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Autore: Lola_Konstig    04/09/2013    2 recensioni
Cos'è il dolore in confronto all'amore? Io credo che essi siano strettamente correlati, come veleno e antidoto.
Leena ne era fermamente convinta, appena avesse trovato la sua anima gemella, tutta la sua sofferenza sarebbe passata, ma lei non sapeva che la sua stessa cura avrebbe avuto un alto prezzo da pagare, non soldi o la sua anima, ma il fuggire da tutto ciò che le era familiare per ricominciare da capo una vita a soli sedici anni in un paese sconosciuto , con il suo nuovo ragazzo, anch'esso uno sconosciuto visti i grandi segreti che le nascondeva. Ce la farà a lasciare tutto? Oppure Sceglierà la via più “semplice” della morte?
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Erano mesi che aspettavo l'inverno e finalmente eccolo, lo percepivo con tutti i miei sensi, l'aria gelida ridondava i miei polmoni e piccoli fiocchi di neve si scioglievano sul mio viso dandomi una stupenda sensazione di fresco. Ho sempre amato questa stagione, non so il motivo preciso, forse perché è triste e fredda quanto il mio cuore o perché posso vestirmi con molti più strati di abiti che mi permettono di coprire ogni cicatrice senza dover dare mille spiegazioni.
In compenso l'odio per un motivo: le vacanze di Natale, le detesto quasi più di andare a scuola. Non avendo amici durante questi quindici giorni devo rimanere in casa, nella mia solitudine, e rendermi conto di quanto la mia esistenza sia miserabile.
«Leena!», sentii urlare da una voce familiare, era mia madre che correndo sui suoi tacchi a spillo tentava di raggiungermi in compagnia del suo “capo” di lavoro.
«Ciao Sofia», dissi in tono scocciato.
«Quando ti deciderai a chiamarmi mamma? Comunque volevo presentarti Eugenio, il mio capo di lavoro».
«So chi è e non ho la minima intenzione di farlo entrare a braccia aperte nella nostra famiglia, se così si può chiamare. Mettiti pure in testa, Sofia, che tu mi hai soltanto messa al mondo. Per il resto siamo due sconosciute».
Mia madre iniziò a singhiozzare e abbracciare quella sottospecie di gnomo che le stava accanto, così io ne approfittai per proseguire la mia strada da sola e andare nel mio luogo “segreto” abituale, un semplice boschetto accanto casa. Fin da quando ero piccola passavo lì delle ore in compagnia dei miei amici immaginari, ora sono troppo grande per certe stronzate, ma la magia di quel posto non è mai cambiata.
Mi tolsi la giacca, nonostante il freddo e la lanciai a terra. Dopo essermi seduta sopra di essa, estrassi una sigaretta e con il mio vecchio accendino nero l’accesi. Non posso definirmi una fumatrice incallita e nemmeno mi piace farlo, mi serve soltanto per velocizzare l’arrivo della morte. Sofia non sospetta che fumo o forse lo sa e fa finta di nulla, comunque non credo che la cosa la toccherebbe poiché ciò che faccio non le è mai importato fin da quando ero piccola. Finita la sigaretta, inspirai profondamente e qualche cristallo di ghiaccio mi entrò nel naso facendomi rabbrividire un tantino e facendo scendere qualche lacrima che sciolse leggermente la matita che avevo sotto la palpebra inferiore. A quel punto il mio cellulare suonò, era la prima volta dopo mesi che accadeva. Lo tirai fuori dalla giacca e fissai lo schermo lampeggiare per alcuni secondi, era Francesca: la mia migliore amica online. Non mi aveva mai chiamato prima d’ora e questo mi spaventava, ogni brutto pensiero mi passò per la testa, ma come se nulla fosse risposi alla chiamata con voce allegra.
«Ehi!».
Una voce decisamente più seria dall’altro lato mi rispose:  «Leena, dove ti sei cacciata?».
«Sono vicino a casa, perché c’è qualche problema?», dissi con voce incerta.
«Corri subito a casa, tua madre non so come, ha trovato il mio numero e dice che sei sparita da ore».
«Sono sparita per il tempo di fumare una sigaret-»,interruppi la frase e guardai l’orologio disegnato sul display, erano passate circa due ore e io non mi ero accorta di nulla.
«Sei ancora lì?», tuonò Francesca con tono scocciato.
«Sì, scusami, non mi ero accorta dell’ora, torno subito a casa e mi collego su Skype, devo parlarti. A dopo».
«Okay, a dopo».
Terminai la chiamata, rimisi il telefono nella giacca e cominciai a correre vero casa, adoravo farlo, mi dava una scossa d’adrenalina non indifferente e la mia mente per un'istante si fermava e pensava soltanto: “Corri, corri più in fretta che puoi”. In breve tempo raggiunsi casa e Sofia se ne stava seduta sui gradini con il trucco sciolto e il telefono in mano, appena mi vide il suo volto si illuminò in un raggiante sorriso di conforto, che ovviamente non fu ricambiato da parte mia. Senza nemmeno rivolgerle la parola aprii il pesante portone, sbattendolo forte dietro di me. Salii le scale e uno strano capogiro mi fece barcollare verso una parete scarlatta del corridoio, ma non ci feci caso, pensai che fosse semplicemente la fame, non avendo mangiato nulla nelle ultime ventiquattro ore. Mi cambiai e misi un caldo pigiama rosso di pile, molto poco femminile, ma decisamente confortevole e poi accesi il computer.
«Cazzo!», imprecai.
Avevo ricevuto trecento trentatré esatti messaggi su Skype solo da Francesca e Federica e tutti quanti dicevano pressoché la stessa cosa:“ Dove sei? Sei viva? Non farci preoccupare”, decisi di rispondere a entrambe in modo sintetico e velocemente digitai: “ Sono viva”. Vidi la matita minuscola di Skype muoversi veloce, Federica stava digitando.
«Dove sei stata tutto questo tempo?».
«Pausa sigaretta, ma sentito parlarne?».
«Ti fai solo del male».
«Lo so, comunque non sono in vena di parlare, dì a Francesca da parte mia che non ci sarò per un po', intendo stare fuori casa durante queste vacanze, voglio cambiare routine».
«Con chi uscirai?».
«Da sola», o almeno così credevo. Spensi il computer ignara di tutto e barcollante raggiunsi il bagno, aprii il rubinetto della vasca sull'acqua calda, mi svestii e mi guardai allo specchio. Mi disgustavo, ero ricoperta di cicatrici su tutte le braccia, lividi e bruciature formavano sottospecie di grandi galassie color rosso violaceo su ogni punto del mio corpo e poi lo notai, era un graffio diverso proprio accanto al cuore, sanguinava ancora, sottili linee rosse formavano una sorta di x proprio sul mio petto, mi guardai il volto terrorizzato allo specchio e poi guardai di nuovo quel punto, più nulla, era sparito. Pensai di star delirando, così m'immersi nell'acqua fumante nell'intento di risvegliare i miei sensi e la mia sanità mentale intorpidite dal freddo. Ogni taglio bruciava più del solito, ma allo stesso tempo i miei nervi si rilassavano. Caddi in uno stato di dormi veglia e rimasi lì, immobile, a galleggiare fino a quando la pelle delle mie dita non fu completamente raggrinzita. A quel punto mi alzai, indossai il mio lungo accappatoio giallo canarino e raggiunsi di nuovo la mia stanza dove mi rivestii velocemente indossando dei semplici skinny jeans neri, un felpone grigio scuro, tre paia di calzini e i miei fedeli Dc Martens neri lucidi. Misi il mio cappotto scuro e uscii di casa con solo dei soldi in una tasca e il cellulare nell'altra. Mia madre era già andata al night club evidentemente, oppure era dal suo amichetto Eugenio. Camminai lentamente fra la neve, con la mente immersa tra i miei pensieri fino a quando raggiunsi la stazione. Un aggeggio per i biglietti era illuminato da una luce fioca e accanto c'era una panchina deserta, normale visto che erano le due in punto. Decisi così di aspettare il treno; di notte il controllore non passava mai e nessuno mi avrebbe fermata e sbattuta fuori. Appena arrivò, salii e mi sedetti in un sedile in fondo a destra accanto al finestrino, dove cominciai a scrivere frasi sconnesse sul vetro, fino a quando un uomo incappucciato mi si sedette accanto e mi domandò: «Non hai paura?».

 
   
 
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