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Autore: N_faith    05/09/2013    1 recensioni
Vedi quelle macchie rosse che adornano il tuo corpo, Konan?
È sangue. Il sangue che imbratta Amegakure; il sangue che ha insozzato la tua vita.
Scorre su invisibili sentieri tracciati sulla tua pelle, traccia un disegno di sangue intricato e inequivocabile. Itachi potrebbe leggere il significato che traspare da esso, se solo lo volesse. Ma non lo fa.
Perché, secondo te? Su, fruga nelle profondità della tua mente, scova la risposta da sola. Coraggio, non è difficile. Questi concetti sono abbarbicati nella tua coscienza, non fingere che si tratti di un’ideologia del tutto nuova per te.
Non sei capace di rivelare l'intrinseca verità della tua anima, Konan, e mai ci riuscirai.

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[ItaKonan] | Narutoverse | Pre-384
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Itachi, Konan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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- Questa storia fa parte della serie 'Trilogy of the lost souls'
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It's nothing to cry about, 'cause we'll hold each other soon in the blackest of rooms -
Epilogue]










Yahiko non è più in questo mondo, Konan. È morto. Cerca di fartene una ragione.
Come affilati coltelli, quelle parole le scavano con lucida crudeltà nella tenera pelle. La torturano sia fisicamente che mentalmente, senza darle tregua. E piccoli rivoli di sangue iniziano a sgorgare dalle ferite appena provocate. Fiotti invisibili che tracciano ancora dei disegni indistinguibili. Non riesce a decifrarne il contenuto, paralizzata com’è da quella crudele frecciata che Itachi ha proferito poc’anzi.
Poi, si sente bloccare i polsi dietro la schiena. Sgrana gli occhi, presa in contropiede, e fa per protestare, cacciare fuori un urlo, vibrare in tutto il suo femmineo sdegno e contemporaneamente dissolversi in un mare di carta, ma Itachi la gira a forza sullo stomaco, facendola sdraiare sul materasso. Avverte il respiro sibilante del giovane contro la pelle, le sue labbra che stampano frenetici baci su ogni centimetro disponibile, infuocandole la pelle con quel respiro rovente. Più quella bocca avida proseguiva a baciare con foga, più la kunoichi si sentiva perduta, il corpo teso al massimo. Terrorizzata (e constatare quanto fosse vero e umano quel sentimento la sgomenta più del previsto) al solo pensiero di appurare con mano ciò che l’aspettava tra una manciata di secondi. Lui poteva manipolarla a piene mani, torturarla con annoiato divertimento, violentarla addirittura; e questa neonata convinzione viene formulata senza che lei valuti il fatto di non sapere nulla degli ideali moralistici del ventunenne e che in realtà lui non era affatto interessato a provocare violenza fisica su una donna, il solo pensiero lo disgustava indicibilmente.
In un punto imprecisato del dorso, capta il respiro di Itachi, che si è fermato, la mano sempre saldata attorno ai suoi polsi. Con cautela si prepara a difendersi, comprime i muscoli del corpo in fasci tesi al massimo.
Delicatamente, viene fatta voltare. Di nuovo incrocia i suoi occhi spenti, il suo sguardo impenetrabile. Con una punta di blanda sorpresa, scopre di poter muovere liberamente le braccia. China brevemente lo sguardo, restia a sostenere quegli occhi così pericolosi e infidi.
« Konan. » Alza di scatto gli occhi, l’espressione indagatrice ben impressa nei lineamenti facciali. Itachi la osserva per un istante, apatico. Il giovane pone la mano contro la sua guancia, carezzandogliela impalpabilmente con lievi tocchi delle dita.
« Lo sai che da questo momento tutto questo finirà, vero? »
Lo sa. Non c’è bisogno che glielo rimembra. È scritto in quell’oscurità che ottenebra gli angoli della sua camera, è inciso sulla pelle di lui, quasi come un invisibile marchio; gronda da qualsiasi parola proferita da quelle labbra morbide.
Quel piccolo gioco che li portava a smarrirsi fra quelle fresche lenzuola, sprofondare quasi in quell’enorme letto, era ineluttabilmente giunto alla fine. Le cose belle prima o poi devono finire, riflette la donna, accettando la realtà dei fatti.
E domani, quasi si trattasse di una normale faccenda da sbrigare, Itachi si sarebbe recato al covo degli Uchiha, per ripagare quel debito ormai prossimo a essere estinto. Sarebbe riuscito a mascherare la richiesta di perdono in provocazioni d’odio, atti a stuzzicare le vere capacità di suo fratello? Il ventunenne se lo chiede per l’ennesima volta, quasi fosse un chiodo fisso, un unico chiodo che lo ha accompagnato fino dalla notte dello sterminio. Come in un sogno ovattato, dai colori confusi, che rispecchiano l’immagine speculare dei suoi occhi privi di vita, visualizza la figura del suo adorato fratellino. Con gli occhi del passato, lo vede bambino, i grandi occhi neri che si posano fiduciosi su di lui, colmi di un amore fraterno puro e immenso. Quel sentimento antico e vero che lui stesso provava nei riguardi di Sasuke. Non gli importava se agli occhi del mondo quell’amore significasse erroneamente un desiderio morboso e incestuoso di avere tutto per sé Sasuke, in realtà lui lo amava come un fratello può amare un fratello o una sorella, senza confini, senza paura. Nient'altro.
E allora perché gli sembra tutto sbagliato concepire ancora quel significato di amore? Possibile che provasse paura? Di solito non lasciava spazio ai sentimenti, ormai debellati e rinchiusi in quella fortezza inespugnabile che era il proprio cuore. Così come era decisamente fuori dal comune leggere una qualsiasi sensazione che gli sfrecciasse sul volto. Un robot. Ecco cos’era diventato dopo otto lunghi anni di violenza fine a sé stessa.
Non concentra l’attenzione sulla minuta e provocante figura di Konan che si alza dal letto, limitandosi a sdraiarsi sul materasso, continuando a ignorare quella confusa macchia rosa e blu che girovaga nel perimetro della stanza, alla ricerca di qualcosa. Chiude gli occhi, estraniandosi dal mondo, galleggiando irreale e sconosciuto, un senza nome, un rinnegato qualunque che entro poche ore riceverà la grazia assoluta dalla persona che per lui più di qualsiasi altra cosa contava in quella vita schifosa.
Egoista.
Lo fai per egoismo, ammettilo.
Ti farai uccidere, o meglio, ti lascerai morire di fronte a lui. Lo condannerai a vagare dilaniato dal dolore, a calpestare la nuda terra con occhi che non vedranno nulla, oppresso da un probabile rimorso che capirà.
Ma lo fai per lui, vero? Hai dedicato tutta la tua breve vita per lui. E non ultimo, gli imposterai una protezione contro Madara. Quand’è che ti decidi a rivedere questo presunto piano, rigare le opzioni meno sicure? Oppure, a trovare una via alternativa per assicurare quella tanto bramata voglia di vendetta a Sasuke senza che sfoci nel tuo ormai certo suicidio? Perché non ti curi? Perché?
Quella voce stentorea gli trapana il cervello, impedendogli di affogare nel dolce oblio. In più, la sinuosa figura di Konan gli si adagia contro, le braccia che si avvolgono attorno alla sua vita, la guancia pressata contro il suo petto. Con un lieve sospiro ricolmo di stanchezza, le passa un braccio attorno alla vita, stringendola con delicatezza a sé. Non per amore, ma per disinteresse. Non la ama, non riuscirebbe mai ad amarla, perché era uno sporco traditore impossibilitato a tracciare una nuova vita, un nuovo inizio. E se aggiunge il fatto che anche la giovane donna è della sua stessa risma, il risultato dell’equazione dovrebbe bastargli. Amore? Cosa diavolo era? Lui non riusciva più ad esternare un qualsiasi gesto d’affetto nei confronti di una donna. Non ne era più capace. Se c’era stato un tempo dove era stato mosso da gesti carichi di tenerezza nei riguardi della sua fidanzata, allo stato attuale delle cose era pressoché chimerico, infattibile. Aveva ventun anni, era malato in fase terminale, cieco, un traditore di Konoha, un assassino senza scrupoli, un esperto confezionatore di menzogne.
Tuttavia… C’erano delle sporadiche notti dove, per indolente pigrizia, desiderava più di ogni altra cosa ritornare indietro, trovare una soluzione incontestabile per il colpo di stato degli Uchiha, e vivere assieme ai suoi genitori, Sasuke, Shisui, la sua amata. Magari un giorno avrebbe sposato lei e avrebbero avuto dei figli in un futuro di pace e quieto vivere.
Apre lentamente gli occhi, irritato nel riporre tutte le sue fragili speranze in quell’illusione dal sapore agrodolce e ipocrita.
« A cosa pensi? »
La voce di Konan lo richiama bruscamente alla realtà. Abbassa pigramente lo sguardo su di lei, masticando la risposta tra i denti, indeciso se appagare la sua curiosità. « A quanto faccia schifo la vita. » risponde dopo un istante.
Gli occhi dorati della giovane risplendono di consapevolezza, di sincera partecipazione: ha già constatato sulla propria pelle cosa significhi trascinare faticosamente le proprie membra per una fine che mai arriverà. « È vero quello che avevi detto prima? » domanda invece, cambiando argomento. Con la complicità ormai acquisita dopo qualche notte passata a conoscersi carnalmente, cerca di deviare quell’affermazione che li potrebbe portare ad aggirarsi in un campo minato. Non per dispetto, ma per fastidio. Lo sa già da sé quanto sia patetica la propria vita, e non serve imprimersi nel cervello le parole di un giovane uomo che a quanto pare sta vegetando anch’egli in quel limbo chiamato terra, alla continua ricerca della pace, della felicità, dell’amore, di un qualsivoglia momento di vita da normale essere umano.
« Chi può saperlo? » ribatte cupo l’Uchiha, aggrottando lievemente le sopracciglia. Una solitaria ciocca di capelli gli scivola sul viso. Non la scosta, continuando a tenere avvinti i ciechi occhi nei suoi. Coglie indistintamente lampi di colore, con pazienza costruisce le sue fattezze: i profondi occhi dorati, le sopracciglia sottili, il minuscolo piercing incastonato sotto la morbida curva del labbro inferiore. E quelle braccia morbide lo stringono quasi con amore. Strofina piano il palmo della mano contro la schiena di lei, quasi distrattamente.
« Sai troppe cose su di me. » Konan lascia cadere quell’allusione velata, quella piccola esca che invece è uno specchietto per le allodole.
Itachi inclina la testa di lato, le sopracciglia aggrottate, l’espressione sinceramente indagatrice. Poi, e quel suono si propaga irreale e così improvviso, si lascia sfuggire una risatina roca, di gola. « Non è poi così difficile. » la stuzzica, le labbra che si piegano in un sorrisetto. Konan si avvede di quanto sia bello quando sorride. Ha un bel sorriso, peccato che sia così incupito da una vita passata da macchina senza emozioni da non poterlo sfoggiare neanche una volta.
Il dito di lui le carezza la guancia, con lentezza del tutto voluta. « Le poche volte che ti vedevo, ti studiavo come un oggetto. Sei molto bella, Konan, ma non c’è bisogno che te lo dica, lo sai perfettamente da te. » Il polpastrello si ferma poco sopra l’angolo della bocca, riprende a tracciare quella scia. « Non ho avuto il bisogno di usare un genjutsu; mi è bastato guardarti, anche se di sfuggita. Cosa c’è di bello quando puoi rimirare l’oggetto della tua curiosità con una sola, sfuggente occhiata? Puoi capire tante cose. Anche se… » E qui il sorriso si spegne fulmineo, come una lampadina bruciata. « …ciò implica sovrapporre sé stessi alla persona che desta il tuo interesse. »
La osserva, assicurandosi che abbia compreso. Le picchietta piano la mano contro il fianco. « Hai capito? »
Konan non gli lascia la soddisfazione di una risposta, tornando a posare la guancia contro il suo petto. E quindi, si domanda, è così difficile grattare via quella scorza dura in cui ci si era avvolta per tutti quegli anni e rivelare la sua vera io come se niente fosse? Perché diavolo il suo amante doveva mostrarsi così abile a sondare la sua anima con pochi ma mirati sguardi?
« Com’è che siamo diventati amanti? » osserva invece, quasi se ne fosse ricordata solo in quel momento. Ma il suo vero scopo è prendere in castagna il moro e le sue velate bugie. È consapevole che mente spesso e volentieri, anche se le frottole che lui le rivolgeva erano più che altro riconducibili alla sua vita privata, alla vita condotta prima che voltasse le spalle alla rettitudine. Per quanto riguardava i rapporti delle missioni per conto dell’Akatsuki, Itachi si mostrava serio e integerrimo.
« Oh, a questa domanda potrei rispondere in molteplici modi. » mormora beffardo il ragazzo, il tono della voce grondante sarcasmo finora recondito. « Potremmo essere diventati amanti per passare insieme qualche notte di solitaria passione, per dispetto, o perché ci siamo innamorati l’uno dell’altra. » La sbircia per un istante. « Invece, in un giorno qualunque, quasi per caso, siamo diventati amanti per disprezzo verso noi stessi. Disprezzo per cosa? Per provare, almeno una volta nella vita, quella sensazione sconosciuta che ti fa avvertire le proverbiali farfalle nello stomaco, ti impedisce di dormire e tenere viva l’attenzione? Non credo. Non siamo più capaci di amare. Io perché sono arrivato al punto di detestarmi per come ho gestito tutto dopo quella fatidica notte, spogliandomi della mia dignità e soprattutto dei miei sentimenti, senza arrivare a perdonarmi una volta che fosse una. Tu, invece, perché passi ogni singolo istante a rimpiangere il tuo imperituro amore, nonostante tutto gli stai accanto ogni giorno, che sia solamente un manichino manovrato da Nagato o no. »
Lei aveva ascoltato quasi con indifferenza quella spiegazione, ma le ultime parole le penetrano nella testa, chiare come acqua cristallina. Sbarra gli occhi, colta alla sprovvista. « E tu come fai a saperlo? » sbotta, sollevando gli occhi verso di lui.
Itachi stringe le labbra senza risponderle, lo sguardo severo rannuvolato. Scuote la testa e distoglie lo sguardo, disinteressandosi del turbamento scatenato nella donna. A prima vista sembra seccato, invece è semplicemente irritato per come si sia lasciato trascinare nel baratro dell’apatia, vivendo solo in funzione del fratello e per nient’altro.
Quand’è che comincerai a vivere, vivere veramente?
Mai. Questa è la strada che ho scelto di percorrere.
« Ed è proprio per questo che mi faccio schifo, che mi fa schifo il nostro infrattarci nel mio o nel tuo letto, e dare sfogo alle nostre frustrazioni, sessuali o meno. Ma così facendo, una volta che districhiamo i nostri corpi dall’amplesso avuto, ci sentiamo… Appagati. Appagati dall’aver annegato nel limbo dell’incoscienza per qualche minuto. Perché già la nostra vita è ingrata così com’è, che dobbiamo mostrarci sprovvisti di essa persino quando facciamo sesso. Ci portiamo appresso questo involucro ingrato che corrisponde al nostro corpo, viviamo alla giornata, con la rassegnazione impressa a fuoco negli occhi, nel linguaggio del corpo, nelle parole; siamo stanchi della guerra che affligge i nostri villaggi, il nostro Paese di appartenenza, le nostre vite, i nostri destini, senza mai fare uno sforzo per rendere dignitoso quel breve lasso di tempo che ci separerà al congiungerci con ciò che abbiamo più desiderato, ovvero la pace. È così anche per te, vero? » prosegue, la voce dura, sollevandosi su un gomito, senza aspettarsi una replica. Ora come ora, il desiderio di darsi una sistemata e gettarsi nel suo letto per cadere nel sonno è tentatore come non mai. Dormire potrebbe purificargli la mente ottenebrata dalla rabbia indotta dal destino scritto per lui fin dal momento in cui era venuto al mondo.
Socchiude brevemente gli occhi, con aria assorta, riaprendoli di scatto quando la familiare fitta ai polmoni gli arriva come una sprangata. Meccanicamente porta la mano contro la bocca, parando i colpi di tosse che si susseguono subito dopo; chino in avanti, dimentica la presenza di Konan che lo guarda attonita. Le affusolate mani di lei si posano leggere sulla sua schiena, la sua voce domanda, chiede, ma non chiarisce quei dubbi che gli vengono rivolti quasi con paura, i fiotti di sangue che gli macchiano il palmo della mano, gli colano ai lati della bocca. Finalmente, in quelle che sembravano ore ma che invece si trattavano di brevi minuti, la crisi finisce, e il ventunenne si ritrova a fissare la mano sporca di sangue, gli occhi che in realtà non vedono quanto fosse vicina la sua fine.
Chiude la mano a pugno, il corpo viene scosso da un improvviso brivido di freddo, il volto seminascosto dalle lunghe ciocche corvine. Konan gli porge un fazzoletto inamidato, che accetta con un muto ringraziamento, passandolo sulla bocca, sulla mano, per poi riporlo, appallottolato, sul comodino. Si drappeggia con gesti stanchi il bianco lenzuolo attorno alla propria spossata figura, calando successivamente le lunghe gambe sul pavimento e rialzandosi. Viene colto da un violento capogiro, ma non desiste e si mette a cercare i propri capi di vestiario sparpagliati sul pavimento.
Una volta essersi accuratamente rivestito e raccolto i lunghi capelli neri nella consueta coda bassa, si avvicina a Konan, che in quei frangenti aveva seguito i suoi gesti. Entrambi si fissano in silenzio, quasi fossero incerti sul genere di saluto da darsi l’un l’altra.
La donna piega d’un lato il capo, gli occhi carichi di aspettativa. Ha capito qual è il suo posto, e non osa intromettersi nelle questioni private dell’Uchiha, che seguita a fissarla, il braccio sinistro appoggiato contro l’apertura del mantello.
Dopo qualche secondo Itachi, in un rigurgito di amore fossilizzato, allunga il braccio verso di lei, avvolgendoglielo attorno alla schiena e tirandola a sé. La tiene così per un lungo minuto, provando per la prima volta un senso, seppur alieno, di serenità, di leggerezza. China la testa, premendo le labbra contro la fronte della giovane dai capelli blu.
Poi, quasi si trovasse in un sogno fumoso, dai contorni indistinguibili che potevano corrispondere benissimo alle visoni che gli offrivano i suoi occhi ciechi, si separa da lei, tornando a nascondersi dietro la sua facciata neutra e impenetrabile. Anche gli occhi si velano di questa corazza, colorandosi di quel rosso fuoco provocato dallo Sharingan.
« Ci vediamo domani, Itachi. » Konan si sente scivolare di dosso quelle ore sperdute nei meandri della semioscurità che ora pare farsi meno profonda, pare ritirarsi, scomparire, lasciando il posto alla luce. Quella fastidiosa sensazione di occlusione provata nel sentirsi osservata da occhi avvolti nelle tenebre si fa sempre più ineffabile, fino a scomparire del tutto. Che qualcosa stia per cambiare? Guarda quasi con distacco alla routine che l’aspetta da dietro quella lignea porta chiusa a chiave, la mente incentrata sul lavoro da sbrigare, senza più memoria della passione covata con il moro.
Il ventunenne abbassa brevemente la testa, in gesto di congedo. « Arrivederci, Konan. » replica invece, in tono asciutto, voltandole le spalle e accingendosi ad allontanarsi da lei per l’ultima volta.
Addio.
   
 
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