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Autore: Gozaru    03/09/2013    2 recensioni
[Lysandre] [Nathaniel] [Castiel]
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Ho sempre pensato fosse una persona strana. Qualcosa in lui mi aveva sempre attirato ma, al contempo, respinto in maniera viscerale. Era tutto ciò che io non ero e non sarei mai diventato. Il solo pensiero mi irritava più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Ed è per questo che mi avvicinai a lui...

STORIA SOSPESA
Mi scuso con chiunque la segua. Farò di tutto per darle una conclusione. Prima o poi.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Lysandro, Nathaniel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cap1 Dolce Flirt ~


Shadows


Vediamo se questa storia riesce ad essere più bella di Doppio Gioco...

Capitolo Uno.
First Act.


Ho sempre pensato fosse una persona strana. Qualcosa in lui mi aveva sempre attirato ma, al contempo, respinto in maniera viscerale. Era tutto ciò che io non ero e non sarei mai diventato. Il solo pensiero mi irritava più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Ed è per questo che mi avvicinai a lui...

Stava fumando, seduto in modo scortesemente inappropriato sulla sua panchina preferita, quella più in disparte nel cortile del Liceo. Ricordo ancora quando, l'anno prima, dovetti far firmare una richiesta per far riverniciare le panchine solo per quella, rovinata da mozziconi di sigaretta spenti sopra e delle impronte di scarponcini che non venivano via con nessun prodotto di pulizia. Io stesso strofinai per una mezz'ora buona senza avere risultati.
Lo osservavo dal corridoio, con la spalla appoggiata al vetro della porta principale dell'istituto e la fronte calcata su di esso. Chissà, forse il fatto che lui non mi avesse notato mi aveva fatto credere d'essere invisibile e perfettamente nascosto e questa strana sensazione mi fece sussultare quando sentii la voce di Lysandre, alle mie spalle, chiamarmi.
«Che fai?» mi chiese avvicinandosi a me. Si mise al mio fianco e, poggiando una mano sul vetro, mise il suo volto a contatto con essa per riuscire a vedere bene il cortile senza i riflessi che la luce produceva sul vetro. «Castiel...?» pronunciò leggermente incredulo. Mi sentii come un ladro colto con le mani nel sacco: avevo sperato per qualche secondo che lui non capisse ma, d'altronde, non c'era nessun altro in cortile. Abbassai lo sguardo nello stesso momento in cui Lysandre alzò il suo. Non volevo vedere l'espressione che mi stava rivolgendo. Il solo immaginarla mi bastava.
«Che ti ha fatto, stavolta?» chiese ancora cercando di trattenere una risatina. Per poco non cedetti alla tentazione di guardare il suo viso mortificato dalle azioni dell'amico. Arrivai con lo sguardo fino al mento ma poi mi ricredetti fissandomi sui particolari della sua giacca e sul foulard verde che portava al collo. Guardai bottone per bottone ogni centimetro della stoffa che indossava pur di non incontrare quegli enigmatici occhi smeraldo e ambra. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo pur non avendone affatto motivo.
«N-niente» balbettai, riportando l'attenzione al rosso che, ora, stava spegnendo l'ennesima sigaretta sul legno all'apparenza nuovo della panchina. Storsi le labbra, pur senza accorgermi di questo mio gesto involontario. Un'altra bruciatura da togliere. Grazie Castiel!
Pronunciai le ultime due parole in un soffio, come se i miei stessi pensieri, dotati di volontà propria, avessero deciso di manifestarsi. Sentii ancora una volta la risata del ragazzo accanto a me, conscio dei miei sentimenti ostili verso quello che poteva considerare il suo migliore amico.
Che persona strana, Lysandre... Nonostante gli stia a cuore Castiel non fa nulla per difenderlo.
«L'anno prossimo gli farò sborsare i soldi per la manutenzione dell'intera scuola» sbottai cercando di farmi grosso agli occhi del bianco. Quand'ero con lui mi sentivo leggermente in soggezione. Non so perché ma avevo paura di risultargli inferiore rispetto al rosso.
Lui rise, per niente imbarazzato di trovarsi in mezzo a due persone da tutti considerati rivali o completamente opposti.
Tutto questo, comunque, mi dava sui nervi. Non volevo vedere più Castiel deturpare la scuola.
«Vado» esordii con fare molto più tranquillo. «Ho delle faccende da sbrigare». E voltandogli la schiena me ne andai. La voce di Lysandre, in sottofondo, che mi rassicurava riguardo al suo amico. Parole che, in fondo in fondo, mi rallegrarono un poco.


Inspirai profondamente riempiendomi i polmoni dell'aria fresca che si respirava in fondo alle scale. Tra le mie dita la maniglia della porta che dava nel sottoscala. La aprii con veemenza provocando un rumore che però si disperse nelle note musicali che venivano suonate. Nessuno mi aveva ancora notato e, davanti a me, sia Castiel che Lysandre sembravano completamente assorbiti nella musica che stavano producendo. Una melodia che non avevo mai sentito prima, più bella del solito. La voce di Lysandre m'incantò per qualche secondo. Sentii il respiro finora trattenuto scivolare via dalle mie labbra socchiuse. Fu allora che mi ricordai cosa stessi facendo il quel posto.
«CASTIEL!» urlai con tutto il fiato rimasto. La musica si bloccò all'istante e la grande stanza piombò nel silenzio. Lo sguardo del rosso si posò su di me trafiggendomi come unalama di ghiaccio. Mi strinsi istintivamente alla maniglia. Il freddo del metallo sembrò penetrarmi nella pelle ed invadermi l'intero corpo. Mai uno sguardo di quel ragazzo era riuscito a paralizzarmi a quel modo. Come poteva essere capace di sguardi simili?
Persi totalmente la cognizione dello spazio e del tempo. La vista mi si annebbiò e non riuscii più a mettere a fuoco altro che non fossero quei due occhi grigi che mi guardavano con tanto astio.
Non parlò. Non disse niente. Rimase nella sua posa stoica senza muovere un muscolo per un tempo interminabile. Poche ciocche dei suoi capelli erano scappate dal codino in cui erano state racchiuse tutte le altre. Incorniciavano il viso pur non intromettendosi tra me e lui. Le braccia bloccate nello sforzo di suonare. I muscoli si potevano vedere ben delineati dalle maniche in giù, e le mani fermate poco prima di far vibrare una nota che non avrei saputo riconoscere nemmeno sentendola. Una gamba leggermente flessa con un ginocchio verso l'alto e lo stesso piede appoggiato al terreno solo con la punta delle scarpe.
«Suonavamo troppo forte?». Lysandre distrusse la tensione creatasi tra me e Castiel. Voltai il viso verso di lui, ricordandomi della sua presenza così sottile. Annuii pian piano cercando di trovare un appiglio alle sue parole così da poter poi cominciare una conversazione. «Decisamente» pronunciai con un tono di voce fin troppo basso. Sembrai sottomesso e questo non potevo permettermelo. Quindi mi schiarii la voce, facendo loro intendere che l'urlo che aveva interrotto il loro pezzo mi aveva momentaneamente fatto calare la voce. Nel mentre sentii sbuffare. Castiel, ancora lui.
«Che cosa vuoi, segretario delegato?» freddo e implacabile. Sputò le ultime due parole come se gli facessero schifo; come acido da gettarmi addosso per ferirmi. Gli rivolsi il peggiore dei miei sguardi.
«Questa cosa non può andare avanti per sempre» gli dissi. La cosa non sembrò attirare la sua attenzione. Il suo sguardo ora era rivolto alla sua chitarra elettrica con cui stava facendo finta di suonare qualche melodia a me incomprensibile. Ciononostante le sue orecchie erano ben attente a captare qualsiasi mia parola. Non che gli interessassero, ovviamente, ma da sempre non si era mai negato il piacere di perdersi qualche mio discorso così da potermelo un giorno rinfacciare o per usare le mie stesse parole contro di me. «Dovete smetterla di suonare qua dentro. Ci faremo scoprire». Perché usai il noi? Mi sentii un completo idiota e, nel contempo, loro complice. Immaginai la nuova ragazza arrivare ora, alle mie spalle, e scattare fotografie a raffica su noi tre con la nuova macchina compatta che aveva comprato il pomeriggio prima. Già m'immaginai le voci che sarebbero girate nella scuola e gli sguardi dei miei compagni. La sola idea di essere bollato al pari di Castiel mi fece rabbrividire. O quasi. Avvertii uno strano brivido lungo la schiena ma non fui certo che fosse disgusto. Un mix di adrenalina e una sorta di paura primordiale che si prova quando ci si sta per tuffare in una di quelle imprese folli che, però, si desiderano nel profondo dell'anima. Cos'era quella stupida idea di voler essere come Castiel? Perché mai avrei dovuto desiderare una cosa del genere?

Mi scervellai su questa cosa per settimane. Odiavo sentire in me crescere uno strano desiderio d'imitazione rivolto ad una delle persone che più mi stavano sui nervi. Continuando ad osservarlo notavo ogni giorno comportamenti diversi. Mi dava fastidio come, all'ingresso della scuola, si spegnesse i mozziconi di sigaretta sotto alla suola degli anfibi che indossava che avrebbero poi lentamente disperso la cenere della sigaretta per tutti i corridoi della scuola. Mi infastidiva vedere le cicce accartocciate nel cortile: troppe persone stavano prendendo esempio da Castiel, ignorando completamente i portacenere sparsi per l'area circostante la scuola. Mi saliva il nervoso quando sentivo pronunciare il suo nome nei corridoi e, peggio, in sala delegati -il mio mondo. Detestavo il fatto che le ragazze parlassero sempre di lui; come se fossi geloso. Ma non lo ero.
Non era la schiera di fan a mancarmi, con tutte le ragazze che venivano a trovarmi mentre cercavo di amministrare tutte le scartoffie della scuola. Non era una popolarità minata dalla cattiva fama ad interessarmi. Ciò che mi attirava di Castiel era il suo atteggiamento: quel suo modo di dire al mondo che poteva tranquillamente girare su se stesso che tanto, a lui, non sarebbe importato comunque. Il suo menefreghismo era la sua più grande arma e ciò che io gli invidiavo.


«Figliolo, mi stai ascoltando?»
La voce di mio padre sopra ogni altro pensiero; la sua autorevolezza sovrastò, ancora una volta. Alzai gli occhi dal piatto inquadrando per la prima volta la mia famiglia. Come sono arrivato qui? E da quanto stavo fissando il piatto ancora pieno preparato da mia madre? Lei che, preoccupata, mi guardava cercando di capire come mai fossi così schivo quella sera. E mio padre, a capotavola, che mi rivolgeva il suo solito sguardo accusatore, come se io fossi la colpa di ogni suo male. Da anni, ormai, mi padre mi trattave come se fossi lo zimbello della famiglia, il figlio che gli rovinava la reputazione ignorando totalmente che la figlia da lui tanto amata non era altro che una falsa bugiarda che manovrava i nostri genitori a suo piacimento. Ed eccola, infatti, davanti a me con il suo solito sorrisetto da furba a godersi lo spettacolo del fratello preso di mira.
«Ti stanchi a fare il segretario?» disse mio padre con una punta d'ironia. Lui ha sempre reputato una cosa sciocca il mio ruolo nella scuola. O sei il migliore o non lo sei. Per lui non ero mai abbastanza. Rappresentate di classe, d'istituto e degli studenti. Segretario delegato, l'anello di congiunzione tra gli alunni e il personale docente: un ruolo di molta importanza al Liceo. Ma a casa tutto ciò era sminuito da quattro frasi di Ambre e di mio padre. Mia madre, invece, rimaneva sempre sottomessa come me alle parole del capofamiglia. Una risatina di mia sorella si aggiunse al quadretto. Un rumore irritante quanto la sua personalità e tutto ciò che la riguardava. Le mie dita si strinsero attorno alla forchetta e il metallo luccicante mi ricordò la maniglia della porta del sottoscala. Gli occhi di Castiel tornarono a rimbombarmi nella memoria e sentii la stessa morsa allo stomaco sentita quella sera. Niente mi aveva fatto così male in tutta la mia vita, nemmeno le occhiatacce e le battutine di mio padre. Realizzai, allora, che niente avrebbe più potuto abbattermi. Niente che avesse da dire mio padre avrebbe più potuto ferirmi come un tempo. Un dolore maggiore aveva ferito la mia anima e nessuno era al pari del ragazzo ribelle dai capelli rossi. Non c'era niente di peggio, no.
Lasciai andare la forchetta che ricadde tintinnando nel piatto. Con una forza e una risolutezza mai provate prima mi alzai dal tavolo spingendo con le gambe la sedia indietro. Risuonò la mia ribellione in tutta la sala da pranzo mentre gli occhi di mia madre si sgranarono. Vidi nelle sue iridi il riflesso lontano di un ragazzo che non riuscivo a riconoscere come me. Uno sguardo risoluto e deciso rivolto all'uomo che da sempre aveva cercato di abbattermi. Non riuscii a dire niente, i miei sentimenti straripavano senza sosta dai miei pori, dai miei capelli, da tutto ciò che sentivo mio.
Mi voltai e mi diressi verso la porta della stanza. Volevo andarmene da quella casa anche se sapevo benissimo che prima o poi sarei dovuto tornarci. Mio padre cominciò a chiamarmi con un tono sempre più alto ma ormai non mi comandava più. Mi fermai sulla porta quando mi chiese che intenzioni avevo. Voltai solo la testa per guardare un'ultima volta quel quadretto che fino ad ora era sempre sembrato perfetto e felice a tutti quanti.
«Non lo so. Non aspettatemi» e chiudendo la porta alle mie spalle me ne andai.
Scesi di corsa le scale con l'adrenalina che mi scorreva ancora nelle vene per ciò che era appena successo. Mi sentivo forte, invincibile; nessuno avrebbe potuto fermarmi. Avevo preso giusto la mia giacca, il portafogli, le chiavi di casa e il cellulare. Non poteva servirmi altro per la notte che avevo intenzione di passare.








Vorrei ringraziare la mia consulente privata, Ayubibi, per avermi sopportato in questi due giorni in cui ho scritto il capitolo che ora s'è smezzato.
Purtroppo anche a me sembrava davvero molto lungo ma la voglia di rendere il tutto in un unico capitolo m'ha portato a renderlo davvero pesante, quindi ho deciso di cancellare l'altra storia per pubblicare questa, totalmente identica ma con l'unica variazione della divisione di tutto ciò che finora ho scritto. Per chi l'ha già letto, mi dispiace, ma dovrà farlo da capo.
Così vi risulterà molto meno pesante, davvero.
  
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