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Autore: nephylim88    05/09/2013    5 recensioni
Dal testo:
“TOM! TOM!” strillò, istericamente. Lui uscì di casa con una rapidità sorprendente, e un'espressione quasi di panico stampata in faccia. In mano aveva una pistola.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Ho scritto questa storia ispirandomi a un sogno che ho fatto qualche giorno fa (influenzata, credo, da un vecchio film che ho visto l'anno scorso. Non chiedetemi che voli fa la mia psiche, in 25 anni non l'ho ancora capito!

Ad ogni modo, se devo essere sincera questa storia non risulta tra le mie preferite, almeno come trama. Infatti preferisco “Azzurrina” o “La lupa”. Spero che a voi piaccia!

Giusto per gradire, ho messo un po' di riferimenti, più o meno espliciti. Vediamo se li cogliete!


Lucy Edgecombe rientrò in casa e appese la borsa all'attaccapanni dell'ingresso, con un lieve sospiro stanco.

“Tom?” chiamò. La sua voce si perse nella penombra della casa. Nessuna risposta. 'Whew' pensò con sollievo. Si guardò alla specchiera dell'ingresso. Una donna alta e magra, con un vestito grigio che le arrivava a malapena al ginocchio e i tacchi a spillo, le restituì lo sguardo. Si riavviò i capelli castani, piuttosto corti dietro, con un ciuffo lungo fino al mento sul davanti, con un gesto della mano. Sapeva bene che, per la sua età, era una gran bella donna. Non che fosse vecchia, no, affatto. Ma molte donne di trentacinque anni cominciavano già a sfasciarsi fisicamente: un filino di pancetta che non se ne va, cellulite ostinata, zampe di gallina, capelli bianchi. Se anche restavano magre, una volta messe in costume era già evidente il lieve declino fisico... ma lei no. Il suo fisico era ancora tonico e asciutto, aveva al massimo un capello bianco, o due, in testa, e il suo viso era ancora piuttosto liscio, sebbene, lo vedeva già da un pezzo, la sua pelle stava perdendo elasticità. Dopotutto, neanche lo stile di vita da signora ricca sfondata poteva salvarla dai segni della vecchiaia in eterno. E in fondo, neanche voleva che lo facesse. Almeno suo marito avrebbe avuto un buon motivo per ignorarla.

C'era anche un altro fattore che comunque aveva rallentato il suo processo di invecchiamento, rispetto a quello delle sue amiche. Non aveva figli. A quel pensiero, dovette reprimere un singhiozzo. Era anche quello ad averla messa in crisi col marito. Erano sposati da tredici anni, avevano fatto tentativi su tentativi, fino a quei dannati test della fertilità. Lei era risultata fertile, Tom no. Da quel momento (erano passati cinque anni), lui si era distaccato da lei. Non la guardava più in faccia, in privato non si parlavano se non per comunicazioni strettamente necessarie. Si era chiesta più volte perché non chiedeva il divorzio. E la risposta era stata inequivocabilmente la stessa: perché lo amava. Al di là del fatto che per lei essere sposati era un vincolo che non avrebbe mai sciolto di sua spontanea volontà, al di là degli ottimi motivi che avrebbero giustificato il divorzio... lei lo amava. Con tutta l'anima. Nonostante la sua indifferenza, nonostante il fatto che non facevano più l'amore da un bel pezzo, nonostante sapesse che il suo orologio biologico stava ticchettando incessantemente, e che questo le spezzava il cuore... lei semplicemente lo amava, e l'idea di lasciarlo la distruggeva ancora di più dell'idea di non poter avere figli. Lo amava talmente tanto che, nonostante tutto, non si era presa un amante. Non era sicura della fedeltà di Tom, ma non aveva voglia di pensarci. Avrebbe affrontato tutto una volta che fosse venuto alla luce. Sempre che ci fosse qualcosa.

Afferrò il quotidiano che aveva in borsa e si mise in sala da pranzo a leggere, seduta al tavolo da pranzo di cristallo. Diede una vaga letta alla prima pagina, prima di rinunciare. L'unica notizia di rilievo era un'ennesima morte di una persona da parte di una creatura misteriosa. Ormai erano tre mesi che non si parlava d'altro: un animale misterioso, tre mesi prima, aveva cominciato a uccidere persone tutte le notti, o quasi. Per lo più si trattava di barboni, o di persone che magari tiravano tardi la notte. La polizia era andata a cercare in tutti gli zoo e i circhi che c'erano in zona, ma nessuno di essi aveva denunciato la scomparsa di un qualsivoglia animale. Soprattutto feroce.

Ormai si era arrivati al punto di credere a vecchie superstizioni. Lupi mannari e quant'altro. “Tsk! E lo chiamano giornalismo serio!” aveva bofonchiato Tom. Lucy si era trattenuta dal rispondergli con la citazione di Sherlock Holmes “eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, è la verità”. Le opzioni erano due: o era scappato un animale da uno zoo privato (e illegale, motivo per cui non era stata sporta denuncia), o bisognava cercare tra le creature soprannaturali. Lucy propendeva a credere alla prima ipotesi, anche se una parte di lei, molto piccola e molto repressa, la considerava un po' traballante, visto che avevano parecchie conoscenze, che avevano le loro conoscenze, e non tutte esattamente delle brave persone, e nessuna di loro aveva mai importato, legalmente o meno, un animale feroce. Né tantomeno erano giunte voci al riguardo. Ma non avrebbe mai ammesso davanti a suo marito che, sotto sotto, credeva a certe “storie da taverna”, come le definiva lui.

Yanez, il loro gatto Bengal, si strusciò contro le sue gambe, reclamando cibo. Sospirando, Lucy si alzò e si diresse in cucina. Tirando fuori il cibo per il gatto, pensò al fatto che era il compleanno di Tom. Trentasette anni. Gli aveva comprato il regalo. Lo faceva sempre, nonostante tutto. Forse sperava di sfondare quella barriera di silenzio, facendogli regali. Non aveva il coraggio di affrontarlo a viso aperto.

“Tesoro?” la voce di Tom rimbombò nella sala da pranzo. Il cuore di Lucy guizzò, speranzoso.

“Ehi, Lucy?” si aggiunse la voce di Philip, lo psichiatra che era anche uno dei soci di suo marito. Seguiva le pazienti in clinica in caso di operazioni molto grosse (cambio di sesso, ricostruzione del viso e del corpo dopo incidenti gravi e cose del genere). La speranza di Lucy si spense. Ma certo. Ormai quel 'tesoro' era un vezzeggiativo di facciata.

“Sì? Eccomi!” rispose, in tono falsamente allegro, mentre si chinava sulla ciotola del gatto, che la guardava come a dire (le piaceva pensarlo, almeno) 'che vita di merda che fai!'. 'Esatto, Yanez. Proprio una vita di merda!' pensò lei, mesta.

Si alzò e andò in sala da pranzo a salutare l'ospite.

“Ehi, Philip! Come va?”

“Bene, Lu, bene! E tu? Hai un aspetto splendido!”
“Sai, si fa quel che si può!”

Philip rise. 'chissà se si è mai accorto di come va tra me e Tom.' pensò mestamente la donna.

Una delle sue migliori amiche le aveva detto che Philip era un bel bocconcino. In effetti aveva ragione. Era alto, atletico, con i capelli castano-rossicci, gli occhi verdi e la mascella squadrata. A fianco a Tom era ancora più bello, visto che suo marito non lo si poteva definire propriamente un adone. Era più basso di Philip, e aveva i capelli neri, ma era già parecchio stempiato, il che accentuava anche il suo naso importante. In più, aveva un po' di pancetta. La madre di Lucy, vedendoli così accoppiati, le aveva spesso chiesto che diavolo ci faceva uno così con una donna spettacolare come lei. Non che sua madre fosse il massimo dell'affabilità e della profondità, diciamocelo...

Ad ogni modo, nonostante la netta differenza tra i due uomini, lei comunque continuava a preferire suo marito.

“Cara,” intervenne Tom “per stasera ho invitato un po' di gente!”

“Cosa? Perché non me l'hai detto prima?” sbottò, sentendo la rabbia montarle dentro. Cavolo, erano davvero arrivati a quei livelli?

“Rilassati, ho chiamato il catering, a minuti arriveranno.” la liquidò Tom, tornando a parlare con Philip, che la guardò con aria dispiaciuta.

Lei tacque, tremando impercettibilmente. Le costò uno sforzo enorme non scoppiare a piangere.

“Posso sapere almeno chi avremo a cena?”

Tom la ignorò.


'Almeno c'è gente che sembra simpatica...' si ritrovò a pensare Lucy con aria sconsolata, tre ore più tardi. Ovviamente, non conosceva nessuno, e non aveva parlato con nessuno per tutta la sera, fatta eccezione di Philip. E neanche con lui aveva parlato poi così tanto.

'Dai, reggi ancora per un'ora. Anzi, no, basta che superi la consegna dei regali, poi ti defili con una scusa! Dai, ancora per poco!'

In quel momento, un'ospite, una donna bionda alquanto procace, di cui Lucy non ricordava il nome, si alzò, trillando: “È con immensa gioia che siamo qui a festeggiare il compleanno di quest'uomo meraviglioso!” 'Oh, certo, ecco la cerimonia di rito!' pensò tra sé e sé Lucy, sarcastica “voglio solo farti, sapere, Tom, che siamo lieti di averti come amico” 'come no, visto che probabilmente ti ha rifatto le tette gratis, leccapiedi!' “e di conoscere finalmente la tua splendida e dolcissima moglie!” 'da quando sei qui manco mi hai cagata, ipocrita!' “Propongo un bel brindisi!” 'Sé, lunga vita a Kuzko!'

Levarono in alto i calici.

Poi gli ospiti consegnarono diversi pacchetti a Tom. Anche Lucy glielo porse, con un sorriso forzato sulle labbra. Almeno Tom ebbe la decenza di aprire il suo per primo.

Aprì la scatolina, contenente due splendidi gemelli e un fermacravatta di platino. Lui ampliò lievemente il sorriso, poi lo mise da parte con un semplice “bello, bello.”

Fu a quel punto che Lucy esplose. Anni di mutismo forzato, di finzione, di regali pressoché ignorati, di compleanni e anniversari passati sotto silenzio cominciarono a girare vorticosamente dentro di lei. E alla fine ebbero il sopravvento. Fissione.

“Maledetto figlio di puttana.” sbottò, la voce resa rauca dalla collera.

Nella sala cadde il silenzio.

“Come, prego?” Tom si girò a guardarla, stupefatto. Sembrava vederla per la prima volta.

“Ma come ti permetti? Ho speso una fortuna per quel regalo, e mi dici solo un 'bello, bello'? Siamo davvero arrivati a questo punto? Mi odi davvero così tanto?”

“Tesoro, non credo sia il momento giusto per...”

“Perché? Hai paura che gli altri scoprano quello stramaledetto deserto che è nostro matrimonio?” Lucy si voltò verso gli ospiti. “Lo sapete che, da quando ha saputo che non possiamo avere figli, che non PUÒ avere figli, non mi guarda più in faccia? Non mi parla più?”

“Lu, ti prego, non ora...”

“NO! BASTA! Io sono stufa! Lo sai che sono stufa, vero? Lo sai? Non è colpa mia se non possiamo avere figli! Non è colpa di nessuno! E tu mi tratti come un'appestata da cinque anni! Non so neanche perché non ti lascio! Anzi, non so neanche perché non mi lasci tu! Perché non lo fai, dannazione?” singhiozzò, la donna. Una parte di lei rimase sorpresa nel vedere che gli occhi di suo marito si stavano inumidendo, ma era talmente furibonda che cacciò la sorpresa in fondo alla sua mente. Gli ospiti la guardavano allibiti, tremante e singhiozzante nel suo vestito firmato. Quasi sicuramente qualcuno si stava chiedendo come poteva una donna come lei manifestare così tanta infelicità. 'Beh, sorpresa, cari miei. I soldi, una bella casa, un marito ricco sfondato grazie al suo lavoro di chirurgo plastico non fanno la felicità' pensò istericamente. Poi girò sui tacchi e corse in camera da letto.


Un quarto d'ora dopo era stesa a letto, piangendo sommessamente e pensando continuamente 'fra cinque minuti mi alzo e torno a vivere da mia madre', come una litania. All'improvviso la porta si aprì.

“Tesoro?” la voce di Tom arrivò dolce alle sue orecchie.

“Chi c'è con te?” rispose con voce rotta.

“Nessuno. Ho mandato via gli ospiti.”

Lucy si girò verso di lui, che era rimasto sulla soglia.

“Mi dispiace averli fatti scappare.”

“A me no. A parte Philip, non sono amici miei.”

“E allora perché li hai invitati?”

Lui tacque un secondo, prima di rispondere “non volevo stare da solo con te, stasera.”

Il cuore della donna perse un battito.

“Perché mi odi, Tom?” esalò, singhiozzando.

“Io non ti odio.”

Calò il silenzio. Lentamente, Tom si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei.

“Vedi” disse dopo un po' “quando abbiamo avuto i risultati delle analisi, sono come crollato. Sapere che non potevo avere figli da te... mi distruggeva. Mi distrugge ancora.”

“Ma perché trattarmi così? Buon Dio, Tom, perché?”

“Perché non ce la facevo ad affrontarti. io... mi sono sentito un mezzo uomo...”

“E invece di parlarmene, hai preferito ignorarmi?”

“Mi dispiace, ti giuro che mi dispiace. Ci ho messo un po' a riprendermi dal quel colpo, e quando mi sono ripreso... beh, ho continuato a rimandare il momento in cui avrei dovuto parlartene. Più passava il tempo, meno vedevo il senso di parlare con te... non fraintendermi!” continuò, vedendo che Lucy stava per interromperlo “non voglio dire che è colpa tua, sapevo che mi avresti capito. Avevo solo paura di ammettere che mi sentivo in colpa.”

“Perché? Non è colpa tua se non puoi avere figli!”

“Ma è colpa mia se non puoi essere felice. Era la mia sterilità a farti del male.”

“Mi ha fatto molto più male come mi hai ignorato in questi anni. Tom, se fossi rimasto al mio fianco, probabilmente me la sarei messa via. Mi sarei rassegnata a restare senza figli. Sì, l'idea di non averne mi rattrista ancora. Ma mi hai lasciata sola. E questo è stato di gran lunga peggiore. Mi sei mancato da morire!”

“Mi dispiace.”

“Sai che questo non sistema le cose, vero?”

“Lo so. La prima cosa che farò domattina sarà contattare un avvocato. Meriti di rifarti una vita.”

Lucy rimase in silenzio per un po'. Poi disse “se avessi voluto divorziare, l'avrei già fatto. Ma non voglio lasciarti. Non voglio che finisca.”

“Allora cosa proponi?” Lucy fu lieta nel vedere il sollievo negli occhi di Tom.

“Terapia di coppia.”

“Chiamerò Philip domani. Magari accetterà di farci da terapeuta. O ce ne consiglierà uno bravo.”

Calò di nuovo il silenzio. Lucy si domandò cosa potessero dirsi due coniugi dopo anni di convivenza vissuta come due estranei.

“Che ne dici? Ti va un cocktail?” la voce di Tom interruppe il silenzio.

Lei annuì. “Volentieri!” rispose, con un mezzo sorriso.


Due ore dopo erano ancora all'angolo bar del soggiorno, ubriachi fradici. Ridevano per qualsiasi idiozia. Lucy si sentiva la testa leggera e lo stomaco pesante. Se avesse continuato a bere, probabilmente avrebbe vomitato.

“Vado a prendere un po' d'aria fresca!” biascicò, con un singhiozzo. Suo marito fece un vago segno con la testa. Lei si alzò e barcollando uscì sul patio. L'aria frizzante della notte le snebbiò lievemente il cervello, anche se sentiva di essere ancora molto ubriaca. Con i piedi scalzi si diresse caracollando verso il giardino. La luce della luna illuminava lievemente il suo cammino, ma lei non faceva caso a dove poggiava i piedi. Camminava col naso all'insù, come faceva quand'era bambina e voleva ammirare le stelle. All'improvviso inciampò su qualcosa di morbido. L'erba era diventata viscida ('viscida?'), così non riuscì a mantenere il suo equilibrio precario e cadde a terra. Sghignazzò allegramente per tre secondi, giusto il tempo di vedere su cosa era inciampata. A quel punto la risata si spense, e l'euforia, la confusione e la leggera acidità di stomaco che le davano sempre gli alcolici sparirono di colpo. Davanti a lei, in una pozza di sangue e viscere, stava la biondona che aveva proposto il brindisi, a cena. L'espressione di terrore era ancora visibile sul suo viso. Le ci vollero tre secondi per realizzare il quadro della situazione.

“TOM! TOM!” strillò, istericamente. Lui uscì di casa con una rapidità sorprendente, e un'espressione quasi di panico stampata in faccia. In mano aveva una pistola.

“Lucy, tutto be... oh mio Dio, Delia!” esclamò Tom avvicinandosi alla moglie e al cadavere. Lucy era ancora a terra, sconvolta. Sentiva che stavano per venirle dei conati, quando sentì un basso ringhio provenire da un cespuglio di calicanto che stava a una decina di metri dietro di lei. Continuando a stare seduta a terra, si girò. Urlò ancora più forte quando dal cespuglio vide uscire una bestia. Sembrava un enorme gatto nero, con le orecchie arrotondate e l'aria non proprio amichevole.

“Buon Dio, è una pantera!” esclamò Tom, sorpreso.

Sì, era una pantera... ma che pantera! Era enorme, molto più grande del normale. La bestia cominciò ad avvicinarsi ai due coniugi con movimenti lenti e fluidi. Lucy era paralizzata dal terrore. A circa cinque metri di distanza, la pantera si acquattò, pronta ad attaccare. Lucy cominciò a tremare e singhiozzare, certa che ormai fosse la sua fine. 'Signore, perché proprio adesso? Perché proprio quando ho speranza di risistemare le cose con Tom?'. Quando la pantera balzò, la donna chiuse gli occhi. In quel momento si udì uno sparo, seguito da un mugolio. Lucy aprì prima un occhio e poi un altro. La pantera stava stesa col ventre all'aria davanti a lei, morta. Gli occhi verdi erano spalancati e fissavano il cielo senza vederlo.

“Lucy... santo cielo, stai bene?” Tom corse a fianco a lei. Lei si aggrappò a suo marito, piangendo istericamente. La pistola ancora fumava.

“Dobbiamo chiamare la polizia...” riuscì a mormorare dopo un po', contro la sua spalla.

“Certo, cara, certo! Andiamo!”

La aiutò a rialzarsi. Poi entrambi si voltarono verso la bestia.

“Tom! Guarda!” strillò Lucy.

La bestia stava cambiando forma. Stava rimpicciolendo, e il pelo si stava riassorbendo, tramutando la pelle sottile dei felini in pelle umana. Il muso si ritirò, trasformandosi in un viso umano. Un viso che conoscevano.

“Oddio... Philip!”

Il cadavere del socio di Tom era apparso al posto di quello della pantera. Tom tremava, sconvolto. Dopo un paio di minuti, il corpo di Philip scomparve, trasformandosi in una nebbiolina che venne assorbita dal terreno.

I due coniugi rimasero in silenzio per un bel pezzo a guardare il punto dove prima c'era Philip. Poi, lentamente e senza dire una parola, entrarono in casa per chiamare la polizia.

  
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