarsi insieme.

«Sai che lo zio ti ucciderà, per questo?» gli domandò il fratello.

L’altro annuì, con un sorrisino divertito sulle labbra. «Oh, sì. Ma per quel momento sarò allenato abbastanza bene da sapermi difendere. Giusto, Elfo?»

«Ma certo, mastro Nano. E anzi, ti costruirò un arco se ti dimostrerai all’altezza dei miei insegnamenti.»

Fili ridacchiò. «Ora è sicuro: se rimpiazzerai il suo arco, lo zio ti ammazzerà, ti riporterà dalla terra dei morti e ti ammazzerà di nuovo, solo per il gusto di farlo.»

 

Thorin, nella sua lunga vita, non aveva mai visto una tale bellezza architettonica per mano di Uomini. Nonostante fosse in completa rovina, riuscì a percepire la maestosità di quegli archi distrutti, di quelle torri crollate, di quelle pietre spaccate un tempo finemente lavorate. Sfiorò la superficie di un muro e ne assorbì l’energia e la sua storia: raccontava di musica, di orgoglio, di battaglie combattute fino all’ultimo Uomo. Thorin sentì il peso di quell’incarico sulle spalle e il desiderio di riportare quella città ai suoi fasti originali, o addirittura oltre, si fece pressante e si sentì pervadere dall’adrenalina. Solo l’attesa prima di una battaglia e la sensazione di stringere l’ascia tra le mani, equivaleva a quella del martello che batteva sull’incudine, poiché lavorare la pietra e i metalli, per un Nano, era motivo di orgoglio, era qualcosa scritto nel suo sangue dal momento della sua nascita.

Camminò ancora un poco, osservando le rovine al chiaro di luna e scorgendo la bianca sagoma di Minas Tirith che sorgeva dal Mindolluin. Avrebbe dovuto attendere un paio di giorni prima di raggiungere la Capitale di Gondor e, guardando la Città di Pietra che pareva maestosa anche da una grande distanza, si sentì fremere di eccitazione. Non ne aveva mai parlato con nessuno, ma da quando aveva letto e immaginato la grande città degli Uomini, aveva sperato di poterla visitare, un giorno. Purtroppo, o per fortuna, gli affari del Nord lo avevano tenuto lontano dal suo desiderio.

Thorin tornò in direzione dell’accampamento. Gli Uomini avevano sistemato il suo letto e quello dei suoi amici in quella che un tempo doveva essere l’armeria; dell’edificio rimanevano solo quattro mura e qualche colonna al suo interno, ma il primo piano era crollato tempo addietro, e così il tetto – che era stato rimpiazzato da una tenda sfoggiante lo stemma di Gondor. Così, mani dietro la schiena e viso pensoso, attraversò Osgiliath, ma si fermò a metà strada quando scorse la famiglia dai capelli rossi; erano seduti su alcuni capitelli rovesciati sul lastricato in rovina, e si accorse che fossero in compagnia. Si fermò a pochi passi di distanza, nascosto dietro una colonna, sentendo la rabbia e la voglia di rivalsa insinuarsi nel suo cuore, non appena si rese conto di chi fosse l’altro.

Legolas era calmo e sereno, e nonostante Thorin fosse sicuro che l’avesse sentito arrivare, non fece niente per fargli capire di averlo scorto. Continuava a parlare con i Nani, e trovò strano che stessero usando la lingua corrente per conversare, invece che l’Elfico. D’altronde, avrebbero dovuto conoscere la lingua dei loro avi.

«Sì, ebbi la fortuna di incontrare la vostra lontana parente. Ainariël la Gemma Rossa, viene chiamata. Venne nel regno di mio padre qualche tempo fa, e soggiornò da noi per parecchi mesi. Le somigli molto, dama Trán.» aggiunse l’Elfo.

Nonostante la fioca luce notturna, Thorin la vide arrossire.

«Temo che il mio sangue si sia mischiato troppe volte, per aver ereditato i suoi lineamenti.» fece lei in risposta. «Ma non ho mai avuto l’onore di conoscerla, quindi non posso dirti se menti o no.»

«In tal caso fidati di me, non mento.»

La Nana sorrise, e nessuno parlò per parecchi minuti. Rimasero in silenzio, così Thorin, che non avrebbe potuto muoversi senza essere scoperto finché uno dei due non avesse ripreso a parlare. Poi finalmente Legolas spezzò il silenzio, ma il Re decise di restare, giacché l’argomento della discussione si fece interessante.

«Come ben sapete, Nani ed Elfi non sono due razze nate per andare d’accordo; eppure la Gemma Rossa e il vostro lontano parente si innamorarono, si sposarono e crebbero una famiglia insieme. Potete ben immaginare cosa ne derivò, tra Elfi e Nani. Le malelingue non si risparmiarono certo, e dovettero sopportare offese di ogni tipo. Immagino che, nonostante il tempo, ciò non sia cambiato.»

Fu sempre Trán a prendere parola, con sommo stupore di Thorin; aveva ben capito che fosse poco loquace in presenza di persone che non conosceva bene; ma quello che aveva davanti era un Elfo, era ovvio che lo considerasse parte della famiglia.

Lei scosse il capo, sorridendo tristemente. «Le tre generazioni che seguirono quell’unione hanno dovuto sopportare ben peggio, credo. Il frutto di un amore simile è blasfemia, e delle volte pare che sia colpa mia, dei miei fratelli e di mio padre se gli Elfi – beh, se tuo padre non si presentò in battaglia quando noi ne necessitavamo – e addirittura, avete tentato di appropriarvi del tesoro di Erebor. Sire Thorin è un Nano e in quanto tale orgoglioso e possessivo nei confronti delle sue ricchezze. Raramente i Nani chiedono aiuto in battaglia, quindi puoi ben capire cosa significò per lui rivolgersi a voi. La vostra risposta negativa incrinò il suo orgoglio e ancora oggi ne pagate le conseguenze. In più, Erebor e ciò che vi era dentro gli fu tolto ingiustamente, e quando si vide non uno, bensì due eserciti che la reclamavano, andò giustamente su tutte le furie.»

«Le scelte di un capo a volte sono dolorose e difficili, mio padre questo lo sa bene. E anche quella volta ponderò a lungo la sua decisione, prima di agire. Non fu per il risentimento di non aver ricevuto i gioielli che commissionò a Re Thráin, che pagò ma che non vide mai; la sua decisione giunse perché capì che neanche il suo esercito avrebbe potuto fermare il Drago – sarebbe stata una carneficina, e preferì evitarla. Ma l’azione di uno non deve implicare necessariamente quelle degli altri. È ciò che i Nani non comprendono ancora.»

«O non vogliono comprendere. Non vi è peggior sordo di chi non vuol udire, purtroppo.» replicò Káel.

La gemella si strinse le gambe al petto, poggiando il mento sulle ginocchia. «Io non biasimo sire Thorin per il suo rancore, né posso obbligare lui e la sua gente ad accettare il mio sangue Elfico. Vorrei solo essere rispettata, così come la mia famiglia rispetta loro. E poi, anche se siamo più alti della norma e non abbiamo l’aspetto di un Nano purosangue, è a questa razza che apparteniamo. Sono nata dentro il ventre di una montagna da due Nani, ho lavorato il ferro, mio padre e i miei fratelli hanno combattuto davanti alle porte di Erebor. Cosa c’è che non fa di me una Nana? Con tutto il rispetto per la tua razza, beninteso.»

Legolas rise. «Nessuna offesa. E detto tra noi, sono felice per te che non somigli ad una Nana, Trán. O si farebbe fatica a distinguerti da un maschio.» aggiunse a voce bassa, per non farsi udire dall’ospite indesiderato che origliava a pochi piedi di distanza. I fratelli risero, e con loro anche lei.

Thorin non riuscì a decifrare ciò che provò nel sentirla parlare così di lui, come se lo conoscesse da una vita; poiché nonostante il loro rapporto fosse ambiguo e sul filo di una lama, non si erano mai fermati a parlare di ciò che avevano dovuto vivere nel passato. Eppure rifletté sulle sue parole e le trovò sagge, inadatte ad una bocca così giovane – e soprattutto, terribilmente veritiere. Come aveva fatto una Nana-per-metà a capire il dolore e l’affronto che lo avevano colpito in quegli anni a causa degli Elfi? Cosa poteva saperne, lei, dell’orgoglio Nanico e dell’amore per il proprio tesoro che gli era stato portato via senza motivo e con un incredibile spargimento di sangue e sofferenza?

«Come avete fatto?» domandò Káir, curioso. «Intendo, come avete fatto tu e il Nano a diventare così amici?»

L’Elfo sorrise, ripensando a tutti i pericoli e le gioie che avevano condiviso insieme – e i bisticci infiniti. «Avevamo un motivo per combattere la stessa guerra. Arriva un momento, nella tua vita, in cui capisci che devi mettere da parte tutti i rancori e l’orgoglio che ti hanno avvelenato l’anima, se vuoi compiere qualcosa di buono. Non nego che sia stato difficile convivere, nei mesi passati, anzi! Ma dovevamo guardarci le spalle in ogni istante, o farci forza nel dolore. Il tempo è la risposta per ottenere la fiducia dell’altro.»

Thorin sospirò pesantemente. Neanche il tempo gli avrebbe fatto cambiare idea sugli Elfi, di quello ne era sicuro. Nonostante avesse firmato una tregua con il padre di quel damerino dalle orecchie a punta, la sua opinione sarebbe rimasta tale e quale finché sarebbe morto.

«Ti hanno mai detto che spiare è per le comari di paese, mio Re?» domandò Dwalin, che nonostante avesse parlato a bassa voce, fu udito chiaramente dai conversanti.

Thorin lanciò un’occhiata verso il gruppo, che guardava sospettoso nella sua direzione. Maledì a denti stretti il tempismo dell’amico e, preso per un braccio, lo trascinò lontano.

«Non spiavo. Ho udito il mio nome e ho pensato che fosse bene capire perché lo avessero fatto.»

L’occhiata dell’amico non sembrò convinta, ma Thorin non aggiunse altro in sua difesa. Poiché non vi era alcun motivo di difendersi.

«Ebbene,» fece Dwalin. «stavano complottando con l’Elfo per toglierti di torno, o si lamentavano del buio delle montagne paragonato alle verdi foreste?»

Thorin, raggiunto il suo giaciglio, si sedette pesantemente, poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Fili e Kili erano già profondamente addormentati sulle brande accanto alla sua e russavano come se non ci fosse stato un domani. «Discutevano sul da farsi, niente di interessante, infine.», mentì.

Si sdraiò, dopo aver tolto la pesante giacca imbottita di una sottile cotta di maglia e gli stivali; osservò il movimento placido della tenda sopra la sua testa, e lo stemma di quel Regno gli parve più brillante che mai sotto la luce della luna.

Ripensò alle parole della ragazza, ancora irritato e incredulo per ciò che aveva udito. Ma in cuor suo, in un angolo remoto del suo cuore, sentì un flebile fastidio che gli stava bruciando l’anima lentamente e discretamente; poiché capì di cosa si trattasse e si ritrovò a stringere i pugni con forza. L’aveva sentita parlare in sua difesa, pronta a capire i motivi che lo avevano portato a detestare incontrollabilmente gli Elfi e la loro stirpe; eppure mai, durante quel lungo viaggio, aveva dato prova di comprensione nei suoi confronti; anzi! E mentre quasi tutti coloro della sua ristretta cerchia di amici avevano accettato il fatto che fossero con loro, lui era rimasto ostinatamente distante da qualsiasi forma di dialogo; l’unico di quel gruppo con cui aveva scambiato volentieri più di due parole, senza insultarsi, era il gemello della ragazza. Neanche dopo quella notte spesa a galleggiare sull’Anduin, a stretto contatto l’uno con l’altra, era servita ad avvicinarli; col senno di poi si era chiesto se non fosse stato stupido ed avventato, da parte sua. Voleva solo togliersi quel peso che sentiva nei suoi confronti, per averlo protetto.

Aveva capito perché lei fosse così restia e distante nei suoi confronti, e ciò non poteva che mandargli in ebollizione il sangue nelle vene.

Lei attendeva delle scuse, e lui e il suo orgoglio non erano pronti a dargliele.

Si girò su un fianco, chiudendo gli occhi e tentando di prendere sonno; eppure, la sola idea che potesse provare gelosia per non aver ricevuto la giusta considerazione gli impedì di dormire per parecchio. Non che ne necessitasse come l’aria per respirare; non aveva bisogno della comprensione di una persona che non aveva vissuto gli orrori e il dolore che invece lui e la sua gente avevano dovuto patire. Ma lui era il Re ed esigeva rispetto.

Kili, poco distante, russò con più forza. Subito dopo si udì un tonfo e, appena si voltò per capire cosa fosse successo, trovò il nipote a terra, ancora rintronato dal sonno, mentre l’altro si rimetteva a letto.

«Scusa zio, dovevo farlo. Ha svegliato persino me!» fece Fili,  dopo uno sbadiglio. «Buona notte.»

Thorin non nascose un sorriso. «Bada a non fare la stessa fine. Dormi b–»

Non fece in tempo a finire la frase, che Kili era già saltato sulla branda del fratello, per fargliela pagare. Ogni possibilità di trovare riposo, quella notte, sembrava ormai lontana.

Quando finalmente riuscì ad addormentarsi in un sonno senza sogni, mancavano ormai poche ore all’alba.

 

 

13 Settembre 3019 T. E.

 

I lavori iniziarono presto. C’era talmente tanto da compiere che Dáin II, guardandosi intorno, quasi non seppe neppure da dove cominciare. Osgiliath era un mucchio di rovine, e sebbene gli Uomini avessero dato inizio ai lavori mentre loro erano ancora in viaggio, era consapevole che i prossimi mesi sarebbero stati sfiancanti. Ma la mole dell’incarico non lo spaventava certo, e anzi: lo eccitava oltremodo.

Così, affiancato da Dwalin, che non aspettava altro, svegliò tutti i suoi lavoratori a suon di calci e secchiate d’acqua. Presto l’accampamento fu sommerso da un brusio di lamenti in Khuzdul, troppo poco eleganti per essere tradotti.

«Avanti, Nani dei Colli Ferrosi e della Montagna Solitaria! Fate colazione, prendete energie e poi al lavoro!» gridò, salito su una pietra che usò come piedistallo. «Voglio che metà di voi si rechi all’imbocco del fiume a Sud, per aiutare gli Uomini nel trasporto della pietra; impilate il materiale fuori le mura. L’altra metà con me, prepariamo le officine di lavoro. Rulin, voglio che tu, i tuoi apprendisti e i tuoi figli Tarón e Káir facciate un giro di ricognizione, prendiate rilievi e iniziate a disegnare il progetto. Mi aspetto grandi cose da voi.»

Il Nano si inchinò al cospetto del suo Re, drizzando poi orgogliosamente la schiena. «Non ti deluderemo, sire Dáin. Non lo abbiamo mai fatto.»

L’altro gli diede una poderosa pacca sulla spalla e sorrise. «Lo so bene, amico mio. Al lavoro, dunque!»

Thorin, che stava in piedi poco distante con le braccia conserte, lanciò una rapida occhiata ai figli del carpentiere, fieri del loro padre e dell’alta considerazione che Dáin avesse di lui. Spostò immediatamente la sua attenzione verso gli Uomini, quando si accorse che un paio di occhi azzurri lo osservavano con soddisfazione; con quello sguardo, il primo che gli rivolgeva dopo tanti giorni, Trán sembrava volergli dire: hai visto dove è in grado di arrivare un Nano-per-metà?

Si sedettero al banchetto allestito il giorno precedente, e fecero colazione con abbondante frutta, pane, burro e marmellate. Alla vista dei funghi, Kili sorrise.

«Ah, se solo Bilbo fosse qui! Tutto questo gli sarebbe piaciuto.»

«Meglio che non ci sia lo Hobbit, invece.» replicò Dwalin, addentando una mela. «O Bombur, se capite cosa intendo.»

Fili e Kili scoppiarono a ridere, e così tutti coloro che conoscevano il loro grasso amico.

Thorin si voltò verso Gimli. «Così anche tu hai avuto il piacere di conoscere la razza degli Hobbit?»

«Oh, sì. Quei piccoli mascalzoni!» Il Nano dalla barba ramata si lasciò sfuggire un sorriso. «Merry e Pipino sono tremendi quando si tratta di cibo. Non so questo Bilbo di cui parlate, ma vi assicuro che mangiano per un intero esercito.»

«Posso assicurarti, mio caro amico, che il Bilbo di cui si discute – almeno quando era più giovane – fu in grado di svuotare l’intera dispensa da solo, quando s’intrufolò nel regno di mio padre.» fece Legolas. «Anche se sono sicuro che non fu così avaro da mangiare da solo.»

Thorin sentì addosso lo sguardo dell’Elfo, che sorrideva come se sapesse. Scosse il capo, ripensando a quei giorni che gli parevano così lontani. Se non fosse stato grazie a quello Hobbit che aveva la capacità di comparire e sparire nel giro di un battito di ciglia, loro sarebbero probabilmente morti. E, a quanto pare, era stato proprio per opera di quella piccola gente che la Terra di Mezzo ora era salva dal pericolo del Male.

«E dove sono questi Hobbit di cui parlate?» domandò Kili. «Mi piacerebbe conoscerne altri.»

Boromir sospirò, con un po’ di rammarico. «Ahimè, sono tornati verso la loro bella e lontana terra. Solo i Valar sanno quanto quei piccoletti mi manchino!»

«Capisco cosa provi in questo momento, messer Boromir.» fece il Re Sotto la Montagna. «Perché è esattamente ciò che sento anche io. Mi vergogno di quello che dissi allo Hobbit la prima volta che lo incontrai, e anche le successive. Lo sminuii, perché non credevo nelle sue capacità. Ma mi sorprese in più di un’occasione, e capii che la vera forza non sta nella portata del braccio, ma in quella della mente e del cuore. Se tutti gli Hobbit della Contea sono come coloro che abbiamo avuto la fortuna di incontrare, allora la Terra di Mezzo dovrebbe esserne invasa.»

Boromir annuì con un sorriso e decise che, prima di partire con la scorta di Thorin verso il fratello, avrebbe scritto un messaggio ai suoi vecchi e lontani amici.

E mentre il Re e i suoi più stretti compagni si preparavano per la visita di piacere alla foresta di Faramir, Legolas si avvicinò silenziosamente a Trán. Si accorse di lui solo quando se lo trovò seduto accanto, mentre lei era intenta a ricucire una maglia del fratello.

«Vorresti venire con me e Gimli nell’Ithilien? O i tuoi doveri ti chiamano?»

«Io, Káel e Trión andremo a Minas Tirith, non lavoreremo qui. Ma ti ringrazio, messer Legolas, non posso comunque unirmi a voi.»

«Perché no?»

«Perché solo le persone importanti sono state invitate.» Trán si strinse nelle spalle. «E che io sappia, non sono né la dama di corte, né la nipote del Re.»

«Non ti reputi importante? Mi deludi, figlia di Rulin. Egli è il carpentiere di fiducia di Re Dáin II.»

Lei ridacchiò, scuotendo il capo. «Non sarei ben accetta comunque. Re Thorin non ne sarebbe felice.»

«Non puoi saperlo. I suoi nipoti, comunque, lo sarebbero. E anche io.»

Trán guardò con sospetto l’Elfo, ma non fece in tempo ad aggiungere altro, poiché i fratelli più esuberanti che avesse mai incontrato le balzarono davanti, rischiando di farla pungere con l’ago per lo spavento.

«Dunque, sei pronta per la gita?» chiesero in coro.

La Nana scambiò un’occhiata con Legolas, che rise.

«Devo prima chiedere il permesso a mio padre.»

Fili le strizzò un occhio. «Il tuo vecchio è sistemato, Kili ha appena finito di parlarci. Allora, cosa rispondi?»

Rulin, che aveva osservato la scena dalla sua postazione di lavoro, sorrise alla figlia e le fece cenno di andare e divertirsi un po’. Era preoccupato per l’umore instabile della sua bambina, che era diventata taciturna e scortese dopo la morte della madre; ma aveva anche notato che l’amicizia che stava nascendo tra lei e i nipoti di Re Thorin le stava giovando al viso, che era tornato quello spensierato di un tempo.

«D’accordo, mi avete convinta. Verrò con voi.» si arrese, infine, alzando le braccia al cielo. «Ma ad una condizione. Káel ci accompagnerà, e anche Trión; non posso lasciarlo solo.»

«E sia! Ci stanno già aspettando.» disse Fili. «Ora, prendi le tue cose e vieni con noi. Si parte tra mezzora.»

Trán non seppe definire con esattezza a quali cose si stessero riferendo, ma afferrò la sua piccola sacca a tracolla e ci infilò un paio di mele e la borraccia d’acqua. Li seguì verso l’accampamento dello zio, dove trovarono il gemello e il fratellino, Gimli e Boromir in compagnia del Re, Balin e Dwalin. Quest’ultimo non badò troppo alla presenza della ragazza, sebbene non gli disturbasse più come all’inizio, dopo l’inconveniente della freccia; ma il fratello, invece, parve ben felice di averla tra loro e la salutò con un caloroso sorriso.

Thorin non interruppe la discussione intavolata con i suoi amici, ma fissò insistentemente la ragazza. Trán gli concesse solo qualche secondo del suo sguardo, per poi riversare la sua attenzione su Trión. Detestava essere ignorato, soprattutto da qualcuno che invece aveva la sua piena attenzione; si avvicinò a Kili, le mani intrecciate dietro la schiena, e abbassò lo sguardo sul nipote quando gli fu accanto. «Esattamente, cosa ci fa lei qui?»

«Viene con noi. Insieme ai fratelli.»

La candida risposta del ragazzo lo fece sospirare. «Mi era parso di capirlo. Allora, perché è qui?»

Kili riconobbe quel tono di voce irritato e temette per la sua incolumità quando gli rispose. «Perché io e Fili glielo abbiamo domandato. E anche l’Elfo. Spero non sia un problema, zio. Pensavo che le cose andassero meglio tra voi, dopo che... beh, vi ho visti l’altra notte... in acqua, mezzi nu–»

A quelle ultime parole, Thorin lo fulminò con i soli occhi e Kili avrebbe preferito rimangiarsi la lingua pur di non aver parlato; neppure Smaug sarebbe stato in grado di incenerirlo così. «Kili, devo ricordarti cosa dissi a te e a tuo fratello riguardo gli Elfi? E in particolar modo quell’Elfo

«Sì, che sono persone di cui non ci si può fidare e che dobbiamo girargli alla larga.» ripeté il giovane Nano. «Ma zio, Legolas è diverso da quello che incontrammo anni fa. È cambiato, così come lo sei tu e lo sono io.»

«Gli Elfi non cambiano. Hanno un’eternità per farlo, ma non cambiano.» scandì bene l’altro. «Non mi ripeterò una seconda volta: non voglio che tu e tuo fratello lo frequentiate.»

«E... Trán? I suoi fratelli? Loro possiamo frequentarli?»

Thorin sospirò. La osservò con la coda dell’occhio mentre chiacchierava con un impacciato Gimli. «Mi ricordo dei fratelli in battaglia, sono abili combattenti e meritano il mio rispetto. E anche lei, nonostante tutto.» aggiunse, in un borbottio. Kili sorrise gioioso e Thorin non poté che scuotere il capo.

Quando il nipote si allontanò, Balin prese il suo posto. «Non posso credere che lo abbia detto sul serio.» lo rimproverò. «Nonostante tutto? Thorin, devi davvero spiegarmi quale sia il problema.»

«Il problema, amico mio, è che non mi piace il suo atteggiamento. Non mi porta il necessario rispetto, e lei non avrà il mio. E nonostante si sia rivelata utile durante il viaggio da Erebor, ella è infima perché mi sta rubando ciò che amo di più.»

«A parte l’orgoglio, non mi pare stia rubando alcunché. Suvvia, non fare lo sciocco, mio Re. Non perderai mai Fili e Kili per colpa di un’innocente ragazza, anzi: più tu impedirai loro di stare in sua compagnia, più loro s’intestardiranno. Allora sì che rischieresti di perderli.» Balin gli sorrise, stringendo una mano sulla spalla contratta del Nano. «Ma dimmi, amico mio, poiché credo di aver perso qualche passaggio: cosa ha visto Kili, la notte scorsa?»

Thorin alzò gli occhi al cielo e non rispose, preferendo allontanarsi da quelle domande scomode e cacciando indietro lo strano imbarazzo che iniziava a provare nell’essere stato scoperto. Era stato davvero avventato ad offrirle il suo aiuto, quella notte; era stato spinto da una debolezza che non provava da tempo, quella che lo spingeva a preoccuparsi delle persone a lui care; quella che lo rendeva uno zio affettuoso e desideroso di insegnare ai suoi nipoti tutto ciò che sapeva. Ma lei cos’era? Non certo una nipote, né una lontana parente. Era solo un’estranea; una scorbutica e permalosa estranea. Voleva cercare di riparare qualsiasi cosa si fosse incrinato tra loro, e non sapeva neppure lui il perché. Ma non aveva funzionato e, si promise mentalmente, di non infilarsi più in situazioni ambigue come quella.

Quella ragazzina non meritava le sue attenzioni.

 

 

*

E finalmente in Nani sono giunti a Gondor! Ora iniziano le danze, ho tante sorprese in serbo per loro – e per voi. ;)

Grazie a chiunque si sia fermato... siete la mia gioia. :)

Alla prossima settimana!

Marta.

   
 
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