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Autore: Rowy    10/03/2008    6 recensioni
Perchè proprio lui doveva decidere di venire lì quel giorno ? “Ciao”ruppe il silenzio Lupin, dopo quella che sembrò un eternità . “Ciao”rispose lei, sentendosi incapace di aggiungere una sola sillaba a quanto detto. Perchè proprio lei aveva deciso di tornare in quella casa quel giorno ? La storia è ambientata dopo la morte di Sirius.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nimphadora Tonks, ferma sul marciapiede, osservò la facciata del numero dodici di Grimmauld Place apparire lentamente tra il numero undici ed il tredici .

Lasciò che il suo sguardo si soffermasse sulle imposte sbiadite, che vagasse tra le crepe della pittura che ricopriva la facciata, memorizzasse l’enorme battente della porta d’ingresso e la piccola ringhiera che accompagnava i sei gradini.

 Voleva imprimere in mente tutto di quella vecchia casa nascosta agli occhi degli ignari passanti, voleva coglierne ogni minimo particolare, memorizzarne ogni difetto perché quella sarebbe stata l’ultima volta che vi avrebbe messo piede.

Era stata la sua casa.

Quelle mura l’avevano vista inciampare giorno dopo giorno, l’avevano sentita imprecare contro l’acqua fredda della doccia, ridere fino a non trattenere le lacrime e osservata china su centinaia di fogli.

Si strinse nel mantello, nonostante quel giorno facesse caldo, e attraversò la strada; non aveva voluto nessuno con sé.

Quel giorno era solo suo, suo e della casa al numero dodici di Grimmauld Place.

Era il momento dell’addio a quel luogo in cui aveva imparato a conoscere suo cugino trovando in lui più di un amico.

Il silenzio accolse il suo ingresso nell’oscuro corridoio, nuvolette di polvere si alzarono ad ogni suo passo rilucendo nella penombra .

Superò il quadro coperto dalle tende rosse senza che la signora Black si risvegliasse e si accorse del portaombrelli a forma di zampa di Troll solo dopo averlo superato senza farlo cadere sul pavimento.

Un sorriso beffardo apparve sulle sue labbra. .

Ogni giorno, in tutti i mesi in cui aveva vissuto in quella casa, aveva fatto cadere quel portaombrelli; ogni giorno le urla della padrona di casa si erano unite ai suoi lamenti e Sirius era corso in suo soccorso zittendo il quadro ed aiutandola a rimettersi in piedi.

Forse c’era una contorta, ma precisa logica se quel giorno non aveva inciampato.

Oltrepassò la porta che conduceva in cucina e si diresse nel salotto. Un semplice gesto della mano in cui teneva la bacchetta e le imposte si aprirono lasciando che i raggi del sole illuminassero il pavimento di legno ricoperto di polvere.

I suoi occhi si posarono sulla grande poltrona vicino al camino; la sua mano fece volare via il lenzuolo per poi accarezzare la stoffa consumata.

 Quella era la sua poltrona, la poltrona in cui trovava sempre Sirius quando rientrava dalle notti passate a lavoro. Qualsiasi ora della notte fosse,  al suo rientro lui era lì, seduto a guardare le fiamme danzare nel camino, un bicchiere di whisky in mano. Lei si sedeva sul tappeto ai suoi piedi e parlavano, non importava di cosa, dovevano recuperare tutto il tempo che gli era stato rubato .

 

 

Remus Lupin osservò il numero dodici di Grimmauld Place apparire pigramente davanti ai suoi occhi; non aveva più messo piede in quella casa da quella notte, ma ora era giunto il momento di affrontare i ricordi .

Vi aveva vissuto quasi un anno, in compagnia dell’unico amico ancora in vita, cercando di recuperare il tempo che gli era stato sottratto. Vi aveva passato i giorni più belli degli ultimi anni nonostante la minaccia incombente di Voldemort, ma ora era il momento di lasciarsi tutto alle spalle.

Non aveva voluto nessuno con lui, aveva rifiutato le numerose offerte degli altri membri dell’Ordine, quel momento era solo per lui, per lui e quella casa .

Il silenzio e l’odore di chiuso accolsero il suo ingresso nell’austero corridoio.

 Era tutto come il giorno in cui l’aveva lasciata: il vecchio mantello appeso all’ingresso, l’ombrello appoggiato alla parete …

La polvere e le ragnatele avevano ripreso possesso della sede dell’Ordine della Fenice, nessuno si era più curato di renderla abitabile, nessuno se la sentiva più di stare lì dentro.

Il suo sguardo si posò sul quadro addormentato, ricoperto dalle pesanti tende rosse, che  non avrebbe più urlato.

Guardò le scale che conducevano al piano di sopra, la sua stanza era lì, eppure non vi si diresse subito.

Aveva tutto il tempo che desiderava, poteva permettersi di osservare un ultima volta quei posti con calma.

 Oltrepassò la porta che conduceva in cucina e, confuso, si bloccò sulla soglia della porta del salotto.

Per un attimo aveva creduto, aveva sperato contro ogni logica, che i capelli scuri, che intraveda spuntare dalla poltrona vicino al camino, appartenessero a Sirius .

 

 

Tonks balzò in piedi non appena si rese conto di non essere sola, non le piaceva l’idea di essere vista in quello stato. Rimase come pietrificata alla vista dell’uomo fermo sulla soglia della porta .

Il suo stomaco si contrasse .

Perchè proprio lui doveva decidere di venire lì quel giorno ?

“Ciao”ruppe il silenzio Lupin, dopo quella che sembrò un eternità .

“Ciao”rispose lei, sentendosi incapace di aggiungere una sola sillaba a quanto detto.

Remus Lupin sentiva la vena pulsare veloce contro la tempia, un sapore amaro in bocca.

Perchè proprio lei aveva deciso di tornare in quella casa quel giorno ?

“Non sapevo saresti venuto , ”parlò nuovamente la ragazza, continuando a fissarlo.”Comunque io me ne stavo andando” mentì.

 

Era una mattina soleggiata e straordinariamente calda. Kingsley Shacklebolt si era materializzato con lei nella piazzetta di fronte alla casa e, per la prima volta, le aveva mostrato il numero dodici di Grimmauld Place .

Nimphadora si sentiva nervosa, avrebbe incontrato Sirius Black, lo stesso Sirius Black a cui davano la caccia da anni, l’ uomo le cui foto tappezzavano le pareti di ogni cubicolo del Dipartimento.

Le avevano detto che era innocente e lei vi aveva creduto.

Sentiva che Sirius non poteva essere colpevole, aveva creduto alle prove fornitele .

Rammentava perfettamente l’odore di chiuso che l’aveva accolta, le raccomandazioni di non toccare nulla e di non fare rumore.  Aveva seguito la sua guida fino al salotto e lì era rimasta ferma sulla soglia .

Sirius Black, non il ricercato che era abituata a vedere e nemmeno il ragazzo delle vecchie foto di famiglia, seduto al tavolo la osservava.

Il suo volto era segnato dalla prigionia, invecchiato prima del tempo, i suoi occhi cerchiati e i lunghi capelli arruffati, ma c’era qualcosa in lui che lo rendeva interessante.  Il suo modo di sedere,  il modo in cui muoveva le mani , i suoi occhi , non sapeva. L’unica cosa di cui era certa era che non poteva fare a meno di guardarlo .

Si era seduta e avevano iniziato a parlare,  come due vecchi amici .

 

Era una bella giornata di giugno e lui si era appena trasferito a Grimmauld Place. Era impegnato a sistemare le sue cose in camera, quando il ritratto della signora Black aveva iniziato ad urlare ;

 lasciando tutto in disordine si era precipitato giù per le scale e lì, seduta sul pavimento dell’ingresso, intenta a massaggiarsi il ginocchio, aveva visto per la prima volta quella strana ragazza dai capelli rosa .

Tonks, così si era presentata per essere subito smentita da Sirius, che aveva osato pronunciare quel nome tanto odiato, Nimphadora.

Di sicuro era la ragazza più imbranata che Remus avesse mi conosciuto, sarebbe stata capace di inciampare persino su un granello di polvere, ma era simpatica .

Lupin  l’aveva osservata trascorrere  intere nottate  a parlare con Sirius davanti ad una tazza di tè, aveva iniziato ad apprezzare la sua compagnia e,  col tempo,  a notare ogni piccolo particolare di lei : il modo in cui giocava con i capelli , la sua risata , il modo in cui si sporgeva in avanti quando non resisteva dalla curiosità , la luce divertita negli occhi quando Sirius raccontava particolari più o meno innocenti della loro vita ad Hogwarts .

Col passare delle settimane Remus si era ritrovato a cercare lei dentro una stanza prima di chiunque altro ; si era sorpreso a non ascoltare quello che veniva detto,  distratto dal suo scarabocchiare gli appunti.

 

Tonks non avrebbe mai capito perché Remus e Sirius fossero tanto amici.

 Erano così diversi.

 Nulla di loro, nel loro modo di fare, nel loro modo di pensare si somigliava eppure erano più che amici.

Sirius non stava mai un attimo fermo né, tantomeno, zitto, probabilmente a causa dei tanti anni passati chiuso in una cella; si svegliava e l’intera casa sembrava svegliarsi con lui .

Remus, invece, era un tipo taciturno e solitario;  sempre dietro un giornale, chino su grossi e vecchi libri, oppure seduto dietro la scacchiera. Non parlava mai di stesso e quel poco che Tonks sapeva lo aveva sentito da Sirius o dai Weasley .

Era stato un Malandrino come suo cugino, come James Potter e come loro aveva prestato fede a quel nome durante gli anni scolastici. Eppure lei non riusciva ad immaginare quell’uomo così serio  compagno di “avventure” di Sirius.

Spesso durante le ore trascorse a Grimmauld Place si era ritrovata ad osservarlo: i capelli erano striati di grigio, il suo volto era segnato da bianche cicatrici, i suoi vestiti sempre lindi anche se vissuti , ma erano i suoi occhi ad interessarla; occhi che sembravano memorizzare ogni cosa vedessero.

 Forse quegli occhi nascondevano le ultime tracce del Malandrino che era stato una volta .-

 

“Mi spiace”rispose l’uomo senza essersi mosso di un passo”se vuoi rimanere io posso tornare un altro giorno”

Come era cambiata; troppo per essere ancora la Tonks che conosceva. I suoi capelli erano neri, nessuna luce nei suoi occhi, nessun arricciatura agli angoli della bocca .

Sembrava stanca è forse aveva diritto di esserlo. Il peso che sembrava tenere sulle spalle era impossibile da sopportare .

Non poteva essere lo stesso uomo che aveva conosciuto in quel salotto. Nimphadora, ferma vicino alla poltrona, studiava attentamente Remus Lupin.

Tutto in lui sembrava cambiato a partire dal suo aspetto: la barba incolta , i capelli lunghi , il volto troppo pallido di chi non è uscito di casa per settimane.

Si schiarì la voce chiedendosi perché parlare fosse così difficile. ”Ho fatto quello che dovevo”rispose semplicemente, riuscendo a distogliere lo sguardo e incamminandosi verso la porta.

Il licantropo la guardò avanzare veloce, quasi sul punto di correre verso l’uscita, come volesse mettere più distanza possibile tra loro due. Allungò la mano sfiorandole il braccio, mentre lei gli passava accanto”Nimphadora” .

Tonks si fermò di colpo a quel contatto, rischiando di cadere in avanti .

 

“Nimphadora .”

“TONKS!”

“Non ti chiamerò mai per cognome .”

“Se continui a chiamarmi in quel modo orrendo giuro che non ti risponderò più .”

“Sai che non lo faresti .”

“Vuoi scommettere?”

Quella scena ormai si ripeteva ogni volta che i due si incontravano a Grimmauld Place, quasi fosse obbligatoria. Ogni sera scommettevano ed ogni sera le strappava la vittoria.

Tonks non sapeva perché, ma a Lupin piaceva quel nome o, meglio,  piacevano le reazioni che quel nome suscitava .

Si divertiva, anche se non lo avrebbe ammesso mai,  nel vedere quella chioma tingersi di rosso; adorava lo sguardo carico di minacce che Tonks gli riservava, il broncio che metteva, il battere ritmico del suo piede sul pavimento .

Odiava lo sguardo furbo che appariva sul volto di Sirius ogni volta che li sorprendeva a pizzicarsi. Odiava le sue insinuazioni e la sua mania di raccontare alla cugina tutte le situazioni imbarazzanti che avevano vissuto .

 

Remus Lupin aveva la grandissima capacità di farle saltare i nervi.

C’era solo una cosa che Tonks odiava e quella cosa era proprio il suo nome, ma Remus non voleva saperne di chiamarla per cognome.

La giovane Auror si era ripromessa più di una volta di fargli passare quel vizio a suon di fatture, ma ogni volta era come se si bloccasse. Ogni volta che incrociava il suo sguardo divertito finiva per ridere anche lei.

Non riusciva ad essere arrabbiata con quell’uomo che, a poco a poco, andava conoscendo. C’era qualcosa nel suo modo di fare, nel modo in cui pronunciava il suo nome, nel modo in cui la guardava, che le faceva abbandonare tutte le difese.

Man mano che il tempo passava Nimphadora Tonks si andava rendendo conto che era lui che cercava in ogni stanza prima di entrare, che il suo cuore accelerava ogni volta che sentiva la sua voce.

Si era accorta che uno dei motivi per cui amava passare il suo tempo libero a Grimmauld Place non era solo poter  conoscere Sirius, ma il poter stare seduta nella stessa stanza con Remus.

 

Due lunghe ombre li procedevano sul marciapiede, mentre Nimphadora si chiedeva perché avesse accettato.

Perchè si trovava a camminare per le strade di Londra in silenzio accanto a lui, quando desiderava solo essere il più lontano possibile da Remus Lupin ?

Facciamo due passi, aveva detto, e lei si era sentita rispondere di sì .

Si ritrovò ad osservare la sua mano rilassata a pochi centimetri dalla propria, così vicina e allo stesso tempo così lontana.

Dobbiamo parlare le aveva detto, però non aveva pronunciato una sola parola .

Era sempre stato così facile parlare con lui, fin troppo semplice dire tutto ciò che passava per la mente eppure, adesso, sembrava troppo difficile anche solo aprir bocca.

Lo sguardo apparentemente fisso davanti a lui, Remus camminava e osservava la ragazza al suo fianco. La guardava e ne memorizzava ogni particolare nel fondo della mente. Di lì a poco sarebbe partito e forse non sarebbe tornato, forse non l’avrebbe più vista.

Una giovane coppia guardava la vetrina del negozio all’angolo, le loro dita intrecciate.

Tonks rallentò il passo distogliendo lo sguardo.

Aveva sognato milioni di volte di camminare mano nella mano con Remus, di fermarsi a guardare le vetrine insieme, di comportarsi come una normale coppia, ma questo lui non gliel’aveva mai concesso .

Sentì la mano dell’uomo posarsi sulla sua schiena e guidarla gentilmente evitandole di mettere il piede in fallo.

 

“Ti sei fatta male ?”

La mano tesa davanti a lei,  pronta ad aiutarla.

Tonks aveva iniziato a chiedersi come facesse Remus ad essere sempre presente quando aveva bisogno di aiuto.

 Come faceva la sua mano a scattare tanto velocemente verso di lei bloccando le sue cadute?

Come faceva ad indovinare il momento esatto in cui aveva bisogno di una buona tazza di tè o,  semplicemente,  di compagnia ?

Decine di volte aveva trascorso notti in bianco con lei,  aiutandola a sistemare le carte che portava dall’ufficio. Decine di volte si era addormentata con la testa sul tavolo e ,al suo risveglio, aveva trovato tutti i rapporti ordinatamente impilati e contrassegnati da piccole note a bordo pagina.

 

Remus ritirò la mano, più velocemente di quanto avrebbe fatto normalmente e lasciò ricadere il braccio al suo fianco. Aveva dimenticato la sensazione che provava toccandola; aveva cercato di rimuoverne dalla mente il ricordo, ma il suo corpo non aveva dimenticato.

Un lieve formicolio, una sensazione di piacevole calore si era diffusa dentro di lui facendogli perdere per un istante l’autocontrollo, facendogli venire voglia di posare nuovamente la mano sul suo fianco.

Le sorrise, lei ricambiò quel sorriso di cortesia .

“Ti va se ci sediamo ?”

 

Pioveva.

In quei giorni non faceva altro che piovere e , quando non pioveva,  una nebbiolina umida offuscava la luce del sole catturandone il tenue calore.

Remus  si rigirava nel letto cercando, invano, di prendere sonno; ogni volta che chiudeva gli occhi per più di cinque secondi il rumore proveniente dalla stanza accanto lo svegliava.

Arresosi all’evidenza  si era alzato e aveva bussato alla porta della stanza confinante.  Non ricevendo alcuna risposta era entrato e,  tra il groviglio di coperte, aveva individuato la causa della sua insonnia.

Non avrebbe mai dimenticato quanto tempo aveva impiegato a convincere Tonks ad uscire da sotto le lenzuola, né le sue minacce se lui non fosse uscito immediatamente da quella stanza .

Alla fine, spiegando che se lei avesse continuato a tossire tutta la notte lui non avrebbe potuto dormire, insistendo che lo faceva  solo per sé stesso e assicurandole che non avrebbe riso per il suo aspetto, l’aveva convinta a bere latte caldo e miele. Lanciato un incantesimo nella stanza aumentandone la temperatura e fatto scomparire la collinetta di fazzoletti vicino al letto, le aveva promesso di stare con lei fino a quando non si fosse addormentata.

L’ultima cosa che ricordava era di aver appoggiato la testa sul cuscino per cinque secondi e un attimo dopo la testa di Sirius aveva fatto capolino nella stanza insieme ai raggi del sole mattutino, trovandolo abbracciato a Tonks.

Aveva passato tutta la settimana seguente chiuso in camera con l’influenza,  sopportando Sirius che non perdeva l’occasione di punzecchiarlo e dargli consigli sulle donne.

 

Nimphadora provò un senso di vuoto nel sentire la sua mano allontanarsi, nel vederlo fare un passo lateralmente distanziandosi da lei.

Una barriera invisibile si era alzata tra loro in cui non riusciva a trovare punti deboli; una barriera che, ammise, aveva paura di provare a superare.

Desiderò prendere quella mano nella sua e non lasciarla più, sentire il suo calore, il suo profumo. Provare nuovamente la sensazione di perdersi nel suo abbraccio.

Aveva cercato a dimenticarlo, ci aveva provato veramente e ci stava ancora provando.

Odiava Remus Lupin, odiava quello che le aveva fatto, odiava essere stata rifiutata da lui.

Mentre si sedevano su una delle panchine del parco Tonks si disse che avrebbe dato tutto, tutto pur di sentire ancora le sue labbra.

 

Non ricordava bene cosa fosse successo quella notte di fine novembre se non che Remus si era preso cura di lei.

 L’unica cosa certa era che il licantropo arrossiva ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, che le loro mani si sfioravano più volte del necessario, le loro ginocchia si incontravano sotto il tavolo e che Sirius non li lasciava un attimo soli, preferendo passare giornate intere tra i libri, piuttosto che perdersi l’occasione di studiarli. Sembrava che loro due fossero diventati il passatempo preferito di suo cugino e lei,  sinceramente,  non capiva cosa ci trovasse di tanto interessante.

Natale si avvicinava e il pensiero di riavere Harry con sé aveva distratto Sirius dal suo nuovo passatempo, ma l’arrivo della famiglia Weasley aveva lasciato se possibile ancora meno possibilità a  loro due di stare insieme come una volta.

Molly sembrava accettare di buon grado l’aiuto di Remus in cucina, aiuto di cui aveva effettivamente bisogno, ed i turni di lavoro al Ministero si erano raddoppiati in vista delle feste costringendo Tonks a trascorrere fuori casa giornate intere.

Lei non ricordava un altro inverno così rigido come quello ed il fatto di trovare una tazza di cioccolata calda al suo ritorno non le dispiaceva minimamente.

Seduti nella grande cucina al piano seminterrato con in mano una tazza fumante, quello era l’unico momento in cui riuscivano a stare insieme, mentre il resto della casa dormiva. Era piacevole stare lì,  seduti uno di fronte all’altro a riscaldarsi; poter parlare con qualcuno veramente interessato ad ascoltare la sua giornata. Non sapeva perché a Remus interessasse tanto sentirla parlare di ore trascorse in mezzo alla neve, attendendo invano che qualcosa accadesse, ma era bello osservarlo pendere dalle sue labbra; i gomiti appoggiati sul tavolo, il mento poggiato sul dorso della mano, la testa leggermente piegata.

 

Seduto all’estremità opposta della panchina Lupin smuoveva distrattamente la ghiaia con la punta delle scarpe chiedendosi perché fosse lì; perché le avesse chiesto di parlare.

Diviso tra i sensi di colpa e le incertezze che in quel momento lo assillavano, osservò lo spazio vuoto tra di loro. Sarebbe bastato un passo per coprirlo, solo un passo, quel passo che non riusciva a fare per paura di vederla allontanarsi.

Sentiva il suo respiro leggero, il suo profumo stuzzicarlo; desiderava allungare la mano e sentire ancora una volta, anche fosse stata l’ultima volta, la pelle liscia e fresca delle sue guance.

Remus Lupin si odiava.

Odiava stesso per la sua stupida razionalità, per il suo timore di fare del male alle persone. Odiava stesso per quello che aveva fatto all’unica persona che lo faceva sentire bene, vivo, desiderabile.

 

Remus  non sapeva se lei se ne fosse resa conto, ma lui adorava trascorrere quei momenti insieme.

 Non importava di cosa si parlasse  o,  meglio,  di cosa lei parlasse, dato che lui ascoltava per la maggior parte del tempo.

Adorava il suo modo di raccontare, il tono della sua voce, l’infervorarsi, le sue mani che si agitavano nell’aria accompagnando le parole. Gli piaceva la ciocca ribelle che continuava a ricadere davanti ai suoi occhi, la fossetta che appariva sulle sue guance.

Quando era lì con lei si sentiva bene, non era Remus Lupin il licantropo o Remus Lupin l’ex-professore, solo Remus.

Forse Sirius gli aveva fatto bere un po’ troppo whisky quella sera o, forse, era stata la neve che cadeva fuori dalla finestra o, la musica natalizia che proveniva dal palazzo accanto ad aver  creato quella strana atmosfera; sorprendendo sé stesso,  aveva allungato la mano e aveva riportato indietro per l’ennesima volta quel ciuffo ribelle trattenendo la mano più del necessario, lei non era rifuggita al suo tocco,  aveva inclinato la testa e gli aveva sfiorato il polso con la punta del naso.

Un milione di sensazioni vecchie e quasi dimenticate si erano risvegliate nell’uomo, il suo respiro si era fatto più veloce, la sua mano era scivolata seguendo il profilo del volto di Tonks , il suo cervello aveva smesso di funzionare e la sua razionalità  aveva ceduto di fronte al desiderio di baciarla. Aveva poggiato per un breve istante  le labbra su quelle screpolate della ragazza in un gesto timido e leggermente impacciato.

Remus  aveva rischiato di essere sopraffatto dallo  stupore, quando aveva sentito la piccola mano attirarlo in avanti.

 

“Fra qualche giorno partirò” ruppe il silenzio distogliendo lo sguardo dalla linea delle sue labbra ”non so quando tornerò.”

Nimphadora Tonks fece un breve cenno col capo.

Sarebbe partito era questo il motivo per cui voleva parlarle?

Almeno sarebbe partito. Si disse, cercando, invano, di trovare sollievo in quelle parole.Lei non sarebbe stata costretta ad incontrarlo alle riunioni. Sarebbe riuscita a dimenticarlo.

“Come stai ?”chiese il licantropo pur sapendo che quella era la domanda sbagliata.

 “Sto bene”rispose la ragazza, fissando un punto impreciso di fronte a lei “Tra pochi giorni potrò tornare a lavoro”

“Perché non sei venuto ?”domandò dopo qualche istante, guardandolo negli occhi”Sono venuti tutti, tutti tranne tu.”

“Mi spiace”

“Spiace di più a me”lo corresse amareggiata scuotendo la testa”Credevo ci tenessi almeno un po’ a me”

Lui non capiva,non che lei avesse sperato il contrario. Lui non sapeva cosa si provava nel risvegliarsi in un incubo e non avere accanto la persona che si ama.

Remus tornò a guardare le proprie scarpe consumate, incapace di sostenere il suo sguardo di accusa“Non è come pensi”

“Ho passato un mese chiusa in una camera d’ospedale e tu non ti sei mai fatto vedere né, mi hai mandato una lettera. Ora mi chiedi di parlare.”replicò alterandosi, mentre si alzava “Cosa devo pensare? Dimmelo tu”

Lupin sollevò nuovamente lo sguardo e per un attimo gli sembrò di avere nuovamente di fronte la vecchia Nimphadora.

“Sono stanca di aspettare, stanca dei tuoi errori, delle tue scuse” quasi gli gridò contro, fronteggiandolo un’ultima volta, prima di lasciarlo solo.

 

“E’ stato un errore”

“Un errore!”aveva esclamato stupita e ,allo stesso tempo, contrariata “Mi hai baciata per errore?”

“Non ero in me”

La porta aveva sbattuto forte, chiudendosi ad un palmo dal  naso di Remus.

“Mi spiace” aveva aggiunto l’uomo poggiando le mani alla porta che  si era riaperta improvvisamente, rischiando di farlo cadere in avanti

Perché?”

“Non possiamo”

“Dimmi perché?”

“Sono vecchio”

“Hai solo qualche anno più di me”

“Dodici anni sono più di qualche anno

“Non mi  importa quanti anni hai”

“Non ho un lavoro né una casa. Non ho nulla da darti”

“Non ti ho chiesto nulla.”

“Sono un licantropo”

E allora?”

“Sono pericoloso”

“Una volta al mese”

“Potrei farti male”

“Non credo e comunque basta fare attenzione”

Se ti accadesse qualcosa per colpa mia non me lo perdonerei”

“Non mi faresti mai del male”

“Non posso.”

Perché?Dammi un motivo valido!”

“Dimenticami Tonks”

 

Le campane in lontananza riportarono alla realtà  Tonks; si alzò dal divano ed uscì in balcone.

Le luci della strada si riflettevano nelle vetrine dei piccoli negozi, macchine colorate si incolonnavano al semaforo rosso, i pedoni camminavano veloci ; ognuno col suo pacco in mano, ognuno così preso dai propri orari, dai propri impegni tanto da essere incapace di dire se la persona che aveva appena incrociato fosse un uomo o una donna.

“Nimphadora ti ho lasciato la cena in frigo”

“D’accordo”

Andromeda si affacciò sul balcone rimpiangendo tutte le volte che la figlia le aveva urlato di non chiamarla per nome “Tesoro, sei sicura che non vuoi stare per un po’ a casa con noi?”

“Sto bene mamma”rispose la ragazza, sorridendole come per rafforzare le sue parole”mi trovo meglio a casa mia”

“Vuoi che resti con te questa sera?”

“Non c’è bisogno”ribattè”Me la so cavare anche da sola.

“Come vuoi tu”si arrese la donna anche se in disaccordo”Per qualsiasi cosa però…”

“Non esiterò a chiamarti”la rassicurò

Non aveva alcuna voglia di passare un’altra serata con sua madre che la teneva sotto osservazione, voleva solo dormire, dormire e non pensare.

Sarebbe dovuta tornare a Grimmauld Place per colpa di Remus Lupin, ma no; non voleva pensare a quella casa, non voleva pensare a quell’uomo.

Dimenticami, le aveva detto; era quello che avrebbe fatto.

Il mondo era pieno di ragazzi, Londra era piena di ragazzi, doveva solo uscire e avrebbe trovato la giusta compagnia, qualcuno della sua età.

Si poggiò alla ringhiera e chiuse gli occhi sperando che i rumori della città la portassero via dai suoi pensieri.

 

 

Sono venuto tutti i giorni”

Nimphadora sobbalzò al suono di quella voce.

Non poteva avere le allucinazioni, quello sarebbe stato troppo anche per lei.

Non era stata intenzione di Lupin farla spaventare in quel modo, ma quando l’aveva vista andare via dal parco aveva capito che se non le avesse parlato forse l’avrebbe persa per sempre.Così si era materializzato nel suo appartamento, sperando di trovarla e , per una volta, aveva avuto fortuna.

Fece un passo avanti, verso di lei ”Sono venuto tutti i giorni al San Mungo, ma non ho avuto il coraggio di andare oltre l’atrio”

Tonks battè un paio di volte le palpebre, indietreggiando fino ad urtare la ringhiera”Perché ?”

“Perché avevo paura.”confessò l’uomo abbassando lo sguardo per un attimo, prima di tornare a fissare gli occhi nei suoi ”Avevo paura di quello che avrei visto in quella camera d’ospedale.”

Fece un altro piccolo passo verso di lei, studiandola attentamente. “Sono un licantropo e questo non potrà cambiare.

“Non ho un soldo in tasca, non ho niente più di quello che vedi adesso”

“Sto per partire e non so dire quando tornerò.” Prese un profondo respiro e quasi sembrò che fosse indeciso sul parlare o meno “Ho paura di come mi fai sentire.”  ammise.

Tonks non capiva; lo vedeva avvicinarsi, lo aveva ascoltato pronunciare tutte quelle parole senza fare una pausa, tutto d’un fiato, come a volersi togliere un peso, come se una volta fermatosi non avrebbe più saputo continuare e non capiva.

Sentiva il cuore battere impazzito, la gola secca.

Non era giusto.

Lui non aveva nessun diritto di presentarsi così a casa sua dopo che lei gli aveva detto addio.

“Perché sei qui ?” Non aveva alcun diritto di ricordarle i motivi per cui non le permetteva di stargli vicino.

Remus non rispose; rimase in silenzio a guardare quell’ultimo passo che li distanziava. “Forse non sarei dovuto venire.” Sembrò vacillare, quasi sul punto di smaterializzarsi, invece scosse la testa e continuò “ Sirius è morto e l’unica cosa che desidero è stringerti, farmi consolare da te e…” sospirò amaramente “…ed è sbagliato.

Cosa dirle ?

Dirle di non riuscire a piangere il proprio migliore amico perché felice che lei fosse viva?

Di avere bisogno di essere amato ?

Chiederle di aspettarlo ?

Come dirlo se per più di trent’anni lo si ha sempre negato.

Come chiederlo quando non si sa nemmeno se si tornerà.

“Sto per partire, non so quando tornerò e…”il suo tono di voce si affievolì, deglutì cercando di cacciare indietro la spiacevole sensazione di un nodo alla gola.

Si ritrovò senza parole perché nessuna parola poteva trasmetterle quello che provava, nessuna parola, per quanto ricercata, aveva abbastanza valore.

Alzò lentamente la mano sfiorandole appena la guancia con la punta delle dita; voleva solo questo, poter portare con sé quella sensazione, il ricordo di quel tocco e poi sarebbe andato via.

Invece, spiazzandolo, lei fece un passo avanti, quell’ultimo passo che li distanziava, alla ricerca di quel contatto, trattenendogli la mano.

Per un breve istante i capelli di Tonks tornarono rosa, la sua risata echeggiò nel silenzio.

Sirius era morto ed era colpa sua.

Se lei fosse stata più abile, più veloce, suo cugino sarebbe stato vivo, ma ,per quanto egoista potesse essere , tutto ciò che aveva desiderato in quei giorni era l’abbraccio di Remus.

Nessuno dei due si accorse della tenda che ricadeva oltre la finestra, né del rumore secco che li avrebbe avvertiti che Andromeda era andata via.

 

  
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