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Autore: _eco    05/09/2013    5 recensioni
[Questa storia partecipa al concorso "Canzonissima" indetto da IsabellaR. sul forum di Efp]
[Rory Hawthorne/Primrose Everdeen] [Missing Moment]
- Anche noi lo siamo, Prim. Anche noi siamo dei bambini. – è tutto ciò che Rory riesce a dirle, ma nella sua mente quell’affermazione assume un tono interrogativo.
Con tutto quello che hanno affrontato, con tutto il dolore che hanno dovuto sopportare, sono davvero ancora dei bambini?
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Primrose Everdeen, Rory Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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We're just children.
Aren't we all too young to die?
- Carpe Diem, Green day
 [Primrose Everdeen/Rory Hawthorne]
 
La strada si è trasformata in un infinito sentiero carbonizzato che non ha più confini né forma, e la gente vi si accalca, incespicando. Manichini feriti, mutilati, incapaci, per paura o per impossibilità fisica, di compiere movimenti che non li facciano sembrare robot inceppati nei loro stessi meccanismi.
L’orfanotrofio del distretto somiglia tanto ad un grosso gigante gobbo, afflitto dal peso del fuoco che incombe su di lui. Ogni scossa del terreno corrisponde a un nuovo crollo della struttura. Potresti tentare di indovinare all’infinito a quale ala toccherà cedere stavolta, ma sbaglieresti sempre.
Prim sa bene che, se non fosse stato per lo spirito di sopravvivenza di sua sorella, a quest’ora sarebbe proprio lì, tra le lamiere e le fiamme. In un luogo che era una trappola già da prima del bombardamento.
Da ogni parte provengono urla e gemiti straziati, schianti sordi di strutture intere che si abbattono al suolo, scalpiccii di passi confusi e disorientati sul terreno, nomi urlati al vento, che si disperdono nel fumo grigio e pesante.
Eppure, è come se li sentisse, indistinti e precisi. I bambini che gridano, gemono e singhiozzano, lì dentro. Le loro voci, che ora sembrano affievolirsi e poi, terrorizzate, speranzose che questa sia la volta buona, che qualcuno li oda in tutto quel caos, si intensificano. La gente corre e si disperde per il distretto, ma non va in soccorso di quei bambini, non invoca i loro nomi né si addentra nelle viscere del grosso gigante in fiamme. Non ci si prende la briga di salvare i figli di nessuno.
Prim vede le loro manine, che si è ritrovata a stringere il giorno della Mietitura senza curarsi di sapere a chi appartenessero, le scorge incespicare nel fumo grigio e soffocante, lambite dal fuoco.
Immagina i loro occhi, le iridi in cui si riflette la macabra danza mortale delle fiamme, mentre suppliscono a ciò che la bocca non ha il tempo di dire: non siamo tutti troppo giovani per morire?
Una piccola folla si raduna intorno a una mano che si leva dal centro e Prim è quasi certa che si tratti di Gale. Si alza sulle punte dei piedi, incurante della gente che le corre intorno, che inciampa a due passi da lei. Cerca la chioma bionda e sfibrata di sua madre.
La trova, mentre si fa spazio a forza di gomitate tra la folla per soccorrere i feriti più gravi, che non riuscirebbero a oltrepassare la recinzione nemmeno sulle spalle di uno come Gale.
Forse ha qualche benda in più, con sé. Forse… forse possono aiutare uno o due bambini, ma è sempre meglio di niente.
Qualcosa le afferra il polso con una forza che la mette in agitazione e, d’istinto, inizia a scuotere il braccio per divincolarsene.
- Che cosa credi di fare? – grugnisce Rory, con un tono ingrossato che poco si addice al suo viso da bambino.
Rory è la fotocopia di Gale: stessi occhi grigi e grandi, stessi capelli lisci e neri. Non ha la  veemenza del fratello, però, e questo lo si capisce dal fatto che, incerto e confuso, si sta mordendo a sangue il labbro inferiore.
Prim non risponde, un po’ perché si vergogna dell’effimera speranza che sta rincorrendo – quella di portare in salvo anche un solo bambino da quella prigione di ferro e fuoco – e un po’ perché è ancora troppo sconvolta da come un paio di bombe siano riuscite a distorcere il profilo del luogo dov’è nata e cresciuta.
Ricorda dei pomeriggi trascorsi proprio lì, nel Prato che adesso stenta a riconoscere, conserva i fotogrammi che hanno reso la sua infanzia un po’ meno amara: giocare ad acchiapparello con Rory era divertente, dopotutto, anche se lui riusciva sempre ad afferrarla, in un modo o nell’altro.
Da quanto tempo non lo fanno?
Rory è costretto a seguire la direzione del suo sguardo, per capire. Giù, lungo la strada polverizzata e squarciata in profondi crateri, poco più avanti delle macerie che prima ospitavano le invitanti e inarrivabili torte dei Mellark. Poi lo vede, l’orfanotrofio, uno scheletro cigolante e curvo su se stesso, intrappolato in una gabbia di fuoco.
Sa bene che, se non fosse stato per le nocche ruvide di sapone di sua madre e per le spalle da minatore di Gale, sarebbe chiuso lì da un pezzo: lui, Vick e Posy. Ma, dall’alto dei suoi tredici anni, è conscio che entrare lì dentro significherebbe morte sicura.
Un leggero velo di vergogna gli si dipinge sul volto. Rory è certo che, anche in circostanze migliori, non avrebbe il coraggio di addentrarsi in quell’inferno per aiutare bambini con cui non ha nemmeno mai parlato. Mentre Prim è così candida e altruista. E folle, in questo momento.
Deve dissuaderla da questa pazza e sconclusionata idea di poter trovare ancora qualcuno vivo, lì dentro.
- Non se ne parla assolutamente. – sentenzia, tirandola verso sé.
Ma lei, esile e minuta com’è, non desiste. Pianta i piedi per terra, benché si sia un po’ destabilizzata per via dello strattone.
- Sono solo dei bambini, Rory. – mormora, guardandolo negli occhi, le labbra strette in una morsa che non vuole lasciar sfuggire nemmeno l’accenno di un singhiozzo.
All’improvviso, Prim sembra avere il doppio della sua età. Le sue iridi color del cielo assumono un’espressione profonda, si velano di una cortina solida e salata a cui la ragazzina impedisce caparbiamente di sciogliersi e rotolarle sulle guance rosee. Inclina lievemente il collo, e stavolta è lei a rafforzare la presa sulla mano sudaticcia e calda di Rory.
Rory scruta quel che rimane del vecchio orfanotrofio, e lo sa, accidenti, lo sa che non è giusto. Che tutto questo – il fuoco, la distruzione, la sua casa sconquassata dalle esplosioni e accartocciata in una posa irriconoscibile – è sbagliato. Vorrebbe davvero poter fare qualcosa, ma in lui c’è ancora la certezza che non avrebbe abbastanza fegato da percorrere più di una decina di passi verso le fiamme che ancora divampano laggiù. Tuttavia, sa che è materialmente impossibile che qualcuno sia ancora in grado di respirare, lì dentro. Ed è egoistico, lo sa, ma la consapevolezza di ciò lo assolve, in parte, dal senso di colpa che quasi lo soffoca.
Pian piano, ad ogni trave che crolla, ad ogni scossa del terreno, anche Prim capisce che non c’è niente che possano fare.
Vede le manine immobili e carbonizzate, e quella domanda, sempre la stessa, fossilizzata negli occhi di bambini ormai senza vita: non eravamo tutti troppo giovani per morire?
- Anche noi lo siamo, Prim. Anche noi siamo dei bambini. – è tutto ciò che Rory riesce a dirle, ma nella sua mente quell’affermazione assume un tono interrogativo.
Con tutto quello che hanno affrontato, con tutto il dolore che hanno dovuto sopportare, sono davvero ancora dei bambini?
Un'altra esplosione. L’ultima. Il gigante di lamiera cede del tutto, i piedi tremano, le ginocchia quasi si sgretolano per l’improvviso scossone del suolo.
Prim china il capo, come per nascondere qualcosa, e Rory è quasi certo che quella cortina salata si sia liquefatta, ma non si sente in diritto di scrutarla alla ricerca delle lacrime che probabilmente le stanno rigando il volto.
Si limita a trascinarsela dietro, muovendo passi pesanti sui fili d’erba rinsecchiti del vecchio Prato, sperando ardentemente che il fumo caldo e soffocante delle esplosioni non gli porti via anche il ricordo delle giornate trascorse in quella distesa un tempo verdeggiante.
Ti prendo, Prim! Ti prendo!, gli sembra di sentire la propria voce vorticare intorno a lui e alternarsi alle risate di Prim, quasi vede il bambino che è stato scorrazzare in mezzo all’erba, rincorrendo la sua amica dalle trecce bionde.
 
***
Quando glielo riferiscono, quando Gale lo guarda fisso negli occhi e gli racconta quel che è successo a Prim, Rory entra in una sorta di trance, in un limbo sospeso tra la confusione e il rifiuto di una realtà troppo atroce.
E pensa che Prim era ancora una bambina. Che non doveva morire.
Eppure… eppure è successo.
Ti prendo, Prim! Ti prendo!
Rory riusciva sempre ad acchiappare Prim quando giocavano a rincorrersi, ma questa volta lei l’ha colto di sorpresa. Ha corso più velocemente di lui.


 
Angolo autrice:
Ho scritto su una “coppia” che non è praticamente nemmeno accennata nel libro, ma chi se ne frega? Quando ho letto la frase, ho pensato subito a Rory e a Prim durante l’esplosione, ma anche a tutti quei bambini che sono rimasti intrappolati nell’orfanotrofio di cui Katniss parla più volte nel primo libro.
Non credo che ci sia molto da chiarire, spero solo di non aver scritto una boiata dopo l'altra. Ci sono molto affezionata, ad ogni modo, perciò mi farebbe piacere ricevere i vostri pareri, che siano critiche - costruttive, please - o apprezzamenti.
Dimenticavo: questa storia partecipa al concorso "Canzonissima" indetto da IsabellaR. sul forum di Efp e s'ispira ad una frase di Carpe Diem, dei Green Day, che avrete sicuramente spero notato sotto il titolo.
Bene, mi eclisso.
Un bacio!
S.

 
 
  
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