Il rumore del passato
Densa.
Densa
e silenziosa la nebbia quel giorno avvolgeva tutta Konoha.
Sfiorava i tetti delle case, accarezzava
le cime del monte, dove erano scolpiti i volti dei quattro Hokage, sfumava il paesaggio, fino a divenire un tutt’uno con il cielo spento.
Attraverso il vetro della
finestra, appannato dall’umidità, lei osservava quella massa umida e aleggiante
estendersi fino ai confini del bosco, fino a posti lontani e imperscrutabili,
esplorati solo con la mente.
Forse, da qualche parte, c’era anche
lui.
Lui che non voleva più legami con loro,
lui che era lontano, lui che si stava facendo trascinare dalla più
profonda oscurità, lui che si stava spengendo, proprio come il cielo
grigio di quella monotona giornata della sua insignificante
vita.
Inutile sperare che fosse solo la
nebbia a dividerli.
Ma, in quel momento,
Sakura Haruno pensò che
avrebbe voluto essere come la nebbia: leggera, avvolgente, onnisciente.
La
nebbia è ciò che più si avvicina al cielo.
Era talmente assorta nei suoi
pensieri che non si accorse nemmeno dell’arrivo
rumoroso di Naruto.
“Buon giorno, Sakura-chan!”. Il sorriso regnava sul suo viso, come da
copione.
Lei ruotò appena il capo per rivolgergli un cenno con lo sguardo,
stanco.
Perché continua a sorridermi,
perché fa finta che non sia successo niente, perché mi costringe a vivere?
“Sakura-chan, Tsunade-hime vuole vederci. Ha detto che ha un compito da affidarci”.
“L’ennesima
missione...” pensò lei.
Sospirò. Erano mesi che al
suo team venivano affidate lunghe missioni, che la costringevano a restare fuori
da Konoha per diversi giorni.
Aiutavano qualche
bracciante, svolgevano commissioni ai villaggi vicini, salvavano qualche
vita.
Niente di più.
Che senso ha, se è
la mia vita ad andare a pezzi?
Ma, in qualsiasi
villaggio andassero, non c’era momento in cui non aveva il terrore di incontrare
lui.
Vedeva i suoi occhi neri nell’ombra del bosco, sentiva la sua
voce nel fruscio del vento, nel rosso del sangue ne percepiva la sete di
vendetta.
Ma d’altronde, lui ha sempre
voluto questo.
Con la coda dell’occhio vide che Naruto la fissava impaziente.
Non voleva spengere il suo
entusiasmo. Era l’unica fonte di vita a cui attingere, l’unico scoglio a cui
aggrapparsi, l’unico mezzo che la trascinasse
avanti.
Si allontanò dalla finestra. Il riflesso velato del paesaggio rimase
nei suoi occhi, rendendoli ancora più inespressivi, vuoti, come avvolti da una
nebbia che aveva nascosto il verde smeraldino.
La nebbia nasconde sempre
qualcosa.
“Ho saputo che hanno aperto un nuovo chiostro di Ramen! Che ne dici se pranziamo
insieme?”
Disse raggiante Naruto.
Lei
abbozzò un sorriso. “Vedremo.”
Percorse il corridoio in silenzio,
scandendo i secondi, senza altro rumore se non i loro passi.
Ultimamente
aveva imparato ad ascoltare il rumore dei passi di chi le stava vicino, a
riconoscerli.
In quel momento, non poté fare a meno di
cogliere la differenza fra i suoi e quelli di Naruto.
Quelli di lui erano vivi, sicuri, stabili.
I suoi, invece, deboli, fragili, instabili.
Era come se le loro orme che
calpestavano il terreno producessero una sorta di
armonia: lui era l’assolo trainante della melodia, lei assolveva al ruolo
di sottofondo, necessario certo, ma non indispensabile.
Improvvisamente si
accorse che i loro passi non erano più i soli rumori echeggianti nel
corridoio.
Un brusio di voci maschili, che proveniva da dietro l’angolo, si
faceva sempre più vicino, così vicino da poter cogliere perfettamente le parole
che le due voci si stavano scambiando.
“…non pensi che dovremmo
preoccuparci?”
“L’Hokage ha detto che non dobbiamo allarmarci.”
“Sì, ma si tratta
pur sempre di due ninja traditori di livello
S.”
Lei si fermò di scatto. Pochi centimetri la separavano dal freddo
muro.
Naruto rimase immobile.
“Se non
sbaglio sono stati visti in uno dei villaggi vicini.”
“Sì, pare proprio
che siano stati avvistati poco fa vicino al Paese della Pioggia.”
“Non
capisco proprio perché l’Hokage non voglia prendere
provvedimenti.”
“Avrà le sue buone ragioni e, di
certo, non ci deve spiegazioni. Resta il fatto che
vorrei proprio sapere cosa ci facciano Itachi e Sasuke Uchiha nel medesimo
luogo.”
Il suo cuore mancò un battito, al suono di quel nome che tutti
evitavano di pronunciare in sua presenza.
“Forse è meglio se torniamo
alla nostra postazione di guardia, altrimenti l’Hokage
prenderà provvedimenti contro di noi.” Concluse il
jonin più anziano, buttando a terra la cicca della
sigaretta, ormai consumata.
I due si allontanarono dal corridoio con passo
deciso.
Sakura Haruno
si appoggiò al muro, imponendosi di rimanere calma, cercando invano di frenare i
battiti del suo cuore che, indomabili e febbrili, erano sfuggiti al suo
controllo. Non osava guardare Naruto, non voleva preoccuparsi della sua
reazione.
Desiderava fuggire il bianco del muro, il bianco del corridoio, il bianco del vuoto.
Con uno scatto
improvviso si mise a correre, dirigendosi fuori da
quell’ambiente che le toglieva il respiro, come afferrata da un’ansia
claustrofoba.
Rapidamente fu fuori
dall’edificio.
Il vento freddo sfiorò la sua pelle,
facendole venire un brivido.
Ansimava.
Alzò gli occhi al cielo,
esausta. Nemmeno il fatto che anche l’oggetto del suo sguardo si stava facendo
sempre più grigio, servì a rincuorarla.
Dei passi interruppero quel silenzio.
Ormai aveva imparato a riconoscerli. I passi di Naruto.
“Sakura-chan…”
esitò lui, una volta raggiuntala.
Lei chiuse gli occhi e, sospirando, offrì
lo sguardo cieco al cielo.
Il suo viso fu colpito da gocce
d’acqua gelida.
“Sakura-chan… sta iniziando a
piovere.”
La pioggia iniziò a scendere leggera e
silenziosa.
Rinfrescava la pelle scoperta, scivolava lungo il suo viso e,
sulle sue labbra, si mischiò con un sapore che
conosceva fin troppo bene.
E fu in quel momento che si rese conto che le
stille perlacee che percorrevano il suo volto, non erano solo gocce di
pioggia.
“Sakura-chan, vedrai che Sasuke ritornerà. Siamo pur sempre
amici, no?”
Lei non rispose. Sarebbe stato troppo
chiedere al suo cuore anche solo un grammo di speranza.
Ne
aveva consumata troppa in quegli anni, era diventata come una
droga.
Ormai non ne aveva più.
Ma, mentre mirava il cielo piangere tacito (per che cosa,
poi? Per chi?) su tutta Konoha, promise a se
stessa che quella sarebbe stata l’ultima, l’ultima preghiera che avrebbe rivolto
per lui.
“Sasuke, dove
sei?”
***
Sottile.
Sottile e silenziosa la pioggia
quel giorno inumidiva il terreno col suo tocco leggero.
Malinconica, quieta,
rinnovatrice.
La pioggia non fa rumore.
Solo i suoi passi rapidi e
frenetici, che colpivano il terreno, avevano un rumore.
Imprimevano sul suolo
fangoso orme dettate dal rancore, dall’odio, dalla vendetta.
La nebbia
ricopriva tutto con il suo manto impalpabile e spegneva il paesaggio con le sue
fredde sfumature.
Sottile. Silenziosa.
La nebbia non ha rumore.
Il suo respiro, invece,
-disperato, affannato, bramoso- quello sì che faceva rumore e premeva contro il
suo petto. E i suoi polmoni facevano male,
maledettamente male.
E tutte queste emozioni, questi rumori, queste
sensazioni, si accozzavano, si mischiavano, si confondevano, mentre cercava con
tutte le sue forze di raggiungere una macchia nera, unica fra le tante, che
davanti a lui si dissolveva nella nebbia.
“ Fermati.” Urlò con tutto il fiato che gli era rimasto.
Né
la pioggia si fermò al suo ordine e continuò a scendere, né la nebbia gli
concesse un po’ di tregua.
Ma il lungo mantello nero come la notte, dove
risaltavano macchie rosse a forma di nuvole, si arrestò ad un tratto,
immobile.
“Che vuoi? Vedi di non farmi perdere
tempo.”
Le parole uscirono dalla sua bocca
pungenti e pesanti, come quella stessa aria gelida che s’insinuava nei suoi
polmoni.
Itachi Uchiha
era davanti a lui.
Gli occhi rossi, testimoni di
innumerevoli vite falciate, lo guardavano sprezzante.
La bocca era
coperta dal lungo mantello dell’Akatsuki, ma poté
ugualmente percepire una smorfia fastidiosa stendersi sul suo
viso.
“Tu mi stai chiedendo cosa voglio?” chiese
sarcastico.
“Tu mi stai davvero chiedendo cosa voglio?” urlò Sasuke.
Il fiato uscì dai suoi polmoni tutto insieme
e, per un attimo, gli sembrò che gli mancasse il respiro.
Spiacevole
seccatura.
Lui doveva respirare per vivere.
Doveva vivere per
ucciderlo.
“
Voglio la mia vendetta. ”
Gli
occhi neri rifulsero come fari rossi nella nebbia.
“Sbaglio o ti avevo detto di tornare davanti a me con i miei stessi occhi?
Adesso non vale la pena ucciderti.”
“Io non diverrò mai come te… Itachi.”
L’impugnatura
del kunai era fredda, ma il sangue che pulsava nelle sue vene bollente.
Si scrutarono, freddi, immobili,
calcolatori.
E fu lui stesso ad interrompere quel meccanismo, quel silenzio,
quel gioco di sguardi ‘fraterno’.
“Muori, bastardo.”
Occhi contro occhi.
Kunai contro kunai.
Uchiha contro Uchiha.
Potere contro vendetta.
Rapidi colpi fendettero l’aria, senza centrare il loro
bersaglio.
Gocce rosse precipitarono sul terreno, andarono a far
compagnia alle stille di pioggia, le contaminarono.
“E’ tutto qui il tuo odio,
fratellino?”
[Sei
debole…
…perché dentro di te non provi abbastanza odio.]
“Stai
zitto!”
Strinse con più forza l’impugnatura del kunai e si scagliò contro la sua ombra.
Perché, in fin dei conti, era di questo che si
trattava?
Lui era solo un’ombra oscura.
L’ombra del suo
passato.
[Odiami…]
Gocce
di pioggia gelida scivolavano sul suo volto, scendevano
dai suoi capelli grondanti.
La nebbia si stava pian piano
dissipando.
Ma erano l’odio e la vendetta che
annebbiavano il suo animo.
La pioggia stava cessando.
La pioggia non
faceva rumore.
L’odio e la vendetta che rumore avevano?
[Disprezzami
con tutte le tue forze…]
Sferrò
invano altrettanti colpi.
Uno di questi rasentò il viso del fratello.
Nei
suoi occhi si accese un barlume di esultanza. Poi fu
solo dolore.
Senza sapere come, si ritrovò bloccato con un dolore lancinante
al polso.
Itachi lo fissava con un ghigno
derisorio.
Il suo cuore iniziò ad accelerare il battito.
Sapeva cosa lui
avrebbe fatto. Lo conosceva fin troppo bene.
“Dovresti
esserne onorato, fratellino, sei il primo che vede questi occhi
per la terza volta…”
Impulsivamente nascose le iridi scure, come
trasportato da un improvviso istinto di sopravvivenza.
Troppo tardi.
Tutto intorno a lui cambiò. Sentì squarciarsi una ferita mai
rimarginata, un dolore lacerante.
Si ritrovò in una stanza,
davanti a lui rivide Itachi. I suoi
genitori.
Il sangue che schizzava sulle pareti della
stanza.
Stemmi del suo clan lacerati. E
poi...
Un rumore.
Quel rumore
Due corpi ammucchiati sul
pavimento.
“NO!” Urlò.
Scacciò con
tutte le forze quella visione, finché attorno a lui non sentì di nuovo il sordo
silenzio.
Cercò a tentoni un’arma, qualsiasi cosa che potesse fargli più male possibile.
Ma una nuova fitta lacerante lo costrinse ad alzarsi con
fatica.
“Li hai uccisi, li hai uccisi tutti solo per soddisfare la tua
sete di potere. Ho cercato in tutti i modi di cancellare l’immagine di quel
giorno dalla mia mente, di convincermi che era stato tutto un incubo. Ho passato
tutta la mia vita rincorrendo i miei incubi.
Non c’è
stato momento in cui non ci abbia pensato.
Mi hanno perseguitato
ossessivamente tutti i particolari di quella sera. Ricordo
perfino quel rumore, il rumore dei corpi dei nostri genitori che cadevano a
terra. E’ stato il rumore che ha accompagnato la mia infanzia.
Il
rumore del mio passato. E adesso…”
Raccolse tutte le sue energie,
fino a formare una lama di chakra.
“Voglio la
mia v-e-n-d-e-t-t-a.”
Il silenzio del luogo venne di nuovo
coperto, disturbato da un nuovo rumore.
Era come se un branco di uccelli rimbombasse su di loro.
Era il rumore di mille
falchi.
Velocemente prese la rincorsa, fissando intensamente il suo
obbiettivo.
“Non ce la farai mai a colpirmi.” Di
nuovo quel ghigno.
La distanza diminuiva, il rumore
aumentava col suo assordante sibilo.
Con la rapidità di un falco
sferrò il suo colpo.
Un boato lacerò l’aria.
“Te l’avevo detto che non…”
Itachi Uchiha, illeso, stringeva il suo braccio. Si interruppe all’improvviso, trattenendo il fiato.
Poteva
percepire la punta fredda del kunai conficcata nella
sua pelle e una scia calda scorrergli lungo la schiena.
Il braccio di Sasuke, che aveva afferrato per deviare il corpo, si
dissolse insieme al suo corpo.
“La tecnica… della… moltiplicazione…”
ansimò.
“Proprio così –percepì il respiro di Sasuke sfiorargli il collo- sai, l’ho imparata dal mio
migliore amico.”
C’è stato un tempo in cui
avevo degli amici.
C’è stato un tempo in cui non era tutto vendetta.
C’è
stato un tempo in cui ero solamente Sasuke-kun.
Adesso sono il traditore.
Il suo corpo cadde con un tonfo, -quel rumore- tingendo il terreno
sottostante con quel colore che aveva imparato a odiare da piccolo. Disprezzo,
era questo che provò guardandolo in quel momento.
Solo disprezzo [e pena?]
.
Guardò gli occhi neri, inespressivi, vuoti, attoniti.
“Dopotutto
abbiamo gli stessi occhi. Ma
solo su una cosa ti sei sbagliato: io non diverrò mai come te.”
La pioggia
era cessata, l’oscurità si stava appropinquando.
Il terreno aveva assorbito,
in parte, le gocce di sangue versate.
A contrasto
col suolo, il corpo di Itachi
sembrava poco più di una macchia scura e distinta.
Gli stanchi raggi di
un sole malato proiettavano la sua debole sagoma sul terreno, vicino al corpo
del fratello. Si avvicinò di qualche passo e la sua ombra sfiorò il corpo di Itachi.
Si sovrapposero: la
debole ombra incontrò la macchia scura e distinta.
Quest’ultima risaltava per
grandezza e oscurità.
Un’ombra, per quanto si sforzi, non potrà mai
divenire pura oscurità.
“Infondo, non eri
solo un’ombra.
Eri il mio passato.”
Senza un passato
non esiste nemmeno un presente, un futuro.
“E, dopotutto, l’ombra ero io.
Ero solo quello.
Un’ombra che cercava disperatamente di imitarti.
Un’ombra
che ti seguiva per morire insieme alla tua immagine.
Per tutti ero il traditore.
Mi definivo il
vendicatore.
Ma chi sono io in
realtà?”
“Chi
è Sasuke Uchiha?”
“Io
non diverrò mai come te... lo sono già.”
Sentì una strana sensazione, che
non aveva mai provato, corrodergli l’anima.
Non era né rancore, né odio, né
vendetta.
Era qualcosa, all’altezza del cuore, che l’avrebbe consumato pian
piano.
Dentro di lui vi era il vuoto. Un vuoto che il rancore, l’odio e la
vendetta aveva scavato.
Un vuoto talmente grande che niente
o nessuno avrebbe mai potuto colmare.
[Finirai
col soffrire di più…
Anche se riuscirai nel tuo scopo,
tutto quello che ti
resterà sarà il vuoto]
Ma Kakashi-sensei aveva commesso un
errore.
Dentro di lui non sarebbe rimasto il vuoto.
Non ancora per
molto.
“E’ giunto il momento che anche l’ultimo degli Uchiha scompaia.”
Dopo di che, il kunai ancora caldo, stretto nella mano tremante, colpì il
suo ennesimo obbiettivo.
Il suo corpo cadde a
terra.
Di nuovo quel rumore.
Ma, questa
volta, invece del silenzio, intorno a lui riecheggiarono altri rumori.
Urla,
grida, voci invocavano il suo nome.
Chiamano Sasuke-kun, non il traditore.
Chiamavano quello che era,
non quello che era diventato.
Sentì i loro passi calpestare il suolo,
frenetici.
Ormai aveva imparato a riconoscerli.
Aveva imparato a
sentirne la mancanza.
Le lamentele di Naruto, le continue attenzioni di Sakura, i rimproveri di Kakashi…
Erano questi i rumori che più gli erano
mancati.
Erano questi i rumori del suo passato.
[…E
ora il settimo gruppo.
Sakura Haruno… Uzumaki Naruto…]
[O no!…]
[Evviva!]
[…e Sasuke Uchiha]
[E
vai!]
[Perché proprio con lui?…]
Sul
suo volto si disegnò un debole sorriso.
Le sue labbra si mossero
appena.
Le parole uscirono da sole, meccanicamente, come se quelle verità
impensabili fossero sempre state scontate, parte di lui.
Sentì solo il brusio
impercettibile della sua voce pronunciare quelle tre parole.
Forse era meglio
così.
La verità fa sempre male.
Specie quando ormai è
troppo tardi.
Le urla, le grida stavano sfumando pian piano.
Tutto, intorno a lui, era un fruscio di rumori indistinguibili.
Una goccia
calda cadde sul suo viso.
Poi fu tutto silenzio. Solo
silenzio.
[Il
rumore del passato era divenuto presente.]
***
La
pioggia era cessata.
Il cielo aveva messo di piangere.
Forse perché non
ce ne era più bisogno. O forse perché
era troppo tardi anche per piangere.
“Per di qua!”
Si
stavano avvicinando al luogo dell’incontro. I rami delle piante spezzati,
l’odore di polvere battuta e i tagli sui tronchi degli alberi, facevano supporre
che in quel luogo si fosse appena consumato uno scontro.
Ad ogni passo il suo
cuore si stringeva sempre più in se stesso, si
contorceva, come serrato da una mano ferrea e invisibile. Quel triste
presentimento era già nell’aria.
Avrei dovuto capirlo.
Un
rumore sordo.
Le sue gambe si mossero da sole, mentre Naruto dovette impegnarsi per starle dietro.
“Sakura-chan, aspettami!”
La ragazza si fermò di
colpo.
“Ma cosa…?” blaterò Naruto.
Le iridi
azzurre indugiarono sul rosa, scorsero il nero e si soffermarono sul
rosso.
Il verde smeraldino dei suoi occhi, invece, incontrò subito il rosso
sangue.
“Sa-su-ke…”
Solo un sussurro.
E, senza rendersene
conto, si sorprese a urlare quel nome, a
implorarlo.
“Sasuke-kun…”
Le sue ginocchia
cedettero, mentre osservava i tratti del suo bel viso, rigato da una scia
rossa.
E, senza sapere come, si ritrovò con il volto
bagnato e il corpo scosso dai singhiozzi.
E, per
quanto urlasse, per quanto si disperasse, per quanto lo implorasse, sapeva che
lui non sarebbe mai più tornato indietro per lei.
In questo non è
cambiato.
Ma, mentre il suo mondo le
crollava davanti, udì un sussurro.
Nonostante i suoi
singhiozzi e le imprecazioni di Naruto, l’aveva
udito.
Era stato impercettibile, ma l’aveva comunque
sentito.
“Sakura… Naruto… perdonatemi!”
E fu in quel momento che si
rese conto che le stille perlacee che percorrevano il suo volto non erano gocce
di pioggia.
[Il
rumore del passato era divenuto presente, ma non avrebbe mai avuto un
futuro…]
Nota
dell'Autrice: Prima One-shot che scrivo su Nasuto, nata inizialmente come no sense, ma penso ke adesso un senso ce l’abbia. Quello che volevo trasmettere
è ke, secondo me, una volta che Sasuke avrà completato la sua vendetta (perché prima o poi accadrà!) sentirà solo un senso di vuoto.
Ovviamente, spero ke non vada veramente così (dato
ke Saske è il mio
personaggio preferito) ma questa potrebbe comunque
essere una delle tante opzioni. Da qui la consapevolezza che
il suo passato non era contraddistinto dallo scopo di vendetta, ma dall’amicizia
per Sakura e Naruto.
Quindi il ‘rumore del passato’ non era la vendetta (il rumore dei corpi dei
genitori ke cadono) ma bensì l’amicizia (le lamentele
di Naruto, le attenzioni di Sakura). Ho pensato di ricorrere al grassetto per i dialoghi
di Sasuke per distinguerli senza problemi da quelli
del fratello e perché mi sembrava che in questo modo il layout risaltasse di più.