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Autore: Angelic_Girl    04/09/2013    0 recensioni
Questa ff è il seguito inventato da moi dell'ultimo libro, Città delle anime perdute. Riguarda i malec e... niente , spero vi piaccia! :)
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane, Presidente Miao
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alec inserì le chiavi nella serratura e dopo qualche giro la porta si aprì silenziosamente verso l'interno. Sperò di trovare Magnus lì in piedi ad aspettarlo con quel suo ridicolo pigiama giallo, che gli dicesse qualcosa del tipo “è tutto il giorno che ti aspetto” e lo invitasse ad entrare dopo un abbraccio affettuoso. Sperò che tutto quello che era successo fosse stato solo un brutto sogno, ma la porta rivelò un ingresso deserto. La casa era così vuota, così buia senza Magnus a colorare tutto con la sua presenza stravagante, pensò. S'immerse nel profumo caramellato della magia che riempiva l'appartamento e chiuse la porta alle sue spalle.
Aku cinta kamu” gli aveva detto.
Cosa significa?”
Significa ti amo. Non che cambi qualcosa.”
Alec aveva desiderato abbandonarsi tra le sue braccia e piangere, sfogarsi, ma non se lo meritava. Non meritava l'amore di una persona a cui aveva mentito, e Magnus aveva ragione: non gli aveva dato ascolto, si era fidato di una persona di cui non doveva, ed ora era giusto che ne pagasse le conseguenze.
«Ma, per l'Angelo, l'ho fatto senza pensare!» sussurrò tra sé mentre lanciava le chiavi sul tavolo e si avviava nella camera da letto.
«L'ho fatto perché ti amo, maledizione!» Le mani erano strette a pugni, tanto forte da far sbiancare le nocche, e il respiro era quasi affannoso. Chairman Meow lo osservava curioso da uno dei braccioli della poltrona e, quando Alec lo notò, salutò il ragazzo con un miagolio.
Alec gli sorrise malinconico. «Secondo te sono matto, vero?» disse «Parlo da solo... Be', probabilmente se va avanti così impazzirò sul serio.» Accarezzò dolcemente Chairman, poi con un sospiro si diresse nell'altra stanza. Si fermò sulla porta ad osservare l'ambiente che lo circondava. Quella sarebbe stata l'ultima volta che entrava in casa di Magnus, pensò. Aprì l'armadio e tirò fuori un borsone, che poggiò sul letto, per riempirlo di tutte le sue cose. Cominciò a svuotare i cassetti sempre più bruscamente. Non dovrei essere io quello arrabbiato, pensò. Non ne ho il motivo.
Forse ce l'ho con me stesso per essere stato tanto...
Si bloccò quando la sua mano fece emergere dal cassetto una sciarpa azzurra. Una voce gli riecheggiò nella mente. “Si abbina ai tuoi occhi” diceva con tono dolce e leggermente divertito.
Afferrò la sciarpa con entrambe le mani, e la avvicinò al suo viso. Riconobbe un profumo tanto familiare di sandalo e magia. Senza accorgersene spinse il tessuto sulla bocca, come per impedirsi di piangere, ma le lacrime insistenti gli solcarono le guance non appena chiuse gli occhi.
Si abbandonò sul letto ripensando a tutti i bei momenti passati insieme a Magnus. Gli scorsero nella mente mille immagini, come tante diapositive. La sera della festa, quando si erano conosciuti; la collina dove erano stati attaccati dai demoni e Magnus gli aveva detto di amarlo, la Sala degli Accordi, dove Alec si era fatto forza e lo aveva baciato di fronte a tutti.
Ricordava quel momento come fosse ieri. Le sue labbra su quelle di Magnus, così morbide. E ricordava la faccia sconvolta dello stregone qualche secondo prima che anche lui si lasciasse andare tra le sue braccia.
La cosa che non ricordava affatto era l'espressione dei presenti. Perché in quel momento aveva potuto solo pensare alla scelleratezza del suo gesto, non poteva credere di aver trovato la forza interiore di farlo. Era stato felice di averne avuto il coraggio. Aveva agito d'istinto, senza pensarci due volte, e si era convinto che ciò fosse la cosa più giusta da fare in qualsiasi situazione, mettere da parte la logica. Però si era sbagliato ed ora aveva rovinato tutto.
Aveva perso la persona che amava, che gli faceva toccare il cielo con un dito, l'unico per il quale avesse mai provato sentimenti tanto forti. Neanche Jace era stato così importante per lui.
Ripensò a tutto quello che gli aveva detto Magnus giù alla metro. Ripensò al suo tono di voce, alla sua espressione: non lo aveva mai visto più furioso.
Ma c'era soprattutto tristezza nei suoi occhi da gatto, la delusione che prova qualcuno ferito nel profondo dell'anima. Sono stato capace di distruggere la persona che amo, pensò.
Fece un profondo respiro e riaprì gli occhi. Fissò per alcuni secondi i cerchi bagnati che erano comparsi sulla sciarpa, poi la lasciò sul letto e continuò nel suo intento.
Dopo aver tolto tutta la sua roba dai cassetti e riempito la borsa, si accorse di aver lasciato fuori la sciarpa. Non sapeva se portarla con sé o abbandonarla lì.
Era un regalo di Magnus, del suo primo ragazzo. Ma non avrebbe fatto altro che ricordargli che era finita, e che era stato un perfetto idiota, pensò, perciò non se la sarebbe portata dietro per niente al mondo.
Col pesante borsone su una spalla, uscì senza nemmeno lanciare un'ultima occhiata alla stanza; si avviò verso l'ingresso salutando Chairman con un gesto veloce della mano e questi si limitò a fissarlo. Aprì la porta, tenendo lo sguardo fermo sulla maniglia, finché non andò a sbattere su qualcosa di duro e caldo.
Sussultò e alzò velocemente gli occhi, trovandosi a pochi millimetri di distanza dalla faccia di Magnus. Le loro labbra si toccavano, quelle dello stregone esitanti sulla bocca semiaperta di Alec. Nessuno dei due si mosse, ma era evidente che entrambi fremevano dalla voglia di avvicinarsi e stringersi a vicenda. Lo sguardo di Magnus passava dagli occhi di Alec alle loro labbra, poi di nuovo al ragazzo, mentre il suo respiro si faceva affannoso.
«Magnus...» cercò di dire l'altro, ma non riuscì ad arrivare a metà parola che il lieve tocco delle loro labbra divenne una forte pressione. Rivolse un ultimo sguardo ai malinconici occhi da gatto che gli erano di fronte, poi abbassò le palpebre e sentì che una mano gli saliva lentamente su per la schiena, il collo, arrivando ad accarezzargli i capelli, ed aggrovigliarli tra le dita. Le labbra di Magnus si schiusero ed Alec percepì delle piccole scintille che passavano da una bocca all'altra, senza distinguerne la direzione. Il ragazzo si ritrovò a premere forte contro la porta, sotto la spinta di Magnus, come se potesse oltrepassarla per entrare in casa senza interrompere quel contatto. Alec abbracciò a sua volta lo stregone, che trasformò quel bacio in una miriade di piccoli morsi frenetici, quasi volesse sfamarsi con le labbra di Alec. La mano di Magnus arrivò a toccare la guancia del ragazzo e divenne bagnata. Con il pollice gli asciugò le lacrime e staccò le labbra dalle sue.
«Perché...» disse mentre ricominciava a baciarlo, tra un bacio e l'altro «perché... mi fai questo? ..perché?»
«Cosa...» provò a ribattere l'altro «...sto facendo? ...Sei tu che...» fu interrotto da un singulto, segno che stava per ricominciare a piangere. Non voleva farlo di nuovo, ma la disperazione decise per lui. Riprese a singhiozzare in silenzio, il suono smorzato dalla bocca di Magnus ancora sulla sua, mentre l'altro lo stringeva affettuosamente. Poi però lo stregone di bloccò e si allontanò da Alec, che cercò le sue labbra per qualche centimetro, per poi arrendersi. Ansimante, Magnus si guardò la punta delle scarpe, poi posò lo sguardo su Alec.
Il ragazzo aveva gli occhi rossi e lucidi, come le guance, rigate da decine di solchi bagnati. Sembrava avesse pianto per un giorno intero senza fermarsi. Le labbra, anch'esse rosse come sangue, tremavano leggermente.
Lo fissava con espressione interrogativa e implorante, e Magnus trovava insopportabile l'idea di non poterlo abbracciare di nuovo, sussurrandogli che andava tutto bene. Ogni tanto il ragazzo sussultava impercettibilmente, le ultime tracce del pianto di poco prima.
Magnus distolse lo sguardo, incapace di sostenere ancora la vista di Alec in quello stato.
«Scusami, io...» cercò di dire imbarazzato, gli occhi puntati sul pavimento, ma Alec lo interruppe.
«Ma scusami cosa?» il suo tono di voce era troppo alto e i suoi occhi color ghiaccio erano velati e gonfi «Magnus, prima di dici di andarmene, che non vuoi più vedermi e poi...»
Il ragazzo strizzò gli occhi, come se avesse avuto una dolorosa fitta e si portò una mano al viso, quasi volesse usarla per diventare invisibile.
«Non ti sto facendo niente!» continuò Alec, che riusciva a stento a parlare «E' colpa tua se ora siamo qui, sono qui, a piangere come una fontana. Non ho colpa del fatto che ti amo e volevo stare con te...» esitò, come se non potesse continuare la frase «...per sempre.» Alla parola “sempre” la voce, ridotta ad un sussurro, gli si incrinò. Sembrava un vampiro che provava a nominare Dio.
Alec si nascose il viso tra le mani, appoggiato alla porta, mentre Magnus non poté far altro che insultarsi mentalmente.
Rimani con me. Voleva dirgli Sono stato uno stupido ad aggredirti a quel modo. Perdonami, ti prego. Ti renderò immortale. Farò di tutto per stare con te per sempre, sempre sempre. Ti amo, Alec, per favore, scusami.
«Vattene.» La parola gli uscì dalla bocca senza preavviso, sorprendendo se stesso per primo. Le mani di Alec gli ricaddero lungo i fianchi, mentre sul suo viso emergeva un'espressione incredula. «Vattene e non farti più vedere. Sparisci!» Magnus non poteva credere a quello che stava dicendo... e facendo. Raccolse il manico del borsone di Alec, che era buttato lì per terra, e glielo porse. Con l'altra mano indicava la strada.
Il ragazzo deglutì e si guardò intorno come se si fosse appena svegliato. Poi i suoi occhi si posarono confusi su Magnus, che però lo guardava impassibile. Si stropicciò un occhio, poi afferrò bruscamente il manico della borsa e si avviò in silenzio verso il marciapiede. Non degnò neanche di uno sguardo o di un saluto lo stregone, che aspettò che Alec avesse varcato il cancello per entrare in casa e sbattersi furioso la porta alle spalle.
«Che cosa ho fatto?!» chiese quasi urlando a Chairman, che lo guardò interrogativo. Non era neanche tanto una domanda.
Si accasciò sul divano, esausto, con una mano sulla fronte, mentre il gattino gli si acciambellava sulle gambe.
«Scusa.» gli disse Magnus accarezzandolo «Non volevo urlarti contro. E' solo che...» lo stregone scosse la testa «Ecco. Mi sono rovinato i prossimi ottant'anni di vita.» Sorrise tristemente, ma poi il viso gli si rabbuiò «Ottant'anni che potevano essere il nostro “per sempre felici e contenti”. Finché non è arrivato il qui presente intelligente che ha trasformato il “per sempre” in “mai più”.»

  
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