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Autore: marine the racoon    03/09/2013    5 recensioni
è la storia di una vittima di SlenderMan, solo che questa, dopo essere uccisa, si trasforma in un essere oscuro che desidera solo vendetta per lei e per i bambini morti e uccisi da lui
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Slender man
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Quel giorno faceva caldo. Lo ricordo ancora. Il sole splendeva su di me, illuminando i miei lunghi capelli color rosso fuoco, muovendosi nella brezza in dolci boccoli, facendo brillare i miei occhi di un intenso azzurro cielo.
Il sole riscaldava la mia pelle diafana, bianca latte, colorando le guancie di rosso per il caldo.
Ero una bambina di 10 anni, non conoscevo ancora bene la malvagità che permea il mondo, e, quel giorno, decisi di giocare in giardino. Giocai con una bellissima palla gonfiabile e multicolore.
La mia casa era piccola ma confortevole. A volte, di nascosto, ci torno ancora. Rivedo quei muri color crema, e ricordo quando ci disegnai. I miei genitori si arrabbiarono molto. E la cosa che fu la mia disgrazia, invece, era il bosco. I miei genitori mi dicevano di non andarci mai senza di loro, e io obbedivo sempre, fino a quel giorno. La palla rotolò lì dentro, e io la seguii. Quando riuscì a riprendere la palla, notai che mi ero allontanata molto da casa, così tornai indietro. Ma dopo un’ora che, sperduta, giravo tra gli alberi, mi resi conto che non sarei riuscita a tornare a casa così facilmente, non senza un aiuto. Mi venne da piangere per la paura. Il bosco di per se non faceva paura, era ancora giorno, e alcuni raggi filtravano tra gli alberi raggiungendo il suolo, rendendo il tutto di una tonalità oro, era il fatto che mi ero persa e forse non sarei mai riuscita a tornare a casa che mi spaventava. Mi appoggiai ad un albero, stanca.
D’improvviso i rami si mossero, insieme alle loro ombre. C’era qualcuno lì con me, ma prima non me ne ero accorta. Vidi solo ombre e rami che si muovevano, e la cosa mi spaventò molto. Da dietro degli alberi spuntò un essere in giacca e cravatta. Essere è il termine più adatto, perché era alto, molto alto, e aveva delle lunghe braccia, inermi, che gli arrivano poco oltre la vita. Il volto era vuoto, senza occhi, né naso, né bocca, l’unica cosa che rimaneva di questi tre era la cavità degli occhi, la linea del naso e una fessura al posto della bocca. Giacca, pantaloni e scarpe erano neri, la cravatta rosso sangue. Era molto magro, sembrava anoressico, con le guance incavate. L’essere si avvicinò, ma io rimasi ferma, stringendo saldamente la palla in mano, per cercare protezione. –Ciao piccola, ti sei persa?- chiese molto gentilmente l’uomo alto. Non apriva nessun tipo di bocca, eppure riusciva a comunicare con me. Non capivo come ci riusciva. Intanto, l’uomo stava aspettando una risposta, così mi affrettai a rispondere:-Si, signore-. L’uomo annuì, si guardò intorno, come se non riconoscesse il luogo dove erano, poi si riconcentrò su di me. –Qui intorno non ci sono case, da dove vieni?- -Da casa mia, signore- -E quale?- Una casa color crema-. L’uomo sembrò riflettere per un attimo, poi chiese:-È piccola?- Si - -Ha due piani collegati dall'esterno?- -No- -Allora ho capito a quale casa ti riferisci, seguimi- e, senza aspettarmi, si inoltrò nel bosco. Scattai in piedi e lo rincorsi, urlandogli di fermarsi. Quando lo raggiunsi, gli presi una di quelle manone che teneva lungo i fianchi, e lui diminuì la sua falcata. Dopo un’ora arrivammo al limitare del bosco, davanti casa mia. Ringraziai l’uomo che mi aveva riportato lì, e corsi in giardino. La casa, essendo lontana dalla città più vicina, non ha cancelli o palizzate, solo le inferiate di ferro alle finestre. Prima di rientrare in casa, guardai verso il bosco, e lo vidi ancora lì. Sembrava fissarmi sorridendo. Rientrai in casa, e venni sgridata dai miei genitori, perché mi ero allontanata da sola. Allora, non capì che quel “sorriso” era un sorriso malvagio. Anzi, trovai quell'uomo simpatico, così il giorno dopo, quando i miei erano a lavoro, tornai nel bosco.
Come il giorno prima, ci furono movimenti d’ombre e di rami, e poi spuntò dal nulla. Gli chiesi di giocare con me. Lui accettò. Giocammo a nascondino. Lui era molto bravo, mi trovava sempre. Tutt'ora mi chiedo come faccia. A forza di giocare, arrivò l’ora di tornare a casa. Stavolta seppi trovare la via, anche se, tornando, lui mi seguì. Si fermò, come l’ultima volta, ai margini del bosco, e continuò a “fissarmi”. Lo salutai con la mano ed andai a fare i compiti delle vacanze estive. I miei tornarono mezz'ora dopo, inconsci di quanto accaduto.
 
 
Anche nei giorni seguenti ritornai là, a giocare con l’uomo in nero. Una volta, mentre facevamo una pausa per il troppo correre, gli chiesi:-Come ti chiami?- -Ho dimenticato il mio nome. Tutti mi chiamano SlenderMan-. Annuì. –Perché sei così magro?- -Non lo so- -Come fai a parlare se non hai una bocca?- -La mia bocca è questa- disse, indicando la fessura nera –e per parlarti, beh, è un mio potere- -Perché sei così bianco?- -Perché sei così curiosa?-. Scrollai le spalle. –Non lo so. Mi incuriosisci. Non mi fai più paura- -All'inizio te ne facevo?- -Si, ma ora ti voglio bene- dissi, abbracciandolo. Lui non rispose al mio abbraccio, ma disse:-Vuoi venire domani con me? Ho trovato, nel mezzo del bosco, un luogo molto bello- -Nel mezzo del bosco? Ma poi non farò tardi?- -Abbiamo già giocato da quelle parti, ma non hai fatto tardi- -….- -E poi, se tu facessi tardi, ti prenderei in braccio e, correndo, arriveremo in un attimo a casa tua-. Allora annuì, sorridendo, e tornammo a giocare.
 
 
Era sabato quando SlenderMan, fece quella proposta, e il giorno dopo fu domenica, così non potei andare da lui. Ma il giorno dopo, appena i miei uscirono, corsi più veloce che potevo nel bosco, felice. Non dovetti fare tanta strada, che lui arrivò. Sembrava felice di vedermi. Mi fece cenno di seguirlo, e io obbedì.
Per un po' stemmo in silenzio, lui guardava dove andava, io concentrata a tenere il passo. Poi, lui mi chiese:-Perché ieri non sei venuta?- -Perché era domenica, e i miei stavano tutto il tempo con me, così non sono potuta venire- -Ma, altrimenti, saresti venuta?- -Si-. Continuammo a procedere, in silenzio.
Dopo due ore, si fermò. Lo raggiunsi e mi guardai intorno. C’era una piccola radura, circondata dagli alberi. Al centro, un grande alto albero sovrastava gli altri, come se fosse il re. Tutto intorno all’albero stava dell’erbetta, bassa. Ma la cosa che mi disgustò di più furono i cadaveri di bambini, impalati sui rami. A molti mancavano degli arti, come le gambe, braccia o la testa, altri invece erano interi, ma con la pancia aperta e le interiora, ormai secche da quanto stavano all’aperto, che penzolavano di fuori.
Arretrai, sconvolta, e sbattei contro SlenderMan, che si era messo dietro di me. Con un groppo in gola, gli dissi:-Ora devo andare…-, ma lui, per risposta, fece uscire dei tentacoli e disse: -Di già? Che fretta c’è? È ancora presto-. I tentacoli erano neri, lunghi, sinuosi e flessibili, ma sembravano allo stesso tempo rami d’albero. Capì che, quando vedevo i rami muoversi, in realtà erano i suoi tentacoli che tornavano nella schiena. In totale erano 6, tre per lato. Cercai di scappare. Che sciocca che ero, con le mie illusioni. Neanche il tempo di fare il quinto passo che mi afferrò alla vita con uno dei suoi tentacoli e portata davanti a lui. Mi dibattei, cercai di fuggire, ma stringeva troppo forte.
Rise, silenziosamente. Poi, senza tante cerimonie, mi impalò ad un grosso ramo, senza neanche squarciarmi la pancia o strapparmi un arto. Osservò come il mio sangue scorreva giù per il ramo, per poi attraversare il tronco e, infine, depositarsi nell’erba. Stette anche ad ammirare come mi dibattevo, piano, sul ramo, per poi, infine, smettere completamente di muovermi. Dopo, l'uomo senza volto se ne andò.
Voi non potete neanche immaginare il dolore che sentì. Come un fuoco, mi bruciava tutta, mi consumava da capo a piedi. Poi, sopraggiunse il sonno, il torpore, che riuscì a spegnere quell'incendio, piano. Poi, più nulla.
Ti starai chiedendo se sono un fantasma. No, sono molto peggio. Presto, capirai.
Quando mi risvegliai, era completamente buio intorno a me. Notai che c’era un forte odore di terra. Provai a mettermi seduta, con il desiderio di tornare in superficie, e con qualche sforzo ci riuscì. Mi alzai in piedi, e mi guardai attorno. Era sera, saranno state le 22.00, ma anche nel buio più fitto riuscivo a vederci, come se fosse stato giorno. C’era una bellissima luna in cielo, e le stelle brillavano vivide, lontano dalla luce dei lampioni che stanno in città.
Per prima cosa, decisi di tornare a casa. Mentre camminavo, mi chiesi:”Come mai non sono morta? Eppure sono stata trapassata da parte a parte. Se non sono morta per gli organi interni distrutti dal ramo, dovrei essere morta di dissanguamento”.
Prima di arrivare a casa, incrociai un fiumiciattolo, che finiva in una pozza stagnante poco più là. Volli specchiarmi per osservare le mie ferite…e vidi qualcos'altro.
Quella non ero io. La mia “pelle” era nera come la notte fonda, fumosa, i miei capelli erano diventati bianco latte, la frangia mi nascondeva completamente gli occhi andando a sfiorare la bocca, unica cosa rimasta del mio vecchio corpo. E avevo una bocca larghissima, con denti molto affilati, tesa in un ghigno orribile, scontento e sconcertato, senza labbra, come un taglio sul volto fanciullesco. Non avevo vestiti, ma questo non era un problema perché il mio corpo non presenta forme che distinguono i maschi dalle femmine. Vidi che non avevo i piedi, sono le caviglie che toccano per terra e , anche se li avessi, sono nascosti sotto la superficie su cui sono.
In pratica, ero diventata un mostro, fatto completamente d’ombra.
Capii che non avrei potuto mai più tornare a casa, e mi misi a correre nel bosco.
Adesso tu, lettore, conosci la mia storia. Io ci ho messo tutta la notte prima per scrivertelo, quindi impiegherai tutto il pomeriggio per leggerlo, perché so che la mattina sei al lavoro, come i miei vecchi genitori, e non hai tempo, ma il pomeriggio passi sempre un po’ di tempo ad ammirarmi. Adesso, è scesa la sera. Non senti il freddo? Non senti i miei passi? La senti la porta? Si sta aprendo. Ciao, mi chiamo Jess, Jess Ichigo Shadow, e voglio il tuo cuore.
 
 
 
Questa lettera è stata trovata il 6 giugno 2013, in America, il giorno dopo l’omicidio. Oltre alla lettera sono stati trovati il cadavere di un uomo di 25 anni e un quadro macchiato di sangue. L’uomo aveva diverse macchie viola su tutto il corpo, e dei segni blu al collo, come se l’assassino l’avesse picchiato e poi strangolato. Infine, nel petto, ha uno squarcio all'altezza del cuore, l’assassino deve averglielo strappato via, ma non l’hanno trovato da nessuna parte. Il quadro era macchiato di sangue della vittima, e raffigura una ragazza completamente nera, tranne per i capelli candidi, che sorride mostrando i denti in un sorriso deforme e grottesco. Lo sfondo è completamente rosso.
La polizia ha portato via tutti e tre gli elementi. Secondo loro, l’assassino è un maniaco psicopatico, che ha usato quel quadro per nascondere la sua vera identità. Probabilmente è già stato in casa della vittima. Una cosa che, invece, non riescono a spiegare, è il contenuto della lettera, che non ha senso.
Ora, passiamo alla prossima notizia…
   
 
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