Nimphadora Tonks, ferma sul marciapiede, osservò la
facciata del numero dodici di Grimmauld Place apparire lentamente tra il numero undici ed il
tredici .
Lasciò che il suo sguardo si soffermasse sulle
imposte sbiadite, che vagasse tra le crepe della pittura che ricopriva la
facciata, memorizzasse l’enorme battente della porta d’ingresso e la piccola ringhiera
che accompagnava i sei gradini.
Voleva
imprimere in mente tutto di quella vecchia casa nascosta agli occhi degli
ignari passanti, voleva coglierne ogni minimo particolare, memorizzarne ogni difetto perché quella sarebbe stata l’ultima volta che
vi avrebbe messo piede.
Era stata la sua casa.
Quelle mura l’avevano vista
inciampare giorno dopo giorno, l’avevano sentita imprecare contro
l’acqua fredda della doccia, ridere fino a non trattenere le lacrime e
osservata china su centinaia di fogli.
Si strinse nel mantello, nonostante quel giorno
facesse caldo, e attraversò la strada; non aveva voluto nessuno con sé.
Quel giorno era solo suo, suo e della
casa al numero dodici di Grimmauld Place.
Era il momento dell’addio a quel luogo in cui aveva
imparato a conoscere suo cugino trovando in lui più di un amico.
Il silenzio accolse il suo ingresso nell’oscuro
corridoio, nuvolette di polvere si alzarono ad ogni suo passo rilucendo nella
penombra .
Superò il quadro coperto dalle tende rosse senza
che la signora Black si risvegliasse e si accorse del
portaombrelli a forma di zampa di Troll solo dopo
averlo superato senza farlo cadere sul pavimento.
Un sorriso beffardo apparve sulle sue labbra. .
Ogni giorno, in tutti i mesi in cui aveva vissuto in quella casa, aveva fatto cadere
quel portaombrelli; ogni giorno le urla della padrona
di casa si erano unite ai suoi lamenti e Sirius era corso in suo soccorso
zittendo il quadro ed aiutandola a rimettersi in piedi.
Forse c’era una contorta, ma
precisa logica se quel giorno non aveva inciampato.
Oltrepassò la porta che conduceva in cucina e si
diresse nel salotto. Un semplice gesto della mano in cui teneva la bacchetta e
le imposte si aprirono lasciando che i raggi del sole illuminassero il
pavimento di legno ricoperto di polvere.
I suoi occhi si posarono sulla grande
poltrona vicino al camino; la sua mano fece volare via il lenzuolo per poi
accarezzare la stoffa consumata.
Quella era
la sua poltrona, la poltrona in cui trovava sempre Sirius
quando rientrava dalle notti passate a lavoro. Qualsiasi ora della notte
fosse, al suo
rientro lui era lì, seduto a guardare le fiamme danzare nel camino, un
bicchiere di whisky in mano. Lei si sedeva sul tappeto ai suoi piedi e
parlavano, non importava di cosa, dovevano recuperare tutto il tempo che gli
era stato rubato .
Remus Lupin osservò il numero dodici di Grimmauld Place apparire
pigramente davanti ai suoi occhi; non aveva più messo piede in quella casa da
quella notte, ma ora era giunto il momento di affrontare i ricordi .
Vi aveva vissuto quasi un anno, in compagnia
dell’unico amico ancora in vita, cercando di recuperare il tempo che gli era
stato sottratto. Vi aveva passato i giorni più belli degli ultimi anni
nonostante la minaccia incombente di Voldemort, ma
ora era il momento di lasciarsi tutto alle spalle.
Non aveva voluto nessuno con lui, aveva rifiutato
le numerose offerte degli altri membri dell’Ordine, quel momento era solo per
lui, per lui e quella casa .
Il silenzio e l’odore di chiuso accolsero il suo
ingresso nell’austero corridoio.
Era tutto
come il giorno in cui l’aveva lasciata: il vecchio mantello appeso
all’ingresso, l’ombrello appoggiato alla parete …
La polvere e le ragnatele avevano ripreso possesso
della sede dell’Ordine della Fenice, nessuno si era
più curato di renderla abitabile, nessuno se la sentiva più di stare lì dentro.
Il suo sguardo si posò sul quadro addormentato,
ricoperto dalle pesanti tende rosse, che non avrebbe più urlato.
Guardò le scale che conducevano al piano di sopra,
la sua stanza era lì, eppure non vi si diresse subito.
Aveva tutto il tempo che desiderava, poteva
permettersi di osservare un ultima volta quei posti
con calma.
Oltrepassò
la porta che conduceva in cucina e, confuso, si bloccò sulla soglia della porta
del salotto.
Per un attimo aveva creduto, aveva sperato contro
ogni logica, che i capelli scuri, che intraveda spuntare dalla poltrona vicino
al camino, appartenessero a Sirius .
Tonks balzò in piedi non appena si rese conto di
non essere sola, non le piaceva l’idea di essere vista in quello stato. Rimase
come pietrificata alla vista dell’uomo fermo sulla soglia della porta .
Il suo stomaco si contrasse .
Perchè proprio lui doveva decidere di venire lì
quel giorno ?
“Ciao”ruppe il silenzio Lupin, dopo quella che sembrò un eternità .
“Ciao”rispose lei, sentendosi incapace di
aggiungere una sola sillaba a quanto detto.
Remus Lupin sentiva la vena pulsare veloce
contro la tempia, un sapore amaro in bocca.
Perchè proprio lei aveva deciso di tornare in
quella casa quel giorno ?
“Non sapevo saresti venuto ,
”parlò nuovamente la ragazza, continuando a fissarlo.”Comunque
io me ne stavo andando” mentì.
Era una mattina soleggiata e straordinariamente
calda. Kingsley Shacklebolt si era
materializzato con lei nella piazzetta di fronte alla casa e, per la prima
volta, le aveva mostrato il numero dodici di Grimmauld
Place .
Nimphadora si sentiva nervosa, avrebbe incontrato
Sirius Black, lo stesso Sirius Black a cui davano la caccia da anni, l’ uomo le cui foto tappezzavano le pareti di ogni cubicolo
del Dipartimento.
Le avevano detto che era
innocente e lei vi aveva creduto.
Sentiva che Sirius non poteva essere colpevole,
aveva creduto alle prove fornitele
.
Rammentava perfettamente l’odore di chiuso che
l’aveva accolta, le raccomandazioni di non toccare nulla e di non fare
rumore. Aveva seguito la sua guida fino
al salotto e lì era rimasta ferma sulla soglia .
Sirius Black, non il ricercato che
era abituata a vedere e nemmeno il ragazzo delle vecchie foto di
famiglia, seduto al tavolo la osservava.
Il suo volto era segnato dalla prigionia,
invecchiato prima del tempo, i suoi occhi cerchiati e i lunghi capelli
arruffati, ma c’era qualcosa in lui che lo rendeva interessante. Il suo modo di sedere, il modo in cui muoveva le mani , i
suoi occhi , non sapeva. L’unica cosa di cui era certa era che non poteva fare
a meno di guardarlo .
Si era seduta e avevano iniziato a parlare, come due vecchi
amici .
Era una bella giornata di giugno e lui si era
appena trasferito a Grimmauld Place. Era impegnato a sistemare le sue cose in
camera, quando il ritratto della signora Black aveva iniziato ad urlare ;
lasciando tutto in disordine si era precipitato giù per le
scale e lì, seduta sul pavimento dell’ingresso, intenta a massaggiarsi il
ginocchio, aveva visto per la prima volta quella strana ragazza dai capelli
rosa .
Tonks, così si era presentata per essere subito
smentita da Sirius, che aveva osato pronunciare quel nome tanto odiato,
Nimphadora.
Di sicuro era la ragazza più imbranata
che Remus avesse mi conosciuto, sarebbe stata capace
di inciampare persino su un granello di polvere, ma era simpatica .
Lupin l’aveva osservata trascorrere intere nottate a parlare con Sirius davanti ad una tazza di
tè, aveva iniziato ad apprezzare la sua compagnia e, col tempo,
a notare ogni piccolo particolare di lei : il modo in cui giocava con i
capelli , la sua risata , il modo in cui si sporgeva in avanti quando non
resisteva dalla curiosità , la luce divertita negli occhi quando Sirius
raccontava particolari più o meno innocenti della loro vita ad Hogwarts .
Col passare delle settimane Remus
si era ritrovato a cercare lei dentro una stanza prima di chiunque altro ; si era sorpreso a non ascoltare quello che veniva
detto, distratto dal suo scarabocchiare
gli appunti.
Tonks non avrebbe mai capito perché Remus e Sirius fossero tanto amici.
Erano così
diversi.
Nulla di
loro, nel loro modo di fare, nel loro modo di pensare
si somigliava eppure erano più che amici.
Sirius non stava mai un attimo fermo né, tantomeno, zitto, probabilmente a causa dei tanti anni
passati chiuso in una cella; si svegliava e l’intera casa sembrava svegliarsi
con lui .
Remus, invece, era un tipo taciturno e
solitario; sempre
dietro un giornale, chino su grossi e vecchi libri, oppure seduto dietro la
scacchiera. Non parlava mai di sé stesso e quel poco
che Tonks sapeva lo aveva sentito da Sirius o dai Weasley
.
Era stato un Malandrino come suo cugino, come James Potter e come loro aveva prestato fede a quel nome durante gli anni scolastici.
Eppure lei non riusciva ad immaginare quell’uomo così
serio compagno
di “avventure” di Sirius.
Spesso durante le ore trascorse a Grimmauld Place si era ritrovata
ad osservarlo: i capelli erano striati di grigio, il suo volto era segnato da
bianche cicatrici, i suoi vestiti sempre lindi anche se vissuti , ma erano i suoi occhi ad interessarla; occhi che
sembravano memorizzare ogni cosa vedessero.
Forse quegli
occhi nascondevano le ultime tracce del Malandrino che era stato una volta .-
“Mi spiace”rispose l’uomo senza essersi mosso di un
passo”se vuoi rimanere io posso tornare un altro giorno”
Come era cambiata; troppo per essere
ancora
Sembrava stanca è forse
aveva diritto di esserlo. Il peso che sembrava tenere sulle spalle era
impossibile da sopportare .
Non poteva essere lo stesso uomo che aveva
conosciuto in quel salotto. Nimphadora, ferma vicino alla poltrona, studiava
attentamente Remus Lupin.
Tutto in lui sembrava cambiato a
partire dal suo aspetto: la barba incolta , i capelli lunghi , il volto
troppo pallido di chi non è uscito di casa per settimane.
Si schiarì la voce chiedendosi perché parlare fosse
così difficile. ”Ho fatto quello che dovevo”rispose semplicemente, riuscendo a
distogliere lo sguardo e incamminandosi verso la porta.
Il licantropo la guardò avanzare veloce, quasi sul
punto di correre verso l’uscita, come volesse mettere più
distanza possibile tra loro due. Allungò la mano sfiorandole il braccio, mentre
lei gli passava accanto”Nimphadora” .
Tonks si fermò di colpo a quel contatto, rischiando
di cadere in avanti .
“Nimphadora .”
“TONKS!”
“Non ti chiamerò mai per cognome .”
“Se continui a chiamarmi in quel modo orrendo giuro
che non ti risponderò più .”
“Sai che non lo faresti .”
“Vuoi scommettere?”
Quella scena ormai si ripeteva ogni volta che i due
si incontravano a Grimmauld Place, quasi fosse obbligatoria. Ogni sera scommettevano ed
ogni sera le strappava la vittoria.
Tonks non sapeva perché, ma a Lupin piaceva quel
nome o, meglio, piacevano
le reazioni che quel nome suscitava .
Si divertiva, anche se non lo avrebbe ammesso mai, nel vedere quella
chioma tingersi di rosso; adorava lo sguardo carico di minacce che Tonks gli
riservava, il broncio che metteva, il battere ritmico del suo piede sul
pavimento .
Odiava lo sguardo furbo che appariva sul volto di
Sirius ogni volta che li sorprendeva a pizzicarsi. Odiava le sue insinuazioni e
la sua mania di raccontare alla cugina tutte le
situazioni imbarazzanti che avevano vissuto .
Remus Lupin aveva la grandissima capacità
di farle saltare i nervi.
C’era solo una cosa che Tonks odiava e quella cosa era proprio il suo nome, ma Remus
non voleva saperne di chiamarla per cognome.
La giovane Auror si era
ripromessa più di una volta di fargli passare quel vizio a suon di fatture, ma ogni volta era come se si bloccasse. Ogni volta
che incrociava il suo sguardo divertito finiva per ridere
anche lei.
Non riusciva ad essere arrabbiata con quell’uomo che, a poco a poco, andava conoscendo. C’era
qualcosa nel suo modo di fare, nel modo in cui
pronunciava il suo nome, nel modo in cui la guardava, che le faceva abbandonare
tutte le difese.
Man mano che il tempo passava Nimphadora Tonks si
andava rendendo conto che era lui che cercava in ogni stanza prima di entrare,
che il suo cuore accelerava ogni volta che sentiva la sua voce.
Si era accorta che uno dei motivi per cui amava passare il suo tempo libero a Grimmauld Place non era solo
poter conoscere Sirius, ma il poter
stare seduta nella stessa stanza con Remus.
Due lunghe ombre li procedevano sul marciapiede,
mentre Nimphadora si chiedeva perché avesse accettato.
Perchè si trovava a camminare per le strade di
Londra in silenzio accanto a lui, quando desiderava solo essere il più lontano
possibile da Remus Lupin ?
Facciamo due passi, aveva detto, e lei si era
sentita rispondere di sì .
Si ritrovò ad osservare la sua mano rilassata a
pochi centimetri dalla propria, così vicina e allo stesso
tempo così lontana.
Dobbiamo parlare le aveva detto, però non aveva
pronunciato una sola parola .
Era sempre stato così facile parlare con lui, fin
troppo semplice dire tutto ciò che passava per la mente eppure, adesso,
sembrava troppo difficile anche solo aprir bocca.
Lo sguardo apparentemente fisso davanti a lui, Remus camminava e osservava la ragazza al suo fianco. La
guardava e ne memorizzava ogni particolare nel fondo della mente. Di lì a poco
sarebbe partito e forse non sarebbe tornato, forse non l’avrebbe più vista.
Una giovane coppia guardava la vetrina del negozio
all’angolo, le loro dita intrecciate.
Tonks rallentò il passo distogliendo lo sguardo.
Aveva sognato milioni di volte di camminare mano
nella mano con Remus, di fermarsi a guardare le
vetrine insieme, di comportarsi come una normale coppia, ma
questo lui non gliel’aveva mai concesso .
Sentì la mano dell’uomo posarsi sulla sua schiena e
guidarla gentilmente evitandole di mettere il piede in fallo.
“Ti sei fatta male ?”
La mano tesa davanti a lei, pronta ad aiutarla.
Tonks aveva iniziato a chiedersi come facesse Remus
ad essere sempre presente quando aveva bisogno di
aiuto.
Come faceva
la sua mano a scattare tanto velocemente verso di lei bloccando le sue cadute?
Come faceva ad indovinare il momento esatto in cui
aveva bisogno di una buona tazza di tè o, semplicemente, di compagnia ?
Decine di volte aveva
trascorso notti in bianco con lei,
aiutandola a sistemare le carte che portava dall’ufficio. Decine di
volte si era addormentata con la testa sul tavolo e ,al
suo risveglio, aveva trovato tutti i rapporti ordinatamente impilati e
contrassegnati da piccole note a bordo pagina.
Remus ritirò la mano, più velocemente di
quanto avrebbe fatto normalmente e lasciò ricadere il braccio al suo fianco.
Aveva dimenticato la sensazione che provava toccandola; aveva cercato di
rimuoverne dalla mente il ricordo, ma il suo corpo non aveva dimenticato.
Un lieve formicolio, una sensazione di piacevole
calore si era diffusa dentro di lui facendogli perdere per un istante
l’autocontrollo, facendogli venire voglia di posare nuovamente la mano sul suo
fianco.
Le sorrise, lei ricambiò quel sorriso di cortesia .
“Ti va se ci sediamo ?”
Pioveva.
In quei giorni non faceva altro che piovere e , quando non pioveva,
una nebbiolina umida offuscava la luce del sole catturandone il tenue
calore.
Remus si rigirava nel letto cercando,
invano, di prendere sonno; ogni volta che chiudeva gli occhi per più di cinque
secondi il rumore proveniente dalla stanza accanto lo
svegliava.
Arresosi all’evidenza si era alzato e aveva bussato alla
porta della stanza confinante. Non
ricevendo alcuna risposta era entrato e, tra il groviglio di coperte, aveva
individuato la causa della sua insonnia.
Non avrebbe mai dimenticato quanto tempo aveva
impiegato a convincere Tonks ad uscire da sotto le lenzuola, né le sue minacce
se lui non fosse uscito immediatamente da quella
stanza .
Alla fine, spiegando che se lei avesse continuato a
tossire tutta la notte lui non avrebbe potuto dormire, insistendo che lo faceva solo per sé stesso e
assicurandole che non avrebbe riso per il suo aspetto, l’aveva convinta a bere
latte caldo e miele. Lanciato un incantesimo nella stanza aumentandone la
temperatura e fatto scomparire la collinetta di fazzoletti vicino al letto, le
aveva promesso di stare con lei fino a quando non si
fosse addormentata.
L’ultima cosa che ricordava era di aver appoggiato
la testa sul cuscino per cinque secondi e un attimo dopo la testa di Sirius
aveva fatto capolino nella stanza insieme ai raggi del sole mattutino,
trovandolo abbracciato a Tonks.
Aveva passato tutta la settimana seguente chiuso in
camera con l’influenza,
sopportando Sirius che non perdeva l’occasione di punzecchiarlo e
dargli consigli sulle donne.
Nimphadora provò un senso di vuoto nel sentire la
sua mano allontanarsi, nel vederlo fare un passo lateralmente distanziandosi da
lei.
Una barriera invisibile si era alzata tra loro in
cui non riusciva a trovare punti deboli; una barriera che, ammise, aveva paura
di provare a superare.
Desiderò prendere quella mano nella sua e non
lasciarla più, sentire il suo calore, il suo profumo.
Provare nuovamente la sensazione di perdersi nel suo abbraccio.
Aveva cercato a
dimenticarlo, ci aveva provato veramente e ci stava ancora provando.
Odiava Remus Lupin, odiava quello che le aveva fatto, odiava essere stata
rifiutata da lui.
Mentre si sedevano su una delle panchine del parco Tonks si disse che avrebbe dato tutto, tutto pur di sentire
ancora le sue labbra.
Non ricordava bene cosa fosse
successo quella notte di fine novembre se non che Remus
si era preso cura di lei.
L’unica cosa
certa era che il licantropo arrossiva ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, che le loro mani si sfioravano più volte
del necessario, le loro ginocchia si incontravano sotto il tavolo e che Sirius
non li lasciava un attimo soli, preferendo passare giornate intere tra i libri,
piuttosto che perdersi l’occasione di studiarli. Sembrava che loro due fossero
diventati il passatempo preferito di suo cugino e lei, sinceramente, non capiva cosa ci trovasse di tanto
interessante.
Natale si avvicinava e il pensiero di riavere Harry con sé aveva distratto Sirius dal suo nuovo
passatempo, ma l’arrivo della famiglia Weasley aveva
lasciato se possibile ancora meno possibilità a loro due di stare insieme come una
volta.
Molly sembrava accettare di buon grado
l’aiuto di Remus in cucina, aiuto
di cui aveva effettivamente bisogno, ed i turni di lavoro al Ministero si erano
raddoppiati in vista delle feste costringendo Tonks a trascorrere fuori casa
giornate intere.
Lei non ricordava un altro inverno così rigido come
quello ed il fatto di trovare una tazza di cioccolata calda al suo ritorno non
le dispiaceva minimamente.
Seduti nella grande cucina
al piano seminterrato con in mano una tazza fumante, quello era l’unico momento
in cui riuscivano a stare insieme, mentre il resto della casa dormiva. Era
piacevole stare lì, seduti
uno di fronte all’altro a riscaldarsi; poter parlare con qualcuno veramente
interessato ad ascoltare la sua giornata. Non sapeva perché a Remus interessasse tanto sentirla parlare di ore trascorse in mezzo alla neve, attendendo invano che
qualcosa accadesse, ma era bello osservarlo pendere dalle sue labbra; i gomiti
appoggiati sul tavolo, il mento poggiato sul dorso della mano, la testa
leggermente piegata.
Seduto all’estremità opposta della panchina Lupin
smuoveva distrattamente la ghiaia con la punta delle scarpe chiedendosi perché
fosse lì; perché le avesse chiesto di parlare.
Diviso tra i sensi di colpa e le incertezze che in
quel momento lo assillavano, osservò lo spazio vuoto tra di
loro. Sarebbe bastato un passo per coprirlo, solo un passo,
quel passo che non riusciva a fare per paura di vederla allontanarsi.
Sentiva il suo respiro leggero, il suo profumo stuzzicarlo; desiderava allungare la mano e
sentire ancora una volta, anche fosse stata l’ultima volta, la pelle liscia e
fresca delle sue guance.
Remus Lupin si odiava.
Odiava sé stesso per la
sua stupida razionalità, per il suo timore di fare del male alle persone.
Odiava sé stesso per quello che aveva fatto all’unica
persona che lo faceva sentire bene, vivo, desiderabile.
Remus non sapeva se lei se ne fosse resa
conto, ma lui adorava trascorrere quei momenti insieme.
Non
importava di cosa si parlasse o,
meglio, di cosa lei parlasse,
dato che lui ascoltava per la maggior parte del tempo.
Adorava il suo modo di raccontare, il tono della
sua voce, l’infervorarsi, le sue mani che si agitavano
nell’aria accompagnando le parole. Gli piaceva la ciocca ribelle che continuava
a ricadere davanti ai suoi occhi, la fossetta che appariva sulle sue guance.
Quando era lì con lei si
sentiva bene, non era Remus Lupin il licantropo o Remus Lupin l’ex-professore, solo Remus.
Forse Sirius gli aveva fatto bere un po’ troppo
whisky quella sera o, forse, era stata la neve che cadeva fuori
dalla finestra o, la musica natalizia che proveniva dal palazzo accanto
ad aver creato quella strana atmosfera;
sorprendendo sé stesso, aveva allungato
la mano e aveva riportato indietro per l’ennesima volta quel ciuffo ribelle
trattenendo la mano più del necessario, lei non era rifuggita al suo
tocco, aveva inclinato la testa e gli
aveva sfiorato il polso con la punta del naso.
Un milione di sensazioni vecchie e quasi
dimenticate si erano risvegliate nell’uomo, il suo respiro si era fatto più veloce,
la sua mano era scivolata seguendo il profilo del volto di Tonks , il suo cervello aveva smesso di funzionare e la sua
razionalità aveva ceduto di fronte al
desiderio di baciarla. Aveva poggiato per un breve istante le labbra su quelle screpolate della
ragazza in un gesto timido e leggermente impacciato.
Remus aveva rischiato di essere sopraffatto
dallo stupore, quando aveva sentito la
piccola mano attirarlo in avanti.
“Fra qualche giorno partirò” ruppe il silenzio
distogliendo lo sguardo dalla linea delle sue labbra ”non so
quando tornerò.”
Nimphadora Tonks fece un breve cenno col capo.
Sarebbe partito era questo il motivo per cui voleva parlarle?
Almeno sarebbe partito. Si disse, cercando, invano,
di trovare sollievo in quelle parole.Lei non sarebbe
stata costretta ad incontrarlo alle riunioni. Sarebbe riuscita a dimenticarlo.
“Come stai ?”chiese il licantropo pur sapendo che
quella era la domanda sbagliata.
“Sto
bene”rispose la ragazza, fissando un punto impreciso di fronte a lei “Tra pochi
giorni potrò tornare a lavoro”
“Perché non sei venuto ?”domandò dopo qualche
istante, guardandolo negli occhi”Sono venuti tutti, tutti tranne tu.”
“Mi spiace”
“Spiace di più a me”lo corresse
amareggiata scuotendo la testa”Credevo ci tenessi almeno un po’ a me”
Lui non capiva,non che lei
avesse sperato il contrario. Lui non sapeva cosa si provava nel risvegliarsi in
un incubo e non avere accanto la persona che si ama.
Remus tornò a guardare le proprie scarpe
consumate, incapace di sostenere il suo sguardo di accusa“Non
è come pensi”
“Ho passato un mese chiusa in una camera d’ospedale
e tu non ti sei mai fatto vedere né, mi hai mandato una lettera. Ora mi chiedi
di parlare.”replicò alterandosi, mentre si alzava “Cosa devo
pensare? Dimmelo tu”
Lupin sollevò nuovamente lo sguardo e per un attimo
gli sembrò di avere nuovamente di fronte la vecchia Nimphadora.
“Sono stanca di aspettare, stanca dei tuoi errori,
delle tue scuse” quasi gli gridò contro,
fronteggiandolo un’ultima volta, prima di lasciarlo solo.
“E’ stato un errore”
“Un errore!”aveva esclamato stupita e ,allo stesso tempo, contrariata “Mi hai baciata per
errore?”
“Non ero in me”
La porta aveva sbattuto forte, chiudendosi ad un
palmo dal naso
di Remus.
“Mi spiace” aveva aggiunto l’uomo poggiando le mani
alla porta che si
era riaperta improvvisamente, rischiando di farlo cadere in avanti
“Perché?”
“Non possiamo”
“Dimmi perché?”
“Sono vecchio”
“Hai solo qualche anno più di me”
“Dodici anni sono più di qualche anno”
“Non mi importa quanti anni hai”
“Non ho un lavoro né una casa. Non ho nulla da
darti”
“Non ti ho chiesto nulla.”
“Sono un licantropo”
“E allora?”
“Sono pericoloso”
“Una volta al mese”
“Potrei farti male”
“Non credo e comunque
basta fare attenzione”
“Se ti accadesse qualcosa per
colpa mia non me lo perdonerei”
“Non mi faresti mai del male”
“Non posso.”
“Perché?Dammi un motivo
valido!”
“Dimenticami Tonks”
Le campane in lontananza riportarono alla realtà Tonks; si alzò dal
divano ed uscì in balcone.
Le luci della strada si riflettevano nelle vetrine
dei piccoli negozi, macchine colorate si incolonnavano
al semaforo rosso, i pedoni camminavano veloci ; ognuno col suo pacco in mano,
ognuno così preso dai propri orari, dai propri impegni tanto da essere incapace
di dire se la persona che aveva appena incrociato fosse un uomo o una donna.
“Nimphadora ti ho lasciato la cena in frigo”
“D’accordo”
Andromeda si affacciò sul balcone rimpiangendo
tutte le volte che la figlia le aveva urlato di non
chiamarla per nome “Tesoro, sei sicura che non vuoi stare per un po’ a casa con
noi?”
“Sto bene mamma”rispose la ragazza, sorridendole
come per rafforzare le sue parole”mi trovo meglio a casa mia”
“Vuoi che resti con te questa sera?”
“Non c’è bisogno”ribattè”Me
la so cavare anche da sola.”
“Come vuoi tu”si arrese la donna anche se in
disaccordo”Per qualsiasi cosa però…”
“Non esiterò a chiamarti”la rassicurò
Non aveva alcuna voglia di passare un’altra serata
con sua madre che la teneva sotto osservazione, voleva solo dormire, dormire e non pensare.
Sarebbe dovuta tornare a Grimmauld
Place per colpa di Remus
Lupin, ma no; non voleva pensare a quella casa, non voleva
pensare a quell’uomo.
Dimenticami, le aveva detto;
era quello che avrebbe fatto.
Il mondo era pieno di ragazzi, Londra era piena di ragazzi, doveva solo uscire e avrebbe trovato la
giusta compagnia, qualcuno della sua età.
Si poggiò alla ringhiera e chiuse gli occhi
sperando che i rumori della città la portassero via dai suoi pensieri.
“Sono venuto tutti i
giorni”
Nimphadora sobbalzò al suono di quella voce.
Non poteva avere le
allucinazioni, quello sarebbe stato troppo anche per lei.
Non era stata intenzione di Lupin farla spaventare
in quel modo, ma quando l’aveva vista andare via dal parco aveva capito che se
non le avesse parlato forse l’avrebbe persa per sempre.Così si era
materializzato nel suo appartamento, sperando di trovarla e ,
per una volta, aveva avuto fortuna.
Fece un passo avanti, verso di lei ”Sono venuto tutti i giorni al San Mungo, ma non ho avuto il
coraggio di andare oltre l’atrio”
Tonks battè un paio di
volte le palpebre, indietreggiando fino ad urtare la ringhiera”Perché ?”
“Perché avevo paura.”confessò l’uomo abbassando lo
sguardo per un attimo, prima di tornare a fissare gli occhi nei suoi ”Avevo
paura di quello che avrei visto in quella camera
d’ospedale.”
Fece un altro piccolo passo verso di lei,
studiandola attentamente. “Sono un licantropo e questo non potrà cambiare.”
“Non ho un soldo in tasca, non ho niente più di
quello che vedi adesso”
“Sto per partire e non so dire
quando tornerò.” Prese un profondo respiro e quasi sembrò che fosse
indeciso sul parlare o meno “Ho paura di come mi fai
sentire.” ammise.
Tonks non capiva; lo vedeva avvicinarsi, lo aveva
ascoltato pronunciare tutte quelle parole senza fare una pausa, tutto d’un fiato, come a volersi togliere un peso, come se una
volta fermatosi non avrebbe più saputo continuare e non capiva.
Sentiva il cuore battere impazzito, la gola secca.
Non era giusto.
Lui non aveva nessun diritto di presentarsi così a
casa sua dopo che lei gli aveva detto addio.
“Perché sei qui ?” Non aveva alcun diritto di
ricordarle i motivi per cui non le permetteva di
stargli vicino.
Remus non rispose; rimase in silenzio a
guardare quell’ultimo passo che li distanziava. “Forse
non sarei dovuto venire.” Sembrò vacillare, quasi sul punto di
smaterializzarsi, invece scosse la testa e continuò “ Sirius è morto e l’unica
cosa che desidero è stringerti, farmi consolare da te e…” sospirò amaramente “…ed
è sbagliato.”
Cosa dirle ?
Dirle di non riuscire a piangere il proprio
migliore amico perché felice che lei fosse viva?
Di avere bisogno di essere amato ?
Chiederle di aspettarlo ?
Come dirlo se per più di trent’anni
lo si ha sempre negato.
Come chiederlo quando non si sa nemmeno se si
tornerà.
“Sto per partire, non so quando
tornerò e…”il suo tono di voce si affievolì, deglutì cercando di cacciare
indietro la spiacevole sensazione di un nodo alla gola.
Si ritrovò senza parole perché nessuna parola
poteva trasmetterle quello che provava, nessuna parola, per
quanto ricercata, aveva abbastanza valore.
Alzò lentamente la mano sfiorandole appena la
guancia con la punta delle dita; voleva solo questo, poter portare con sé
quella sensazione, il ricordo di quel tocco e poi
sarebbe andato via.
Invece, spiazzandolo, lei fece un passo
avanti, quell’ultimo passo che li distanziava, alla
ricerca di quel contatto, trattenendogli la mano.
Per un breve istante i capelli di Tonks tornarono rosa, la sua risata echeggiò nel silenzio.
Sirius era morto ed era colpa sua.
Se lei fosse stata più abile, più veloce, suo
cugino sarebbe stato vivo, ma ,per quanto egoista
potesse essere , tutto ciò che aveva desiderato in quei giorni era l’abbraccio
di Remus.
Nessuno dei due si accorse della tenda che ricadeva
oltre la finestra, né del rumore secco che li avrebbe avvertiti che Andromeda era andata via.