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Autore: Francine    05/09/2013    1 recensioni
Lei è carne della mia carne e ossa delle mie ossa. (Le Chevalier D'Éon, cap.1)
Prima pubblicazione: 31.05.2007
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Vieni nel mio corpo,
Compi la tua vendetta sul Poema,
Sorella mia.
(Le Chevalier D'Éon, vol.1)


Da qualche giorno c’è un’aria strana in città. Lui avanza tra le fiaccole accese e qualche curioso che si sporge dai ponti. Un suo collega, Danton dovrebbe chiamarsi, sta interrogando chi ha rinvenuto il corpo; dalla faccia che fa quando lo vede passare, capisce che non si trova lì per semplice routine. 

L’Ispettore lo attende, le mani dietro la schiena e il viso tirato. Lui si avvicina, toglie il velo e guarda. «Sì…», mormora, «è lei», poi si china sull’acqua e vomita. E la voce di lei lo chiama. Fratello, aiutami!


È sempre la stessa storia.

Sono due settimane che sogna questa scena ogni notte, e ogni volta si alza con una fitta al centro del petto. Lui si chiede perché, che cosa ci facesse lì sua sorella, a quell’ora di notte, poi, da sola. E vuole sapere cosa significano quelle cinque lettere rinvenute per tutto il suo corpo. Psalm. Salmi? Palme? Palmi? La firma del maniaco che l’ha uccisa?

Nessuno osa dargli una risposta, né la polizia, né le bambole che sua sorella collezionava.

Loro non sembrano essere toccate da questa disgrazia. Come possiamo comprendere la morte se non siamo mai state vive?, paiono dirgli allineate come un plotone d’esecuzione sulla consolle del suo salottino.

Chiede di essere trasferito. Entra nelle sue stanze, prende un oggetto che instilli in lui il veleno del ricordo, e parte, il più lontano possibile, per non vedere la sua casa e il fantasma di sua sorella aleggiare per quelle mura sbiadite.

Le sue mani hanno preso un abito, che osa guardare solo una volta arrivato alla corte della Grande Caterina. È declinato nei toni della notte, con dei merletti di sangallo sullo scollo e a gonfiare le maniche, e doveva accendersi come un cielo stellato quando i boccoli d’oro di lei vi scendevano sopra. 

Fissa il suo riflesso allo specchio. Fuori nevica e il camino arde scoppiettando. I suoi lineamenti delicati non sfigurerebbero sul volto di una donna. Si assomigliavano molto, loro due. Alza la mano destra a carezzarsi la mascella, lo zigomo, la guancia e il collo, fino all’attaccatura dei capelli. Si sente solo. È come se una parte di lui gli fosse stata strappata via con delle tenaglie roventi e lanciata chissà dove.

Tutto ciò che gli resta di lei è un vestito e alcuni ricordi.

Il più vivido risale allo scorso anno, quando era tornato in licenza a casa ed era entrato nelle sue stanze per portarle dei nastri nuovi che le aveva preso nelle Fiandre.

Era una mattina di Giugno, e sua sorella aveva indosso un leggero abito estivo.

Ricamava davanti la grande finestra del suo salottino privato, con la dama di compagnia che rovistava nel cesto alla ricerca di un filo del colore adatto al lavoro che le riposava in grembo.

Lia si era alzata, aveva preso il vestito blu notte e si era messa davanti allo specchio, appoggiando l’abito sul corpo. «Ti piace come mi sta, fratello?», gli aveva domandato sorridendo dal riflesso e lui si era visto annuire sullo sfondo, come se stesse assistendo ad una rappresentazione, come se vedesse una scena, ma non ne facesse parte veramente. 

A ripensarci, cosa sa della vita di sua sorella? Cosa? Quanto può dire di aver svolto un ruolo fondamentale nella sua esistenza? Quanto vorrebbe, invece, poter fare qualcosa per lei?

Non sa neppure lui perché, ma indossa il vestito. Il profumo di ninfea lo assale, così come la malinconia, ma lui reagisce tirando forte le stringhe del busto, e le stecche di balena corrono a comprimere la sua figura, a renderla aggraziata, a disegnare una vita sottile a dispetto della corporatura da uomo. Svolge le gonne attorno al cerchio, sistema le maniche e si aggiusta il nastro tra i capelli.

Ed è allora che la vede. Lei è lì, oltre lo specchio. Sorride, e lui si chiede cosa ci sia da sorridere. Se qualcuno entrasse adesso?, gli domanda il suo cervello, ma lui scaccia quella questione.

Lia. È davanti ai suoi occhi. Allunga una mano, lei fa altrettanto, ma tocca solo la superficie fredda dello specchio.

«Aiutami, fratello.»

Aiutarla? E come?

Deve ancora riaversi dalla sorpresa di vederla eseguire gli stessi suoi movimenti. L’ultima volta che l’ha incontrata era fredda, gli occhi rivolti alla luna che si era coperta dietro un velo di nuvole per non vedere quell’orrore, e la gola bianca offerta alla lama del suo assassino. Psalm.

Sembrava una bambola, una di quelle che lui le distruggeva per il solo scopo di farla arrabbiare. Désirée era quella che più di tutte le assomigliava. Bionda, occhi di cielo d’inverno e labbra rosse, con un neo civettuolo sotto l’occhio sinistro. Quando era diventato abbastanza grande da reggere in mano una spada senza darsela sui piedi, era corso nelle sue stanze, aveva tirato giù Désirée dalla consolle su cui era assisa come una regina, e le aveva distrutto gli occhi di vetro con la punta dell’arma, pian piano, rigirando il suo punteruolo improvvisato fino a quando non aveva fracassato anche parte della testa.

Quanto aveva pianto Lia! 

Suo padre aveva colto la palla al balzo e per punizione l’aveva spedito dritto filato all’Accademia Militare, cosicché imparasse ad essere un gentiluomo dabbene. Ricorda ancora che mentre la carrozza si allontanava e la casa paterna svaniva dietro di lui, sua sorella era rimasta a guardarlo andar via, sotto la pioggia battente. 

A parte i giorni dell’infanzia, passati ad inseguirla sventolandole sotto il naso i ragni o i rospi che scovava nel giardino, ha pochi ricordi di lei. Lui rivede una bambina, ma Lia, oramai, era diventata una donna. Una bella donna, assassinata senza pietà lungo le rive della Senna.

«Dimmi cosa devo fare! Lo sapevo che non potevi essere tu…»

«Ero io, invece», gli conferma lei, triste.

«Hai... Hai sofferto molto?», le domanda, infischiandosene di essere indelicato. Deve sapere, deve farsi del male, deve provare almeno una piccola parte del dolore che hanno inflitto a lei. E deve sapere chi è stato, per fargliene altrettanto, se non peggio.

Gli occhi di lei si abbassano. «Aiutami, fratello», ripete e lui annuisce. «Sì!» le grida, aderendo con il corpo allo specchio e battendo i pugni, come se potesse in questo modo abbracciarla. «Dimmi come, Lia. Dimmi come!»

«Diventa la mia armatura, fratello. Diventa l’armatura della mia anima. Perché io ho una vendetta da compiere, e la porteremo a termine. Insieme.»




C’è un’aria strana, questa sera per le vie di Parigi.

Lui indossa il vestito color della notte, sistema la coccarda sui capelli. Lei arriva dal mondo al di là dello specchio e Chevalier Sphinx è pronta ad entrare in azione. D’Éon non è più solo, lei è in lui. Fratello e sorella tornano ad essere un unico sangue ed un'unica carne, e a volare per i tetti di Parigi alla ricerca dei Poeti e del loro profano Poema. La spada è al suo fianco e non può sbagliare. Anche se il Poeta si tramutasse in gargoyle, Sphinx vincerebbe.

Loro vincerebbero.

«Morte ai Poeti!», risuona cristallina la voce di Lia mentre la spada cala sul collo dell'avversario.

E lui, in cuor suo, spera che questa guerra duri il più a lungo possibile.

 

   
 
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