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Autore: Flami Destrangis    06/09/2013    5 recensioni
Durante la presentazione dell'ultimo libro di Yusaku Kudo a Tokyo, a seguito di un errore Conan torna a rivestire i panni di Shinichi, risolvendo il macabro caso di omicidio in cui si trovano implicati. Nonostante cerchi come al solito di nascondere la sua comparsa, il giorno successivo sul giornale compare una foto della serata in cui sono ritratti lui e Ran. La nuova apparizione del detective liceale più famoso del Giappone sembra destare molto interesse: ma, allo stesso tempo, smuoverà le acque di una storia che non tutti vogliono riportare a galla.
“Mi piacerebbe correre fuori, lavarmi tutto di dosso. Lasciare scorrere sulla pelle ogni problema, ogni preoccupazione, ogni maschera e ruolo ed essere soltanto l'uomo che c'è oltre questo paio di occhiali e quella cravatta che mi piace tanto portare. Che cosa resterebbe secondo te?”
Il padre sembrò lanciargli uno sguardo disperato, come a chiedere aiuto. Come se avesse davvero paura che potesse non rimanere più nulla oltre tutto quello che ogni giorno lo ricopriva. Conan sorrise appena e gli porse la copia di "In bianco e nero" che teneva in mano.
“Ma che domande sono, papà. Lo sai anche tu: resterebbero i tuoi libri"
Genere: Drammatico, Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In bianco e nero


 “I tuoi veri educatori e formatori ti svelano il senso originario e la materia 
fondamentale del tuo essere, qualcosa che non si può assolutamente né educare
né formare, ma in ogni caso di difficile accesso, perché legato, paralizzato:
i tuoi educatori non possono essere nient'altro che i tuoi liberatori.
E' questo il segreto di ogni formazione: essa non dà membra artificiali,
nasi di cera, occhi occhialuti - doni che solo la falsa immagine dell'educazione può dare.
Essa è vera liberazione.”
(F. Nietzsche)




2. Padre e figlio

 
Il primo passo che Ran mosse non appena scesa dalla macchina fu più incerto del solito. Non era abituata a camminare sui tacchi alti, e il rischio di cadere rovinosamente a terra la faceva arrossire al solo pensiero. Kogoro le offrì il suo braccio, a cui la ragazza si appoggiò sorridendo.  Camminarono sul tappeto rosso che conduceva fino all'entrata dell'hotel, posto appositamente per l'occasione. Era strano percorrere a braccetto con il padre quella passerella: le sembrava di essere una star, oppure una sposa emozionata al momento delle nozze. Conan era rimasto di proposito qualche passo indietro: osservava Ran ondeggiare su quelle scarpette da Cenerentola, splendente più che mai nel suo lungo vestito verde. Si ritrovò a fantasticare della vita che avrebbe voluto vivere. Lui, Shinichi Kudo, a braccetto con Ran, camminando insieme verso la sfarzosa entrata dell'hotel. Ran con il suo vestito scollato, stretto in vita e poi largo, giù, fino a coprirle le scarpe di vernice nera con il tacco. E quelle spalline sottili così facili da abbassare, coperte da un coprispalle anch'esso nero. Ran era semplicemente deliziosa e lui un bambino con uno smoking che lo faceva sembrare un idiota e il raffreddore: che disdetta la vita. Prima di salire gli scalini che conducevano all'entrata, la ragazza si girò: “Stammi accanto, Conan, o finirai per perderti. Guarda quanta gente.”
In effetti la hall era piena zeppa di invitati: gli uomini rigorosamente in giacca e cravatta o in smoking, e le donne in vestito e tacchi. Solo qualche audace si era presentata con un paio di ballerine ai piedi. Sembrava la tipica serata di beneficenza dei ricchi: mostrare i propri soldi e la propria attenzione per i più bisognosi. Semplice apparenza. Esattamente come descritto nel libro. Conan sorrise, partecipare a quella presentazione dopo aver letto il libro aveva senza dubbio un sapore diverso: per un attimo gli sembrò di vivere davvero in un'altra dimensione. Chissà se il padre avrebbe rivelato nel corso della presentazione che lo scenario ricreato nell'albergo era perfettamente uguale a quello del libro. 
Entrarono, mostrando il proprio invito. Un uomo in camicia bianca e pantaloni neri indicò loro la direzione da percorrere per arrivare fino alla sala dove si sarebbe svolto il rinfresco. C'era una strana fragranza nell'aria, dal profumo sembrava quasi incenso. Ai lati del corridoio delle piccole candele indicavano il cammino. La sala del rinfresco era la stessa dove, qualche mese prima, Conan e Ai si erano intrufolati seguendo le tracce dell'Organizzazione, eppure di quel grande salone ora come ora non rimaneva più nulla. Conan si guardò attorno estasiato: ai lati della sala vi erano moltissimi specchi, che creavano un gioco illusorio incredibile. Lo spazio e le persone si moltiplicavano, come se non esistessero più pareti né confini. Ran girò su se stessa, e ogni muro le rimandava indietro il suo vestito verde e il suo sguardo attonito.
“E' meraviglioso.” disse in un sussurro.
Il grande lampadario centrale era stato ripristinato, più splendente che mai, e illuminva la sala di una luce chiara e uniforme, senza ombre. Ai lati lunghe tavolate erano ricolme di antipasti e cibi di ogni tipo e nazionalità: dai piatti tipici giapponesi al riso alla cantonese, dal pesce alle verdure, davvero non si poteva non trovare qualcosa che piacesse. E, proprio come era descritto nel libro, accanto ad ogni vassoio vi era una piccola bandierina che indicava il luogo di provenienza della ricetta. Dei camerieri vestiti come l'uomo che li aveva ricevuti passavano tra gli invitati con grandi piatti da cui era possibile prendere un bicchiere di vino, un aperitivo alcolico o analcolico, o dei drink per chi non aveva intenzione di aspettare il dopocena. Lo spumante sarebbe stato servito solo in seguito, insieme ai dessert. Sul piccolo palco che era stato allestito in fondo alla sala, un uomo in giacca e cravatta, perfettamente rasato, ricordava ai gentili ospiti che era possibile lasciare le proprie offerte al banco vicino al palco. Già alcune persone erano effettivamente in fila. 
“Ehi, papà. Guarda, lì c'è la mamma.”
Eri Kisaki, stretta in un elegante tailleur nero, si trovava dall'altra parte della sala, e sorseggiava tranquillamente il suo aperitivo alla frutta. I capelli lasciati sciolti le ricadevano fluenti sulle spalle, ondeggiando ogni qualvolta muoveva il capo. Per quella sera aveva lasciato da parte i suoi occhiali, e ora i lineamenti del viso erano chiaramente distinguibili, gli occhi ricamati da una matita azzura e dal mascara che contrastava perfettamente con quel blu così puro. Ran si fermò a guardarla per un attimo, ammirata. Sua madre aveva davvero l'aria di una donna in carriera: era perfetta, elegante e terribilmente affascinante. Chissà se anche lei da grande sarebbe stata così. Con quel tailleur così azzeccato da sembrarle quasi cucito addosso e Shinichi accanto a lei, giacca, cravatta e camicia bianca: sì, sarebbero stati davvero una bella coppia. 
Nel frattempo Kogoro, senza perdere un attimo, era accorso a salutare. Quella sera, così brillantemente vestito, sembrava un'altra persona: era sicuro più che mai che Eri non avrebbe trovato niente da ridire. Anzi, sarebbe caduta ai suoi piedi, pur facendo di tutto per non darlo a vedere. 
“Kogoro!” esclamò la donna, vedendolo. Lo osservò per qualche momento, stupita: non ricordava davvero che suo marito fosse un tale bell'uomo. La barba rasata alla perfezione, i capelli pettinati, e i soliti immancabili baffetti che l'avevano sempre attirata. “Ti trovo in forma.”
“Non posso fare a meno di dire lo stesso di te.”
I due si guardarono ancora per qualche secondo e poi distolsero lo sguardo, imbarazzati. Davvero non bastava una vita per imparare a gestire certe situazioni. Si conoscevano da più di vent'anni, eppure ancora alle volte arrossivano nel guardarsi negli occhi: era questo il segno più grande del fatto che fossero perfetti l'uno per l'altra, ma solo loro sembravano non rendersene conto. Arrivò Ran a salvare la situazione, stroncando sul nascere la possibile banale conversazione che prima o poi sarebbe cominciata con qualche domanda del tipo “Come va il lavoro?”.
“Mamma! Come stai? Sei stupenda.”
“Ran, tesoro.” rispose la donna, abbracciando stretta la figlia. “Ma guardati, cresci di giorno in giorno e ti fai sempre più bella. Sei già una donna, e io devo ancora abituarmi all'idea.” 
Sul suo sorriso si appoggiò un velo di malinconia. Ran cresceva e lei non la vedeva di frequente come avrebbe voluto. Ran era maturata in fretta, questo era vero, però aveva solo diciassette anni, e ancora bisogno di una figura di riferimento nella sua vita. E invece cosa aveva fatto lei? Se n'era andata, lasciandola a gestire da sola una casa e un padre come Kogoro. Forse aveva sbagliato tutto. Se solo non fosse stato per Kogoro, lei.. ma no, non era quella la serata giusta per arrovellarsi il cervello. Quella sera non doveva più pensare a nulla, divertirsi e basta: e, più di tutto, stare un po' con sua figlia.
“Ehi, ciao, Conan. Ma guarda un po' che carino che sei con questo smoking. Un vero ometto.” Gli scombinò i capelli con fare affettuoso, mentre Conan ringraziava con ben simulato piacere. Ormai ci stava facendo l'abitudine a essere trattato come un bambino, anche se tutte quelle dimostrazioni d'affetto e di tenerezza continuavano a infastidirlo: inoltre, da quando era intrappolato in dei vestiti taglia sette-otto anni, si era accorto di come spesso gli adulti, forse involontariamente o forse no, parlino ai bambini come se fossero dei completi idioti. Ogni parola scandita, ogni concetto spiegato nel modo più semplice, oppure la solita domanda “Sai cosa vuol dire questo?”. Conan si stampò il suo sorriso da bambino in faccia, ben deciso a non toglierselo più. Ran sembrava meno sconsolata: sorrideva parlando con la madre, e solo di tanto in tanto si guardava intorno, alla ricerca di qualcuno che Conan sapeva non sarebbe arrivato.
“Prima ho parlato con Yukiko, vi stava cercando per salutarvi. Però ora non la vedo più..” diceva intanto Eri, voltando il capo di qua e di là e aguzzando lo sguardo, “Ah, eccola lì. Vicino al palco.”
Si avvicinarono e, non appena la donna li vide, venne loro incontro con un sorriso largo quanto il suo volto. Yukiko portava uno splendido vestito blu, lungo e privo di spalline. Una fascia lo teneva stretto in vita, accentuando la perfetta forma fisica della donna. La sua chioma castana era acconciata in una una treccia che scivolava sopra la spalla destra: sull'orecchio sinistro scintillava un grazioso orecchino pendente a forma di clown. Conan c'avrebbe giurato: gli orecchini con il clown erano quelli che, nel libro, indossava la moglie del romanziere. Ma come aveva fatto sua madre a trovarli? Forse se li era fatti fare appositamente per l'occasione. Che spreco di tempo e di soldi, pensò il piccolo detective.
“Ran! Kogoro! Da quanto tempo!” esclamò con il suo solito tono allegro. “Ma come, non state bevendo nulla? Permettetemi.” e chiamò uno dei camerieri che passava di lì in quel momento. “Un bicchiere di buon vino per il nostro famoso detective e un aperitivo alla frutta per la ragazza più bella della serata.”
Mentre pronunciava queste parole, Yukiko guardò Conan con la coda dell'occhio. Il bambino, che aveva alzato indispettito il sopracciglio al sentire la prima parte della frase, arrossì invece alla seconda, sbirciando la sua meravigliosa Ran.
“E per il piccolo Conan invece?” gli chiese affettuosamente.
Sua madre gli sorrideva complice. Era così strano essere madre e figlio e non potersi comportare come tali. Anche se, da una parte, Shinichi ne era contento: almeno avrebbe potuto evitare le solite ed esagerate dimostrazioni d'affetto della donna.
“Io non prendo nulla, grazie. Magari un bicchiere d'acqua.”
Il raffreddore gli aveva ammazzato del tutto l'appetito, e stava cominciando anche a sentirsi una terribile stanchezza addosso. Ma cercava in tutti in modi di non darlo a vedere: non voleva far preoccupare inutilmente Ran che doveva già avere tanti pensieri per la testa. 
“Ah, Ran.” aggiunse Yukiko, porgendo il bicchiere d'acqua a Conan, “Shinichi ti avrà scritto che probabilmente non riuscirà a venire. Purtroppo non è riuscito a liberarsi.”
La ragazza annuì, cercando di sorridere. Si vedeva che non era felice, ma stava pian piano accusando il colpo. Ormai si era abituata, per quanto ci si possa abituare a non vedere mai la persona che si ama. 
“Posso farti una domanda?” chiese, per tutta risposta. Conan alzò lo sguardo incuriosito.
“Certo, dimmi tutto.”
“Non sei mai preoccupata per Shinichi? Insomma, lui non si fa mai vivo, sempre ad indagare su questi casi pericolosi..”
Yukiko alzò gli occhi a guardare il soffitto, e portò l'indice sotto al mento, come se stesse cercando di portare ordine nella sua mente ed elaborare la risposta. Alla fine si sciolse in un sorriso pieno di tranquillità.
“Beh, penso sia naturale per una madre preoccuparsi per il proprio figlio. Però vedi, ho fiducia in lui e so che sa cavarsela da solo anche nelle situazioni più complicate. E poi, alle volte, è un po' come se sapessi sempre quello che fa o se lo avessi accanto. Non è così anche per te Conan, che non vedi mai i tuoi genitori?” Il bambino si affrettò ad annuire, con il solito sorriso stampato in faccia: ma che razza di domande gli faceva sua madre? “D'altra parte, se gli dicessi di non perdersi in tutti quei casi complicati su cui ama riflettere, so che non mi darebbe retta. E' un po' come se dicessi a mio marito di smettere di scrivere: ne morirebbe. Sono sicura che Shinichi tornerà presto a farsi vivo, Ran, e che ti pensa più di quanto tu possa immaginare. Fidati, certe cose le madri le capiscono!” concluse con una risatina maliziosa. Sentiva gli occhi infuocati del figlio puntati addosso, e questo la divertiva ancora di più. Ran, da parte sua, era diventata un peperone, mentre Eri rideva con Yukiko confermando le sue teorie, e Kogoro cerceva di negare, sbuffando: sua figlia con quel detective liceale da strapazzo? Ma per favore.
Approfittando di quel momento di totale imbarazzo da una parte, divertimento dall'altra e furia dall'altra ancora, Conan sgattaiolò via, perdendosi tra i lussuosi vestiti degli invitati e rischiando più volte di inciapare sullo strascico di qualche abito. Aveva intravisto una persona che voleva assolutamente salutare: non ci parlava da molto tempo, e lui aveva un paio di cose da chiedergli. Eccolo lì, con quei suoi occhiali tanto simili a quelli che portava lui nei panni di Conan. Forse così sembravano ancora di più padre e figlio.
“Papà.” lo chiamò, dopo essersi assicurato di essere lontano da orecchie indiscrete. Quella parola poteva tradirlo più di mille altre. L'uomo si guardò intorno e poi, non trovando nessuno alla sua altezza, abbassò lo sguardo. Non si era ancora totalmente abituato ad avere di nuovo un figlio alle scuole elementari. Non appena vide il bambino, un sorriso gli si dipinse sul volto.
“Shinichi!” bisbigliò piano. “Allora? Che te ne pare?” E alzò il bicchiere che teneva in mano, muovendolo a destra e a sinistra, come ad indicare quel luogo in cui si trovavano.
“Niente male. Hai riprodotto tutto in maniera perfetta: e la mamma ha dovuto dare il suo solito tocco di classe con quegli orecchini a forma di clown.” 
Yusaku rise, sorseggiando il suo vino bianco.
“Sai, com'è fatta: non appena ha letto il libro, si è innamorata di quegli orecchini. E ne ha voluti un paio uguali. E poi, che resti fra noi ma..” e si abbassò, come per sussurargli qualcosa all'orecchio “quegli orecchini e quel personaggio li ho ideati pensando a lei.” 
Fece l'occhiolino al figlio, e poi continuò: “E tu, invece?”
Il bambino spostò il suo sguardo, capendo a cosa il padre stesse alludendo. Fece comunque il finto tonto.
“Che intendi?”
“Dai, che hai capito. Ran?”
“Non ti ci mettere anche tu, papà.”
Il romanziere rise ancora, tornando in piedi. Alzò il suo calice e abbassò appena la testa, come in un cenno di saluto rivolto a qualcuno nelle vicinanze. Poi tornò a parlare con il figlio, prima che un qualche estreneo potesse venire a disturbarli e loro dovessero cominciare a recitare la solita commedia.
“Non mi hai ancora detto il tuo parere sul romanzo. Lo sai che ci tengo.”
Shinichi cercò di riassumere in una frase tutto quello che pensava sul nuovo libro del padre. Gli venne in mente quanto gli aveva detto Ai quel pomeriggio.
“E' davvero notevole.”
“Che ne pensi della figura del detective? Devo ammettere che questa volta mi sono divertito maggiormente a scrivere del serial killer: un uomo che uccide senza un motivo, e un investigatore troppo abituato alla razionalità che cerca per forza di cose di trovare un filo conduttore, e non riesce a comprendere il caos estraneo al suo cervello. Alle volte la realtà è più semplice di quel che ci si aspetta, non trovi?”
“Per alcuni non seguire un filo logico può essere più semplice. Io lo trovo maledettamente complicato.”
“Ahi ahi, figlio mio. Forse sei troppo razionale, come il nostro caro Holmes.”
“Finora la razionalità mi ha sempre portato dalla parte giusta.”
“E se dovessi imbatterti in un killer che non conosce razionalità? Non vi comprendereste a vicenda. Ognuno darebbe all'altro del folle.”
“Questo si chiama relativismo.”
Parlavano senza fissarsi. Entrambi guardavano oltre, immergevano i loro occhi nell'atmosfera di quella serata così surreale, e dal gusto così diverso dal solito. Si intendevano talmente bene: insieme erano davvero una bella squadra. Shinichi forse non gliel'avrebbe mai detto, ma era grazie a suo padre se lui era diventato quello che era. Grazie a come l'aveva cresciuto, grazie a come gli aveva sempre parlato, grazie all'autonomia che gli aveva sempre concesso. Non gli doveva solo la vita: gli doveva anche la ragione di vita
“Non cercare di sviare il discorso.”
“L'hai detto tu: ognuno vedrebbe l'altro come un folle. Vuol dire che nessuno è folle né sano: ognuno è semplicemente come lo vedono gli altri. Mi sembra una visione relativa della realtà.”
“E non ti è mai capitato di crederci?”
“Personalmente no. E poi.. beh, il tuo libro che parla di un mondo in bianco e nero è suggestivo, non c'è che dire. Però il mondo è così pieno di sfumature che...”
“Il bianco e nero si riferiscono alla visione che ne ha il killer.” lo interruppe Yusaku “E' una visione tra tante: vedi? La tua è diversa. Abbiamo tutti una percezione diversa. Chi potrà davvero dire com'è il mondo?”
“Questa filosofia può portarti lontano dalla scienza, papà. Troppa soggettività e poca oggettività.”
Yusaku sorrise, forse un po' amaramente.
“Cos'è l'oggettiva se non soggettività condivisa dall'intero genere umano? Sono sempre stato del parere che oltre un certo limite non saremo mai in grado di spingerci. Dove non può arrivare la scienza, ci porta la filosofia. Non trovi?”
Conan starnutì. Maledetto raffreddore. 
“Penso che la scienza prima o poi arriverà a un livello che oggi come oggi noi non saremmo nemmeno in grado di immaginare. Guardami: metà della sala non crederebbe alla mia storia.”
“Quindi affermi che la filosofia sia destinata ad estinguersi?”
“No, non penso. Anche se un po' nolente, devo ammettere che fa parte di noi. Nessuno è mai riuscito ad ammazzare la religione; a maggior ragione, nessuno riuscirà mai ad uccidere la filosofia. Alla fin fine, è da lei che è nata la scienza. Filosofia è pensare, e noi pensiamo per natura: siamo fatti così.” 
Lo sguardo del bambino cadde su Kogoro che, a qualche metro di distanza, stava bevendo il suo quarto bicchiere di vino, ridendo sonoramente. “O forse questo discorso non vale proprio per tutti.” affermò, con una risatina che sapeva di beffardo. Il padre capì immediatamente a cosa il figlio si stava riferendo.
“Non esagerare, Shinichi. Kogoro forse non sarà un genio come detective, ma ho sempre trovato che, in fondo, come persona abbia un gran cuore.”
Per tutta risposta il figlio alzò le spalle, come a dire: “Sarà.”
“Sai una cosa?”
“Dimmi.”
Yusaku vuotò il bicchiere e lo appoggiò sul tavolo.
“Se dovessi trovarti un difetto, direi che alle volte sei un po' troppo saccente e sicuro di te. In conclusione, sei tutto tuo padre.”
I due non poterono fare a meno di guardarsi e scoppiare a ridere. Era vero, erano così simili. Sempre persi nel loro mondo di gialli e deduzioni, tra fantasia e realtà. Forse erano un po' fanatici agli occhi degli altri, ma si intendevano alla perfezione, ed era quello che bastava. Entrambi volevano dimostrarsi forse più duri di quel che erano veramente, e per questo erano incapaci di dirsi chiaro e tondo quello che pensavano: ti voglio bene. Eppure leggevano l'uno negli occhi dell'altro quello che avevano dentro. Shinichi leggeva oltre gli occhiali del padre la soddisfazione e l'orgoglio di avere lui come figlio; Yusaku leggeva negli occhi tondi di quel bambino l'ammirazione sconfinata che nutriva per lui. 
Il loro momento di confessioni e chiacchiere fu interrotto da un'improvvisa comparsa. Una voce che si infiltrò di botto, rompendo la bolla di sapone che si erano costruiti, isolandosi dal resto del mondo.
“Signor Kudo.”
Padre e figlio si girarono contemporaneamente. Davanti a loro c'era un giovane che li fissava intimidito: teneva le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi e lo sguardo basso. Lo alzava solo di tanto in tanto, come se avesse paura di fissare le persone negli occhi e di scoprire di non andare loro bene. Portava dei semplici jeans e una camicia bianca, tanto che Conan si stupì di non averlo notato prima: in mezzo a tante persone così ben vestite, quell'abbigliamento semplice spiccava e non poco. Il giovane avrà avuto circa un venticinque anni. Portava degli occhiali spessi, probabilmente a causa di una forte miopia, e tutto ciò nascondeva in parte i veri lineamenti del suo viso, ma non riusciva a coprire le lentiggini sparpagliate per tutto il volto. I capelli castano chiaro erano perfettamente pettinati e tenuti in ordine. Aveva parlato con un forte accento americano, e quegli occhi dal taglio occidentale ne erano la conferma: non era giapponese. 
“Oh, Arthur, eccoti qui. Non ti avevo più visto, giusto prima ti stavo cercando.”
Yusako aveva parlato in inglese. Il giovane si fece ancora più timido, abbassando lo sguardo. Incrociò involontariamente gli occhi di Conan, e si affrettò a guardare da un'altra parte. Che strano tipo, pensò il bambino.
“Stavo ripassando la parte.” rispose quello, sempre in inglese. Sembrava quasi che stesse sudando freddo, come se avvertisse addosso un'enorme tensione. Notandone lo strano comportamento, lo scrittore si affrettò a chiedere: “Va tutto bene?”
L'altro annuì. Si vedeva chiaramente che voleva chiedere qualcosa, eppure continuava a tacere, quasi stesse cercando le parole più adatte da pronunciare. Aprì più volte la bocca per richiuderla subito dopo. Alla fine sparò tutto fuori come una mitragliatrice.
“Ecco io volevo chiederle se era possibile spostare il pezzo di una mezz'ora.”
Yusaku sembrò sorpreso, ma si affrettò a sorridere per tranquillizzare l'americano, che lo guardava timidamente. Gli diede una pacca sulla spalla, per cercare di sdrammatizzare un momento che trovava eccessivamente enfatizzato. 
“Ma certo, non preoccuparti. Salirai sul palco quando ti sentirai più sicuro, non c'è alcun problema. Comunque non pensarci troppo: non è certo l'interpretazione della vita.”
L'altro annuì solo con un mezzo sorriso. Poi scappò via senza dire altro, lasciando il salone. Conan, interdetto, guardò il padre: “Ma chi era quello? Che strano tipo.”
“Si chiama Arthur Newman, è un attore. L'ho incontrato a New York circa un mese fa, quando è stata resa nota la data di pubblicazione del mio prossimo libro ed è stata fissata presentazione.”
“E come hai fatto a conoscerlo?”
“Beh, in realtà è stato lui a cercarmi.” spiegò Yusaku, prendendo una tartina al salmone e offrendone una al bambino, il quale rifiutò starnutendo di nuovo, “Mi ha contattato tramite il suo assistente. Gli ha chiesto di potermi incontrare, dato che era un mio grande fan e aveva letto tutti i libri che ho scritto. Così ho accettato, e un giorno ci siamo incontrati in una caffetteria, e da lì poi abbiamo fatto una passeggiata per Central Park. Allora era ancora più timido di adesso: ricordo che mi avrà guardato negli occhi sì e no due volte.”
“Beh, nonostante sia così timido, è venuto comunque a parlare prima con il tuo assistente e poi con te.” constatò Conan. 
“E' quello che ho pensato anche io. Lui mi disse che era da molto tempo che aveva intenzione di chiedermi un favore, ma che aveva trovato solo adesso il coraggio.”
“E di che favore si tratta?”
“Mi ha detto che il suo più grande sogno era poter recitare parte di un mio libro ad un evento ufficiale, come poteva essere la presentazione di In bianco e nero.”
“E tu che hai risposto?”
Yusaku alzò le spalle: “Cosa potevo rispondere? Mi ha fatto davvero una gran pena, non so perché. Ho accettato.”
Ci fu un attimo di silenzio. Poi fu Conan a parlare. 
“Da che libro è tratto il pezzo che reciterà?”
“Beh, a dire il vero già allora avevo intenzione di ricreare l'atmosfera descritta nell'ultimo libro. Per cui, gli ho proposto un pezzo di In bianco e nero: ovvero, la descrizione della presentazione del libro del famoso scrittore. Così tutti gli invitati si sarebbero guardati attorno e, attoniti e istupiditi, si sarebbero trovati catapultati nel romanzo stesso. Ma..”
“Ma?” incalzò Conan, dato che il padre si era interrotto, indeciso se prendere o meno un'altra di quelle squisite tartine al salmone.
“Ma lui, dopo che gli ho parlato brevemente della trama del libro per esporgli la mia proposta, ha detto di essere rimasto totalmente affascinato dalla figura del serial killer. Ovviamente ha chiesto di poter leggere il romanzo. L'ha letteralmente divorato in meno di ventiquattro ore. Il giorno dopo era davanti alla porta di casa mia.”
“Che strano, papà. Di solito sei così geloso dei tuoi libri prima della pubblicazione.”
“Lo so, ma davvero l'idea di fargli recitare la parte della presentazione mi attirava troppo. Lo sai che alle volte io e tua madre pecchiamo di eccentricità.”
Aveva infine optato per un'altra tartina al salmone, accompagnata da un buon bicchiere di vino bianco.
“Cosa ti ha detto dopo aver letto il romanzo?”
Shinichi non avrebbe saputo dire se la sua fosse solo curiosità. Semplicemente, investigare su ogni fatto gli veniva naturale: in fondo, il detective deve stare attento anche a ciò che è apparentemente insignificante. 
“Ha confermato la sua prima impressione: il personaggio del serial killer è stato quello che l'ha maggiormente colpito. Ha insisto per poter recitare uno dei suoi soliloqui.”
“I soliloqui del serial killer, quelli sparsi per tutto il romanzo? Indubbiamente, lì hai raggiunto una certo livello artistico e mi hai dimostrato quello che penso: tutti i veri scrittori sono un po' filosofi.”
“Così mi lusinghi, figlio mio.” rispose l'altro, imitandondo il tono serio che aveva assunto Conan. Il bambino, percependo la presa in giro, incrociò le braccia imbronciato. Guardò il padre con la coda dell'occhio, incitandolo silenziosamente a continuare il suo racconto.
“Inizialmente gli ho chiesto di nuovo di recitare il pezzo sulla descrizione della presentazione. Ma lui ha insistito così tanto, diceva che quel personaggio lo trovava perfetto, e che sentir recitare un monologo sarebbe risultato più gradevole di un capitolo narrativo oppure di una semplice descrizione. Devo ammettere che all'inizio ero scettico.”
“Mi pare però di capire che alla fine tu abbia accettato la sua idea.”
“Sì, alla fine mi ha convinto. Sembrava così entusiasta e non sono stato in grado di dirgli di no. Ho rinunciato al mio sfoggio di eccentricità.”
“Come se tutto questo non lo fosse.” pensò Shinichi, ridacchiando tra sé e sé. 
“In realtà mi ha convinto grazie ad una constatazione che mi ha fatto riflettere. Mi ha detto che per un attore l'importante è entrare nel personaggio, diventare il personaggio. E che aveva un'incredibile capacità di immedesimazione nel personaggio del killer a cui avevo dato vita.”
Conan rimase per un momento interdetto.
“Certo che, detto così, non sembra un qualcosa del tutto normale.”
“Torniamo al discorso di prima, Shinichi. Cosa è normale per chi?”
“Sempre con le vostre conversazione indecifrabili voi due, eh?”
Una terza voce aveva fatto capolino in quel discorso a due che padre e figlio si erano creati. Hiroshi Agasa, i baffi più ordinati del solito e i capelli perfettamente pettinati, in giacca e cravatta sembrava tutto tranne l'inventore scapestrato che era. Con il suo immancabile sorriso bonario, salutava i due: un vecchio amico che non vedeva da molto tempo e la cavia di tutte le sue nuove invenzioni.
“Dottor Agasa! Da quanto tempo! Come se la passa? Shinichi mi ha detto che le sue invenzioni gli sono molto utili. Un bicchiere di vino? Oppure una di queste tartine al salmone: sono favolose.”
“No, grazie, meglio di no.” rispose l'altro, evidentemente tentato da quelle delizie. La gola era davvero il più grave dei suoi peccati, se così poi si poteva davvero definirlo.
“Suvvia, dottore, sono sicuro che anche Ai, per una volta, sarebbe d'accordo ad uno strappo alla regola.” intervenne Conan.
“Questa sera non c'è dieta che tenga, dottore. Ma è da solo? La bambina, quella scienziatina, non è venuta?” chiese Yusaku, guardandosi intorno e non vedendola.
Agasa scosse la testa.
“Ha preferito rimanere a casa: non ha dei bei ricordi legati a quest'hotel. E poi, se devo dirvi la verità, in questo periodo sta lavorando più del solito. Alle volte sta chiusa in laboratorio fino a notte fonda, e la mattina, prima di andare a scuola, si sofferma ancora a ricontrollare alcune cose. E' strano vedere una personacina di poco più di un metro e venti aggirarsi con così tanta familiarità tra provette e computer.”
“Lavorava anche stasera?” chiese Conan, visibilmente interessato. Che gli studi di Ai fossero ad una svolta? Forse le ricerche per un antidoto definitivo all'APTX stavano dando i loro frutti?
“Non saprei. L'ho lasciata che preparava la cena.” 
Conan stava per replicare, quando la voce di sua madre lo interruppe.
“Dottor Agasa! Sono così contenta che sia venuto!”
Il gruppo composto da Yukiko, Eri, Kogoro e Ran si era accostato a loro, e quest'ultima, abbassandosi fino a che il suo viso non raggiunse quello di Conan, disse: “Tu sparisci sempre, piccoletto. Ti avevo perso di vista.”
Il bambino ridacchiò: “Il signor Kudo mi stava raccontando del suo nuovo libro, e poi abbiamo incontrato il professore.”
Che strano effetto gli faceva chiamare suo padre il signor Kudo. Loro, che fino ad un momento prima erano stati così incredibilmente vicini, si ritrovavano improvvisamente quasi degli sconosciuti.
Ran sorrise, scombinandogli i capelli. Sapeva che Conan era un grande appassionato di gialli, tanto che Shinichi gli permetteva alle volte di sbirciare nella sua immensa libreria. Sospirò, assagiando le famose tartine al salmone che Yusaku andava proponendo. La serata era fantastica. Ma con Shinichi sarebbe stata semplicemente perfetta. 





“Vorrei ringraziare tutti voi per aver preso parte a questa serata, accettando l'invito che mi sono personalmente preoccupato di spedire. So che molti di voi hanno letto la maggior parte dei miei scritti, e perciò conoscete il mio stile e i personaggi che sono solito creare. Vorrei però spendere alcune parole su quest'ultima pubblicazione. Posso affermare senza pensarci due volte che In bianco e nero è stato per me una sorta di esperimento: l'ho scritto in cinque mesi, dedicandovi la maggior parte del mio tempo: ho passato notti intere su quelle parole, sorretto solo dalla voglia di scrivere e, lo ammetto, da numerosi caffé preparati frettolosamente uno dopo l'altro. Ecco, devo ammettere che in primo luogo questo libro ha fruttato molto a tutti i produttori di caffé.” 
Una risata generale sciolse l'attenzione della sala. Quando i camerieri avevano cominciato a servire i dessert, Yusaku Kudo era salito sul palco, per parlare contemporaneamente a tutti i propri ospiti. Conan, Ran, Eri e Kogoro erano in un angolino non troppo lontano dal palco: stavano gustando una buonissima torta alle mandorle: avevano scelto il tavolo dedicato alle ricette italiane.
“Se mi chiedessero perché ho scritto questo libro, penso che, di getto, risponderei: per me stesso. Per tutte le riflessioni che vi ho gettato dentro, per tutte le tecniche stilistiche che, forse inconsapevolmente, ho sperimentato. Nei volantini che avete trovato sul banco delle offerte è riportata a grandi linee la trama del libro, per cui suppongo che già l'abbiate scoperta. Perciò non vi annoierò oltre con ulteriori spiegazioni. Penso che In bianco e nero sia un libro che si legge solo per il piacere di farlo: ritengo che coloro che lo comprenderanno a pieno sono solo coloro che amano davvero la lettura. Questo perché il vero lettore, nel momento in cui legge un libro, è come un detective: lui investiga, analizza, osserva ogni parola, ogni frase, ogni sentimento che un capitolo gli suscita dentro. E cerca una spiegazione, matura una riflessione, trae fuori dalle righe tutto quello che lo scrittore vi ha, forse anche senza rendersene davvero conto, inserito. Credo che il vero lettore spesso riesca ad andare addirittura oltre le intezioni dell'autore. Questo libro, è vero, l'ho scritto principalmente per me: ho provato ad essere allo stesso tempo scrittore e lettore, a leggermi dentro mentre scrivevo. Alle volte troverete dei passaggi ambigui, ma penso che siano quelli i tratti che il vero lettore preferisce: perché è grazie a quelli che egli può fare la storia anche un po' sua. Detto questo, vi lascio all'interpretazione di un passaggio del libro da parte dell'attore newyorkese Arthur Newman. Successivamente, brinderemo tutti insieme. Vi ricordo inoltre che è possibile acquistare il libro a metà prezzo al banco delle offerte: il ricavato andrà interamente in beneficienza. Grazie ancora tutti.”
Un fragoroso applauso inondò la sala. Yusaku scese dal palco, alzando il braccio come in un gesto di saluto. Era stato senza dubbio un discorso memorabile. Conan batteva le sue manine, orgoglioso di quanto il padre aveva detto. Ran, cercando di parlare oltre il frastuono, disse: “Si vede che Shinichi è proprio suo figlio. Se fosse qui, penso che sarebbe orgoglioso più che mai di suo padre.”
Conan sorrise. Ran lo conosceva terribilmente bene. Nel frattempo li aveva raggiunti Yukiko, in compagnia di un uomo brizzolato, perfettamente vestito, come il resto degli invitati, in giacca a cravatta. Doveva essere alto quasi un metro e novanta, davvero oltre la media degli uomini giapponesi. I baffetti che spiccavano sul volto totalmente rasato gli conferivano probabilmente un'età maggiore di quella che aveva: dimostrava poco più di una cinquantina d'anni.
“Kogoro!” esclamò la donna, sistemandosi sulla spalla la treccia che stava lentamente scivolando sulla schiena. L'orecchino con il clown tornò di nuovo a brillare. “Vi stavo cercando. Volevo presentarvi il signor Koichi Sakamoto. Lavora in una casa editrice emergente, ed è un grandissimo fan di Kogoro il Dormiente.”
Kogoro, emozionato come ogni volta che qualcuno gli veniva presentato come suo ammiratore, gli strinse calorosamente la mano, affermando qualcosa del tipo: “Eh già, spesso la mia fama mi precede! Piacere di conoscerla! Mi dica, c'è qualcosa in particolare che vuole sapere?”
Eri lo fulminava letteralmente con lo sguardo: suo marito non sarebbe mai e poi mai cambiato. Conan, seccato, diede un ultimo assaggio al suo dolce. Ripoggiò poi il piattino sul tavolo, maledicendo il raffreddore che gli toglieva l'appettito e Kogoro che si vantava di meriti non suoi. Mentre i due uomini avevano cominciato a chiacchierare, le luci della sala si erano abbassate, e improvvisamente un fascio di luce bianca illuminò unicamente il palco. Con passi piccoli e inizialmente insicuri, Arthur Newman prese il suo posto esattamente al centro del cono di luce. Indossava gli stessi jeans e la camicia di qualche ora prima, e teneva lo sguardo ben fisso sulla sala. Attraverso quelle lenti spessi, non appariva nervoso. Al suo ingresso, cadde il silenzio. Più di un centinaio di pupille puntate su quell'esile figura. L'attore lasciò cadere le braccia lungo i fianchi: si prese ancora qualcosa attimo, prima di incominciare a recitare il pezzo da lui scelto, il monologo che voleva interpretare. I suoi occhi erano ora persi nel buio della sala: forse guardava dentro di lui, alla ricerca del personaggio in cui doveva calarsi.

“Quando da bambino vedevo la notte scendermi addosso avevo paura. Una terribile paura. Non c'era luna che reggesse il confronto del sole. Il nero mi avvolgeva, e mi sentivo perso, sì, lontano da ogni comprensione, scaraventato fuori da ogni tipo di compassione. La notte aveva sempre il fetore della morte, e a me faceva schifo, uno schifo da far accapponare la pelle, da far drizzare i capelli in testa, da far attorcigliare lo stomaco in una morsa inestricabile. Il campanile del paese suonava la mezzanotte, e io non potevo addormentarmi: quel suono sinistro sembrava presagio di un qualcosa destinato a giungere presto e che paradossalmente non giungeva mai. E avevo freddo, un freddo da farmi diventare pietra. Ora non c'è notte fredda che possa raffreddarmi. Sento il calore sulla pelle e dentro al mio corpo, sento il fuoco ustionarmi ogni singolo organo e lasciarmi cenere, per poi farmi rinascare e rivivere dall'inizio la stessa tortura. E' un dolore aspro e dolce, che provo dalla prima volta che ho visto il sangue di un uomo tingermi di rosso le mani e insinuarsi sotto le mie unghie. E' il desiderio di vendetta che si alimenta continuamente. Vendetta contro chi mi ha lasciato fuori.” 

Gli spettatori ascoltavano rapiti. Quel giovane aveva davvero un'incredibile capacità di immedesimazione. I tratti del volto, il tono della voce, tutto cambiava a seconda della parola che doveva pronunciare: era un gioco di suoni ed espressioni che catturava senza possibilità di fuga. 

“Voi, voi che mi avete confinato nel nero della notte, facendola diventare la mia prigione ormai tramutata in casa, voi avrete quel che vi spetta. Goccia dopo goccia berrete l'elisir che vi priverà dei raggi della vita e cadrete, disperati, nella bocca di quella notte infernale che brucia più di ogni fuoco. Non c'è scampo per chi è ignaro di essere braccato, non c'è salvezza per chi non sa di essere sull'orlo del baratro. Il destino casuale vi travolgerà, portandovi dove avete trascinato chi credevate pazzo. Pazzo, io? Pazzo! Pazzi, voi! Voi, che vivete nella vostra tranquilla città, voi che dormite nel vostro comodo letto, voi, a cui la vita passa davanti e la rincorrete urlando al mondo di essere felici! Felici di una felicità sintentica, che io vi farò ingurgitare a bocconi sempre più grandi, sempre più amari! E anche se mi implorete, se mi pregherete, se scongiurerete, se piangerete, se mi chiederete in ginocchio di risparmiarmi, non ci sarà parola di perdono che uscirà dalle mie labbra, non ci sarà cenno di intesa con l'antico nemico che mi ha ripudiato. A morte! Vedrete di cosa è capace colui a cui avete tolto tutto.”

I camerieri stavano intanto iniziando a girare per la sala, i vassoi ricolmi di bicchieri di spumante. Il brindisi era previsto proprio alla fine dell'interpretazione. Ran provò un brivido lungo la schiena: quella voce tuonante le stava facendo gelare il sangue nelle vene. Sembrava terribilmente convinto di quanto stava dicendo. Le parole apparivano spontanee, come se scaturissero direttamente dal cervello e non da una fasulla e insignificante recita. C'era qualcosa di più in quelle lettere. E quel qualcosa la faceva tremare. Strinse istintivamente la mano di Conan. Non si guardarono però negli occhi: erano entrambi troppo rapiti da quanto stava accadendo sul palco. Sentì il bambino che ricambiava la stretta.

“Nel silenzio più profondo risuonerà l'urlo disperato di colui che non si aspettava la propria fine. Macchierò il vostro bianco di nero, di un nero indelebile e sporco, come le vostre coscienze senza intelligenza. Il cammino è lungo e l'orizzonte sempre più distante, non c'è passo che possa raggiungerlo e vola via come un falco dalle ali spiegate. Non mi prenderete, mai. Sarò quella zanzara fastidiosa che vi si poggerà addosso e che voi scaccerete con un gesto di stizza: ma sarà tardi allora, perchè il veleno scorrerà già nel vostro sangue.”

Un cameriere si avvicinò al gruppo di Yukiko, porgendo loro il vassoio con lo spumante. La donna e Kogoro si servirono, e Ran allungò il braccio senza nemmeno guardare. Lo sguardo era sempre lì, fisso sull'attore. Quell'interpretazione aveva un che di magnetico. Sentì le sue dita urtare quelle altrui. Velocemente girò il volto, e notò che lei e il signor Sakamoto stavano per prendere lo stesso bicchiere. L'unico rimasto sul vassoio.
“Prego.” disse lui, offrendoglielo. 

“Si attaccherà alle vostre vene, risucchiandovi da dentro, stringendovi e stritolandovi, e poi nero, nero, nero, solo nero!”

Il tono di voce dell'attore si faceva sempre più alto. 
Ran disse solo: “No, lo prenda lei. Aspetterò il prossimo.” Si sorrisero, e l'uomo portò il bicchiere alle labbra. Lui e Kogoro si guardarono, bisbigliando qualcosa che la ragazza non comprese, ma che suonava come un: “Beh, nessuno noterà se ne beviamo un goccio prima del brindisi.”

“Bevete, bevete la vostra elisir di morte. Che le rughe facciano contorcere il vostro viso, che il bianco che tanto amate si impossessi della vostra pelle, che il nero che avete dentro e non volete mostrare vi inglobi! Che tutto finisca nell'unico modo in cui deve finire.”

Ran sentì un verso strozzato. Ma non ce la faceva, non voleva girarsi. Poi, improvvisamente un peso le afferrò il braccio. Lei e Conan si voltarono contemporaneamente. Il signor Sakamato stringeva l'avambraccio della ragazza, l'altra mano alla gola, la bocca spalancata nel provare a far uscire un grido che non si decideva a far vibrare le sue corde vocali. Gli occhi erano sbarrati. Poi, si accasciò al suolo come un peso morto, facendo crollare anche Ran. La prima a gridare fu Eri, seguita da Yukiko. Ran diceva solo: “Che le succede, che le succede? Mi parli, dica qualcosa, che succede, cos'ha?”
Conan e il padre erano accanto a lei, ma non sentiva più nulla. Poi ci fu un altro grido, qualcuno doveva essersi accorto di quanto successo. Improvvisamente le luci furono accese, e tutti si guardarono intorno, finché gli occhi non caddero su quell'uomo al suolo e quella ragazza che lo scuoteva, urlando qualcosa che nessuno capiva. Un brusio si diffuse per la sala, mentre Yusaku Kudo cercava di farsi largo, nel tentativo di capire cosa fosse successo. Nessuno badava più all'attore sul palco. Nessuno sentì le ultime parole.

“E quando cadrete uno dopo l'altro come birilli, non avrete il tempo di pensare. Mi spiace, signori: questa sera la ruota della fortuna non girerà dalla vostra parte.”




 
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Eccomi qui, dopo due settimane impiegate per buttare nero su bianco questo capitolo. Prima di tutto, vorrei dire che nel progetto originale tutto il prossimo capitolo doveva essere inglobato in questo: ma poi, scrivendo, mi è capitato quello che mi capita sempre: mi sono persa tra le frasi e i meandri delle conversazioni tra i personaggi. Ergo, ho deciso di concludere qui, altrimenti avrei aggiornato non so quando e alcune parti, come questa finale ad esempio, avrebbero avuto poco risalto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante mi renda conto che magari la storia proceda un poco lenta :) Ma ho idea che sarà così un po' per tutta la fanfiction.
La citazione iniziale è tratta dalla “Considerazione inattuale su Schopenhauer” scritta da Nietzsche: è l'unica opera integrale del filosofo che ho letto, ma l'ho trovata terribilmente interessante e alcune considerazioni, quale quella che ho scelto di riportare, mi sono rimaste dentro. Dovrei leggere qualcos'altro di Nietzsche :) 
Penso sia abbastanza chiaro il collegamento tra la citazione e il capitolo: diciamo che già il titolo lo spiega.
Per quanto riguarda il vestito di Ran, ho tratto ispirazione dal film “Espiazione” e dal magnifico vestito che indossa Keira Knightley nel ruolo di Cecilia. Se cercate “Espiazione” su Google immagini, la maggior parte delle foto ritrae l'attrice con quel vestito :) Comunque sia il libro che il film sono meravigliosi, quindi ve li consiglio entrambi. Il libro soprattutto *.*
Come al solito quello che ho scritto non mi convince per niente, anzi trovo che in alcuni tratti lo stile sia un po' duro -.- La parte meglio riuscita è a mio parere il dialogo Shinichi-Yusaku, la presentazione del libro da parte di Yusaku (lì ci sono davvero le mie opinioni, di cui ho parlato più volte con la mia filosofa Aya_Brea :>), e poi il monologo del serial killer, anche se mi è sembrato di poterlo scrivere 300 volte meglio :( uff, spero che abbiate comunque apprezzato anche perché il capitolo è lunghetto xD
Ma bastaaa, quanto vi sto stressando!
Buon ritorno a scuola per chi deve tornarci, buona fortuna per i test universitari (siamo sulla stessa barca!!), buona fortuna per eventuali esami e buon lavoro se lavorate!
Grazie a tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite o addirittura preferite, e grazie a chi ha recensito! Siete magnifici :)
Un bacione e al prossimo capitolo!
Flami
  
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