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Autore: Melisanna    09/03/2008    8 recensioni
Il pianoforte suonava Bach. Era un'esecuzione piuttosto sentimentale, con un tocco di malinconia e una notevole precisione tecnica.
"Oh per tutti Fir Bolg!". Una vocetta acuta e allarmata, proveniente dalla cucina, coprì la musica. "Cosa succede, Joelle?" chiese il pianista placido, senza interrompere la sua esecuzione. Aveva una voce bassa e gradevole.
Dalla cucina schizzò fuori una ragazzina con i capelli rossi. In mano stringeva un calendario spiegazzato.
"Guarda! Guarda che giorno è oggi!".
La musica si fermò. Il grosso gatto grigio sollevò la testa rotonda dallo spartito e si sporse per vedere il calendario, spingendosi gli occhialetti rotondi sul naso.
"Ma pensa un po'" rispose senza scomporsi "Mancano solo tre giorni a Lughnasad".
"Proprio così!" guaì Jo "E io devo ancora trovare l'umano! E adesso cosa faccio Socrate?".
Il gatto si strofinò il mento con una zampa, pensieroso.
"Aspetta un attimo... mi sembra di aver letto qualcosa sulle pagine sportive del giornale". Scese dallo sgabello con un tonfo sordo, trotterellò attraverso la stanza e si arrampicò sul divano.
Sfogliò il giornale con tutta calma, mentre Jo lo osservava ansiosa.
"Ah... ecco qui! Proprio quello che mi ricordavo".
"Cosa c'è? Cosa c'è?" chiese la ragazzina, quasi strappandogli le pagine di mano.
Il gatto si schiarì la voce e lesse "Il calciatore giapponese Hikaru Matsuyama in vacanza a Sligo con la fidanzata".
"E' uno forte?" chiese Jo pressante.
Socrate si sistemò gli occhiali sul muso. "Non proprio, ma è il tipo che fa per noi. Ora ti spiego...".
Questo racconto, ci crediate o no, è arrivato primo sul concorso indetto da Elf (http://www.immaginifico.com/field/index.php)
Genere: Comico, Fantasy, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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An Eirinn Faery Tale

An Erinn Faery Tale

Aveva cominciato con la birra scura e densa che sembrava promettere un grado alcolico sufficientemente elevato da strapparlo all’agonia dell’intelletto. Ne era rimasto deluso, perciò, con la seconda pinta, era passato a quella rossa e cristallina, la cui definizione di “strong” pareva promettente.

Nemmeno quella era stata sufficiente a cancellare il viso irato di Yoshiko, che continuava a ondeggiargli davanti agli occhi. In compenso l’aveva costretto a un tour nel bagno del Pub, che si era rivelato uno dei luoghi più disgustosamente sudici che avesse mai visitato.

L’ultima risorsa era stato il whiskey. Ne aveva comprato una bottiglia intera, tanto per stare sul sicuro. Effettivamente, al terzo sorso, si era ritrovato per strada a ululare il nome della sua ragazza (ex-ragazza) alla luna. Anche perché a Sligo (1) i pub chiudono presto e, a mezzanotte, un robusto barista si era premurato di scaricarlo sul marciapiede.

La cittadina contava sì e no cinquanta case, perciò, dopo aver percorso un paio di stradine buie e aver svoltato tre volte, si trovò inevitabilmente in mezzo alla campagna.

Una nebbiolina umida si contorceva diafana tra l’erica. Faceva un freddo cane e non si vedeva un bel nulla. Le stelle ardevano gelide e indifferenti al suo dolore; persino la luna sembrava altera e distante.

Assomigliava a Yoshiko.

Hikaru si sentì ancora più solo e depresso. L’unica fonte di calore pareva essere il liquido bruciante contenuto nella bottiglia marrone che stringeva convulsamente. Gli ustionava la trachea e si diffondeva nelle vene come fuoco, però, poi, lo lasciava ancor più infreddolito di prima.

E non c’era altro da fare che bere di nuovo.

Si sedette goffamente su una pietra muschiosa. Il sedere gli si ghiacciò istantaneamente, ma alzarsi sembrava al di là delle sue possibilità. Si limitò ad abbracciare la bottiglia, sua unica amica e solo conforto. Senza Yoshiko, nulla aveva più senso: tanto valeva restare dov’era e morire congelato. L’avrebbero trovato il mattino dopo, rigido come una di quelle mummie che si scoprono incastonate nei ghiacciai.

Sarebbe stato un funerale grandioso; degno della stella del calcio giapponese e internazionale che Hikaru era. Dozzine di fan avrebbero pianto sulla sua tomba, maledicendo il nome di quell’unica donna che egli aveva amato, quella donna che l’aveva condotto a una morte terribile.

Singhiozzò dentro il whiskey, deprecando la propria fine in così giovane età. Era un ragazzo così pieno di talento e qualità! Ed era destinato a un fato così tragico! C’era davvero di ché piangere.

Yoshiko l’avrebbe capito allora, vedendo il suo corpo rigido nella bara. Avrebbe capito cosa aveva fatto e avrebbe rimpianto quello che aveva perso. Sarebbe scoppiata a piangere sul suo petto immoto, pregandolo di aprire gli occhi e tornare da lei.

Ma lui non avrebbe aperto gli occhi, non sarebbe stato altro che un cadavere, ormai indifferente alle sue parole, le stesse parole che un tempo erano state le sue sole gioie e i suoi soli dolori.

“Perché piangi, signore? No, no aspetta! Fammi indovinare…lacrime in una notte di luna piena e una bottiglia di uisce beatha (2) mezza vuota: può voler dire solo una cosa! Pene d’amore?” .

Una vocetta allegra lo distrasse dai suoi sogni funebri.

“Cosa…cosa vuoi?” borbottò Hikaru oltraggiato, cercando di mettere a fuoco lo sconosciuto “Gnion… gnion vedi che shono moooorto? Lasciaaamiii shtare!”.

“Ah no! Non sei morto, sono sicura! Sei vivo, vivissimo, proprio come me!” replicò la voce con sicurezza “Sai che con lacrime di vero amore, piante in una notte di luna piena e raccolte in una boccetta d’argento, si può mescere una pozione che dà l’immortalità?” lo informò sollecita.

“Credi che sia vero amore?” domandò, poi, meditabonda.

Hikaru sbatté le palpebre: le diverse immagini che gli danzavano confuse davanti agli occhi si degnarono di fondersi in una sola per qualche istante.

Davanti a lui stava una ragazzina (sempre che fosse una ragazzina) veramente bizzarra.

Più bizzarra persino di quelle che si ritrovavano per il Cosplay sul Maegi Jingu Mae (3) la domenica.

Aveva un viso dolce e ovale e un caschetto di lisci capelli rossi. E fin qui tutto bene. Però indossava una giacca fatta di decine di ritagli di stoffe diverse, cuciti insieme senza logica, fusoe neri e un gigantesco cappello a tuba.

Ma questo non sarebbe stato VERAMENTE bizzarro.

Quello che era veramente, veramente bizzarro, era che la ragazzina si ostinava a essere anche qualcos’altro oltre che una ragazzina. C’era un altro viso sovrapposto al suo. Un viso dispettoso, con un naso nero come il tartufo dei cani e grandi orecchie a punta, piene di pelo bianco.

“Piacere, Jo!” si presentò la creatura, tendendogli una mano che era contemporaneamente una mano da bambina bianca e sottile e una animalesca mano artigliata, coperta di vellutato pelo nero fino al gomito.

Hikaru la guardò e si strofinò gli occhi: la morte doveva essere vicina, se aveva già le allucinazioni. Bevve un altro sorso di whiskey. Questo avrebbe messo a posto tutto.

Ecco, infatti la ragazzina era sparita. Era rimasto soltanto quell’animaletto con il pelo rosso che stava correndo, veloce come freccia, a nascondersi in mezzo all’erica.

Se fosse riuscito a cancellare anche Yoshiko con la stessa facilità!

“Yooooshikoooo cattivaaaa!” singhiozzò, attaccandosi di nuovo alla bottiglia.

“Eccomi qua, ti sono mancata? Scusami per averti lasciato solo, ma quel gufo era un inviato del re del Cuige Uladh (4)! Non doveva assolutamente vedermi parlare con te”. L’animaletto era riapparso: seduto davanti a lui, parlava allegramente con la voce della ragazzina. “Sai com’è, sempre le solite storie: devi fregarli, non fargli sapere cosa stai organizzando, perché non possano prendere contromisure. Sono terribilmente astuti quelli dell’Ulster (5), ma quest’anno noi del Connacht (6) li freghiamo. Abbiamo un piano infallibile: te!”.

Il calciatore fissò attonito l’animaletto. Perché mai le sue allucinazioni dovessero prendere la forma di un cagnolino con la coda piumosa e l’aria estremamente soddisfatta di sé era un vero mistero.

“Vai… vai via can… cagnetto! Laschiami moooriiiree in pa… paaasce”.

La ragazzina, i pugni ben piantati sui fianchi, lo squadrò severamente dall’alto in basso. “Non sei molto gentile, sai? Ti sto parlando educatamente, potresti anche rispondere di conseguenza!”.

“Do… dov’è il cagnetto?” domandò Hikaru sospettoso.

“Non essere stupido! Il cagnetto sono io, mi pare ovvio” ribatté la ragazzina “E comunque, per tua informazione, non sono un cane: sono una volpe. E in verità non sono nemmeno una vera volpe: sono un phooka (7)” concluse sussiegosa, come se avesse appena rivelato di essere la regina di Inghilterra.

“E cosha… cosha sarebbe un puuuuca?” domandò Hikaru, cercando di tenere a bada la nausea che l’aveva improvvisamente assalito.

“Ora te lo spiego…” rispose la ragazzina con un sorrisetto pericoloso “intanto bevi un sorso di questo: non c’è niente che funzioni meglio, per le pene d’amore”.

Hikaru prese la bottiglietta di cristallo trasparente che la ragazzina gli porgeva.

“Slainte!”. (8)

La serratura della stanza dell’albergo si chiuse con uno scatto. Kojiro sospirò di soddisfazione: che meraviglia essere finalmente solo con se stesso. Non sopportava i party post-partita: tutti quei giornalisti, che per di più parlavano quell’inglese incomprensibile e ospiti che cercavano di stringere rapporti indesiderati e fan rompiscatole che gli si appiccicavano addosso.

Non aveva aspettato altro che trovarsi nel silenzio quieto della sua stanza. Gli piacevano le camere d’albergo, con le lenzuola inamidate e quell’ordine impersonale, così differente dal caos rumoroso a cui era sempre stato abituato. Erano la parte migliore delle trasferte.

Si spogliò, riponendo ordinatamente gli abiti sulla sedia in fondo al letto. Una doccia calda e poi si sarebbe potuto infilare finalmente sotto le lenzuola candide.

Aprì la porta del bagno.

“Sei arrivato finalmente!” lo apostrofò la ragazza nella vasca.

Kojiro la fissò allibito: non si sapeva più cosa aspettarsi dalle fan! Erano veramente pronte a tutto.

“Stavo cominciando a pensare che non saresti più tornato, Ti sembra il caso di far aspettare tanto una ragazza?” continuò la tipa in tono supponente, sollevando una lunga gamba sopra l’orlo della vasca. Al posto dei piedi aveva piccoli zoccoli fessi.

Kojiro sbatté le palpebre.

La donna NON aveva zoccoli, bensì piedi graziosi e assolutamente umani. In compenso, sfoggiava un sorriso falso come i soldi del Monopoli.

“TU!” esclamò Kojiro, riprendendosi dallo stato catatonico in cui era piombato “hai trenta secondi per uscirà di lì e filare, se non vuoi che ti sbatta nuda in corridoio!”.

“Come vuoi” rispose la donna con un mormorio di velluto. “Va bene così?” continuò, alzandosi in piedi nella vasca, il corpo flessuoso coperto soltanto dai capelli azzurri e da nuvole di schiuma. “E non hai bisogno di andare in corridoio per sbattermi, va bene anche qui”.

Kojiro ripeté sillabando la frase della donna, nel tentativo di coglierne il significato. Quindi arrossì furiosamente. “Razza… razza di pervertita! Non ho assolutamente intenzione di sbatterti, né qui né in corridoio!”.

“Ah no?” rispose lei tranquilla “Se lo dici tu”. La schiuma scivolava lentamente lungo la sua pelle candida, scoprendone porzioni sempre maggiori. Kojiro deglutì.

“Lo dico sì! Esci subito dal mio bagno E dalla mia camera. E dalla mia vita. Voglio starmene in pace”.

“Temo non sia possibile” ribatté la sconosciuta “Sono qui per parlare di affari e non me ne andrò, finché non avrai accettato la mia proposta”. Un ricciolo di schiuma si dissolse. Era azzurra anche là sotto.

“Va bene, VA BENE” ringhiò Kojiro disperato “Però rimettiti giù ora, ok?”.

La donna si strinse nelle spalle “Come ti pare: mi hai detto tu di uscire”.

Il giovane si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, mentre quella si lasciava scivolare di nuovo nell’acqua.

“Allora, cosa vuoi?”.

“Domani giocheremo la partita annuale contro quelli del Connacht. Quei pivelli credono di avere un asso nella manica, ma li stracceremo anche questa volta. E per questo ci servi tu. Allora, accetti?”.

Kojiro sollevò un sopracciglio, beffardo. “Frena, frena, frena! Di cosa diavolo stai parlando?” .

La donna alzò gli occhi al cielo, mimando una noia mortale e una pazienza infinita. “Sto dicendo” ripeté, con sarcastica lentezza “Che, come tutti gli anni, domani è Lughnasadh (9) e c’è la partita di Hurling (10)”.

“Lughnasadh? Hurling?” domandò Kojiro sospettoso. Cosa cavolo significavano quei termini? La sua conoscenza dell’inglese era piuttosto approssimativa e per di più quegli irlandesi parlavano con un accento pazzesco.

“Sì, sì: la partita di Hurling per Lughnasadh. Allora sarai il nostro umano?” domandò la donna sbrigativa. “Sarai ricompensato più che a sufficienza: oro, potere, giovinezza, belle donne… tutto quello che ti pare. Allora” una gamba tornita apparve di nuovo oltre l’orlo della vasca e la voce si fece sensuale e profonda “che ne dici?”.

“Senti, bella” la rimbeccò Kojiro, che cominciava a essere stanco di tutta quella storia. Voleva soltanto andare a dormire. SOLO. Non stare ad ascoltare i discorsi senza senso di quella svitata “Ho sentito abbastanza. Adesso io esco dal bagno, tu ti rivesti e sparisci”.

La donna sbuffò, annoiata. “Come ti pare, l’avevo detto che era inutile tentare di prenderlo con le buone, un rompiscatole del tuo calibro”.

“Bene. Fila” sospirò Kojiro, sollevato dalla facilità con cui la tizia aveva ceduto.

“Non ci penso proprio” rispose quella “Te l’ho detto che non sarei andata via senza che tu avessi accettato. Solo che adesso si fa a modo mio”.

Agitò una mano delicata. “Mi hai costretto tu ad usare le cattive” commentò soddisfatta, immergendosi fino al naso nell’acqua profumata “Ti lascio così, finché non avrai giocato la partita per noi dell’Ulster”.

“Così come?” esclamò Kojiro esasperato “Cosa credi di essere? Una strega o che, che agiti una manina e mi trasformi…?” Si interruppe. C’era qualcosa di strano. La sua voce… la sua voce era così acuta.

“…In donna” ronfò la Glaistig (11) vittoriosa “E vedi di farci vincere”.

Hikaru squadrò allibito la divisa. Era nera, bianca e blu e ADERENTE, tranne che per le maniche a SBUFFO.

“Non dovrò mettere davvero quella roba?” alitò.

La ragazzina che era un cagnetto che non era un cagnetto, ma non era neanche una volpe, bensì un phooka, sorrise allegramente “Ma certo! E’ la divisa no?”.

“Non posso mettere quella roba! Non posso!”.

Non era nemmeno sicuro del perché avrebbe dovuto partecipare a quella sfida tra fate. Non riusciva in nessun modo a ricordarsi la ragione per cui aveva accettato. Però ormai aveva accettato. Il phooka gli aveva mostrato il contratto che aveva sottoscritto e non c’erano dubbi che la firma fosse proprio la sua.

Non ricordava molto riguardo alla notte precedente, salvo che era stato a giro sotto la luna e che era veramente depresso per qualcosa. Non aveva idea di cosa si trattasse esattamente e non gliene importava nemmeno un gran ché, a dirla tutta. Non doveva essere stato niente di serio, dopotutto.

Il problema più urgente era quella maledetta divisa.

Se avesse indossato qualcosa del genere, la sua reputazione sarebbe stata rovinata per sempre. Per SEMPRE.

“Devi metterla” lo redarguì severamente la ragazzina “E poi non vedo il problema: la indossano tutti. Anche io”. Spalancò le braccia per sfoggiare al meglio la sua mise. Vista indossata faceva un’impressione ancora peggiore. Intanto lasciava ben poco alla fantasia e Hikaru non metteva nemmeno costumi da bagno così aderenti (portava sempre i boxer, lui), poi era sgargiante in un modo veramente insostenibile; per non parlare delle maniche che sembravano lanterne di carta, tipo quelle appese sopra i ristoranti, a spicchi di colori alternati.

“Su, indossala!” Jo incrociò le braccia sul petto, rimproverandolo come se fosse stato un bambino capriccioso. “Ricordi cosa ti succederebbe se venissi meno al contratto, veeero?” sibilò, un’espressione di follettesca malvagità sul visino innocente.

Hikaru deglutì. Se lo ricordava perfettamente. Jo si era presa tutto il tempo per descrivergli con la massima accuratezza i secoli di schiavitù che lo avrebbero aspettato nei cinerei castelli, dai giorni eternamente uguali, delle Daoine Sidhe (12) della Corte Scontenta (13) ( hanno una tale puzza sotto il naso: sempre a discutere su chi ha la lancia più lunga o le palle più dure. E poi sono così fissati con i tori…), il modo in cui gli Aughisky (14) dai denti affilati avrebbero sbranato il suo corpo intero (Tranne il fegato, il fegato, no, il fegato non gli piace. Non piace nemmeno a me, bleah), i tormenti che gli avrebbero inflitto i Bogle (15) per il resto della sua vita (Devono pur divertirsi in qualche modo e se non ci sono assassini a giro si accontentano degli spergiuri) e tutte le terribili sventure che lei stessa si sarebbe premurata di procurargli (Noi phooka siamo bravissimi a procurare sventure! La conosci la storia di quel monaco scaraventato in mare da un pony dispettoso? Quel pony era mio zio).

A pensarci bene, queste orrende punizioni sembravano un po’ in contraddizione le une con le altre, ma Hikaru non aveva intenzione di sfidare la fortuna.

Aveva visto il maiale che gli avevano servito per cena in forma di bistecche, andarsene allegramente a spasso la mattina dopo (16) ed era pronto a scommettere che quei folletti pazzi avrebbero potuto riservare anche a lui la stessa sorte.

Tutto sommato era preferibile indossare quell’incubo sartoriale. In fondo, l’avrebbero visto soltanto fate con un gusto per l’abbigliamento altrettanto discutibile della lì presente.

L’unico altro umano, quello della squadra avversaria, non sarebbe sicuramente stato qualcuno in grado di riconoscerlo. Non era mica poi così famoso.

“Va bene, va bene: la metto” accondiscese sconfitto “Tu esci di qui, però. Non ho intenzione di cambiarmi davanti a te”.

“Come vuoi”la ragazzina si strinse nelle spalle “Tanto posso guardarti in un bacile d’argento”.

“Ma almeno io non lo so!” esplose Hikaru, sbattendogli la porta sul naso.

“Così sono sicura che non cerchi di scappare! Lo so come siete fatti voi umani: cercate SEMPRE di scappare” urlò la ragazzina, di là dall’anta di legno massello “E Niamh (17) ha detto che vuole guardare anche lei!”. Un attimo di silenzio meditabondo. “Pare che lo trovi interessante, chissà perché?”.

Hikaru cominciò a cambiarsi, cercando di non pensare a tutte le fate di quella Corte assurda, intente a spiarlo da un bacile d’argento.

Non era riuscito a capire molto bene come funzionava quel gioco, quell’Hurling. Di sicuro aveva ben poco a che fare con il calcio, il che rendeva ancora più incomprensibile il perché quelli avessero voluto proprio lui, in squadra. Jo aveva passato quasi un’ora a tentare di spiegarglielo, elencando regole su regole, ognuna delle quali aveva così tante eccezioni, da risultare pressoché priva di valore.

“Comunque” aveva concluso il phooka “l’importante è fare goal”.

Hikaru sospirò. L’importante era fare goal.

L’importante era ciò il contratto recitava: il suo solo obbligo era partecipare alla partita, poi sarebbe stato libero di andarsene. Non c’era nessun bisogno che si impegnasse e lui non sarebbe stato così stupido da farsi coinvolgere.

Era già stato stupido a sufficienza.

Dio, come si sentiva stupido! Con quella tunichetta gialla e rossa e fasciato dalla calzamaglia a quadri che, deglutì imbarazzato al solo formulare quel pensiero, metteva in bell’evidenza tutte le sue forme.

Grazie al cielo quelle fate del c@**# possedevano solo specchi di rame lucido, in cui riusciva a malapena a intuire la sua figura, perché era sicuro che se fosse stato messo davanti alla realtà nuda e cruda non sarebbe sopravvissuto. Gli bastava il profilo della sua ombra per star male. Quella stronza aveva avuto proprio bisogno di fargli le tette così grosse?

Calma, doveva mantenere la calma. Sarebbe bastato giocare quella maledetta partita e poi avrebbe potuto ritornare alla sua vita. Nessuno l’avrebbe mai saputo e lui avrebbe potuto fingere che tutta quella storia assurda fosse stata soltanto un brutto, bruttissimo sogno.

Delle trombe squillarono, gioiose e solari. A Kojiro pareva di vederle, splendere raggianti sotto il cielo azzurro, mentre gli stendardi sventolavano gagliardi nel vento.

Quelli erano sempre così compresi nella parte, non aveva mai conosciuto nessuno che si prendesse tanto sul serio.

A parte Wakabayashi, probabilmente.

I folletti intorno a lui urlarono bellicosi e si riversarono nel campo, trascinandolo con loro. Fu spinto e tirato fino a trovarsi in prima fila, a centro campo. Come si capisse che era il centro del campo, poi, lo sapevano solo loro, dato che non era segnalato in alcun modo.

Un altro poveraccio fu costretto a uscire dalle file nere, blu e bianche, palesemente contro la sua volontà. Kojiro si sentì totalmente solidale con lui.

Sembrava così terribilmente a disagio, così terribilmente fuori posto, così terribilmente… terribilmente…

“Matsuyama?!”. Sentì la voce uscirgli dalla bocca, prima di rendersi conto di stare parlando. E se adesso quello avesse capito? Se lo avesse riconosciuto? Lo avrebbe ucciso sul posto, non c’era altra possibilità. Non poteva permettere che diffondesse il resoconto della sua eterna vergogna.

Ma non l’avrebbe riconosciuto, vero? Non poteva riconoscerlo, cioè, come avrebbe fatto anche solo a pensare che quella era lui?

“Ci… ci conosciamo?” Matsuyama lo fissò con espressione allucinata e produsse un sorrisetto di scuse.

Per fortuna l’idiota non aveva capito. Dei, qualunque Dio esistente, di qualsiasi religione conosciuta, grazie!

“Uh… no… io… ti ho visto alla TV”. Ecco perfetto, ottima trovata, tutto sistemato “Giochi nel Manchester, vero? Bella squadra”.

“Davvero?” il sorrisetto di Matsuyama divenne un sorrisone a trentadue denti “Sei appassionata di calcio? Per che squadra tifi?”.

Kojiro lo scrutò sospettosamente da sotto in su (era più basso di Matsuyama, quel tappo! Che umiliazione).

“Non ci starai mica provando?” ringhiò.

L’altro giocatore arrossì furiosamente.

“No! Assolutamente… è solo che… non se ne trovano tante di ragazze a cui piaccia il calcio…”.

Ci stava provando! Quel… quel finocchio pervertito ci stava provando con lui!

Si alzò sulla punta dei piedi, fino ad avere gli occhi all’altezza di quelli dell’altro e gli piantò l’indice in mezzo al petto. “Ti faccio a pezzi” gli abbaiò in faccia. Quello non faceva che crearli problemi, da sempre, ma lui l’aveva sempre sconfitto e l’avrebbe sconfitto di nuovo. Non era altro che un insetto.

Si voltò verso il resto della sua squadra, urlando “Massacriamoli!” .

Le fate ulularono sollevando le mazze.

Qualcuno gettò una palla in mezzo al campo e la partita ebbe inizio.

Kojiro si trovò la palla sotto il naso e si preparò a tirare una delle sue proverbiali cannonate, mentre un ghigno si allargava sul suo volto.

Non c’era nemmeno nessuno in porta. Poteva fare rete dalla parte opposta del campo, senza scherzi. Era un gioco da ragazzi.

Un cagnetto rosso, apparso dal nulla, gli saltò in mezzo alle gambe e gli fregò la palla, correndo poi a tutta velocità verso la porta opposta, le orecchie appiattite contro la testa e la sfera stretta tra le zanne. I giocatori giallo-rossi gli si lanciarono addosso in massa, cercando di placcarlo e la bestiola li schivò uno dopo l’altro, senza rallentare, un’espressione euforica e vagamente maniacale dipinta sul muso.

“Non mi freghi, mocciosa!” la Glaistig azzurra si parò davanti alla porta con la mazza levata. La roteò e palla e cagnetto volarono dritti dritti verso Kojiro. (Il cagnetto urlò “Woooooooooooooooooh” senza mollare la palla).

Il bomber, rifiutandosi di riflettere su quello che stava accadendo, saltò, agganciò la massa di pelo fulvo con il collo del piede e tirò al volo. (WoooooooooaaaaaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHYYYYYEEEEEEEEEHHH)

Un tizio grande e grosso acchiappò il piccolo animale per la collottola, un secondo prima che entrasse dritto in porta.

“Ehi, grazie Ailill (17)!”

Una ragazzina con i capelli a caschetto sputò la palla. Aveva gli occhi che giravano come una trottola.

“Wow! Che figata! Lo rifacciamo?”.

Hikaru era un ragazzo pacato, consapevole delle sue capacità, che non ci teneva a primeggiare per forza; uno che sapeva stare al suo posto, insomma.

Però c’era un cosa che proprio non sopportava, che lo faceva andare del tutto fuori di testa: gli sbruffoni arroganti e pieni di sé. Risvegliavano il suo lato più competitivo, ecco. Non li poteva proprio reggere.

Certo, se gli sbruffoni in questione avevano lunghi capelli corvini e un culo da urlo, la faccenda assumeva un aspetto un po’ diverso.

Un ragazzo con quel carattere sarebbe stato insopportabile, il classico tipo che avrebbe volentieri preso a pugni. Uno alla Kojiro Hyuga, insomma, che non riesci ad andarci d’accordo, nemmeno quando siete in squadra insieme.

Una ragazza in quel modo, invece… beh, aveva un certo stile, doveva ammetterlo, una vera tigre! E che potenza di tiro per una donna: strepitosa!

Le avrebbe dimostrato che Hikaru Matsuyama non era tipo da prendere sotto gamba, neppure quando indossava una tutina aderente con maniche a sbuffo. Magari, dopo, avrebbero potuto andare a bere qualcosa insieme e dimenticare il modo assurdo in cui si erano incontrati.

“Ehi, Connacht! Facciamo vedere a questa gente un po’ di gioco di squadra!”.

“Giocooo di squadraaa!” gridò Jo esaltata dietro di lui, prima di piombare lunga distesa sulla schiena.

“Apritevi a ventaglio, avanziamo!”.

Le fate del Connacht ruggirono dietro di lui: “Gabba Gabba Hey! Gabba Gabba Hey (19)!”.

L’umana dell’altra squadra gli sfrecciò davanti, un’espressione di feroce testardaggine stampata sul viso bruno.

Hikaru intuì il pericolo. “Ehi, tu Ailill o come diavolo ti chiami, passa quella palla! Passa quella palla!”.

Il gigante biondo smise di esultare e abbassò lo sguardo sulla palla, abbandonata davanti al corpo esanime di Jo.

“Uh… sì…Passo la palla, Maeve! Guardami!”.

Dall’altra parte del campo, una donna dall’aria regale, appoggiata con aria annoiata alla mazza, sollevò gli occhi al cielo “Sì, caro, ti guardo. Bravo”.

Ailill colpì la palla con la mazza, giusto un secondo prima che la ragazza bruna la intercettasse. Hikaru ebbe appena il tempo di scorgere il lampo di irritazione che attraversò i suoi occhi, prima di ricevere il passaggio e cominciare a correre. Metterla in difficoltà lo riempiva di soddisfazione. Non erano in molti a essere in grado di offrirgli sfide altrettanto esaltanti.

“Tu! Scatta in avanti e tu, con le orecchie da coniglio, allargati sulla destra, forza voi in difesa e voi laggiù, capelli verdi, non state tutti insieme: prendete possesso dello spazio”.

I giocatori dell’Ulster gli si fecero incontro, sollevando le mazze minacciosamente. Hikaru ne scartò due e passò a sinistra, a un giovane biondo come Ailill e regale come Maeve. Questi bloccò la palla e scattò verso la porta avversaria, tenendola in equilibrio sull’estremità piatta della mazza.

Un gruppo di folletti giallo-vestiti, tutti con indosso cappelli rossi, lo placcarono, lanciandoglisi in massa contro le gambe.

La palla volò alta nel cielo.

I folletti con i cappelli rossi ulularono come lupi affamati e sventolarono mazze che sembravano piuttosto asce rugginose e macchiate di sangue. Uno saltò sulle spalle di un altro; un terzo usò i primi due come scala e si lanciò sulla palla. Ricadde in cima alla piramide dei suoi compagni, urlando trionfalmente e agitando la sfera in aria.

In quel momento, un pony nero piombò a testa bassa in mezzo alla massa di giocatori giallo-rossi, disperdendoli come birilli. Colpita dalla sua larga fronte piatta, la palla tornò verso Hikaru.

“Bravo ziooo! Dagli ai Red Caps (20)” esultò Jo, rinvenuta apposta per l’occasione.

Hikaru intercettò la palla, ma la ragazza che giocava per l’Ulster entrò a gamba tesa sulla sfera, lo fece finire lungo disteso per terra e se ne impossessò.

“Ehi!” gridò il giocatore, rialzandosi ammaccato nel fisico e nell’orgoglio “Non è stato un intervento corretto! E’ fallo!”.

Le fate di entrambe le squadre si voltarono verso di lui, esclamarono “Fallo?” e scoppiarono a ridere a crepapelle. Intanto la ragazza avanzava indisturbata attraverso il campo, inchiodava all’improvviso e tirava in porta con una potenza devastante.

“Maledizione!” ringhiò Hikaru, insultando dentro di sé tutti i folletti di questo mondo e i loro sport cretini. La giocatrice si voltò verso di lui, le mani sui fianchi e un ghigno insopportabile stampato sulla faccia, commentando “Ti ho fregato un’altra volta, bamboccio!”.

Hikaru grugnì: si conoscevano da dieci minuti e già lo sfotteva… E comunque come faceva ad averlo fregato in precedenza, se era la prima volta che si vedevano?

La questione andava analizzata con calma.

Ma la palla era già di nuovo in gioco. Maeve correva come il vento, la sfera come incollata alla mazza.

Jo comparve al fianco di Hikaru e prese a tirarlo per un braccio. “Su forza, non puoi stare disteso a riposare, ora!” lo rimproverò in tono petulante “Siamo sotto di un punto!”.

Il phooka lo costrinse in qualche modo ad alzarsi in piedi e lo spinse con tutta la sua forza verso la mischia che si stava formando intorno a Maeve.

“Vai, su! Giocooo di squadraaa!”.

Dal caos a centro campo, emerse una fatina alata, stringendo disperatamente la palla grande quasi quanto lei. La lasciò cadere proprio ai piedi di Hikaru. “Per il Connacht! Gabba Gabba Hey!” ansimò, prima di crollare a terra svenuta.

Il calciatore scattò verso la porta dell’Ulster, senza che i folletti si rendessero conto di quello che stava succedendo. Con la coda dell’occhio, scorse la giocatrice umana sopraggiungere. Era palese che avrebbe tentato un’altra entrata violenta, ma questa volta le avrebbe reso pan per focaccia. Credeva forse di poterlo fregare due volte con lo stesso trucco?

Si lasciò mettere a terra. Poi, mentre quella stava per ripartire palla al piede, l’afferrò per una gamba e la tirò lunga distesa.

“E’ fallo!” strillò la ragazza indignata, mentre un pony nero galoppava via a tutta velocità, con la palla tra gli zoccoli.

“Fallo?”.

Le fate scoppiarono a ridere.

Hikaru ghignò.

Kojiro era furibondo. Quello stronzo di Matsuyama lo stava sfottendo! Come osava? Se ne approfittava, perché quelle fate maledette giocavano sporco.

Gli sfuggì un ringhio frustrato, mentre quella specie di cavallo in miniatura, con la pancia tonda e le gambe storte, metteva in rete la palla.

Era questo che voleva Matsuyama? Va bene, l’avrebbe avuto! Gli avrebbe segato le gambe a quello stronzetto. Non sarebbe tornato in campo per mesi.

La palla era già di nuovo in gioco e i folletti la inseguivano a mazze levate.

Kojiro si liberò della stretta dell’altro, scalciando e schizzò verso la sfera. Due tizi bassi, che indossavano scarpe ridicole con fibbie dorate, gli sbarravano la strada, ma il giocatore non rallentò minimamente, deciso a travolgergli, piuttosto che a lasciarsi fermare.

Prese in pieno il primo, certo di stenderlo senza problemi, forte del suo peso superiore.

Invece si ritrovò con il culo per terra.

Il tipo si voltò e lo fissò dall’alto verso il basso. Aveva una barbetta da capra e ricci capelli neri (21).

“Cosa volevi fare, signorina?” domandò beffardo.

Kojiro si sentì ribollire di rabbia. Accidenti a quel corpo da donnicciola.

Intanto un’altra donna, vestita di nero, bianco e blu, si era impossessata della palla e correva, rapida come un cavallo da corsa, verso la porta dell’Ulster, i lunghi capelli che si agitavano al vento dietro di lei. Altre due donne coprivano la sua avanzata, tenendo alla larga con le mazze, tutti i giocatori giallo-rossi che riuscivano a raggiungerle.

“Forza così!” urlava Matsuyama a squarciagola “Continua a correre…”.

“Macha (22)” suggerì la ragazzina con i capelli rossi.

“Macha! E tu…”.

“Badb”.

“Badb, non lasciarli avvicinare. Stroncagli le gambe! Nelle ginocchia che fa più male, nelle ginocchia! Occhio sulla destra, c’è un Red Cap che ti vuole fregare! Macha, non puoi scartarlo, cazzo! Passa, passa a sinistra non vedi che…”

“Morrìgan”.

“...Che Morrìgan è smarcata? Passa!”.

Saltava su e giù come un pazzo, sbraitando ordini e intanto le tre donne seminavano il caos tra le file dell’Ulster. I giocatori giallo-rossi non riuscivano a fermarle in nessun modo.

“Morrìgan ripassa a Macha, adesso! E tu tira in porta, tira in porta!” .

“Fermatele, fermatele!” abbaiò Kojiro furibondo. “Qualcuno che difenda la porta, maledizione!”.

Il tiro di Morrigan atterrò preciso sulla mazza di Macha. La giocatrice lanciò la palla in aria, come per un servizio da tennis e tirò una bordata inaudita in rete.

Un boato si levò dai giocatori dell’Ulster.

Un vocetta acuta sovrastava tutte le altre:

“Due a uno, due a uno! Siamo in vantaggio! Connacht, Gabba Gabba Hey!”.

I giocatori dell’Ulster sembravano depressi e rassegnati. Approfittando della loro distrazione, Badb si era già di nuovo impossessata della palla. Tirò direttamente da centrocampo. La palla passò sotto il naso dei giocatori dell’Ulster, senza che questi muovessero un dito per fermarla e si insaccò in rete.

Matsuyama iniziò a gridare “Gabba Gabba Hey!”.

“A che razza di gioco state giocando?” ruggì Kojiro “Muovete quei vostri culi da fatine, smidollati!”.

Morrigan agganciò al volo un assist di Macha, palleggiò la sfera sulla mazza e tirò di nuovo in porta.

“Goal! Gooooaaaal!” ululò Matsuyama correndo a battere il cinque alla donna.

“Non è mica così facile” sibilò la Glaistig azzurra, apparendo al fianco di Kojiro “E’ di nuovo quella maledizione. La tirano fuori tutte le volte, con qualche scusa”.

“Che maledizione?” chiese Kojiro allibito, mentre Badb passava a Macha, che insaccava con una rovesciata.

“E siamo quattro a uno! La punta d’oro del Connacht segna ancora!”

“La solita, no? Che tutti gli uomini dell’Ulster si troveranno senza energie nel momento di maggior bisogno. E’ sempre la stessa da duemila anni”.

“Ma tu non sei un uomo!” ringhiò il calciatore “Allora datti da fare! Ferma quelle indiavolate”.

“Eeee ancora un grandissimo goal di Badb! Questa ragazza è un genio, signori, un genio! E che gambe!”

“Non ce n’è mica bisogno” ribatté la Glaistig scuotendo le spalle “Altrimenti come avremmo fatto a vincere ininterrottamente per gli ultimi trecento anni? Ora entra in campo lui”.

“Lui chi?”.

“Cuchulain (23), chi se no?”.

Le tre giocatrici stavano guidando un ennesimo attacco alla metà campo dell’Ulster, intonando canti di guerra e roteando le mazze in aria, senza che nessuno dei giocatori giallo-rossi sembrasse in grado di opporsi loro, quando davanti alla porta si parò una figura.

Il giovane era alto quasi due metri e i suoi capelli biondi splendevano come lingue di fiamma.

Le tre donne si bloccarono di colpo, visibilmente intimorite.

“Non fatevi spaventare” urlava intanto Matsuyama “E’ grosso ma è soltanto uno, aggiratelo, aggiratelo! Gioco di squadra! Badb, spostati sulla sinistra. Morrìgan allargati a destra!”.

Il calciatore si affrettò verso la scena dello scontro, il cagnetto rosso alle calcagna.

“Passate indietro! Non tenete la palla ferma, maledizione!”.

Badb tirò indietro, verso di lui, ma esitò un secondo di troppo: il nuovo arrivato intercettò il passaggio e cominciò a correre verso la porta del Connacht.

Matsuyama si lanciò al suo inseguimento, mentre il cagnolino lo seguiva, uggiolando “Oh, sono guai grossi, guai GROSSI”.

Cuchulain si lasciava alle spalle una striscia di terra bruciata e un calore insopportabile emanava dal suo corpo, tanto che nessuno osava avvicinarglisi. Chi era tanto coraggioso (o folle) da farlo, veniva scaraventato a terra, senza nemmeno riuscire a rallentarlo.

Kojiro ghignò “Ora sì che mi piace. Ehi tu! In rete, tira in rete da lì, puoi farcela grosso come sei!”.

Il giocatore giallo-rosso caricò il colpo e calciò. La palla, avvolta dalle fiamme entrò in porta, attraversò la rete dandole fuoco e sparì all’orizzonte.

Una nuova palla venne lanciata in campo.

E Cuchulain tirò di nuovo, senza nemmeno spostarsi da centrocampo.

E tirò.

E tirò.

E tirò.

“Merda, non possiamo farci mettere sotto in questo modo da un giocatore solo!” Matsuyama stava fumando di rabbia.

“Ma se ti succede sempre bamboccio!” lo sfotté soddisfatto Kojiro “Questa è la classe vera! Ehi tu, Cuchulain, passa!”.

Il giovane lo fissò un attimo sorpreso, come se non potesse credere che qualcuno avesse avuto davvero la sfacciataggine di chiedergli, anzi ordinargli, di passare, poi si strinse nelle spalle e tirò una bordata nella sua direzione.

Doveva assolutamente tirare al volo: con quelle fiamme non c’era altro modo. Certo non sarebbe stato facile con una palla così veloce, ma d’altra parte lui era Kojiro Hyuga, non c’era sfida che lo spaventasse.

“Tiger shot!” ruggì, insaccando la palla in rete. La palla sfondò la rete, o meglio, quello che ne rimaneva e rotolò nei terreni incolti oltre il campo da gioco.

Dopo gli exploit di Cuchulain il suo non sembrava un gran ché. Era francamente ridicolo a dirla tutta.

Il biondo giocatore gli si avvicinò e gli diede una pacca amichevole sulla spalle, che lo fece affondare di dieci centimetri nel terreno. “Anche tu non sei male, dai!” lo consolò.

Kojiro storse il naso.

Hikaru e Jo stavano seduti a bordo campo e seguivano con gli occhi i tiri di Cuchulain che entravano in porta uno dopo l’altro.

“Dodici… tredici…” il phooka sospirò “E’ andata così anche quest’anno… quattordici… quindici…”.

“Succede sempre così? Diciannove… venti…”.

“Sai com’è, nessuno si azzarda ad avvicinarlo: rischi la vita. Ventitre… ventiquattro…L’ultima volta che abbiamo vinto è stato nel 1715, quando si è buscato un raffreddore. Ventisei…”.

“Eppure ci deve essere un modo per fermarlo! E’ pur sempre uno solo, accidenti! Non possiamo dargliela vinta così”. Hikaru fissò immusonito il campo. Così non era divertente, che gusto c’è a giocare una partita del genere?

L’unico aspetto positivo era che anche la sua controparte non pareva essere particolarmente contenta. Venire messa così in ombra doveva bruciargli parecchio.

Assomigliava proprio a Hyuga, aveva anche lo stesso modo di tirare. Soltanto che fisicamente era cento volte meglio…

“E’ per questo che abbiamo scelto te, quest’anno! Anche se non sei un gran ché, sei conosciuto per riuscire a rendere delle squadre di brocchi in grado di affrontare dei campioni veri”. Rifletté un momento “Noi non siamo brocchi, comunque”.

“Bhè grazie” ribatté Hikaru, offeso “Trentasei… Trentasette…”.

Non aveva intenzione di lasciare che quella storia finisse così. Aveva affrontato i campioni del Giappone e del Mondo e se l’era cavata più che egregiamente. Non si sarebbe lasciato metter sotto da un Cuchulain qualunque.

“Dobbiamo soltanto prendere la palla prima di lui e impedirgli di impossessarsene! Possiamo farcela: abbiamo degli ottimi elementi in squadra, rapidi e precisi. Dobbiamo puntare sui passaggi”. Hikaru fissò Jo negli occhi, stringendo un pugno. “Tocca a te soffiargli la palla all’inizio: sei l’unica abbastanza svelta. Poi la passi a me e io la faccio girare!”

Jo lo fissò a sua volta.

Il fuoco della giovinezza ruggì nei loro sguardi.

“Ce la possiamo fare!”.

“Ce la possiamo fare!”

Il cagnetto rosso correva come se ne andasse della sua vita, stringendo la piccola palla tra le zanne aguzze.

E in effetti, probabilmente, ne andava della sua vita, dato che era inseguito da un gigante avvolto dalle fiamme, che pareva avere tutta l’intenzione di schiacciarlo con una mazza da Hokey.

Hikaru annuì soddisfatto: stava andando esattamente come aveva sperato. Il phooka era schizzato in campo, quando l’ennesima palla era stata rimessa al centro e l’aveva acchiappata al volo mentre Cuchulain sollevava la mazza per tirare; si era infilato a tutta velocità tra le sue gambe e adesso stava puntando dritto dritto nella sua direzione.

Il calciatore si rese conto della falla nel suo piano, nel momento in cui la palla fu depositata ai suoi piedi e realizzò di trovarsi sulla traiettoria di un bolide infuocato da centocinquanta chili.

Saper effettuare passaggi rapidi diveniva improvvisamente una questione di importanza vitale.

“Maeve, prendi!” urlò, liberandosi della palla il più velocemente possibile. Cuchulain sterzò verso la donna, un secondo prima di travolgerlo. La regina del Connacht ricevette la sfera e non la trattenne che il tempo necessario a lanciarla nella direzione opposta.

Maine Mathremail (24) bloccò il volo della palla con la mazza e la spedì verso il grasso pony nero.

Il campione dell’Ulster deviò nella nuova direzione.

Hikaru sospirò di sollievo, mentre un ghigno si allargava sulla sua faccia: era proprio come aveva sperato. Quello era grande, robusto e forte come un toro, ma sapeva soltanto correre dietro alla palla.

L’Ulster non era una squadra e non lo sarebbe diventata ora. In fondo, se non si sbagliava di grosso, la loro umana era proprio come Hyuga e il suo gioco era di un egocentrismo puro.

Li avrebbero messi nel sacco, continuando in quel modo.

Corse in avanti per intercettare un passaggio di Niamh. La ragazza trovò il tempo di fargli l’occhiolino, prima di venire quasi schiacciata da Cuchulain.

Hikaru passò a uno dei leprecauni, che agganciò la sfera e la inviò dritta sulla mazza di Badb. La giocatrice improvvisò un assist perfetto per Ailill, che mise in rete con un sinistro degno di Oozora.

“EEEEEEEE VAIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!” ululò Jo, correndo per tutto il campo con le braccia levate.

“Cosa esulti che abbiamo fatto un solo goal?” la rimproverò Hikaru, mentre si affrettava a tornare in posizione per la ripresa del gioco.

“Di solito non facciamo più una rete, da quando lui entra in campo” rispose la ragazzina, il viso rosso ed eccitato “Perciò è già un bel risultato!”.

“E allora vediamo di fargliene un altro!” gridò Hikaru, cercando di incitare la sua squadra.

Morrìgan scagliò la palla da centrocampo verso Maine Andoe, il quale la spedì verso l’area avversaria, dove fu intercettata da Hikaru, che era scattato appena la donna aveva colpito la sfera.

Il calciatore schivò un goffo tentativo di una Hag (25) di fermarlo e tirò in porta.

Un giocatore giallo-rosso bloccò la palla e passò verso Cuchulain, ma, da un ciuffo d’erba, saltò fuori una piccola volpe che afferrò la palla al volo. Un attimo dopo, Jo stava calciando la sfera in direzione di Macha.

La donna stoppò di petto, palleggiò la sfera sulle ginocchia e la colpì con tutta la forza, spedendola tra i piedi del giocatore nero-blu con orecchie da coniglio.

Questo attraversò di corsa gli ultimi metri prima della porta e si liberò della palla, passandola a Maine Mo Eper, giusto prima di venir raggiunto da Cuchulain.

Il giocatore del Connacht tirò in rete e…

“Goaaaaal!” urlò Hikaru scagliando un pugno per aria.

Kojiro non sapeva se essere seccato o soddisfatto dall’inaspettato andamento preso dalla partita. Certo, la sua squadra stava perdendo l’evidente superiorità in cui si era crogiolata fino a quel momento, però, per lo meno, Matsuyama stava mettendo in difficoltà quel bellimbusto coperto di fiamme.

Matsuyama aveva un certo stile, doveva ammetterlo, lo aveva sempre avuto: era per quello che amava così tanto schiacciarlo tutte le volte che si incontravano. Era una sfida interessante, ma il finale scontato vedeva sempre Kojiro vincitore. Per quello Matsuyama era il suo antagonista preferito e doveva essere lui e soltanto lui a umiliarlo tutte le volte.

Ridacchiò divertito, godendosi lo spettacolo del suo compagno di squadra che inseguiva inutilmente la palla per tutto il campo. Ecco, li avrebbe fatti soffrire un altro po’, giusto il tempo che si rendessero conto che, senza di lui, non avrebbero combinato un bel niente e poi avrebbe mostrato loro come si gioca a Hurling. O a calcio, per lo meno.

Hikaru mise in rete un’altra palla e si voltò verso di lui, con espressione esaltata: “Ti sei già arresa? E dire che facevi tanto la sbruffona!”.

Un nervo si contrasse sulla tempia di Kojiro… quello stronzo di Matsuyama…

Aveva detto che voleva aspettare? Bhè aveva aspettato a sufficienza.

“Ehi voi, fatine! Cosa c@**# state facendo? Li state lasciando fare quello che vogliono!”.

Si diresse verso un gruppo di giocatori giallo-rossi, che si dondolavano da un piede all’altro, senza evidentemente avere la minima idea di come comportarsi.

“Datevi una mossa, smidollati” sbraitò loro in faccia Kojiro “Difendete quella porta! Non potete farli tirare come gli pare e piace”.

“Ma noi…” brontolò uno dei giocatori, con una fascetta d’oro intorno alla testa (26) “Siamo stanchi… la maledizione…”.

“La maledizione un corno!” abbaiò Kojiro “Vi prendo a calci per tutto il campo se non vi muovete”.

Il giocatore lo fissò, palesemente inorridito da quell’eventualità e lui e le altre fate si affrettarono a piazzarsi davanti alla porta.

“Tu!” urlò il calciatore all’indirizzo della Glaistig “Vedi di darti da fare, visto che non subisci la maledizione e anche tu! Come diavolo ti chiami, con i capelli biondi!”.

Una ragazza bellissima (27), che si stava intrecciando i capelli dorati, annuì con aria assente e sollevò la mazza.

Intanto l’attacco del Connacht non si fermava. Matsuyama continuava a guidare l’azione, effettuando i passaggi fulminei per cui era famoso.

Cuchulain sembrava piuttosto seccato.

“Ehi, Cucurrin o come diavolo ti chiami! Smettila di correre su e giù in quel modo!” urlò Kojiro, con un piacere sconfinato “Marcane uno e basta! Quello là, quello grosso e con l’aria idiota. Appiccicati addosso a quello e non mollarlo un secondo”.

“Te, Fata Turchina, marca la ragazzina che si trasforma in cane, prendila a mazzate se devi, ma fermala!”.

“Con piacere” rispose la Glaistig con un sorriso malevolo, roteando la mazza. Il cagnetto si arrestò di botto, la squadrò con sguardo preoccupato e scappò a gambe levate nella direzione opposta, con la donna alle costole.

“Mantieni la posizione, mantieni la posizione!” urlò Matsuyama che stava per effettuare un passaggio nella sua direzione.

“Fossi matta!” guaì il cagnetto, continuando a correre.

“A lui ci penso io!” gridò Kojiro, facendoglisi incontro.

Matsuyama si esibì in quello che voleva essere un sorriso seducente “Sarà interessante” commentò.

Kojiro ringhiò “Pensa a giocare, pivello”.

Il giocatore dell’Hokkaido lo scartò, rapidissimo e si preparò a passare. Kojiro cercò di anticiparlo, entrando in scivolata sulla palla, ma Matsuyama riuscì a tirare, prima di cadere faccia a terra.

Un giocatore nero-blu si impossessò del pallone e si diresse verso la porta.

“Fermatelo!” abbaiò Kojiro “Voi lì, in difesa! Andategli incontro! TU NO, pezzo di imbecille! Tu stai marcando quello grosso, continua a marcarlo!”.

Cuchulain, che stava già per lanciarsi verso la palla, tornò a testa bassa alla sua posizione.

In compenso, sul giocatore del Connacht, si gettarono tre fate giallo-rosse, che lo costrinsero a passare indietro.

Una delle tre donne indiavolate ricevette il passaggio e tentò nuovamente di avanzare, ma Kojiro spedì i tizi con i cappelli rossi a marcarla e la tipa venne seppellita sotto una massa di corpi verdastri e nodosi.

La palla rotolò indisturbata fra l’erba.

Cinque giocatori nero-blu e un numero imprecisato di giocatori giallo-rossi si precipitarono sulla sfera a mazze levate.

“No, no, NO!!!” imprecò Matsuyama esasperato “Vi ho detto di mantenere la posizione, la posizione! Ricordatevi i ruoli!”.

“Povero coglione” lo sfotté Kojiro “Credi davvero che le fatine abbiano cervello a sufficienza?”.

Una massa confusa di corpi si agitava intorno alla palla: sembrava che nessuno riuscisse a emergere. Kojiro non riusciva nemmeno a vedere la sfera.

Stava cominciando a perdere la pazienza: non era da lui stare fermo ad aspettare che i suoi compagni si impossessassero della palla. Se soltanto Matsuyama si fosse dato una mossa…

Invece quello stava lì impalato e lo fissava con un sorrisetto supponente.

“Bhè, che c’è?” ringhiò aggressivo.

“Niente…” rispose vago Matsuyama “Soltanto assomigli a un tizio che conosco… e scommetto che lui, in questo momento, starebbe bruciando dalla voglia di tuffarsi nella mischia”.

“Staresti forse insinuando che sono uno stupido, incapace di una strategia, che si getta nel casino a testa bassa?” domandò Kojiro, stringendo pericolosamente gli occhi.

“Non penserei mai una cosa del genere di te!” ribatté Matsuyama, con un sorriso ancor più melenso del precedente “Anche quel tizio che conosco non è mica stupido. E’ soltanto un po’ troppo irruente e tende a scordarsi di pensare, ma in fondo è in gamba”.

Kojiro sbatté le palpebre, preso in contropiede. Matsuyama pensava quello di lui? Credeva che lo odiasse cordialmente. “Ah… bhè… grazie” rispose a disagio.

“Prendete quella maledetta palla!” ruggì per nascondere l’imbarazzo.

Hikaru scoccò un altro sguardo prudente al profilo della Giocatrice Sconosciuta. Non era affatto male. E’ vero che fra le fate c’era un numero impressionante di donne stupende, ma la ragazza umana aveva decisamente più pepe. E poi era chiaro che era una giocatrice professionista: quella precisione, quella potenza nel tiro non potevano certo essere improvvisate. Nonostante questo, però, aveva delle gran belle gambe, non quei tronchi d’albero che si ritrovavano di solito le sue colleghe, bensì polpacci torniti e cosce snelle.

La ragazza si accorse di essere osservata e gli rivolse un occhiata di fuoco. Che sguardo! Non l’avrebbe lasciata vincere, però!

Il caos a centrocampo si stava moltiplicando.

I giocatori del Connacht sembravano essersi completamente dimenticati delle istruzioni di Hikaru e si assiepavano intorno alla palla, cercando di strapparla agli avversari.

Jo correva su e giù per tutto il campo, inseguita dalla tizia con i capelli azzurri.

La masnada di Red Caps aveva mollato Macha, che si stava rialzano stordita, con i lunghi capelli arruffati e si era tuffata su Maine Mathremail che era riuscito a emergere dalla mischia con la palla in equilibrio sulla mazza.

Macha sollevò le braccia al cielo, furiosa per l’offesa subita e nubi tempestose oscurarono improvvisamente il sole. Morrìgan ululò in risposta come cento cani selvatici e fulmini azzurri squarciarono l’orizzonte. Badb scosse la mazza e la terra tremò.

“Ehm… ragazze… calme…” Hikaru tentò titubante di placarle.

Intanto Maine Andor e Maine Athremail si gettavano sui Red Caps che avevano aggredito il fratello, lanciandoli in tutte le direzioni.

Cuchulain si scagliò contro le tre donne del Connacht che soffiarono in risposta come gatti. Per un secondo si fusero in una sola donna dalla bellezza insostenibile, quindi si dissolsero in uno stormo di corvi che aggredirono il guerriero dell’Ulster.

Il giocatore giallo-rosso, con i capelli stretti da una fascia d’oro, chiamò gli altri a raccolta: “Guerrieri dell’Ulster, i traditori del Connacht ci assalgono! Mostriamo loro di che pasta siamo fatti!”.

Un boato si levò dal campo, mentre Hikaru fissava la scena allibito. La ragazza bruna accanto a lui non sembrava meno esterrefatta.

“Sì! Mischiaaaaa!” i giocatori giallo-rossi conversero tutti verso il centro del campo dove Cuchulain

e i corvi che erano stati Macha, Badb e Morrìgan lottavano ferocemente.

“Fratelli!” fu la volta di Maine Mathremail di gridare “Le nostre compagne sono in difficoltà: aiutiamole!” ed egli e i suoi sei biondi fratelli si scagliarono contro i giocatori giallo-rossi, senza metter tempo in mezzo.

“Bhè caro” commentò Maeve, sbadigliando “sembra che ci sia bisogno di noi là. Andiamo a dare una mano ai ragazzi”.

“Connacht con me!” ruggì Ailill “Si fa a botteeeeeeeee!”.

“Gabba Gabba Hey!” urlarono in coro i giocatori neri e blu.

Il pony nero caricò a testa bassa.

La Glaistig azzurra smise di inseguire Jo e si tuffò nella mischia.

“Ma… ma… ma cosa sta succedendo!” urlò Hikaru sconvolto dall’evolversi della situazione.

“Succede che ora ci si diverte!” esclamò Jo, apparsa improvvisamente al suo fianco, con gli occhi luccicanti “Connacht! Gabba Gabba Hey!”. Si trasformò in volpe e schizzò verso il centro della battaglia, cominciando a mordere stinchi a destra e a manca.

Il cielo si faceva sempre più scuro e fulmini cadevano tutt’intorno (e a volte SUI) contendenti.

I giocatori dell’Ulster si trasformarono improvvisamente in serpenti velenosi e quelli del Connacht reagirono mutandosi in aironi e allora i giallo-rossi presero sembianze di aquile e…

“Mi sa che qua non hanno più bisogno di noi… ce ne andiamo, prima di rimetterci le penne?” sbottò Hikaru rassegnato, allontanandosi.

La ragazza scoccò un’ultima occhiata allucinata alla scena e poi lo seguì.

“Speriamo solo che quella si ricordi di farmi tornare normale…” borbottò tra i denti.

“Scusa che hai detto?”.

“Niente, niente!” si affrettò a negare la ragazza, diventando rossa come un peperone.

Camminarono finché le fate non divennero soltanto un polverone all’orizzonte. Hikaru trovò un sasso sufficientemente comodo e si mise a sedere, la ragazza si accomodò accanto a lui.

“Tu... uhm… insomma… Come sei finita in questo casino?”.

La giocatrice lo fulminò con un’occhiata: “Che c’è, continui a provarci? Ma non avevi la ragazza tu?”.

“Ra… ragazza? Io?” rispose Hikaru vago.

“Ma se ti seguiva in tutte le trasferte, era sempre trai piedi. Si chiamava… Yo… Yoshiko”.

“Yoshiko…” il nome gli diceva qualcosa. Sì, conosceva qualcuno con quel nome… qualcuno… Yoshiko!

Hikaru spalancò gli occhi incapace di credere di essersene dimenticato: Yoshiko era la sua ragazza, erano stati insieme per ANNI, fin da quando erano bambini.

E lo aveva mollato. Giusto la sera prima. I ricordi cominciarono a riaffiorare… Quella roba che gli aveva dato da bere il phooka, doveva essere stata quella a fargli dimenticare tutto.

“Temo che Yoshiko non sia più la mia ragazza” mormorò affranto. Poi un sospetto cominciò a farsi largo nel suo cervello “Ma tu… come facevi a saperlo, che mi seguiva sempre durante le trasferte?”.

La ragazza diventò bordeaux “Io… io… l’ho sentito dire, qualcuno me l’ha raccontato. E comunque a te che ti frega?”.

Hikaru studiò il suo viso bruno e squadrato, le labbra sottili, i capelli selvaggi e corvini…quegli occhi neri e ardenti come carboni e poi scoppiò a ridere.

“Non… non ci posso credere, non ci posso credere!” rantolò, piegato in due dalle risate “Sei Hyuga, sei Hyuga veramente! Chi ti ha fatto questo scherzetto?”.

“Non azzardarti a dirlo a nessuno!” ringhiò Hyuga, tra il terrorizzato e il furibondo “Matsuyama, ti strappo le palle se lo racconti a qualcuno!”.

Hikaru aveva le lacrime agli occhi dal ridere, il che rendeva schivare i pugni che la ragazza-Hyuga cercava di assestargli piuttosto complicato, ma era tutto così meravigliosamente ridicolo. Quella era Hyuga e lui ci aveva provato, completamente dimentico di Yoshiko e del suo dolore.

Hyuga gli assestò un calcio nello stomaco.

“Ahia!” protestò Hikaru dolorante, smettendo di ridere e stringendosi la parte lesa.

“Guarda, Matsuyama, se solo ti azzardi…”.

“Anche se lo dovessi raccontare a giro, chi vuoi che mi crederebbe?” ribatté Hikaru, tentando di recuperare un po’ di dignità. “Sai… secondo me ti hanno fatto un favore… dovresti chiedergli di lasciarti così. Potresti sedurre qualche modella lesbica”. Lasciò vagare un attimo la fantasia.

“Perché mai dovrei fare qualcosa del genere?” domandò Kojiro sospettoso.

“No, niente. Mi pareva interessante”.

“Stavi avendo fantasie pornografiche su di me e qualche modella? Ma io ti ammazzo!”.

Hikaru ritenne imperativo darsi alla fuga.

Hyuga era dannatamente veloce e ci mise un sacco di tempo a stancarsi: ne aveva di fiato per essere una ragazza. Hikaru fu assalito da un nuovo attacco di risolini a quel pensiero e fu costretto a rallentare.

Per fortuna, l’altro si era gettato in terra qualche metro più in là; Hikaru tornò indietro. “Non mi vuoi più ammazzare?” lo apostrofò, ansimando.

“Ora sono troppo stanco, ma è soltanto rimandato”.

“Allora per il momento mi stendo qua accanto a te”. Hikaru si allungò al fianco della ragazza che era Hyuga e fissò il cielo. Era azzurro, più azzurro di come l’avesse mai visto, forse perché erano così lontani dalla città. In lontananza si udivano ancora, fievoli, le grida delle fate.

Gabba Gabba Hey!

“E dunque la tua donna ti ha mollato” ghignò Hyuga beffardo, accanto a lui.

“Come fai a sapere che è stata lei?”.

“E’ chiaro, si vede lontano un miglio che sei stato scaricato. E comunque era troppo carina per te”.

Sempre pieno di tatto Hyuga, un persona di una gentilezza squisita.

“Però sembrava proprio cotta. Non c’era partita che non venisse a vedere e ha continuato a pensarti, persino dall’altra parte del mondo. Credevo che non ti avrebbe mai lasciato”.

Hikaru si voltò sorpreso. Hyuga si stringeva un ginocchio al petto, vi aveva appoggiato il mento e fissava meditabondo l’orizzonte.

“Davvero pensavi questo di noi? Credevo…”.

“Che non me fregasse niente di nessuno e che nemmeno mi fossi accorto che avevi la ragazza? E invece lo sapevo. Sono anni che giochiamo l’uno contro l’altro”. Era insolitamente pacato per essere Hyuga.

Hikaru incrociò le braccia dietro la testa e seguì con lo sguardo una nuvola vagabonda.

“Ha detto che non sono capace di avere una relazione seria con una donna, che sono troppo concentrato su me stesso”. Ok, l’aveva detto e si era levato il peso. Certo non avrebbe mai pensato di farlo proprio con Hyuga.

L’altro lo fissò con uno sguardo strano “Tu? Troppo concentrato su te stesso? Ma se non ho mai conosciuto qualcuno altrettanto generoso e attento… per lo meno con in compagni di squadra”.

Hikaru inarcò un sopracciglio “Sai, se non sapessi che sei un uomo, dopo questa battuta potrei quasi innamorarmi di te”.

“Fanculo Matsuyama”.

Rimasero in silenzio fianco a fianco, a guardare il cielo e ad ascoltare i cori delle fate in lontananza.

Quando il sole calò dietro le colline erbose, finalmente la Glaistig azzurra e il phooka riapparvero. Erano entrambe sporche e scarmigliate ma, mentre la donna teneva il broncio, la ragazzina sorrideva allegramente e avanzava saltellando.

“Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!” trillò, appena vide Hikaru “Ed è stato tutto merito tuo: sei stato bravissimo!”.

“Posso andarmene, adesso? E magari puoi ridarmi i miei vestiti?”.

“Certo, certo! Ecco i vestiti e un regalino per la tua disponibilità”. Jo gli mise in mano uno specchietto d’argento “E’ magico” gli sussurrò all’orecchio con fare cospiratorio “Se pronunci il nome di una persona, la vedrai apparire al suo interno”.

Hikaru la guardò perplesso. La ragazzina annuì con enfasi.

“Potrei andarmene anch’io, di grazia?” ringhiò Kojiro.

“Uhm, sì” sbuffò la Glaistig “Anche se non sei stato di grande aiuto; dovrei lasciarti così per sempre”.

“Non azzardarti, strega!”.

“I patti sono patti… purtroppo”. La donna agitò una mano e Hyuga riprese le sue fattezze.

Hikaru sospirò vagamente deluso. Nutriva ancora qualche speranza su quella modella lesbica…

Kojiro lo fulminò con un’occhiataccia.

“Bhè io me ne vado allora!” li salutò Jo allegramente “Buona fortuna Hikaru! Noi del Connacht faremo sempre il tifo per il Manchester. D’ora in poi i tuoi avversari potrebbero avere mooolti incidenti”.

Hikaru le rivolse uno sguardo stralunato “Non lo farai sul serio, vero?”.

“Oh sì!” rispose la ragazzina convinta, con un ampio sorriso gioioso.

Una volpe sparì tra l’erica in un lampo fulvo.

Hikaru sospirò di nuovo, rassegnato questa volta.

“Bhè me ne vado anch’io” salutò la Glaistig azzurra “Ma non aspettarti favori da me” concluse acida.

“Non voglio favori di sorta, da voi!” ribatté Kojiro.

La donna svanì in uno sbuffo di fumo.

I due giovani rimasero da soli nel silenzio dei campi.

“Andiamo a bere qualcosa” sbottò Kojiro dopo un po’ “Ho bisogno di dimenticare”.

“Perché no?” rispose Matsuyama, stringendosi nelle spalle.

Affondò le mani nelle tasche e seguì il compagno tra l’erba.

“Ehi Hyuga… tu hai idea di dove siamo?”.

...

“Quelle fate del c@**#!”.

(1) Sligo: cittadina del nord-est dell’Irlanda, sperduta nel nulla assoluto

(2)Uisce Beatha: whiskey in gaelico irlandese

(3) Il Megi Jingu Mae è un famoso ponte di Tokyo, vicino al quartiere di Shinjuku, dove, nel fine settimana, si riuniscono ragazzi e ragazze vestiti nei modi più assurdi, spesso come membri dei loro gruppi preferiti o come personaggi dei fumetti.

(4)Cuige Uladh: nome in gaelico antico per la provincia dell’Ulster

(5)Ulster: come dicevamo, è una provincia dell’Irlanda, corrisponde più o meno all’Irlanda del Nord.

(6)Connacht: idem come sopra, però si trova nel nord-ovest.

(7)Phooka: folletto irlandese che ha l’abitudine di trasformarsi in animale a giocare tiri birboni ai viaggiatori ingenui.

(8)Slainte: “alla salute” in gaelico irlandese

(9) Lughnasad: festa del dio Lug, celebrata il 1 agosto, dell’antico caledario celtico.

(10) Hurling: sport irlandese VAGAMENTE simile all’Hokey, ma molto più violento. Sta all’Hokey come il Calcio Storico Fiorentino sta al Calcio.

(11) Glaistig: un tipo di fate piuttosto carogne, sono donne bellissime con gambe di capra, che di solito nascondono sotto lunghi abiti verdi. Seducono gli uomini per succhiare loro il sangue.

(12) Daoine Sidhe: un tempo erano gli abitanti dell’Irlanda, prima che venisse comquistata dagli umani. Adesso vivono nei tumuli, dove hanno i loro palazzi. Sono immortali e bellissimi. A volte rapiscono gli uomini per farne i propri compagni. A proposito, quella subito dopo non è una metafora sessuale, almeno nelle intenzioni di Jo: le loro armi preferite sono le lance e delle sfere di pietra con cui sfondare i crani dei nemici.

(13) Corte Scontenta: o Unseelie Court, riunisce i membri più malvagi e pericolosi del popolo fatato.

(14) Aughisky: cavalli acquatici divoratori di uomini.

(15) Bogle: folletti che, per lo più, tormentano assassini e bugiardi, con tiri mancini di ogni tipo.

(16) I maiali di Finvarra, re delle fate, vengono uccisi ogni sera per risorgere al mattino.

(17) Niamh: principessa delle Daoine Sidhe, amava rapire bei ragazzi per tenerli al suo fianco. Il più famoso è Oisin, che tornò nel nostro mondo giusto in tempo per morire di vecchiaia.

(18) Ailill:leggendario marito dell’ancor più leggendaria Maeve, regina del Connacht che scatenò una guerra, narrata ne “La Razzia del toro di Cooley”, per il possesso (appunto) di un toro rosso.

(19) Gabba Gabba Hey: un verso di una canzone dei Ramones. Vanna Vinci in “Lillian Browne” lo fa gridare ai folletti durante una partita di Hurling. L’ho fatto anch’io come omaggio a una fumettista bravissima che mi ha insegnato tanto. E poi è divertente…

(20) Red Caps: folletti malvagi e sanguinari, tendono a sgozzare la gente con le loro asce per poi tingere i cappelli nel sangue delle vittime.

(21) Si tratta di un leprecauno, i leprecauni sono folletti calzaiuoli, ma non commissionategli delle scarpe: ve ne faranno una (mai un paio) in trecento anni.

(22) Macha: personaggio controverso della mitologia irlandese, viene nominata come principessa del Connancht con un legame particolare dei cavalli, sia che si tratti di correre rapida come loro, che di proteggerli e allevarli. Lanciò una maledizione sui guerrieri dell’Ulster, affinché si trovassero senza forze nel momento di bisogno, come narrato ne “la Razzia del toro di Cooley”. Viene anche nominata, però, come una delle tre divinità del pantheon celtico, Morrìgan, Badb e Macha, dee legate alla guerra e all’amore sensuale (per quello che si capisce da quei brani scarsi e tardivi che abbiamo sull’argomento). Sembra che fossero tre aspetti di una dea sola, una specie di Trinità pagana. Dico divinità per semplicità, perché erano Tuatha de Dannan, membri della tribù della dea Danu, che sono una complicata via di mezzo tra fate, dei, umani, eroi, tanto poi diventano tutti Daoine Side.

(23)Cuchulain: leggendario eroe dell’Ulster. Il suo nome significa “il cane del fabbro di Cullin”, perché in gioventù dovette sostituire come guardiano il cane del fabbro che aveva ucciso. E’ dotato di forza straordinaria e di attributi di divinità solari. Durante la “Razzia del toro di Cooley” fu l’unico guerriero dell’Ulster a non perdere le forze. Combatté faccia a faccia con Morrìgan che ne uscì ammaccata. E’ figlio di Lug.

(24)Maine Mathremail: Maine “Come Sua Madre” uno dei sette figli di Maeve e Ailill, poi erede del regno del Connacht. Gli altri sono Maine Athremail (Come suo padre), Maine Mo Epert (colui che parla) Maine Andoe (il rapido) Maine Mingor (delicato nei doveri… traduzione mooolto dubbia), Maine Milscothatch (dalla lingua di miele) e Maine Morgor (forte nei doveri… anche su questo ho qualche dubbio, ma non riesco a trovare una traduzione che mi convinca).

(25) Hag: brutta strega cattiva che vive nelle paludi.

(26) Non si capisce, ma ve lo dico lo stesso: è Conchobar, re dell’Ulster. Combatté con Maeve per il famoso toro di Cooley.

(27) Come sopra: è Deirdre, fanciulla bellissima eroina di una storia strappalacrime. Conchobar la sposò con la forza dopo aver ucciso il suo innamorato e lei si suicidò. Varie peripezie e sventure nel mezzo.

Ringraziamenti e Bibliografia: Per prima alla meravigliosa Vanna Vinci che mi ha dato l’idea con il suo geniale “Lillian Browne”. Sottolineo, però, che Jo, il phooka, è un personaggio nato prima ancora di Lillian, quindi è tutta farina del mio sacco. Tra l’altro lo conosce pure Vanna…

Grazie a chi mi ha gentilissimamente betato e sopportato mentre scrivevo. Grazie ai meravigliosi siti dove trovavo rapidamente le informazioni che mi mancavano, primo fra tutti Wikipedia.

Un grazie speciale alle Webzie di ELF (http://www.immaginifico.com/field/) che mi hanno dato l'occasione di scrivere questa storia e che l'hanno premiata!

Ho attinto informazioni da “Fate” di Alan Lee e Brian Froud, da “la Pietra del Vecchio Pescatore”, varie saghe e leggende irlandesi tra cui la solita “Razzia del toro di Cooley”e da ricordi di saggi storici e antropologici sui celti.

Da qualche parte ho dei disegni di Jo, se riesco a caricarli ve li faccio vedere.

Crdevo veramente che Hikaru giocasse nel Manchester -_-''' , voi fate finta che ci giochi sul serio....

  
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