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Autore: Northern Lights    04/09/2013    3 recensioni
Jane Watson abita in un paesino dimenticato da Dio e frequenta l'ultimo anno al liceo locale. Stanca della sua vita monotona e noiosissima, si ritroverà catapultata in un'avventura più grande di lei quando un uomo misterioso quanto affascinante busserà alla porta della sua aula durante l'ennesima lezione di Educazione Religiosa.
In poche parole: come Jane Watson incontra e si scontra con un'ipotetica tredicesima rigenerazione del Dottore.
Genere: Azione, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - Altro, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai provato una particolare simpatia nei confronti della mia professoressa di Educazione Religiosa. Era una suora appartenente all'ordine delle Clarisse che aveva fatto della diffusione della parola di Dio e dell'indottrinamento delle giovani menti liceali la sua unica ragione di vita. Era severa, antiquata e possedeva una mentalità chiusa quanto un ombrello nei giorni di Sole. Il Vangelo era la sua legge e tutto ciò che non vi fosse scritto era da condannare e considerare innaturale e pericoloso. Spesso ci minacciava dicendoci che se non ci fossimo riavvicinati alla Chiesa e al Signore durante il Giorno del Giudizio saremmo finiti all'Inferno. Come se così sperasse di "convertirci" o di farci cambiare idea sulle nostre laiche convinzioni. No, agendo in questo modo non faceva altro che indurci (o meglio, indurmi; non conosco la posizione dei miei compagni di classe a riguardo) a perdere ancora di più fiducia nell'istituzione della Chiesa Cattolica ed allontanarci da Essa. Ma non era sempre stato così. Il primo quadrimestre dell'anno precedente, al suo posto vi era una graziosa catechista dai lunghi boccoli dorati e gli occhi verde smeraldo, piccola e pallida, dolce come lo zucchero filato e gentile come una fata. Ella era molto più propensa al dialogo e preferiva che durante le sue lezioni fossimo noi a parlare e ad esprimere il nostro punto di vista sull'argomento del giorno, sempre di grande spessore ed interesse. Sapeva coinvolgerci e non annoiarci mai, era spiritosa e allegra e persino i progetti che assegnava per casa erano creativi e quasi divertenti. Come quando ci assegnò il compito di disegnare un fumetto in cui spiegavamo cosa la nostra religione significasse per noi. Io disegnai con delle matite colorate un bel paesaggio notturno: una lunga distesa d'acqua salata, blu come il cielo, s'infrangeva sulla spiaggia dorata, lasciando una lieve spuma sul bagnasciuga. Pietre dalle varie dimensioni erano sparse sulla sabbia. Questa bella spiaggia confinava con uno spiazzale di verde, al centro del quale, si ergeva in tutta la sua possente altezza, un albero frondoso. All'orizzonte, due grandiose montagne dai colori autunnali si riflettevano sul telo del mare, così le bianche stelle e la splendente Luna piena. A contemplare questa meraviglia della natura, vi erano, seduti su una panchina di legno di quercia, due adolescenti di circa 14 anni: un ragazzo biondo, vestito di un jeans e una maglietta verde a lunghe maniche, ed una fanciulla dai lunghi e ondulati capelli castani, con indosso un top rosa e una gonna rossa all'altezza del ginocchio. Si tenevano per mano ed erano intenti a conversare allegramente sugli interrogativi fondamentali dell'uomo. Lei gli chiedeva: << Secondo te cosa ci aspetta dopo la morte? Un oscuro abisso o la luce di qualcuno, o qualcosa, di divino? >>, allorché egli rispondeva: << Non lo so, ma guardando questa bellissima Luna sento di non essere solo >>
Ebbi il massimo dei voti per quel lavoro. La professoressa si congratulò persino con me per le mie doti da disegnatrice e mi disse d'essere rimasta molto colpita, perché avevo colto a pieno l'essenza del compito, a differenza dei miei compagni. Che angioletto che era! Mi mise un bel 10 in pagella al primo quatrimestre. Era la docente perfetta, l'unica sua pecca era quella d'essere una supplente. Sì, perché quando la nostra insegnante effettiva guarì dalla grave malattia che l'aveva costretta per mesi a letto, ella fu costretta ad abbandonarci. A malincuore sia da parte sua che da parte nostra. Con la suora fu ostilità a prima vista. Non la sopportavo in tutto ciò che faceva, mi faceva salire i nervi a fior di pelle con la sua voce stridula e l'espressione di superiorità. Le sue ore erano quelle che affrontavo con maggiore dispiacere e sembravano non finire mai, tanto era noiosa quella tipa! Ero la studentessa con la media più alta della classe e la terza con la media più alta dell'intero istituto. Facevo breccia di bei voti senza minima difficoltà, avevo (ho, non sono mica morta!) una memoria portentosa che mi permetteva di imparare interi paragrafi in pochi minuti e di tenerli bene a mente durante i test. Ero il perfetto clone della brillante Hermione Granger, senza troppi giri di parole. Però, dal momento che non riuscivo proprio a mandare giù la monaca e le sue lezioni confuse e confusionarie, studiavo Educazione Religiosa poco e male e mi ritrovavo una sufficienza stentata nella materia più stupida dell'intero corso. Si tratta di qualcosa di cui mi vergogno ancora oggi! Quella mattina di Aprile non era certo un'eccezione alla regola. La lezione era cominciata da un quarto d'ora, ma a me sembrava fossero trascorse tre ore. Lei era intenta a leggere ad alta voce un passo della Genesi, alzando ogni tanto lo sguardo per controllarci da dietro gli occhiali a mezza luna. Io avevo la testa appoggiata sul palmo della mano ed guardavo senza veramente osservarla la mia compagna di banco mentre scarabocchiava qualcosa sul suo diario. Dopo un minuto che sembrò eterno, iniziai a vagare con lo sguardo sull'intera classe, soffermandomi ogni tanto su qualche individuo che ritenevo particolarmente strano per analizzarne il comportamento. All'improvviso, la porta che veniva spalancata fece balzare tutti quelli troppo assorti (me compresa) dalla sedia, ridestandoci come da un sonno profondo. L'intera classe e la prof si voltarono verso l'uscio dell'aula, per vedere chi cavolo fosse quel maleducato che si era permerso di disturbare la lezione senza prima avvertire bussando. Il nuovo arrivato era un uomo abbastanza alto, dai corti capelli neri riccioluti e gli occhi azzurrissimi, che di così profondi e blu non ne avevo mai visti. Indossava dei jeans neri e nascondeva una t-shirt bianca sotto una giacchetta da motociclista dello stesso colore. Non possedeva una bellezza classica, ma la sua figura snella sprigionava un tale fascino che se ne sarebbero accorte persino le pareti di calcestruzzo dell'edificio piuttosto pericolante. Poggiai il mio sguardo su di lui e rimasi colpita dalla sua espressione, talmente preoccupata che quasi sembrava avesse nelle sue mani il destino dell'intera umanità. Fece un cenno di saluto all'insegnante, per poi vagare tra i banchi con gli occhi, alla disperata ricerca di qualcosa. O qualcuno. Quando ebbe apparentemente terminato la sua ricerca, si schiarì la gola e parlò con voce calda e baritonale.  
<< Mean Girls, decerebrati, Monaca di Monza, scusate per l'interruzione, ma è in corso un'invasione aliena e vi consiglio vivamente di recarvi tutti nel cortile della scuola, dove sarete almeno minimamente al sicuro >>
Allorché la professoressa, offesa ed iraconda, sicura quanto noi, o almeno gran parte di noi, che si trattasse di uno scherzo, si alzò di scatto e, sistematasi gli occhiali sul naso, disse a voce alta, molto alta: << E lei chi è? Non fa parte del personale della scuola, non l'ho mai vista! Se è un pazzo che non ha niente da fare se non disturbare i docenti mentre svolgono il loro lavoro con stupidi scherzi, che neanche un bambino piccolo e credulone ci cascherebbe, allora è pregato di andarsene, se non vuole che chiami il Preside, o meglio ancora, la polizia! >>
Ma l'uomo la evitò completamente e ritornò a rivolgersi a noi alunni: << Il mio è solo un consiglio e fareste meglio a seguirlo se volete riportare a casa la pelle. Ma se proprio non v'interessa, allora potete restare in classe ed aspettare d'essere scorticati, o peggio >>
Lo disse con un tono talmente fermo e serio che parecchi miei compagni misero su un'espressione allibita e fecero per alzarsi, ma la suora colpì con forza la cattedra e loro, più spaventati da lei che da una presunta invasione aliena, si risedettero all'istante. E come biasimarli? Una sospensione o, nel peggiore dei casi, un'espulsione avrebbero significato la bocciatura certa di alcuni soggetti che si ritrovavano in una situazione scolastica alquanto precaria. Io avevo osservato l'intera scena inerme ed ora mi ritrovavo a fissare i tratti del signore misterioso con interesse. Notai che da quando era entrato, esercitava su di me un fascino senza precedenti. Era come se non riuscissi a staccare gli occhi dalla sua figura, o meglio, i suoi occhi azzurri quanto il cielo primaverile. Tuttavia non sapevo se credergli o no. Ero un grande appassionata di fantascienza, ma per me si trattava di un mero mezzo di intrattenimento e non credevo che creature del genere esistessero sul serio. Ma quell'estraneo ci aveva avvertiti con un tale convinzione, che una parte di me non pensava si trattasse di una presa in giro. Ero combattuta. Come se avesse sentito il peso del mio sguardo sul suo volto, egli si voltò nella mia direzione ed esclamò: << Avrò bisogno di un'assistente... Tu! >>, ed indicò un punto indefinito alle mie spalle. Mi voltai di scatto verso la ragazza seduta al banco dietro il mio, Mary Sue Fields. Aveva capelli lunghi fino alle spalle, freschi di piastra e biondi... be', diciamo ingialliati, dal momento che si trattava di una colorazione mal riuscita... poi possedeva due piccoli occhi marroni e delle labbra rosse talmente grandi che sembravano frutto di un botulino. Mi chiedevo con quale coraggio e gusto estetico si professasse e la professassero di bell'aspetto. Ai miei occhi era un clown a cui avevano tirato un secchio d'acqua in faccia. La classe mi imitò e cominciò a fissarla in attesa che posasse lo specchio nel quale si stava ammirando, come se tutto ciò che stava capitando in aula non la riguardasse minimamente, e reagisse in qualche modo. Lei indifferente si sistemò i capelli e solo allora alzò gli occhi dall'oggetto riflettente. Aveva l'espressione di una appena sveglia. Non appena notò l'uomo in piedi sull'uscio, cominciò a fargli gli occhi dolci, ovviamente colpita dalla sua avvenenza, nonostante non fosse così evidente al primo impatto. Qualcuno ridacchiò e lei fece una smorfia. Allora l'uomo ribadì, spazientito:
<< No, non lei, tu! >>, e puntò il dito verso di me. Me. Era me che stava indicando sin dal principio! Spalancai gli occhi tra lo stupore generale. Un essere così insignificante,
quasi invisibile, era stata scelta come assistente da uno sconosciuto per chissà che cosa. Mi resi conto che la monaca non era intervenuta neanche una volta dopo la sua
minaccia di chiamare la polizia. A quanto pare aveva deciso di sedersi e vedere dove quell'uomo voleva arrivare. Ci fissammo intensamente per un tempo che sembrò infinito.
Mi persi nei suoi occhi così profondi e belli, così blu, così tutto. Mi sentii come se mi stesse incatenando. E a quel punto realizzai che avrei seguito in capo al mondo quegli
occhi se solo il loro proprietario me lo avesse chiesto. Richiesta che arrivò quasi subito.
<< Allora, vieni? >>
Scostai la sedia e mi alzai, pronta a seguire quello sconosciuto fuori dall'aula, quando la voce della docente, che in confronto a quella sensuale e piacevole dell'uomo sembrava ancora più stridula e fastidiosa, mi riportò alla realtà: << Watson! Dove credi di andare? Torna subito al tuo posto o avrai una sospensione! >>
Feci come avevo già fatto in precedenza con questa religiosetta da quattro soldi: non le diedi retta. E tra le sue urla stizzite e minacce varie, raggiunsi l'uomo che mi sorrise
raggiante. Ricambiai e lo seguii in corridoio. 
<< E quindi, che si fa? >>, gli chiesi chiudendomi la porta alle spalle.
Si voltò a guardarmi e rispose: << Fermiamo l'invasione aliena, ovvio! >>
<< Sì, ma come? E perché hai scelto proprio me? >>
<< Ehm... Giusto, capisco, devi avere qualche informazione sul nemico che stiamo per affrontare. Be', queste disgustose creature hanno vissuto e prosperato indisturbati e 
sconosciuti a tutti nelle fognature della scuola. Hanno lasciato il loro pianeta quando hanno realizzato che stava per essere distrutto dalle forze militari di un mondo vicino.
Non hanno un corpo proprio, sono semplicemente delle entità pensanti abbastanza intelligenti, ma necessitano comunque di nutrirsi. La loro fonte principale di nutrimento sono... be', le feci di voi esseri umani e il... mestruo delle ragazze, soprattutto quest'ultimo, che dà loro molta energia e che adorano. Prediligono questo tipo di "cibo" perché ha la stessa consistenza di ciò che mangiavano a casa loro. Ovviamente, anche loro espellono gli eccessi ed è con le loro stesse feci che si costruiscono un corpo solido. Sono pronti ora a compiere il loro scopo: conquistare il mondo. Uccideranno tutti i terrestri, lasciandone vivi quanti ne bastano per continuare a sfamarsi. La loro tattica è semplice: avvolgono la vittima, questa perde i sensi a causa del fetore e viene stritolata o, in alcuni casi, viene attaccata dai batteri e i virus che queste schifezze portano con sé dal gabinetto. Si chiamano Pou e dobbiamo impedire che escano dall'edificio >>
<< Pou?! Si chiamano Pou? >>, fu la prima domanda che mi venne in mente.
<< Sì, come quell'applicazione per cellullari tanto in voga quest'anno >>
<< E' incredibile... E che schifo! Ma, aspetta, non hai risposto alla domanda più importante, almeno per me: perché proprio io? >>
<< Perché? Hai visto i tuoi compagni di classe? E gli studenti degli altri corsi? Sei quella con lo sguardo più intelligente e serio e hai avuto persino il coraggio di disobbedire a quell'arpia quando tutti gli altri si sono immediatamente tirati indietro; sei quello di cui ho bisogno e spero non mi deluderai >>
Uhm, questa non me l'aspettavo. Arrossii di piacere sperando non mi notasse e proseguii col mio "interrogatorio".
<< Okay, come li uccidiamo? >>
Il suo tono si fece vago: << Ecco, io... non ne ho idea >>
<< Non ne hai idea?! >>
<< No! Il corpo che si creano è insensibile ai colpi di vario tipo e la loro unica parte vivente è ben protetta e difficile da distruggere. Speravo ne avessi qualcuna tu, d'idea! >>
<< Sì, certo, come no! Mi hai appena prelevata da un corso di Religione e mi hai descritto appena i nostri nemici, se questi esistono! Che situazione assurda! Be', almeno
dimmi che diavolo devo fare! >>
<< Aiutami ad evacuare le aule di questo piano per il momento >>
<< E gli altri piani? E i miei compagni? >>
<< Be', non hanno voluto darmi ascolto, moriranno soffocati. Ora bussa a queste porte e avverti gli studenti >>
<< Fermo, così ci impiegheremo un'eternità, ho un'idea migliore >>
Mi allontanai da lui e mi diressi verso la postazione in corridoio riservata alla bidella del piano. Era deserta. Sicuramente quell'inefficiente era andata a prendere un caffè. Mi chiesi per quale strana ragione la pagassero. Però, almeno per il momento, era meglio per me. Suonai l'allarme per due volte consecutive. Significava solo che c'era un incendio ed era necessario uscire dalla scuola. Prima che il corridoio si riempisse di persone allarmate e spaventate fino al midollo, lo sconosciuto non più così sconosciuto mi prese per mano e mi spinse dentro uno dei laboratori vuoti, dove restammo finché tutti lasciarono la zona per mettersi in salvo. Ero certa che la confusione avrebbe spinto gli alunni dei piani inferiori ad uscire dalle classi, informarsi e a seguire la folla fuori nel cortile. Fortuna che il nostro era l'ultimo piano. Intanto ero vicinissima a quell'uomo, così vicina che ne sentivo il respiro sul viso. Dopo un po' si staccò da me e sbirciò dalla porta del laboratorio la situazione nel corridoio. Mi fece un cenno. Via libera. 
<< Devo dire che hai avuto un'idea geniale. Non ci sarei mai arrivato da solo, sul serio! Non mi sbagliavo sul tuo conto! >>, e fece per uscire, ma io lo afferrai per un braccio e finalmente esclamai: << Non so ancora il tuo nome >>
<< Uhm, vero, non ci siamo ancora presentati. Piacere, sono il Dottore >>
<< Il Dottore e...? >>, chiesi. Non poteva chiamarsi semplicemente "Dottore".
<< Il Dottore e basta >>, affermò con un cenno di severità nella voce, un tono che non ammetteva repliche, poi continuò, << Tu invece sei Watson... >>
<< Sì, Jane Watson, ma decreterò più tardi se sarà stato un piacere conoscerti o meno >>
Ci guardammo negli occhi per poi scoppiare a ridere senza ritegno. Si fermò di botto, fermò anche me e m'incitò: << Forza, andiamo! >>
<< Dove si trovano i Pou? >>
<< Nel bagno del secondo piano. Ho chiuso la porta a chiave, ma prima o poi la sfonderanno. Dobbiamo muoverci! Armati di sedia e gessetti. Corri! >>
Feci come mi aveva detto, entrai nell'aula di fronte al laboratorio, mi riempii le tasche dei jeans con i gessetti ed afferrai la prima sedia che mi capitò a tiro. Quando tornai da lui, notai che aveva fatto lo stesso.
<< E queste dovrebbero essere le nostre armi? >>
<< Sempre meglio che niente! >>
Lo seguii sino alla nostra meta. La porta era chiusa, ma qualcuno dall'interno stava tentando di abbatterla. Il Dottore mi porse due tappi ed esclamò: << Ecco, metti questi
nelle narici, così eviterai di morire asfissiata. Ho ideato un piano: spingeremo i Pou nel laboratorio audio-video di questo piano, che si trova in fondo al corridoio, nel caso non lo sapessi, e poi appicheremo un incendio, sperando che li uccida, o perlomeno li ferisca. Tutto chiaro? >>
Mi misi i tappi ed annuii con convinzione. Lui mi fece un cenno col capo, estraette con la mano libera dalla tasca un tubo di metallo di media lunghezza e lo puntò contro la
serratura. Questa scattò quando fu colpita da un raggio di luce verde proveniente dall'oggetto misterioso. Dal bagno uscì un numero imprecisato di Pou. Nonostante avessi
preso precauzioni, il mio povero naso recepì comunque un po' dell'odore disgustoso che quelle schifezze emanavano. Se era così orribile con i tappi nel naso, figuriamoci
senza! Erano davvero dei mostri bruttissimi, fatti di feci solide. Si trascinavano sul pavimento e ci guardavano famelici coi loro occhi rosso sangue - e quasi vomitai al pensiero di quale tipo si sangue si trattasse. Imitai il Dottore e cominciai a tirare i gessetti su di loro, per irarli e spingerli a seguirci. Non ci volle molto tempo che quelli si avventarno su di noi. Uno tentò di colpirmi, ma lo schivai e lo colpii con la sedia che stavo reggendo. Cadde un po' di... pupù a terra, ma oltre l'alieno non diede altri segni di cedimento. Anzi, era ancora più arrabbiato di prima, se possibile. Iniziò ad inseguirmi insieme ad alcuni compagni, ed io, talmente spaventata che sarei potuta svenire, diedi man forte al mio istinto di sopravvivenza e lasciai che l'adrenalina mi pompasse nel sangue e gettai via la sedia, per poi correre come mai avevo fatto in vita mia.
Quei mostri erano sorprendentemente veloci e mi raggiunsero in pochi secondi. Nel frattempo, il Dottore era circondato da tre di quegli esseri e tirava colpi con la sedia a destra e manca, tentando di crearsi un varco tra di essi, mentre mi incitava a correre ancora più velocemente. Corsi e corsi, e mi sembrò che quel corridoio fosse diventato infinito. Corsi e corsi e corsi ancora, finché non inciampai nei miei stessi piedi e caddi malamente a terra. Il dolore per l'impatto durò poco, giusto il tempo di girarmi per affrontare di petto la morte. I Pou erano a pochi centimetri da me. Tentai di scivolare via e di rialzarmi, ma qualche forza dell'Universo me lo impediva. E no, non era la Forza di Gravità. Era giunta la fine. La schifezza che avevo colpito prima era sul punto di saltarmi addosso e uccidermi, quando da un'aula aperta alla mia sinistra giunse una voce abbastanza familiare. 
<< As long as you lo-lo-lo-lo-lo-lo-lo-lo-lo love me, love me >>
Era una canzone di Justin Bieber. I Pou che mi stavano inseguendo si accasciarono al suolo trattenendosi la testa, soffrendo evidentemente, fin quando questa... be', scoppiò. Erano morti. E la causa del loro decesso era la canzone di Bieber. Lo benedissi mentalmente, ovunque fosse, ed entraii nella classe, seguendo il suono della sua voce. Proveniva da una borsa di cuoio abbandonata su una sedia al centro della stanza, era la suoneria di un iPhone. Lo presi ed interruppi la telefonata, senza leggere chi ne fosse il mittente. Che fortuna! Un cellullare acceso e senza vibrazione nel bel mezzo delle lezioni! A quanto pare, qualcuno lassù mi vuole bene. Tornai in corridoio e vidi con sollievo che il Dottore era riuscito a salvarsi e mi stava raggiungendo di corsa. 
<< Jane! Jane, ce l'hai fatta! >>, urlò fermandosi dinnanzi a me, << Come diamine hai fatto? >>
Gli mostrai l'iPhone e gli spiegai: << E' stato questo a salvarmi, stavo per morire, quando è partita la suoneria. E' una canzone di Justin Bieber >>
<< Justin Bieber... >>, sussurrò il Dottore pensieroso.
<< Non lo conosci? >>, chiesi.
<< Certo che lo conosco! Stavo solo cercando di capire cos'abbia di così speciale da uccidere i Pou! >>
<< E' scoppiata loro la testa, quando l'hanno sentito! >>
<< Bene, a quanto sembra è la voce di Bieber a fare loro quest'effetto. Non la musica, che non è per niente originale e i Pou ne avranno sentita a bizzeffe di simili nei bagni della scuola, ma la voce. Ecco perché sono così pochi, molti ne saranno morti nei bagni, con tutte queste Beliebers in circolazione! Forza, cerca la canzone e punta il telefono contro questi mostri! >>
Accesi lo schermo dell'aggeggio, ma aveva una password.
<< Oh, no, è bloccato! >>
Allora l'uomo afferrò l'oggetto dalle mie mani e gli puntò contro il tubicino di prima. Il contenuto dell'iPhone fu subito accessibile. Me lo ridiede ed io cercai immediatamente
la cartella contenente i file musicali. Intanto, il Dottore continuava a lanciare i gessetti contro i Pou, sperando di rallentarli almeno un po'. Grazie al Cielo, "As Long As You Love Me" era una delle prime voci. Gli alieni erano a pochi passi da noi. Premetti sulla scritta ed alzai il volume al massimo. La voce del cantante Canadese riempì l'aria ed uno dopo l'altro, i Pou si accasciarono al suolo e fecero la fine di coloro che li avevano preceduti. 
Quando tutto fu finito, il Dottore mi cinse le spalle e disse a bassa voce: << Meglio controllare anche il bagno, non si sa mai >>, ed ammetto di aver sentito sotto il suo tocco una forte scossa elettrica e una sensazione calda stringere il mio stomaco in una morsa. Mi guidò sino la porta della toilette. Stringevo ancora l'iPhone nella mano destra, con questo che continuava a suonare la canzone del ragazzino nordamericano. Giunti a destinazione, il brano era ormai terminato da un pezzo; il Dottore mi chiese di allungargli il cellullare, glielo porsi e lui lo fece ripartire, poi aprì la porta, vi gettò l'oggetto e la richiuse velocemente. Pochi secondi e sentimmo il rumore di teste che esplodevano. Cessati i rimbombi, l'uomo si affacciò da dietro la soglia socchiusa, fece un controllo abbastanza veloce e ritirò la testa con un'espressione decisamente più rilassata.
<< L'umanità è salva! >>, esclamò gioioso.
<< Sicuro? >>
<< Sì, non avete più niente da temere >>
<< Non... avete? Non dovresti dire "non abbiamo"? È la seconda volta che ti riferisci alla popolazione della Terra come se non ne facessi parte >>, osservai.
<< Hai notato addirittura questo? Wow... >>, disse in tono di meraviglia. Quando questa fu scemata, continuò: << E per chiarire i tuoi dubbi, no, non sono umano come te... Sono un Signore del Tempo, l'ultimo, a dire il vero, dato che il mio popolo è stato sterminato durante una sanguinaria guerra contro degli alieni chiamati Dalek. Non appartengo a questa specie, la tengo solo fuori dai guai >>
Non so quanto tempo restai a fissarlo a bocca aperta, cercando di metabolizzare la notizia. Lui era quasi indifferente, noncurante di ciò che aveva appena rivelato, e spostava il suo peso da un piede all'altro, guardandosi intorno, come se avesse qualcos'altro da fare ed io gli stessi solo facendo perdere tempo prezioso.
<< Oh, mio Dio... >>, riuscii ad esclamare infine, << Non posso non crederti dopo tutto ciò che ho visto nell'ultima ora, quindi... >>, pausa relativamente lunga (ero ancora sotto shock!), <<  Sei un alieno, l'Angelo Custode della Terra, potremmo dire... e quel tubicino che ogni tanto tiri fuori è la tua Bacchetta Magica? >>, buttai lì.
<< Questo dici? >>, ed estraette la "bacchetta" dalla tasca, << Questo è un Cacciavite Sonico, molto utile per aggiustare o aprire le cose e i meccanismi >>
<< Tutto questo è incredibile >>, commentai scuotendo lievemente la testa.
<< Io sono incredibile! >>, si vantò lui. Inevitabilmente, scoppiammo a ridere.
<< Senti, Jane, faresti meglio a raggiungere i tuoi compagni ora, ci vediamo fuori >>
Lo guardai incerta. Cosa doveva fare? Era un addio definitivo quello?
<< O-okay, a dopo allora >>, balbettai un po' confusa.
Andai via, col pensiero insistente di quegli occhi azzurri e col desiderio sempre crescente di non allontanarmene mai, anche se forse era qualcosa d'imminente e di inevitabile.

Al mio arrivo in cortile fui accolta da fitti bisbigli e qualche risatina malefica, e in effetti concordo coi miei compagni nel dire che ero più impresentabile in quel momento di quanto lo fossi stata in tutta la mia esistenza. Capelli in disordine, quel poco trucco che indossavo sbavato, vestiti stropicciati e soprattutto, sporchi di feci aliene. Ricordai che il Dottore invece ne era uscito lindo e pinto e lo invidiai. Come cavolo aveva fatto? Raggiunti i miei compagni, la religiosetta mi squadrò con cura, aveva l'aria piuttosto preoccupata:
<< Watson, dove diavolo eri finita? Volevi farmi perdere il posto? Eri bloccata a scuola con un - poco - probabile incendio in corso e non ci era neanche permesso entrare a 
cercarti! Oh, ma rischi di grosso, ragazzina insolente, non m'importa della tua media, ti faccio bocciare! >>
Non le diedi retta di nuovo, con sua somma ira, tanto da far invidia al grande guerriero Achille, e chiesi spiegazioni alla mia compagna di banco. Ella mi fece un riassunto della situazione generale: polizia e pompieri non erano ancora arrivati (in una cittadina piccola ed insignificante come la nostra i servizi non erano molto efficienti) e appena evacuato l'edificio la prof aveva avvicinato il Preside per raccontargli dello sconosciuto e della nostra "fuga". Alcuni pensavano si trattasse di uno scherzo architettato da noi due per avere... un po' di privacy. Cosa?! Okay, il Dottore era sexy, molto sexy, ma quel pensiero non mi aveva sfiorata, non lo conoscevo nemmeno e non avrei mai movimentato un'intera scuola per così poco. Sì, ma che poteva saperne la gente! E se fossimo stati amanti da tempo?, osservò la mia amica. No, no, mai visto il Dottore in vita mia, la rassicurai. Okay, okay, in effetti i nostri compagni erano un tantino increduli dal fatto che una diciottenne a detta loro sfigata frequentasse un tizio più vecchio di una ventina d'anni. Feci finta di non aver sentito. Ora tutti aspettavano una conferma dall'autorità, una volta che queste fossero sopraggiunte. O si trattava di un mio scherzo, o c'era stato davvero del pericolo. Non sapevo che diamine fare, se non starmene lì ad aspettare il Dottore. Ero a braccetto con la mia coetanea preferita e stavo fissando il vuoto, quando la folla alle nostre spalle cominciò a smuoversi, e tra un "Che sta succendo?" e "Quello che diavolo è?", si aprì come le acque del Mar Rosso dinnanzi a Mosè. Ci voltammo per vedere coi nostri occhi la causa di cotanta agitazione. Nello spazio liberato dagli studenti, era apparsa dal nulla una cabina telefonica blu, di quelle utilizzate dalla polizia britannica negli anni '50. Molti stavano filmando e/o scattando foto coi loro cellullari. Sta di fatto, che tutti si avvicinarono per capire che cosa fosse e tutti avevano un'espressione tra il curioso, lo spaventato, il meravigliato e l'incredulo. Io non mi entusiasmai più di tanto, credevo, anche se solo dopo una misera e veloce lotta contro degli alieni, di aver visto abbastanza stranezze da non meravigliarmi più di nulla. Che illusa che ero! La folla indietreggiò di un passo o due quando la porta della misteriosa cabina si aprì, rivelando la figura dello sconosciuto che almeno per me, tanto sconosciuto più non era. Mi brillarono gli occhi quando vidi il Dottore in piedi sulla soglia della Police Box in tutto il suo splendore. Il mio primo istinto fu quello di saltargli al collo, ma m'imposi di trattenermi. Lui aveva lo sguardo fisso su di me e sembrava contento di vedermi. Scrollò le spalle e mi sorrise: << Jane, questo è il TARDIS, "Tempo e Relativa Dimensione Interna allo Spazio", ed è il mezzo che uso per i miei spostamenti. Una macchina meravigliosa, grazie alla quale ho visto posti che nessun umano potrebbe mai immaginare o sperare di vedere qui sulla Terra. Ora, si tratta di un'astronave molto spaziosa, anche se dall'esterno non si direbbe, l'universo è grande, grandiosamente grande, e durante i miei viaggi mi sento... tanto solo. Lo so che ci conosciamo da poco e proportelo può sembrare azzardato, ma, Jane Watson, vorresti farmi l'onore di essere la mia accompagnatrice? >>
Sono certa che se avessi avuto una bibita in corso di consumazione, gliel'avrei sputata in faccia dalla sorpresa. Non stava accadendo sul serio. Avevo voglia di saltare, correre, urlare, piangere, riempirlo di baci tanto ero felice dalla proposta, gli avrei detto di sì seduta stante, ma il punto era che non potevo. Non potevo lasciare tutto ed andarmene come se niente fosse. Sì, mi era piaciuto contribuire al salvataggio del pianeta e, sì, avrei vissuto volentieri mille altre strambe avventure, mettendo persino a rischio la mia vita, col Dottore, ma avevo degli amici, una bella famigliola ed una media scolastica invidiabile (i miei docenti erano affezionati a me, non avrebbero mai permesso a quella suora di compromettere il mio futuro accademico per niente). E soprattutto, avevo dei sogni e dei progetti per il futuro. Per quanto mi sarebbe piaciuto mandare al diavolo tutto e viaggiare in posti esotici con quell'alieno che mi sembrava più umano di molti che conoscevo, ero consapevole che avrei rifiutato il suo invito. Ma prima che potessi aprire bocca, lui mi anticipò, avendo probabilmente letto lo sconforto e il dispiacere nei miei occhi: << Sì, lo so a cosa stai pensando; la tua vita è qui e nonostante questa squallida cittadina non ti garantisca il futuro che desideri, non ti arrenderai, perché sei così brillante e hai dei voti così alti che per garantito riceverai una borsa di studio che ti permetterà di andartene e frequentare l'università che desideri. Stai per diplomarti, ed andartene proprio adesso getterebbe all'aria tutto ciò che hai costruito con fatica e dedizione in questi anni. E poi, nel caso ti riportassi indietro, cosa avresti a quel punto? Niente, quando avresti potuto ottenere tutto, e te ne pentirai, me lo rinfaccerai e mi maledirai sino alla fine dei tuoi giorni per questo. Vedi, io capisco ed accetto la tua scelta, qualunque essa sia. Sappi che nessuno ti obbliga a fare niente, non si vive per compiacere gli altri, Jane >>
Perché doveva rendere tutto più difficile? Aveva centrato il punto. Sapeva perfettamente quale risposta avrei dato, voleva solo sentirselo dire da me. 
<< Ecco, io... Dottore, lo sai, lo sai che non posso. Tu stesso l'hai detto. Il mio futuro è su questo pianeta e sono ad una fase cruciale della mia vita, non posso mollare tutto così, di punto in bianco. E poi, anche se partissi, come lo verrebbero a sapere i miei genitori? Cosa penserebbero a riguardo? No, non posso, proprio no >>, risposi a
malincuore e con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.
<< Accetto la tua scelta >>, disse lui con un tono basso e triste, e qualcosa mi diceva che non l'accettava affatto, ma non stava insistendo e ne fui grata.
Senza salutare, chiuse la porta del TARDIS e questo lentamente sparì nel nulla, nello stesso modo in cui era apparso. Molti iPhone, Samsung e chi più ne ha più ne metta, si abbassarono in contemporanea. Lo show era finito, si tornava alla vita reale. La gente mi fissava e parlottava animatamente, i miei compagni di classe in primis. Maleducati! Voltai i tacchi e feci per allontanarmi dal gruppo, volevo lasciarmi il Dottore alle spalle e dimenticare i suoi occhi magnetici, con la consapevolezza che non sarebbe stato affatto facile. Che avevo fatto? Avevo rifiutato il suo invito, quando qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di ciò che stavo vivendo ora e qualunque futuro col Dottore sarebbe stato più bello, soddisfacente ed appagante dello svolgere la mansione dei miei sogni. Me ne pentii all'istante di quel no e mi diedi da sola della stupida e altri epiteti che non gradirei trascrivere. La mia compagna di banco mi abbracciò. Che ragazza d'oro, avevo proprio bisogno di supporto morale. Restammo così per qualche secondo, fin quando gli studenti non tornarono ad agitarsi e spostarsi per consentire l'apparizione dell'astronave. Non tardai a girarmi e a trovare il Dottore un po' meno triste rispetto a quando mi aveva lasciata e con un bagliore di speranza negli occhi che tanto amavo. 
<< Hey, ti ho detto che questa macchina può anche viaggiare nel tempo? >>
Ecco la goccia che fece traboccare il vaso. Mi liberai dalla stretta della mia amica e con un sorriso raggiante corsi più velocemente possibile tra le braccia del Dottore, dove
sapevo sarei stata sempre al sicuro, dove mi sarei sentita sempre a casa. E pensare che ci conoscevamo solo da un paio d'ore. La porta del TARDIS si chiuse alle mie spalle. Rimasi a bocca aperta, era davvero molto, ma molto più grande di ciò che sembrava! Non riuscivo a crederci, avevo avuto il coraggio di un tale azzardo. Ma non importava più ormai, ero certa che non me ne sarei pentita tanto facilmente. Ero contenta che il Dottore non si fosse arreso.
<< Allora, dove andiamo? >>, fu la prima cosa che domandai.
<< Andiamo ad avvisare i tuoi genitori, ovvio! Ho un piano infallibile: continuerai a studiare sul TARDIS - non preoccuparti, se sarò io l'insegnante ci sarà da divertirsi - 
torneremo in tempo per gli esami, ti diplomerai e potremo viaggiare indisturbati per lo spazio e il tempo. E se un giorno vorrai tornare a casa perché questa vita ti avrà stancata o per qualsiasi altra ragione, potrai laurearti allora. In fondo, la laurea può aspettare, il diploma no! >>
<< Eh, già! Però ancora non mi hai detto dove hai intenzione di portarmi dopo! >>
<< Sarà una sorpresa, ma, fidati, non ne resterai per niente delusa! >>
Fu così che il viaggio iniziò. Un lungo viaggio, che mi portò a conoscere un po' meglio il Dottore e me stessa. Un viaggio attraverso le epoche e le nazioni, le stelle e i pianeti, grazie al quale ampliai i miei orizzonti e venni a contatto con molte culture, usi, tradizioni e costumi diversi. Imparai molto di più durante quel viaggio che in tutti gli anni di scuola. Fu durante quel viaggio che feci nuove esperienze e crebbi e maturai e diventai una persona migliore. Fu grazie a quel viaggio che scoprii l'amore e la felicità che si prova nell'essere amati. E vidi pianeti inesplorati e mostri indescrivibili, gli astri morire e nascere, i personaggi storici compiere le gesta per le quali in futuro sarebbero stati ricordati. Non so per certo quanto durò, ma abbastanza a lungo da consentirmi di vedere il mondo cambiare, cambiare io stessa e vedere lui cambiare. Nell'aspetto e forse in parte anche nel comportamento, e perlomeno nei primi tempi era difficile abituarsi, perché pensavo di conoscerlo quando in realtà non lo conoscevo così bene come mi piaceva credere. Ma in fondo sapevo com'ero consapevole del fatto che la Terra gira intorno al Sole e che tutti dobbiamo morire prima o poi, che nonostante i cambiamenti rimaneva sempre il solito, esuberante Dottore. Il mio Dottore.

- "Non si vive per compiacere gli altri" è una citazione dal film Alice In Wonderland di Tim Burton, che personalmente adoro.

Nota dell'autrice:
Salve a tutti coloro che sono riusciti a giungere fin qui! Spero sinceramente che abbiate apprezzato, lasciate pure un commento se volete, sono ben accetti ^.^
Non so proprio cosa dire. Ho scritto questa, ehm... cosa in tre giorni tra la fine di Giugno e l'inizio di Luglio, proprio nel periodo in cui su Rai4 è terminata la prima stagione di Doctor Who con Christopher Eccleston per far spazio alla seconda con David Tennant. Mi ci è voluto un po' di tempo per abituarmi ed imparare ad apprezzare Tennant, ed ora che sono giunta alla conclusione della quarta serie, posso affermare che Eccleston avrà sempre e comunque un posto speciale nel mio cuore, anche se l'attore scozzese gli tiene testa, devo ammetterlo! Inizialmente questa rigenerazione sconosciuta protagonista della storia doveva essere la dodicesima, ma intanto che decidevo se pubblicare o no, hanno annunciato l'avvento di Peter Capaldi, quindi ho optato per la tredicesima. Per l'aspetto fisico mi sono ispirata a Benedict Cumberbatch (credo che i fan più sfegatati della BBC l'abbiano riconosciuto), perché il cervello umano non può creare volti e l'ho sempre considerato adatto al ruolo, mentre per quanto riguarda il carattere, assomiglia molto di più al Dottore di Eccleston che a quello di Tennant, dato il mio già citato affetto nei suoi confronti. Detto questo vi lascio. Alla prossima pubblicazione se ci sarà o se vorrette esserci :)
Un bacio, 
Tonia
  
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