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Autore: Love Your Sin    05/09/2013    4 recensioni
Louis/Harry
Best Friends!Larry
(Accenni) Parents!Larry
Conteggio: 4.6K
[“Ti piace il mare Harry?” I due ragazzi erano seduti sul divano, mentre ascoltavano ‘Paradise’ che veniva trasmessa alla radio in quel momento. I Coldplay erano il gruppo preferito di Louis. “Sì, moltissimo. Perché?” si era ritrovato a rispondere. ‘Dreamed of para-para-paradise’ cantava nel contempo Louis. “Il mare è il tuo paradiso, vero?” e Harry aveva annuito, confuso. “Allora ti giuro che quando avrò il CD dei mie adorati Coldplay tra le mani ti porterò a Brighton, e canteremo Paradise fino a non avere più voce. Ci stai?” E il ragazzo aveva sorriso, perché gli sembrava l’unica cosa giusta da poter fare in quel momento. E Louis lo aveva preso per un sì.]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Two hearts...One love.'
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[I personaggi non mi appartengono. Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo. Stravolgimento (mica tanto) dell'orientamento sessuale – slash]
 

PARA-PARA-PARADISE

 

“Hei Lou, dormi?” Harry quella notte non riusciva proprio a prendere sonno. Era la prima notte da quando lui e i suoi quattro migliori amici, Louis, Zayn, Niall e Liam, si erano trasferiti in quella piccola villetta in Charing Cross Road. Appena arrivati, avevano scelto le camere e lui, subito, aveva guardato il suo migliore amico, che, intuendo quello che pensava, gli si era avvicinato e aveva detto un semplice ‘io e Hazza stiamo nella camera che dà sul giardino, quella con il piccolo balconcino’. E quindi eccolo lì, sdraiato nel suo letto, con le braccia incrociate dietro la testa a osservare il soffitto azzurrino della camera, mentre fuori il cielo era illuminato da lampi continui. Pioveva. “No, non riesco a dormire” aveva ammesso poco dopo il suo compagno di stanza. “Tu come mai sei sveglio?” aveva aggiunto, immediatamente. ”I tuoni – aveva detto sincero Harry – A te piace la pioggia, Lou?” E Louis non riusciva davvero a capire come gli era anche solo passata per la mente una domanda del genere al suo migliore amico, ma “Sì” aveva semplicemente risposto, con un leggero sorriso improvvisato sulle labbra. Harry allora si era alzato e, lentamente, si era avvicinato al letto del ragazzo, spostando di poco le coperte per poi infilarsi sotto di esse e rannicchiarsi vicino all’amico. Non sapeva perché l’avesse fatto, gli era venuto spontaneo sollevarsi e raggiungerlo. “Come mai?” gli aveva poi chiesto. Louis aveva capito subito a cosa si riferisse il compagno e “Mi aiuta a riflettere, a pensare; mi tranquillizza. Non trovi che la pioggia sia rilassante?” Aveva iniziato a giocherellare con i capelli di Harry, che nel frattempo sorrideva. “A me non piace” aveva detto alla fine, per poi addormentarsi, con la testa appoggiata sul petto dell’amico, accolto dalle braccia di Morfeo.
 

A Louis era sempre piaciuta la pioggia. Lo scrosciare lento e interminabile dell’acqua sui vetri appannati delle finestre, il ticchettio dolce delle gocce sul ferro, ormai arrugginito, del piccolo cancelletto che circondava la villetta, che condivideva con i suoi quattro migliori amici, l’odore di fresco e bagnato, quel suono così rilassante che emetteva. A Louis la pioggia piaceva perché gli permetteva di pensare, tranquillo, di perdersi nei suoi pensieri, di viaggiare in un mondo alternativo e lontano, completamente diverso dalla realtà, in cui non esistevano problemi, in cui non c’era né nero né bianco, ma solo colori. Non gli erano mai piaciuti il nero e il bianco. Insignificanti. In contrasto tra di loro. Nero: buio, paura, freddo, apatia, indifferenza, insensibilità. E poi il bianco: luce, calore, purezza, fragilità, sensibilità, debolezza, insicurezza. Louis non era questo. A Louis piacevano i colori. Gli piaceva il rosso. Sangue, amore, passione, bramosia, desiderio. L’azzurro: libertà, infinito, potere, scelta, volontà, possibilità. L’unica cosa che non gli piaceva della pioggia era quel leggero venticello che si alzava di tanto in tanto, quello che ti scompiglia i capelli, che ti trafigge freddo, potente, con impeto in pieno viso. Quel venticello che ogni volta che esci ti colpisce con le mille goccioline d’acqua che porta con sé. Quel venticello che non ti permette di guardare avanti, ma che ti costringe sempre a voltarti dall’altra parte. Quel venticello tanto fastidioso. E il suo fruscio. Louis proprio non lo sopportava. Smuoveva le fronde degli alberi sovrastando il ticchettio dolce della pioggia e creando un suono secco, deciso, che gli arrivava sommesso, ma comunque insopportabile.
Ed anche quel pomeriggio di metà novembre, seduto sul divano con le gambe al petto, la testa appoggiata alle ginocchia e una tazza di tè caldo in mano, Louis osservava distratto dalla finestra la pioggia che cadeva sulle strade di Londra da ormai qualche ora, mentre la televisione accesa davanti a lui trasmetteva uno di quei noiosi film sdolcinati, che sono solite guardare le ragazzine di quattordici anni alle prese con la loro prima cotta. Pensava. Louis pensava. Era da un po’ di tempo ormai che aveva in mente sempre gli stessi occhi verdi. Quegli occhi che facevano invidia anche agli smeraldi più costosi e pregiati del mondo. E quei ricci, sempre disordinati, con il ciuffo che ricadeva dolcemente sul viso. Era da un po’ di tempo ormai che Louis pensava sempre a lui. Al suo migliore amico. E non capiva nemmeno lui il perché, ma non riusciva a farne a meno. Harry era diventato come una droga per Louis. Era la sua cocaina, la sua eroina, la sua birra, la sua vodka, le sue carte da poker, la sua roulette, la sua sigaretta. Era qualcosa del quale una volta provato non riuscivi più a farne a meno. Louis era come diventato dipendente da quegli occhi e da quel sorriso, da quella voce calda da diciannovenne che ti scalda il cuore. Ed anche in quel momento Louis pensava a lui. Pensava a Harry e sorrideva. Sorrideva ripensando a tutti i momenti passati insieme, alle notti trascorse a parlare per poi finire addormentati sempre abbracciati, stretti uno all’altro, tanto che chi non li conosceva vedendoli avrebbe potuto benissimo credere che fossero fidanzati. Louis sorrise a quel pensiero. Lui e Harry fidanzati. Al solo pensarlo sentì qualcosa muoversi nel suo stomaco, un branco di elefanti che facevano su e giù. E in quel momento non riusciva a non pensare che, infondo, il suo migliore amico era veramente bello. Bello da togliere il fiato. A Louis piaceva tutto di Harry. Gli piacevano il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, la sua voce, le sue labbra. Che ti succede Louis? Da quando pensi queste cose del tuo migliore amico? E parlava. La vocina, quella fastidiosa vocina che, da quando aveva cominciato a fantasticare su Harry in quel modo ronzava perennemente nella sua testa, parlava. E aveva anche ragione. Cosa gli succedeva? Louis questo non lo sapeva. L’unica cosa di cui era certo era che ogni volta che Harry era lì vicino sentiva le farfalle nello stomaco e arrossiva, sempre. E sapeva anche che gli sarebbe piaciuto tornare ai vecchi tempi, a quelle sere in cui non facevano altro che parlare. Voleva tornare a dormire abbracciato al suo migliore amico. E un’altra, ultima cosa che Louis sapeva, era che gli sarebbe piaciuto essere la causa di quel bellissimo sorriso e la meraviglia che quegli occhi vorrebbero scrutare.



Harry era nel suo negozio di musica preferito, quello all’angolo tra Oxford Street e Brick Lane*. Doveva comprare quel CD dei Coldplay che Louis aveva sempre voluto. Diceva che quando l’avrebbe avuto avrebbe preso la macchina, in un caldo giorno di sole, con il CD del suo gruppo preferito al massimo e lo avrebbe portato a Brighton, cantando a squarciagola. Perché a Brighton c’è il mare. E a Harry piaceva il mare. E il suo migliore amico lo sapeva.

“Ti piace il mare Harry?”
 I due ragazzi erano seduti sul divano, mentre ascoltavano ‘
Paradise’ che veniva trasmessa alla radio in quel momento. I Coldplay erano il gruppo preferito di Louis. “Sì, moltissimo. Perché?” si era ritrovato a rispondere. ‘Dreamed of para-para-paradise’ cantava nel contempo Louis. “Il mare è il tuo paradiso, vero?” e Harry aveva annuito, confuso. “Allora ti giuro che quando avrò il CD dei mie adorati Coldplay tra le mani ti porterò a Brighton, e canteremo Paradise fino a non avere più voce. Ci stai?” E il ragazzo aveva sorriso, perché gli sembrava l’unica cosa giusta da poter fare in quel momento. E Louis lo aveva preso per un sì.


Aveva notato che ultimamente il ragazzo era sempre distratto, assente, distante. Non parlavano più come prima. La notte non dormivano più insieme, stretti nel piccolo letto a una piazza di Louis come facevano sempre, dal primo giorno che abitavano in quella villetta. E ogni volta che si sfioravano, anche solo per sbaglio, Louis si irrigidiva. Gli abbracci erano sempre più scarsi e quando Harry scherzava o giocava con un altro dei ragazzi, Louis si voltava sempre dalla parte opposta, oppure si alzava e andava in cucina. Trovava sempre una scusa per evitare di guardarlo mentre stava con Niall, Liam e Zayn. E Harry non capiva dove fosse il problema. Voleva il suo vecchio amico, quello non era lui. Una volta, vedendo due dei suoi amici abbracciarsi, gli sarebbe saltato addosso unendosi a loro. E invece ora era tutto cambiato. Forse ho sbagliato qualcosa. Forse ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire. Forse se l’è presa con me per una delle mie stupide battute. O forse perché mi odia. Forse non mi vuole più bene. Forse vuole andarsene. Non vuole più vedermi. Mi vuole abbandonare. Harry non riusciva a non pensare al peggio. D’altronde se il suo migliore amico era così distaccato e quasi non gli parlava più, doveva essere successo qualcosa, no?


Era da quasi un mese che i quattro vivevano insieme. Ed era sempre da quasi un mese che tutte le notti Harry si alzava dal suo letto e raggiungeva Louis nel suo, stringendosi al suo petto, per iniziare una lunga chiacchierata. Erano le 2 meno 10 e i due stavano parlando della giornata che avevano appena trascorso, quando ad un certo punto Harry era uscito con un ”Lou…mi prometti una cosa?” detto con timidezza. “Certo Curly, tutto quello che vuoi” gli aveva risposto l’amico, prendendo ad accarezzargli un braccio. “Promettimi che non mi abbandonerai mai”. E Louis gliel’aveva promesso. Una promessa chiusa nel buio di quella stanza. Una promessa che il ragazzo non avrebbe mai infranto. Perché la verità era che lui senza il suo migliore amico non sapeva stare. E si erano addormentati alla fine, stretti uno all’altro, poco dopo un semplice “Ti voglio bene” sussurrato da Louis, che il ragazzo ricambiò con un sorriso nascosto dall’oscurità della piccola stanza.


Harry pensava che una giornata di svago da passare con il suo migliore amico fosse la cosa più adatta per tornare ad essere legati come una volta. Perché sì, Louis e Harry erano legati da un sottile filo che, tuttavia, nell’ultimo periodo era sempre in tensione e stava cominciando a spezzarsi. Andare al mare, come due semplici adolescenti spensierati, una birra, una chitarra, cantare Paradise a squarciagola, suonare, una partita a calcio. Era decisamente quello che ci voleva. E per questo ora si trovava alla cassa, con una commessa finta quanto una barbie che gli porgeva il sacchettino con dentro quel fantomatico CD dei Coldplay. Pioveva. E Harry nemmeno se ne era accorto. Non aveva l’ombrello. A dire la verità non l’aveva mai. Sapeva benissimo che a Londra le occasioni in cui il cielo era scoperto e il sole prendeva il posto della pioggia fossero più che rare, ma quell’ingombrante aggeggio lui non l’aveva mai a portata di mano quando serviva. Si ritrovò a sorridere come uno stupido immaginando il suo migliore amico in quel momento. Sicuramente sarà seduto a guardare fuori dalla finestra perso nei suoi pensieri.

Quando Harry arrivò a casa, Louis era ancora intento a guardare fuori dalla finestra la pioggia che scrosciava lentamente sul vetro appannato. Non si era nemmeno accorto della presenza dell’amico, né aveva sentito la porta sbattere rumorosamente. “Hey Lou” lo salutò Harry. Il castano si voltò leggermente, riconoscendo la voce del suo migliore amico – come poteva non riconoscerla? Ormai riconosceva anche i suoi passi o il suo modo di chiudere le porte o ogni sua minima abitudine – e lo trovò con i ricci completamente bagnati appiccicati alla fronte e i vistiti ormai zuppi d’acqua.
‘Cavolo, è proprio bello. Sembra un dio greco. Anzi no, che dico, il mio Harry fa invidia anche alla più bella statua del classicismo’.
Il
tuo Harry? Fai davvero Louis? 
‘Taci. Devi rompere per ogni cosa che penso?’ 
Certo! Mi sembra normale. Hai appena chiamato il tuo migliore amico tuo.
Oh mio Dio. Sto impazzendo. Da quando parlo con la mia coscienza?’ 
L’amore fa impazzire, Louis. 
‘Che vai blaterando! Io non sono innamorato’ 
Di Harry. 
‘Non sono innamorato di Harry.’ 
Certo. Raccontale a qualcun altro queste cavolate. 
‘Puff…tu non sai niente. Okay, sono decisamente impazzito. Sto davvero parlando con la mia coscienza? Nah, impossibile. Quella voce non esiste.’
Ehi! Io esisto eccome! 
‘Aiuto. Salvatemi vi prego. Se per un qualche motivo tra due anni aveste bisogno di me, venitemi a cercare in un manicomio.’
E perché mai ti dovrebbe cercare qualcuno? 
‘Harry mi cercherebbe.’ 
Forse. 
‘Guardatelo. Dio mio quanto è bello. È la creatura più bella che io abbia mai visto. È l’ottava meraviglia del mondo.’
Ma non è tuo. 
‘Hai sempre da ridire?’ 
Sempre.
Puff…’
“Hei Haz, hai dimenticato di nuovo l’ombrello?” chiese dopo essersi riscosso dalla lunga chiacchierata con quell’insopportabile vocina che aveva preso possesso del suo cervello. Mi pare ovvio Louis. Perché fai queste domande stupide? “Taci” sbottò il ragazzo infastidito. “Come scusa? Che ti prende Louis?” Oddio, l’aveva davvero detto ad alta voce? Il castano non riusciva a crederci. Quella vocina l’avrebbe realmente fatto impazzire. “Oh no, niente. Tranquillo H.” rispose poi, sorridendo all’amico. “Okay. Senti ti ho comprato qualcosa” esultò poi il riccio. “Mi hai fatto un regalo?’ chiese, balbettando per lo stupore, Louis. “Beh, sì”.
‘Harry mi ha fatto un regalo. Alla faccia tua rompiscatole.’
 Se solo potessi andarmene...
‘Saremmo tutti felici.’
Per una volta concordo con te! 
Louis prese il sacchettino che gli porgeva l’amico e lo aprì mentre il riccio “Così potremo andare al mare insieme” diceva con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Rimase a bocca aperta. Louis rimase semplicemente a bocca aperta: Harry si ricordava ancora di quella promessa. “Il CD dei Coldplay! Grazie grazie grazie! Ti voglio bene Harry” esclamò il ragazzo alzandosi dal divano e saltando letteralmente addosso all’amico, che si ritrovò sdraiato sul pavimento freddo, tempestato di baci del castano. “Prego Lou, te ne voglio anche io’ rise Harry, per poi soffermarsi a guardare gli occhi di Louis, ancora fermo su di lui. E ci si perse. Harry si perse in quegli occhi che nemmeno potevano essere paragonati al cielo. Gli occhi di Louis erano molto più azzurri, molto più luminosi dell’azzurro del cielo in primavera e in quel momento brillavano di una luce propria. Louis invece si perse in quei pezzi di prato estivo che erano gli occhi di Harry. Si perse in due smeraldi che per lui valevano più di qualsiasi altro. Si perse in quel verde luminoso, quasi accecante. Quel verde così caldo che lo faceva sempre sentire al sicuro. E arrossì, un colorito porpora si estese sulle sue guance. E Harry non poté fare a meno di notare quanto il suo migliore amico in quel momento fosse estremamente tenero. E sorrise, come era solito fare. Regalò al castano uno di quei sorrisi che Harry era sempre pronto a stamparsi in faccia in ogni situazione, che fosse la più seria o la più assurda, questo non importava. Harry regalava sorrisi, ma quelli che riservava al suo migliore amico erano unici. I sorrisi che destinava a Louis erano pieni di parole mai dette, parole che talvolta sono difficili da dire o a volte anche inutili. Perché alla fine, quello che più conta, sono i fatti. E Harry non era mai stato tanto bravo con le parole, con i discorsi lunghi e seri, come quelli che si fanno alla laurea o quando finalmente, dopo tanto impegno, l’azienda che hai sempre voluto aprire ha preso il via con successo. Harry non era in grado di mettere insieme più di quattro parole senza poi finire per blaterare e iniziare a balbettare né tantomeno di esprimere quello che provava attraverso quelle lettere messe insieme con un rigoroso ordine logico. Perché, in un modo o nell’altro, si sarebbe ritrovato a parlare di cose che in quel momento non c’entravano nulla, avrebbe detto la prima cavolata che gli sarebbe passata per la mente, anche se fosse stata la più stupida e alla fine avrebbe abbassato lo sguardo imbarazzato. Per questo il riccio non parlava molto. A dire il vero Harry era veramente logorroico. Con gli amici parlava tanto, di tutto e di niente, delle cose più disparate , più inutili e futili del mondo, di quanto il suo film preferito facesse piangere o di come avesse scoperto che la ragazza più popolare della sua vecchia scuola fosse rimasta incinta di uno sconosciuto, di come Justin Bieber si fosse rivoltato contro i paparazzi, di quello che avrebbe fatto se fosse stato nella sua situazione, di come gli piacerebbe diventare un cantante famoso come lui, di come si comporterebbe alle feste dei VIP, con quale cantante flirterebbe e quale invece eviterebbe completamente, di come vorrebbe prendere sua sorella e portarla a fare shopping potendo spendere una marea di denaro, perché tanto non avrebbero avuto problemi. E l’unico che lo ascoltava, con gli occhi che brillavano e lo sguardo attento, completamente assorto dalle sue chiacchiere, era il suo migliore amico.
 
E anche in questo momento Harry stava sfoderando uno dei suoi meravigliosi sorrisi, uno di quei sorrisi che ti migliora la giornata, uno di quei sorrisi che vorresti vedere appena ti svegli la mattina con la consapevolezza che ti accompagnerà per tutto il giorno. E con quel sorriso Harry avrebbe voluto dire tante cose. Avrebbe voluto dire che non si sarebbe più voluto staccare da quegli occhi, che in quel momento il tempo si era come fermato, che per lui Louis era la persona più importante, che non saprebbe stare senza di lui e soprattutto che gli voleva bene. E questo Louis lo sapeva.
Il castano si rialzò, imbarazzato, porgendo poi la mano al riccio, che la prese e la strinse, con forza e sicurezza. E le loro mani legate, in quel momento, sembravano formare una catena che, per quanto è possente, non si spezzerà mai. E si abbracciarono, come non facevano da tempo ormai. E in quell’abbraccio Louis si rifugiò e si sentì al sicuro. Niente più paure, niente più dubbi, niente più paranoie. Solo un sorriso immenso stampato in faccia, gli occhi che esprimevano un’immensa felicità e soprattutto il cuore che batteva tanto forte da rompergli quasi la gabbia toracica, tanto da fare male. E in quel momento Louis capì che quella stupida vocina aveva davvero ragione. Capì che lui si era innamorato di Harry. Si era innamorato del suo sorriso dolce che ti scalda il cuore, del suo tocco delicato che gli percorre il braccio la mattina per svegliarlo, della sua voce bassa e roca, della sua risata che ormai era la melodia preferita di Louis, delle sue labbra e del modo sinuoso in cui si muovono, dei suoi ricci che tanto ama stringere tra le dita, delle sue braccia forti che lo stringono quasi possessivamente in ogni abbraccio e dei suoi occhi, in cui Louis amava infinitamente annegare. E quando Harry lasciò la presa, il ragazzo si sentì immensamente vuoto e il freddo si impossessò del suo corpo. Perché Harry era la sua unica vera fonte di calore.
 
Quella notte pioveva, ancora, e Louis non riusciva a dormire. Era sdraiato sul letto, il braccio piegato sul gomito, la testa appoggiata al pugno chiuso della mano, voltato verso il letto del suo compagno di stanza. La sveglia sul comodino segnava le 4:15 e nonostante Louis avesse veramente molto sonno, non riusciva a smettere di fissare il corpo del ragazzo addormentato tra il groviglio di coperte. Le palpebre erano chiuse, le ciglia lunghe appoggiate delicatamente sulle gote, i ricci ricadevano disordinatamente sul viso, l’espressione corrucciata di chi sta facendo un brutto sogno, il petto si abbassava lentamente al ritmo del suo respiro leggermente affannoso, la bocca si apriva leggermente per rilasciare deboli gemiti e borbottii, che Louis faticava a sentire anche nell’assoluto silenzio della stanza. Sembrava un angelo. A un certo punto Louis si alzò e si avvicinò lentamente al letto affianco al suo, alzando di poco le coperte e stendendosi poi dietro al ragazzo, stringendolo forte, schiena contro petto, inspirando dai ricci morbidi il profumo dello shampoo al cocco che Harry era solito usare. E quando sentì il ragazzo rilassarsi nella sua docile stretta, Louis si addormentò, cullato dal respiro ormai regolare e dal dolce profumo del suo migliore amico.
 
Era passato ormai il compleanno di Louis, che i ragazzi avevano trascorso chiusi in casa, nel soggiorno, davanti al fuoco scoppiettante del caminetto, parlando del più e del meno, mangiando la torta comprata dal pasticciere del quartiere come rimpiazzo a quella che, dopo un lungo sforzo, Harry aveva fatto bruciare, bevendo una tazza di tè caldo e aprendo i piccoli regali che i quattro avevano precedentemente comprato all’amico. Era passato anche il Natale, la festa preferita del piccolo Harry, che tutti e cinque avevano festeggiato con le loro famiglie riuniti in casa Styles, scartando i regali davanti all’enorme e ingombrante albero di Natale che occupava l’angolo del salotto, lo stesso albero che, da quanto aveva raccontato mamma Anne, era stato decorato da un Harry bambino, dolce e innocente. Avevano riso e scherzato e poi, come se si conoscessero da sempre, come se fossero un’unica, grande famiglia, si erano riuniti intorno al tavolo imbandita di cibo per il pranzo. Era passato anche il primo febbraio e con esso il compleanno di Harry, che i cinque avevano passato nel bungalow del riccio. Era passato San Valentino e l’indecisione di Louis nel prendere o meno un regalo al più piccolo. E in tutto questo tempo l’amore del castano per il più piccolo non era minimamente diminuito.
 
Era ormai arrivato aprile. Harry fu svegliato dalla luce che filtrava debole dalla finestra, a causa delle tende lasciate leggermente aperte la sera precedente, e che lo colpiva in pieno viso e una sensazione di calore lo avvolse, tanto che sollevò le palpebre per poi richiuderle immediatamente infastidito. La sveglia prese a suonare e Harry si alzo avvicinandosi alla finestra, notando che le nuvole che coprivano il cielo la sera prima si erano diradate per lasciare spazio a un caldo sole picchiettante, raro da vedere nel cielo della sua tanto amata Londra. Louis emise un gemito, al suono ininterrotto della sveglia, cacciando subito la testa sotto il cuscino. Cogliendo l’opportunità data dalla bella giornata, il riccio decise che quello era il giorno giusto per fare quella tanto attesa gita al mare. Si avvicinò al letto del più grande, iniziando a urlare a saltarci sopra, evitando di poco il corpo rannicchiato tra le coperte del ragazzo. “Harry…che cavolo stai facendo?” emise Louis in un soffio, stiracchiandosi leggermente senza abbandonare la sua comoda posizione. “Forza Lou, alzati! C’è il sole, guarda, andiamo a Brighton” rispose il riccio, ridendo con un’espressione felice sul volto. E a quella risposta il castano si illuminò, facendo comparire un accenno di sorriso sulle labbra. “Okay, okay Harreh, ora mi alzo, ma levati da qui!” disse il liscio per poi far cadere il più piccolo dal letto con una leggera spinta. “Ahia!” esclamò quello massaggiando la spalla che aveva colpito il pavimento.
 
Dopo aver fatto colazione e aver avvisato gli amici della loro decisione, presero la macchina e partirono. Direzione: Brighton. Colonna sonora: che altro se non Paradise? E i due lo fecero davvero. Per tutto il viaggio cantarono sulle note del CD dei Coldplay ogni singola canzone, ridendo e scherzando come se il tempo e il mondo là fuori si fossero fermati, come se esistessero solo loro due e nessun altro, come se non ci fossero problemi, come se quel vecchio e brutto periodo fosse stato solo un sogno, come se i dubbi e l’amore di Louis per Harry fossero solo allucinazioni. E alla fine arrivarono a Brighton, la distesa di sabbia bollente sotto i piedi, che si infiltrava tra le dita, tanto fastidiosa, ma al tempo stesso, piacevole. Il mare calmo, il frastuono delle poche onde che si infrangevano sugli scogli, i gabbiani che volavano, come se importasse loro solo della libertà, nel cielo sereno di quella giornata, il sole che illuminava i loro visi e creava strani giochi di luce nell’acqua cristallina del mare, i bambini che giocavano sul bagnasciuga, i castelli che venivano distrutti all’arrivo dell’alta marea, i ragazzi che giocavano a beach volley sulla spiaggia, sorrisi, risate e niente preoccupazioni. E allora anche i due si tolsero le scarpe e iniziarono a correre verso la riva e una volta lì si avvicinarono a quella distesa infinita, giusto per assaporare la piacevole sensazione dell’acqua fresca che ti bagna i piedi, mentre sprofondano nella sabbia bagnata. E poi ripresero a correre, come se tutte le altre persone fossero solo ombre create per bellezza. E ridevano e si rincorrevano, ma poi accadde. Harry inciampo e tirò il maggiore su di sé. E in quel momento tutto tornò. Le paure di Louis, le sue indecisioni, i suoi dubbi. Perché con le labbra del riccio così vicine, così invitanti, come se stessero dicendo baciami, Louis non riusciva proprio a far funzionare il cervello. Il verde nell’azzurro. Il prato nel cielo. La sicurezza nell’indecisione. Smeraldi in lapislazzuli. L’amore nell’amore. E Louis non era più in grado di far finta di niente. L’istinto alla fine vinse sulla ragione. Il cuore sulla mente. E lo baciò, assaporò a pieno il sapore dolce delle labbra di Harry, che sapevano ancora di caffè. E fu il riccio a prendere l’iniziativa, iniziando a leccare dolcemente il labbro inferiore del ragazzo, chiedendogli l’accesso. E Louis non ci pensò nemmeno un attimo, dopo tutto il tempo che aveva aspettato quel momento. E in un batter d’occhio fu travolto dalla passione, la lingua di Harry che cercava insistentemente la sua, le salive che si mischiavano, i denti del riccio che gli morsicavano leggermente il labbro, per poi riprendere con il gioco di lingue che avevano iniziato. E iniziavano a conoscersi, ma danzavano già in perfetta armonia, come se quella non fosse la prima volta che succedeva. E nel bacio Harry sorrise, perché anche se inconsapevolmente, anche lui si era innamorato di quel ragazzo. Si era innamorato del suo sorriso dolce, dei suoi occhi azzurri che ti facevano sentire protetto e in cui Harry tanto amava annegare, dei suoi capelli sottili che attorcigliava sempre tra le dita, del suo modo di mordicchiarsi il labbro quando era nervoso, delle sue braccia docili che cercavano di stringerlo in un abbraccio. E quando tutto finì, ancora stesi per terra, Louis avvicinò la testa all’incavo del collo del riccio, inspirandone forte il suo profumo, quello stesso profumo che avvolgeva la loro stanza, che lo svegliava al mattino.
 
E in quel momento i due ragazzi si sentivano liberi e vivi, come non lo erano mai stati prima d’ora. E non immaginavano nemmeno che sette anni dopo si sarebbero ritrovati in una piccola villetta a Brighton, innamorati e con due bambini che correvano per casa chiamando ad alta voce i loro papà per il bacio della buonanotte. “Darcy smettila di urlare, vieni è ora di andare a dormire” disse il riccio prendendo la bambina tra le braccia e portandola in camera, dove Louis era già occupato a mettere il piccolo Larry a letto. E Harry sorrise a quella vista, pensando che non ci fosse niente di più bello al mondo che vedere il ragazzo che si ama alle prese con il proprio figlio. “Ci raccontate la vostra storia?” esclamò all’improvviso la bambina. “Certo tesoro.” E così i due si ritrovarono, quella sera di inizio primavera, a raccontare per l’ennesima volta la loro storia ai figli, con un sorriso immenso sulle labbra, mentre fuori la luna iniziava a comparire, illuminando fiocamente la stanza buia e riascoltando le parole dei due ragazzi, che mentre parlavano si sorridevano, più innamorati che mai.
 

N.d.A
Eccomi di nuovo! Okay, non so perchè l'ho scritta, so che non è il massimo, non convice nemmeno me e non rispecchia per niente la mia idea iniziale, ma non avevo più tempo e ho dovuto accorciare il più possibile! 
Comunque, lasciate una recensione per me?
È importante e ci tengo! È la più lunga di tutte quello che ho scritto, anche se ne ho un'altra in corso. Comunque dicevo...d
onate un minuto della vostra vita per lasciare una recensione, farete felici molte persone (ovvero me ma è solo un piccolo dettaglio).

(Rieccomi a scrivere qui dopo quasi tre anni dalla pubblicazione di questa fanfiction. Approfitto di questa revisione per ringraziare tutti i 500 lettori, sia quelli silenziosi, ma ancor di più quelli che danno voce ai loro pensieri. Grazie di cuore, I.)

  
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