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Autore: Norgor    03/09/2013    3 recensioni
Tuttavia, da quel giorno i suoi tramonti non furono più arancioni, ma neri e carichi di tristezza; le sue nuvole non furono più immacolate, ma dense e scure e troppo simili a quelle che avevano portato via sua madre; le sue rondini non furono più allegre e spensierate, ma predatrici e pericolose.
E la piccola Luna non divenne che un’ombra indistinta, un riflesso opaco, la pallida copia di se stessa, perché la sua vera lei era rinchiusa nella tomba di sua madre.

Luna Lovegood come non l'avete mai conosciuta.
Una bambina di nove anni che si trova faccia a faccia con la morte stessa. E sa di non poter vincere.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luna Lovegood, Xenophilius Lovegood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Come un soffio di vento.

 
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Era una fredda giornata piovosa, una di quelle che nei dintorni di quel paesino sperduto si poteva incontrare massimo una o due volte l’anno. Il vento soffiava pesantemente contro le finestre della casa sulla collina, facendo sbattere le persiane malridotte contro le mura cosparse di crepe profonde. Dei fasci di edera incolta attraversavano la facciata posteriore, garantendo all’abitazione un aspetto selvaggio e poco curato. Molto spesso i passanti che per sbaglio capitavano in quella zona distoglievano lo sguardo impauriti oppure storcevano semplicemente il naso dall’indignazione. Ciononostante, la suddetta dimora recava sempre quella punta di mistero e originalità che la rendeva perfetta agli occhi della piccola Luna. La bambina, infatti, molto spesso si perdeva nella contemplazione del luogo, con occhi sognanti ed espressione rapita. Solamente lì si sentiva a suo agio, al sicuro, a volte addirittura speciale.
  In quel momento stava scarabocchiando distrattamente su un foglio, lo sguardo fisso sulla pergamena e la fronte aggrottata per la concentrazione. Sospirava dolcemente ogni qualvolta sentisse il lieve cinguettio degli uccellini che, svolazzando, cercavano riparo dall’improvvisa tempesta. I capelli lunghi, di un biondo opaco e sporco, accompagnavano un viso fanciullesco e un’espressione sognatrice che, agli occhi di tutti, era scambiata solamente per pura ingenuità infantile. Ma, in fin dei conti, a Luna non era mai importata l’opinione che la gente riponeva nei suoi confronti. Con l’avanzare degli anni, aveva imparato a starsene quieta sempre sulle sue, senza dar retta a coloro che puntualmente la prendevano in giro o la schernivano con ghigni perfidi e sorrisi beffardi.
  Il tempo passava lentamente, la sua mano correva veloce sulla carta ruvida del foglio e piano piano il disegno che aveva in mente prendeva forma davanti ai suoi occhi. Fu un attimo, e una soffice nuvola fuoriuscì dalla sua matita, leggera e pura proprio come lei. Luna adorava le nuvole, specialmente quelle grosse e paffute che solitamente adornavano il suo cielo nelle prime giornate primaverili. Amava anche il tramonto; le sfumature rosee e aranciate che di sera tingevano l’orizzonte le facevano sempre brillare lo sguardo. Quindi, ben presto, le nuvole corpose che occupavano il suo disegno furono accompagnate da limpide striature ambrate che gli donarono più risalto e maggiore lucentezza, e i suoi occhi si persero nella contemplazione dell’operato, riflettendosi come specchiati nel turbinio di colori.
  E, improvvisamente, eccola comparire fra le nubi, talmente veloce da sembrare un fruscio nella mente; eccola lì, nera come l’inchiostro, che svolazzava tranquilla nel suo tramonto. Una rondine fece capolino fra i raggi del sole, infrangendo le onde spumose del gelido mare sotto le nuvole. Un mare feroce, agitato, che inghiottiva tutto ciò che incontrasse e andava a sbattere contro gli scogli ai margini del dipinto.
  Luna si ritrovò a chiudere gli occhi, desiderando di isolarsi dal mondo e rifugiarsi in un luogo lontano da tutti, un luogo che potesse essere solamente, interamente suo. Rimase immobile sulla sedia per parecchi minuti, oscillando e muovendo le braccia come se fosse in balia delle correnti marine, con il vento che le scompigliava i capelli e i raggi del sole che si riflettevano sul suo viso. Un sorriso le comparve sul volto, mentre assaporava pienamente la quiete che quel posto riusciva sempre a regalarle.
  Riusciva a scorgere la rondine del disegno, che impaziente le suggeriva di spalancare le ali, librarsi in volo e seguirla verso una nuova avventura. Ma, proprio quando finalmente credeva di trovarsi al sicuro e in pace con se stessa, un rumore assordante la fece ritornare alla realtà. Degli spari risuonarono per la casa, e un urlo agghiacciante la fece sobbalzare e la costrinse a spalancare gli occhi. Le mani le iniziarono a tremare e i denti presero a sbattere gli uni sugli altri, mentre le grida le penetravano nella carne fino all’osso, recandole un acuto dolore.
  Balzò subito in piedi con un movimento fulmineo e prese a guardarsi intorno come disorientata. Restava immobile, gli occhi vitrei, del tutto impotente di fronte a ciò che stava accadendo. Cosa poteva fare? Da dove provenivano tutte quelle urla? Perché aveva sentito degli spari? La preoccupazione scurì il suo viso, mentre nella sua mente la confusione regnava sovrana. Ad un tratto le era sembrato di essere stata rinchiusa in una trappola, sola ed impaurita, imprigionata in un incubo senza fine. Perché restava ferma? Perché i suoi piedi si rifiutavano di muoversi? Aveva la bocca asciutta e il fiato mozzo. Non riusciva più a trovare niente di positivo, un motivo per sorridere ancora. Gli oggetti le parevano spenti e privi di vita, le pareti che la circondavano umide e fin troppo fragili, l’atmosfera congelata nel tempo.
  All’improvviso, un’esplosione echeggiò per le mura della casa, facendo tremare i mobili e sollevando un vasto strato di polvere. E lei rimase ancora immobile, le braccia serrate lungo i fianchi, senza sapere cosa fare, solamente con la speranza che tutti quei frastuoni finissero il prima possibile.
  Uno scalpiccio rapido iniziò a risuonare per la casa. Su per le scale vi era un gran trambusto, e dopo qualche istante apparve sulla soglia del salotto suo padre, la disperazione assoluta in volto. Era un uomo alto, dai capelli biondi e lucidi e l’espressione sempre distante; eppure in quel momento a Luna sembrava solamente un estraneo, qualcuno capitato lì per caso, ma che potesse far finire tutto e far cessare quei suoni che le facevano accapponare la pelle.
  Un’altra esplosione e il rumore di vetri infranti. Luna incrociò lo sguardo del padre, che parve riportarla alla realtà. E appena comprese ciò che stesse succedendo, si esibì in un grido acuto di disperazione, precipitandosi verso la scalinata in frantumi. C’era sua mamma là sotto, e lei non poteva starsene immobile con le mani in mano senza fare nulla per aiutarla. Ma più avanzava a tentoni fra la polvere, più la vista le diveniva annebbiata e dalla gola partivano colpi di tosse per la mancanza di ossigeno. Cosa era successo? Cosa poteva aver ridotto la casa in quello stato? Dalla gola le fuoriuscirono vari singhiozzi strozzati, mentre lentamente i muri che la circondavano iniziavano a riempirsi di ulteriori crepe spesse.
  Una volta arrivati di sotto, alla piccola Luna le si presentò davanti la cruda realtà come uno schiaffo sonoro in piena faccia. La stanza degli esperimenti di sua madre era un vero e proprio disastro caotico; varie ampolle etichettate giacevano distrutte sul pavimento di pietra e non molto lontano intense folate di fumo grigiastro si innalzavano dal terreno, formando delle soffici nuvolette. Nuvolette che non somigliavano per niente a quelle del suo disegno, bianche e paffute. Il suo sguardo zigzagò per tutta la stanza alla ricerca di un segno di vita finché non si soffermò sul corpo della madre, che tremante veniva percorso da spasmi di dolore. Ancora prima di guardarla in faccia, le lacrime presero il sopravvento, e lei rimase ferma sul posto mentre il padre si avvicinava alla moglie e faceva di tutto per soccorrerla.
  « Marissa! Marissa… » singhiozzò suo padre, la vista oscurata dalle lacrime salate. Sua madre non rispose, ma anzi continuò a contorcersi in preda a strane convulsioni. Perché rimaneva sdraiata senza fare niente? Perché non si rialzava e non tornava da lei, con uno dei suoi soliti sorrisi radiosi? La piccola Luna era terrorizzata, poteva avvertire il suo cuore che con battiti frenetici sbatteva contro la gabbia toracica, premendo per uscire; aveva il respiro affannoso, come se avesse corso per chilometri senza fermarsi. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo; sua madre non aveva mai fatto nulla di male, le era sempre rimasta accanto. E allora perché all’improvviso non andava ad abbracciarla, rassicurandola con le sue dolci parole? Perché non la smetteva di agitarsi?
  
« Mamma! » Senza accorgersene, Luna era arrivata vicino al padre e ora, in ginocchio, osservava la madre che lentamente aveva smesso di tremare. Vista così, sepolta fra la polvere e il fumo, pareva molto più vecchia di quanto non fosse. I capelli di un biondo opaco, così simili ai suoi, adesso parevano fili intricati di seta grigiastra, mentre gli occhi verdemare avevano perso la scintilla che solitamente li accompagnava. Avrebbe potuto sembrare un vero e proprio cadavere, se le sue palpebre non avessero continuato a sbattere con ritmo irregolare.
  « M-mamma » sussurrò Luna con voce rotta, le lacrime che le correvano lungo il mento. Al suono di quella vocina acuta e spezzata, il braccio di sua madre ebbe un fremito e i suoi occhi si spalancarono, fissandosi su un punto lontano.
  « Luna… » le sue parole erano appena udibili, poco più di un soffio di vento. Dalla gola emise diversi gemiti, ma fra tutti i sospiri e i singhiozzi Luna afferrò solamente un debole suono ovattato. « Guardami ».
  I suoi occhi schizzarono immediatamente in quelli della madre, limpidi e increspati per il pianto. Le loro mani si intrecciarono, dando vita ad un legame eterno e inviolabile. Luna piangeva ancora, ma sua madre si limitava a deglutire con fatica, sul viso l’ombra di un sorriso amaro. E poi, dopo qualche secondo, alzò il braccio e prese ad accarezzare i capelli della figlia, mentre dalle sue labbra prendeva vita una soave melodia. Erano poche note ripetute, con parole dolci espresse in un sussurro e, mentre cantava, la mente di Luna fece un salto indietro nel tempo, inondandola di ricordi che credeva perduti per sempre.
  « L-la tua ninnananna, tesoro » concluse finito il canto. Ma Luna non aveva bisogno che glielo dicesse: aveva capito subito cosa stesse intonando. Già la prima parola sfumata, la prima nota spezzata, la avevano riportata a memorie felici, in cui lei veniva cullata nel suo bel lettino a dondolo mentre sua madre si esibiva in quella canzoncina, nelle serate in cui non riusciva a prender sonno. E quello, per una bambina di nove anni, significava conforto e protezione. Da quel momento, Luna comprese che qualsiasi cosa avesse fatto in futuro, avrebbe sempre avuto sua madre di fianco, in un angolo del suo cuore. E questo sembrò bastarle perché un sorriso le comparisse in volto.
  « Ti voglio bene, Luna. Non dimenticarlo » ora la sua voce era ferma e decisa, senza tremolii, mentre i suoi occhi aperti e vigili la scrutavano intensamente. Luna tremava incessantemente e singhiozzava ancora.
  « Promettimelo » insistette, quasi urlando.
  Luna si chinò sul suo petto e le baciò la fronte con delicatezza. « Te lo prometto ».
  Marissa trasse un sospiro di sollievo, chiuse gli occhi e ritirò la sua mano da quella della figlia, districando il nodo che le loro dita avevano formato. Per un attimo tutto fu immobile, e a Luna parve che il mondo si fosse fermato e avesse deciso di rimanere così per sempre. Ma poi, quando sua madre smise di respirare, temette subito il peggio. Si avvicinò velocemente e con forza scosse il suo corpo coperto di polvere, al tatto già quasi freddo.
  « Mamma! » esclamò. No, decisamente non era ancora pronta a lasciarla andare. Gli occhi di sua madre si aprirono velati, e la sua bocca esalò un gemito. « Resta con me ».
  La donna tremò leggermente e con un apparente sforzo disumano fissò lo sguardo in quello della figlia, annegando in quell’azzurro freddo come il ghiaccio. Così piccola, così indifesa; le labbra tremanti, il respiro affannoso, gli occhi coperti dalle lacrime e i capelli arruffati e pieni di terra: la sua piccola Luna. Un ultimo sorriso le increspò il volto, mentre il suo petto a stento si alzava e si riabbassava.
  « Sempre ».
  Appena un sussurro strozzato, perso fra i suoi singhiozzi, a malapena percepibile. Ma a Luna le arrivò alle orecchie chiaro e distinto, come amplificato, insinuandosi nel suo cervello come qualcosa di definitivo. Qualcosa che avrebbe conservato fino alla fine dei suoi giorni.
  Improvvisamente, sua madre si immobilizzò, fece uno strano risucchio con la gola e serrò definitivamente gli occhi, il petto e gli arti che cessavano di muoversi. E da quel momento un silenzio tombale dilagò per tutta la casa, interrotto solamente dagli ultimi singhiozzi di suo padre.
  Se n’era andata. Era andata via da lei. Perduta. Di sua madre, Marissa Lovegood, rimanevano solamente un corpo spoglio, qualche pozione e un sempre sussurrato al vento. Ma Luna se la sarebbe portata nel cuore, per tutta la vita.
  Tuttavia, da quel giorno i suoi tramonti non furono più arancioni, ma neri e carichi di tristezza; le sue nuvole non furono più immacolate, ma dense e scure e troppo simili a quelle che avevano portato via sua madre; le sue rondini non furono più allegre e spensierate, ma predatrici e pericolose.
  
E la piccola Luna non divenne che un’ombra indistinta, un riflesso opaco, la pallida copia di se stessa, perché la sua vera lei era rinchiusa nella tomba di sua madre.
 











 


Tana di Norgor.
Buongiorno a tutti! *scappa*
Ok, prima che possiate dire qualcosa, io vi dico che non ho la minima idea di come sia uscita questa cosa. *O*
Sono convinto che potrei sempre migliorare, ma mi sento particolarmente soddisfatto di ciò che ne è uscito, quindi non dico più niente. Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta e vi invito a recensire per farmi sapere cosa ne pensate o, eventualmente, farmi notare qualche sbaglio. 
Grazie mille. *^*
Norgor

 

 

   
 
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