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Autore: Harriet    10/03/2008    3 recensioni
[Il giorno dell'inizio del mondo]
Hikari è un ragazzino fragile, alle prese con un potere che non sa controllare. Shuichi è un tipo solitario, sensibile a suo modo, ma fondamentalmente poco interessato ai rapporti umani. Il loro incontro porterà cambiamenti inaspettati.
La realtà non è così semplice. Ci sono cose nascoste dietro ciò che vediamo, e i ricordi, i desideri e le storie sono molto più reali di quanto si pensi...
CAPITOLO X Online: EPILOGO!
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Coming to the end, ancora una volta vi ringrazio tutti, uno ad uno, per essere arrivati fin qui. Questo è il penultimo capitolo, seguirà il finale e poi un epilogo. Quindi, sto barando, e questo è il terzultimo, ma il clima da imminente tragedia mi piaceva!XD

Mi sento un po’ frustrata: tutti i capitoli hanno la parola “dream” nel titolo, tranne questo! Ma il titolo che ho scelto era troppo calzante...

Immagino che anche in Giappone ci sia il costume di dare un numero diverso ai tram, a seconda del loro percorso?XD Se così non è, concedetemi la licenza poetica!XD

La citazione musicale iniziale viene da “The dream within”, Lara Fabian (Final Fantasy – The spirits within OST)

I due bambini alla fermata del tram sono di Wren, e la ringrazio per esserseli fatti rubare per una scena! ^_^

Buona lettura...






VIII – Episode 24



The voice is calling a song
A prayer
From deep inside you
To guide you
Be
The dream within
The light is shining


A flight on the wind
Salvation begins




Iori si svegliò con una sensazione di disagio appiccicata addosso. Era come se una nebbia umida e fredda avesse impregnato casa sua, le sue cose, i suoi vestiti, i suoi pensieri. Il cielo grigio rifletteva la sua ansia senza spiegazione. Si preparò in fretta, pensando che aveva bisogno di telefonare a qualcuno, sentire una voce conosciuta e cacciare via i rimasugli di sogni negativi.

Tentò due telefonate, ma in entrambi i casi non ebbe risposta.

- Oh, va bene. Basterà un the e qualche disegno.-

Il the venne fuori scialbo e si freddò subito, senza darle molto conforto.

- Che giornata iniziata male!- si disse, tentando di ridere. Ma non era sciocca: la sentiva anche lei, la sua voce che tremava, dietro la risata.

Era successo qualcosa, da qualche parte, quella notte. E aveva la tremenda sensazione che fosse accaduta ai loro protetti.

Si mise al lavoro: c’erano tavole da consegnare nel giro di poche ore, e l’indomani avrebbero visto la luce sulle pagine della rivista. Doveva darsi da fare.

Non appena si fu seduta, qualcosa si impossessò di lei. Era come un frammento del sogno che aveva fatto. Un brutto sogno. C’era un labirinto. Una ragazza. E poi... un parco? E qualcos’altro, che non voleva ricordare.

Non voleva. Non doveva.

Però...

Però ormai aveva preso le sue mani, e stava tracciando linee, stava dando indicazioni, stava obbedendo ad una volontà non sua. Le immagini presero vita e si fissarono sul foglio, e Iori non fu in grado di controllarsi, nemmeno quando tornò in sé. Aveva dimenticato tutto, quel momento di trance incerta e i suoi incubi. Le tavole furono consegnate, con la loro indicazione ben precisa.

Qualcuno l’avrebbe letta e seguita, come sempre.


La vignetta saltò agli occhi di Tsugumi dopo appena mezzo secondo che la pagina era stata esaminata. La sua intuizione funzionò, come al solito. Tsugumi sapeva esattamente cosa fare. Lo faceva da quindici anni. Iori nascondeva i disegni che prevedevano il futuro tra le vignette dei suoi manga, Tsugumi li comprendeva e agiva di conseguenza. Premurandosi poi di inserire nei suoi dialoghi qualcosa che segnalasse all’altra la missione compiuta.

Anche questa volta le sembrò immediata la comprensione del disegno.

La biblioteca vicino al parco Tsubaki. Doveva semplicemente far sì che qualcuno vi entrasse. Un uomo con gli occhiali. Piuttosto semplice. E piuttosto strano, anche. Da qualche giorno aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto, e la cosa peggiore era che questo presentimento non riguardava lei e Iori. O meglio, non solo loro.

Partiva dai loro ragazzini. Come se loro fossero l’obiettivo dell’evento negativo che aleggiava nell’aria. Ma non si fermava lì. Si preparava qualcosa di dimensioni enormi, lo avvertiva chiaramente.

Per ora, però, finché Iori non le diceva niente di più preciso, tutto ciò che poteva fare era far entrare un uomo in biblioteca.


Se quell’inizio di mattinata fosse stato l’inizio di una puntata di anime, sarebbe stata probabilmente la puntata 24 in una serie di 26 puntate. Il preludio ai guai, insomma, con quel cielo strano e l’aria umida. E il mal di testa leggero, e la brutta sensazione che si ha mentre si legge una storia che finirà malissimo.

Solo che quella sensazione non era diretta verso un manga o una delle sue storie. Era molto reale, e riguardava loro.

Hikari finì di prepararsi, cercando di spostare il pensiero sull’incarico di regista della compagnia teatrale scolastica che aveva accettato il giorno prima. Sarebbe stato un grosso impegno, ma la cosa gli piaceva, e aveva già molte idee. Tutto stava nel vedere se potevano metterle in pratica. Comunque la gente del gruppo teatrale era in gamba, gli sembrava disposta a imbarcarsi in cose abbastanza folli, e poi...

- Hikari!-

Sua madre piombò in camera sua, stringendo il telefono, con un’aria preoccupata come raramente l’aveva vista.

- Che succede, mamma?-

- Era la mamma del tuo amico.-

Il finale tragico non era una realtà così lontana, aveva ragione.

- Cos’è successo?-

- L’hanno portato in ospedale, stanotte. In stato di shock. Non riesce a parlare, sembra terrorizzato. Non sanno cosa gli sia successo. Sua madre ti vuole lì.-

- Me? Ma se sembra pensare che sia io la causa di tutti i mali di suo figlio!-

- Forse ha capito che sei l’unica persona che può farci qualcosa.-

Hikari fissò sua madre, senza capire. Troppe cose tutte insieme: Shuichi che stava male, la madre di Shuichi che chiedeva di lui, sua madre che diceva cose strane...

- Hikari, io non lo so cosa stia succedendo a te o al tuo amico. E non so perché non vuoi dircelo. Sono spaventata, e forse dovrei chiuderti in casa e obbligarti a dirmelo. Ma non ne sono capace. Credo sia meglio che tu vada in ospedale, invece. E quando il tuo amico starà bene, magari mi dirai cosa sta succedendo.-

Hikari le fece cenno di sì.

- Non credo che andrò a scuola.- le urlò, mentre correva via.

- Non avevo dubbi.-

Quando il ragazzo fu uscito di casa, la donna si diresse verso un piccolo armadio, che se ne stava nel corridoio, sempre chiuso. Ufficialmente la chiave era stata persa, dentro non c’era niente e il mobile era solo il ricordo della nonna paterna di Hikari.

La donna trasse fuori dai vestiti la catenina che portava, a cui erano appesi alcuni piccoli ciondoli. Uno aveva la forma di una chiave d’argento. Minuscola, perfetta per la minuscola apertura situata sotto la finta serratura dell’armadio. Infilò la chiave nella serratura segreta e la fece scattare. L’anta si aprì, rivelando uno scrigno, involto in un lungo nastro rosso.

- Vecchia strega, perché dovevi mettere nei guai proprio lui?- mormorò la donna, trattenendo le lacrime. Armeggiò con il fiocco e riuscì a sciogliere il nastro. Le ci volle un po’, ma alla fine fu in grado di aprire lo scrigno.

L’eredità spaventosa di Megumi, la madre di suo marito. Famosa per fermarsi pochissimo in ogni città in cui andava ad abitare. Ancora più famosa per la sua nomea di maga e veggente. Poco conosciuta, invece, come esperta di storia. Non della normale storia che si studia a scuola. No, quella vecchia pazza era sempre a raccontare episodi impensabili accaduti nelle città più piccole, nei villaggi più sconosciuti. E al centro dei suoi racconti improbabili c’erano sempre magie, poteri, futuri cambiati per pochi secondi, maledizioni antiche quanto il mondo.

Lei non le aveva mai creduto molto. Finché un giorno aveva visto qualcosa. Allora aveva dovuto credere, sì. Suo marito rimaneva in silenzio, diviso tra l’amore per la moglie e quello per la madre.

Poi Megumi si era stabilita lì, vicino a loro. Ho qualcosa da fare, diceva. Ho delle persone da trovare. Persone a cui affidare un compito.

Perché questa città ha sempre avuto qualcosa di oscuro. Fin dalle sue origini, questo luogo è stato prediletto dagli spiriti peggiori, dalle forze più negative. Il perché, si perde nel tempo, nella fondazione sanguinosa della città.

Eppure... Le altre forze hanno sempre dotato questa città di protettori, per bilanciare l’oscurità che vi abita – perché tutto tende all’equilibrio.

E quelli che come me conoscono il passato, hanno il dovere di insegnarlo a coloro che custodiranno la città.

Parole, un turbine di parole senza senso. L’importante era che rimanessero nei monologhi folli della vecchia e nelle sue stanze, e non finissero per influenzare il ragazzo.

Lei era sicura che Megumi lo avesse fatto apposta, a coinvolgere Hikari.

Non sono io che attribuisco poteri, io posso solo preparare la strada.

Mentiva, ovviamente. Doveva lasciare fuori il ragazzo da tutte le sue storie. Doveva farlo! Megumi l’aveva implorata di crescere suo figlio abituandolo all’idea dell’infinito universo spirituale che si nascondeva dietro la realtà sensibile, ma Megumi era morta quando Hikari aveva sei anni, e non aveva potuto fare molto danno, se non raccontargli le sue fiabe spaventose. Quando Megumi era morta, lei aveva nascosto tutta la sua roba nell’armadio, pregando che non venisse mai il momento in cui avrebbe scoperto che anche suo figlio era invischiato nella stessa follia.

E invece, adesso...

Frugò nello scrigno. Un mazzo di tarocchi, una scacchiera, dei piccoli quaderni. Fogli scritti, fogli disegnati. Oggetti colorati. Alcune foto.

Che senso ha, tutto questo?


Quando Hikari entrò nella stanza di Shuichi, si spostarono tutti per farlo passare, come se fosse stato lo specialista geniale in grado di risolvere la situazione con un’occhiata appena. Un’infermiera fece uscire tutti e lasciò i due ragazzi da soli nella stanza. Shuichi era disteso sul letto, pallidissimo. Appena lo vide arrivare, però, si rianimò. Si alzò di scatto, sforzandosi di chiamarlo per nome. Sembrava non avesse nemmeno le forze di parlare. Hikari gli fu accanto in un momento.

- Ehi, cosa diavolo ti è successo?- domandò, angosciato.

- Stanotte...- mormorò Shuichi. – Ho disegnato.-

- Ma... la storia non ha funzionato?-

- Non ce l’avevo.-

- E che fine ha fatto?-

- Non lo so.-

Hikari si avvicinò di più all’altro, per non perdere nemmeno una sillaba di quel rantolo appena percettibile che era la voce di Shuichi.

- Cos’hai disegnato?-

- Era... era orrendo. L’ho strappato. Una folata di vento. Sono volati via i pezzi. Mi sono sentito male.-

- Aspetta, aspetta un attimo. I pezzi del disegno strappato sono volati via?-

- Sì. Credo. Sono uscito dalla stanza. Tornato. C’era la finestra aperta. Non l’ho mai aperta.-

- Ok. Ho capito. Però calmati. Non può essere così grave. No? Era solo un disegno.-

- No! Era... era...-

- Calmati. Va bene. Era particolarmente brutto. Però...- Si fermò un attimo, come colto da un pensiero improvviso, e quando parlò di nuovo lo fece con la voce distante che usava quando il suo potere prendeva il sopravvento e lo spingeva a fare profezie a voce alta. – Non deve entrare in biblioteca. Quell’uomo. Altrimenti a tutta la città saranno sottratti i colori e l’anima.-

Poi tornò in sé, scuotendo la testa, come per cambiare l’immagine nel caleidoscopio folle che erano i suoi pensieri.

- Hikari, dammi un pezzo di carta e qualcosa per disegnare!-

- Ho di nuovo parlato a sproposito?- gemette il ragazzo, guardandosi attorno in cerca di quello che l’amico aveva richiesto.

- No, semmai hai detto una cosa fondamentale, ma se non provo a disegnare non lo sapremo mai!-

Hikari afferrò una borsa da donna che qualcuno aveva lasciato vicino al letto dell’amico e vi frugò dentro.

- E’ di tua madre?-

- Sì.-

- Si arrabbierà se usiamo il suo rossetto per disegnare?-

- Sì, ma non me ne frega nulla.-

Shuichi prese il rossetto della madre, socchiuse gli occhi e prese a tracciare linee sul lenzuolo bianco che lo copriva.

- Geniale.- borbottò Hikari. – Così dovremo portarci in giro il lenzuolo, adesso. Geniale davvero.-

- Stai zitto.- rispose Shuichi, tornando in sé. – Semmai dovremo riuscire a far sparire un paziente senza che nessuno ci dica nulla.-

- Tanto, ormai siamo alla puntata 24, le cose possono solo peggiorare.-

Shuichi gli lanciò un’occhiata un po’sconcertata, poi tese il lenzuolo davanti a sé, tentando di capire qualcosa nei segni rossi che aveva disegnato.

Non era un’immagine, era un ideogramma.

Uso (Menzogna).

- E’ una menzogna? La mia predizione?- mormorò Hikari.

- Non lo so. Credo di sì. Ma non riesco a capire.-

- Non è che hai sbagliato a disegnare e volevi fare un kanji completamente diverso?-

- E perché non puoi aver sbagliato tu?-

- Perché non sono cosciente mentre prevedo!-

- Nemmeno io mentre disegno.-

- Ma mentre interpreti sì!- gridò Hikari, esasperato. – Andiamo, è importante, questa volta!-

- Come lo sai?-

- Beh.- Si fermò, spaesato. – Non lo so. Credo. Te l’ho detto. E’ il potere della puntata 24. In una serie con 26 puntate.-

- Se esiste un aldilà, dovrò essere ricompensato per averti sopportato.- sospirò il ragazzo più grande. – Senti, facciamo così. Ora inventiamo un bel modo per evadere da qui. Poi andiamo alla biblioteca, e lì cerchiamo di capire meglio.-

- Va bene. Va benissimo.- rispose Hikari, stizzito. – Ci sono solo un milione e cinquecentomila difetti, al tuo piano. Prima di tutto: come ti porto fuori di qui senza essere immediatamente acchiappato e senza che tua madre mi uccida? Secondo, hai idea di quante biblioteche ci sono in questa città?-

- La biblioteca è quella vicina al parco Tsubaki.-

- Ah, e come lo sai?-

- Perché ieri notte nel disegno che ho fatto c’era quel posto. E perché ieri ho scoperto una cosa relativa al parco Tsubaki. E una cosa che mi hai detto nella tua previsione... Che la città perderà i suoi colori... L’ho scritto nel fumetto di ieri notte. Non era un disegno, era una storia. C’era un uomo, ed era venuto a prendere i colori di Moyashi.-

- Cosa? Moyashi? E com’è finita?-

Shuichi scosse la testa.

- Non come l’avresti fatta finire tu.-

- Ma chi era l’uomo che hai disegnato?-

- Matsui Murasaki.-

- Eh? Che razza di nome è?-

- Beh, se Murasaki è inteso come salsa di soia, direi che sta bene in coppia con Moyashi... -

- Non mettere sullo stesso piano due cose del tutto diverse!-

- Senti, non l’ho inventato, è venuto fuori da solo e...-

- E?-

Shuichi si guardò attorno, improvvisamente atterrito da qualcosa.

- Era nella mia mente.-

- Chi, Matsui Murasaki?-

- Non lo so. Il nostro avversario. E’ lui che me l’ha fatto disegnare. Allora, forse... Non lo so... Io... Il kanji forse è sbagliato. Forse noi...-

Hikari gli strappò di mano il lenzuolo e lo appallottolò, gettandolo lontano.

- Piantala di blaterare e mettiti le scarpe. Evadiamo.-

- E come? Fuori ci sono i miei genitori e gli infermieri, l’hai detto tu!-

- Ho una mezza idea.-

- Oh. Già le tue idee non sono granché. Figuriamoci quando sono mezze...- borbottò Shuichi, alzandosi in piedi con fatica e infilando le scarpe. – Se dobbiamo correre, non credo ce la farò. Mi sembra che ci sia qualcosa, dentro, che si sta mangiando le mie energie.-

- Se la mia mezza idea funziona, non ci sarà da correre.-

- Ok. Devo prepararmi a correre, allora.-

- Ti vuoi fidare?- gridò Hikari, risentito. Shuichi tacque ed evidentemente decise di fidarsi.

Appena furono fuori dalla stanza, furono subito accerchiati da parenti e infermieri, tutti con gli occhi puntati sul viso pallido di Shuichi.

- Possiamo andare insieme a prendere una boccata d’aria, e magari qualcosa da bere al bar?- domandò Hikari, con aria dimessa. E incredibilmente convincente. – Credo che dopo starà meglio.-

- Ma è opportuno?- domandò la mamma di Shuichi a una delle infermiere.

- Ma sì.- concesse la donna. – Mi sembra che abbia già ripreso un po’ di forze. Forse ci voleva davvero il suo amico, per farlo migliorare. Così, quando torneranno, magari Shuichi sarà pronto a dirci cosa gli è successo.-

- Certo.- confermò Hikari. – Sicuramente. Grazie. Torniamo subito.-


- Non mi dici nulla?-

Erano alla fermata del tram, e l’ospedale era dietro una curva, alle loro spalle.

- Era una buona mezza idea.- rispose Shuichi. – E tu hai tirato fuori una faccia tosta che non mi sarei mai aspettato.-

- E’ perché mi sottovaluti.-

- E’ perché fino a ieri ti saresti messo a frignare. Sei stato in gamba.-

- Se devo fare qualcosa, adesso provo a mettercela tutta.-

- Lo so. Me ne ero già accorto. Entri anche nei giardini altrui.-

Due tram si stavano avvicinando alla fermata.

- Il quindici arriva vicinissimo al parco Tsubaki.- disse Hikari, indicandolo, ma Shuichi non lo ascoltava.

- Ci hanno scoperti. Ci sono due infermieri che corrono verso di noi!- esclamò, angosciato, afferrando l’altro per un braccio.

- Dai, se corriamo ce la facciamo a prendere il tram!-

- Se ne accorgeranno. Vedranno il numero del tram su cui siamo saliti!-

- Aspetta!- Hikari si guardò attorno, e focalizzò la sua attenzione su due ragazzini, probabilmente di quinta o sesta elementare. – Ehi, voi due!- li chiamò.

- Noi?- domandò uno dei due interpellati, un ragazzino cortese, con gli occhiali e un sorriso gentile.

- Voi. Sentite, siamo un po’ nei guai, ma è a fin di bene. Quando quegli infermieri verranno qui, vi dispiacerebbe dire loro che siamo saliti sul trentadue?-

- Oh, va bene, nessun problema!- rispose il ragazzino con gli occhiali.

- Come sarebbe a dire?- si arrabbiò l’altro, un tipetto ombroso, con il codino. – Non sappiamo nemmeno chi sono!-

- Eh, dovremo fidarci!-

- Ma che stai dicendo?-

- Grazie, eh!- urlò Hikari, trascinando Shuichi con sé, e saltando sul tram numero quindici un attimo prima che le porte si chiudessero.

Il quindici sfrecciò via, mentre il conducente del trentadue fu costretto a fermare, a causa di due infermieri che, su indicazione di due ragazzini, erano convinti che a bordo ci fosse un paziente scappato dall’ospedale. A bordo non c’era proprio nessuno, e anche i due ragazzini sembravano essersi volatilizzati.


Tsugumi aveva fumato la diciannovesima sigaretta, mentre aspettava davanti alla biblioteca. Era un compito facile, ma anche tremendamente noioso. Era lì dalla mattina, ed erano già le quattro del pomeriggio. E ancora nessun tipo da dirottare dentro la biblioteca. E c’era da sperare che i suoi sensi e il suo istinto fossero abbastanza buoni da guidarla verso la persona giusta! Con un sospiro si accingeva già ad accendere la ventesima sigaretta, quando all’improvviso il tipo le si palesò davanti. A dire il vero, non aveva un aspetto del tutto rassicurante. Aveva uno sguardo strano, perso nel vuoto. Sembrava inseguire un pensiero con tutto se stesso, e non un bel pensiero. Le transitò davanti con aria assente, quasi senza notarla.

- Ehm... Mi scusi?-

Non la sentì. Lei si alzò dalla sua panchina e gli andò dietro.

- Mi scusi!-

L’uomo si voltò e le rivolse il suo sguardo lievemente disturbato. Tsugumi rabbrividì. Ma così doveva essere, era la previsione di Iori, e Iori non aveva mai sbagliato. Per qualche strana ragione, quell’uomo doveva entrare nella biblioteca.

- Mi scusi. Mi scusi davvero, sto per disturbarla, ma avrei bisogno del suo aiuto. Lei è di qui?-

- Sì. Sì, sono di qui.-

Anche la voce dell’uomo era poco rassicurante. Parlava lentamente, strascicando le parole.

- Ecco, può accompagnarmi un attimo in biblioteca? Ho bisogno di prendere un libro sulla storia locale, e le impiegate non hanno saputo consigliarmi niente di interessante, così pensavo che un abitante della città potesse essermi di aiuto.-

- Io non ne so niente.-

- Solo un momento. Solo per dare un’occhiata a un libro e dirmi se secondo lei è valido. Tra due minuti sarà di nuovo fuori.-

- Senta, io ho una cosa da fare.-

- Oh. Non ce la fa proprio a ritardare di un minuto?-

L’uomo assunse un’espressione seccata, e fece per ribattere, ma un attimo dopo si era fermato, come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente, facendogli vedere la situazione sotto un altro punto di vista.

- Sì.- mormorò. – Sì, perché no? Va bene. Vengo. Vengo con lei.-

In quel momento Tsugumi non era più sicura di essere nel giusto. Quell’uomo era strano. Stava succedendo qualcosa, l’azione che lei stava compiendo avrebbe messo in moto qualcosa. Eppure... Eppure Iori aveva dato un’indicazione chiara. L’unica interpretazione che il suo potere poteva dare del disegno era quella.

- Bene.- rispose, tentando di sorridere all’uomo. – Bene, andiamo.-

Stava facendo la cosa giusta. Stava facendo la cosa giusta, no?

Non c’erano dubbi. Era la cosa giusta.

Erano già sui gradini che conducevano all’ingresso della biblioteca, quando furono fermati da un grido.

- Non entrate!-

Tsugumi si voltò, e vide i loro due ragazzini, che dovevano aver corso come dei pazzi per arrivare fin lì ed avvertirla di...

- Non devo farlo entrare?-

- No!- Il più piccolo dei due sembrava completamente fuori di sé. – Lo fermi, non lo faccia entrare!-

- Ma perché?- domandò lei, afferrando istintivamente l’uomo per un braccio, per evitare che prendesse da solo la decisione di entrare.

- Perché...- cominciò il più piccolo, perdendosi un attimo dopo.

- Ne siete sicuri?- domandò lei. – E non cercate scuse cretine, con me, io lo so chi siete voi!-

Questa volta furono i due ragazzi a rimanere sconcertati e muti.

- Lo so chi siete, e so cosa potete fare. Posso farlo anch’io.- spiegò lei, lasciandosi addolcire il volto da un sorriso. – Ma a me è arrivata un’indicazione diversa. Mi è stato detto di farlo entrare.-

- Se lo fa entrare provocherà un incendio...- ansimò Shuichi, crollando a terra. Hikari si precipitò al suo fianco, per sostenerlo.

- Anche noi all’inizio ci siamo sbagliati.- spiegò alla donna. – Io ho avuto la premonizione, lui ha fatto un disegno che indicava il contrario. Ma poi...-

Tsugumi gridò. L’uomo si era liberato, e aveva tirato fuori qualcosa dalle tasche.

- Io ho una cosa da fare, e ora lei mi ha fatto perdere tempo e la farò qui.-

Prima che potessero fare qualsiasi movimento, l’uomo aveva gettato a terra una bottiglia di vetro, che si infranse, bagnando il pavimento con un liquido incolore. Poi si spostò di corsa, fissandoli con i suoi occhi sconvolti. Infine lanciò un accendino, mirando alla pozza trasparente ai piedi di Tsugumi.

La donna fece appena in tempo a gridare, poi si levarono le fiamme.


Iori si svegliò all’improvviso, si sentiva soffocare. Non riusciva a capire dove fosse e come ci fosse arrivata.

...andiamo, non farti prendere dal panico. E’ solo il tuo divano.

D’accordo, aveva capito dov’era, ma questo non spiegava niente. Non andava mai a dormire di pomeriggio, meno che mai su quello scomodissimo divano.

Infatti non sei andata a dormire, sei corsa al divano prima di svenire.

Benissimo. Sempre meglio.

Non è niente. Sarà stato un abbassamento di pressione. Una cosa normale.

Si sedette al tavolo da lavoro e cominciò a trarre lunghi respiri per calmarsi.

Quando tornò in sé, era passato chissà quanto, e il tavolo era cosparso di fogli pieni di segni, segni che ripetevano sempre lo stesso intricato disegno, incomprensibile.

E’ da ieri che qualcosa non va, e tu lo sai bene. Come se qualcuno fosse... Entrato nella tua testa. Per farti fare le cose sbagliate.

Fissò i disegni, sentendosi, come era già successo tante volte, completamente inutile. Senza Tsugumi... Senza di lei...

No!

Afferrò un foglio e una matita, stringendola furiosamente. Almeno poteva provare! Forse Tsugumi era in pericolo. Forse aveva addirittura disegnato qualcosa di sbagliato, forse c’era davvero qualcuno nella sua testa, e lei aveva mandato Tsugumi in mezzo ai guai.

Cominciò a riprodurre con calma il disegno che aveva fatto mentre era fuori di sé. Le linee si facevano sempre più distinte, la forma iniziava ad assumere proporzioni regolari.

Somiglia a qualcosa che conosco.

Provò a marcare di più i tratti, lavorando di intuito per tirare fuori un’immagine riconoscibile. E alla fine l’intuizione arrivò.

Oh, ma io so cos’è! E’ il disegno che c’era sulle vecchie porte della biblioteca... Quella che piaceva a Tsugumi. Quella vicina al parco Tsubaki. Poi le hanno tolte, quelle vecchie porte di legno, e ne hanno messe di nuovo. Ma Tsugumi mi aveva già chiesto di rifarle il simbolo. Voleva usarlo per qualcuno dei nostri manga.

La risposta non poteva essere più chiara di così.


Quando Iori arrivò alla biblioteca trovò la polizia, un capannello di gente concitata, e al centro di tutto quel caos due ragazzi che conosceva bene. Si precipitò tra la folla, chiedendo informazioni.

- Sembra che un piromane abbia tentato di dare fuoco alla biblioteca. Credo che l’abbiano fermato quei due ragazzi, là, e quella donna. La polizia l’ha già preso.-

- I tre stanno bene?- domandò lei.

- Sì, sì, le fiamme hanno solo bruciacchiato un po’ le porte della biblioteca.- rispose qualcun altro.

Iori prese a cercare con lo sguardo tra la gente, e localizzò i due ragazzi, che stavano parlando con un poliziotto.

- Dov’è la donna?- domandò.

- E’ lì, non la vede? Vicino ai due ragazzi!-

- Accidenti. Per fortuna che nessuno si è fatto male.-

- Forse sono riusciti a scappare prima di essere raggiunti dalle fiamme.-

- Ma l’incendio, come l’hanno domato?-

- Ci avrà pensato il personale della biblioteca.-

Iori nascose il viso tra le mani.

Sei qui, sei qui!

Iori rimase lì finché la folla si fu dissolta e la polizia se ne fu andata. Attese, finché non vide altri che i due ragazzini. Avanzò verso di loro, e loro si accorsero della sua presenza.

- Hikari! Shuichi!-

- Anche lei ci conosce per qualche strano motivo?- domandò Hikari, esasperato.

- Sì, siamo state io e la persona che è con voi, a farvi incontrare.-

- C’è qualcuno che parla con voi?- domandò Tsugumi, afferrando Shuichi per un braccio.

- Sì. E’ qui davanti a noi. Non è possibile non vederla!-

- Per me lo è. E’ una donna con i riccioli?-

- Sì, ma...-

- Cosa sta succedendo?- chiese Hikari. – Cos’è questa faccenda? Non potete vedervi?-

- No.- risposero le due, in coro.

- E’ colpa del nostro nemico.-

- E’ stata la persona che odia anche voi.-

- Calma!- le fermò Hikari. – Non parlate insieme!-

Tutte e due risero, poi Iori abbassò la testa, esattamente mentre l’altra iniziava a spiegare.

- Abbiamo un potere simile al vostro. Siamo state amiche e collaboratrici, finché un giorno, quindici anni fa, abbiamo scoperto di non poterci più vedere. Abbiamo continuato a tenerci in contatto, però.-

- Come?- domandò Shuichi.

- Beh, lei è Tsubasa Amane, io sono Nagisa Hidenori. Mandandoci messaggi tramite i nostri manga!-

- Chi siete?- gridò Hikari.

- Voi due?-

Di nuovo le due donne risero insieme. Tsugumi tacque, e Iori ricominciò a spiegare.

- Poi abbiamo sognato. Qualche mese fa abbiamo sognato voi. Sapevamo che c’eravate, e che era importante che vi incontraste. Dovevate collaborare, come noi. E forse sconfiggere il nostro comune avversario.-

- Si può sapere come avete fatto a manovrare il nostro incontro?- domandò Shuichi.

- E’ stata una faticaccia!-

- Voi due sembravate davvero incompatibili...-

- Stiamo di nuovo parlando in coro, vero?-

- Comunque, alla fine, a forza di darvi volantini di quel centro commerciale, ce l’ho fatta a farvici arrivare!- disse Tsugumi.

- Io, quando ho visto che entrambi frequentavate lo stesso centro commerciale, ho fatto finta di essere una commessa di quel posto!- spiegò Iori. – Un sacco di pomeriggi in cui ho lasciato indietro il lavoro, passati a cercare di spingervi nello stesso reparto. Non ne avete idea! Per fortuna alla fine il potere di Hikari vi ha dato una mano!-

- Una fortuna enorme...- borbottò Hikari.

- Suppongo di dovervi ringraziare.- disse Shuichi, trasognato, come se avesse appena pensato a voce alta, senza accorgersene.

- Davvero?- domandò Hikari, colto di sorpresa. Shuichi rimase senza parole, con un’espressione piuttosto idiota in viso. Le due donne risero, e Iori si passò rapidamente una mano sul viso.

- Iori starà piangendo di sicuro...- commentò Tsugumi.

All’improvviso si levò il vento. Si era fatto buio troppo presto anche per settembre. Shuichi perse l’equilibrio, e fu raccolto al volo da Hikari e Tsugumi.

- Che succede?- domandò l’amico.

- Non sto bene... E’ qualcosa...-

- E’ nel parco!- esclamò Iori, portando le mani al petto, come se di nuovo non riuscisse a respirare. – Non mi lascia, è ancora nella mia testa!-

- Qualunque cosa sia, va affrontato.- mormorò Shuichi.

- Ma non sappiamo come... E tu stai male!- protestò Hikari.

- Non possiamo rimanere così.- rispose Iori. – Non lo voglio nella mia testa!-

Nemmeno io lo voglio nelle nostre teste!, si ribellò Hikari. Ho visto cosa mi fa fare! Non voglio che faccia del male a nessuno di voi...

Guardò con preoccupazione l’amico, quella donnina pallida e determinata e la sua amica, che aveva un’espressione gelida e inflessibile. Poi spostò lo sguardo, andando oltre i confini del piccolo giardino della biblioteca, fino a raggiungere il parco Tsubaki.


Più stupidi e più intelligenti di quanto credessi. Perché?

Perché non riesco a prevedere esattamente cosa faranno?

Eppure io, più di chiunque altro, dovrei essere in grado di capire la loro mente!


- Da quando gli alberi del parco Tsubaki sono così fitti?- domandò Hikari, che guidava il piccolo gruppo.

- Questo non è più il parco Tsubaki.- dissero le due donne, quasi insieme.

- Lo è.- ribatté Shuichi. – Ma non quello che conosciamo noi. Qualcuno l’ha trasformato. Io l’ho disegnato.-

- Hai disegnato anche quelle?- domandò Hikari, rabbrividendo. Indicò qualcosa che improvvisamente era comparso tra gli alberi. Era una statua, qualcosa che sembrava voler rappresentare una creatura vivente, ma tutta ripiegata su sé stessa, raggrinzita. Come un disegno su un foglio accartocciato, o un’immagine appena abbozzata, e poi subito coperta da scarabocchi o cancellata.

- Sì. Ho disegnato tutto questo.-

- E hai disegnato anche me. E se non lo avessi fatto, voi non sareste qui, e di certo sareste più in forma. Ma per fortuna, senza il talismano che ti faceva dormire, sono riuscito a controllarti. La tua doujinshi mi ha dato vita. Sei un ragazzino talentuoso, era molto tempo che non mi disegnavano così bene...-

Dalle ombre emerse una figura. Alto, capelli verdi, camicia bianca e azzurra a quadri, cravatta arancio e benda rossa sull’occhio sinistro.

- E tu chi sei?- gridò Hikari, parandosi davanti al suo gruppetto, come per proteggerli.

- Matsui Murasaki. Un nome di cui vado molto fiero. Sono il vostro avversario.-





...continua...

   
 
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