Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: holls    06/09/2013    11 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4. Melodie contrastanti
 
 
 
19 dicembre 2004. 
Riprese ancora una volta l’attacco del Florestan di Schumann. Suonava quella composizione sfiorando i tasti a memoria, tante erano le volte che li aveva premuti; dal susseguirsi di quel coro di note scaturiva una melodia malinconica e a tratti violenta.
Quel brano era l’esatta fotocopia del suo rapporto col pianoforte: l’odio per lo strumento che tentava di fare capolino, e la sua testa che cercava di farlo tacere; prevaleva prima l’uno, poi l’altro, in un battibecco furioso e contrastato, fino a che la voce calma e pacata non veniva trascinata in quel turbinio iracondo.
Saltò direttamente al Chiarina, come spesso faceva, dopo aver dato fondo a tutte le sue energie. Non appena iniziava quel pezzo, investito di un sentimento tra lo speranzoso e il malinconico, non poteva fare altro che rivedere quel sentimento arrendevole verso il pianoforte che ormai, in tutti quegli anni, si era sedimentato in lei; e l’esitazione delle battute finali sembrava mostrare quella stessa speranza che, a poco a poco, lasciava spazio alla rassegnazione.
Proseguì la sua catarsi con lo Chopin. Rappresentava per lei il culmine di quel dolore che si portava dentro, di quel sentimento che tentava di esplodere in un pianto violento, ma era incapace di farlo. E suonando quella melodia, le sembrava che fosse la musica a farlo al posto suo, mentre lei continuava a portare, imperterrita, la sua maschera granitica.
Arrivò infine la nota dolente,  Pantalon et Colombine:  uno dei passi più difficili dell’intero Carnevale, un susseguirsi di passaggi velocissimi e intricati.
Cominciò il pezzo, ma si accorse di aver sbagliato una nota. Provò a proseguire ugualmente, ma fu interrotta.
« Madison, ricomincia. L’ho sentita quella nota stonata, sai. »
Madison sospirò.
« Sì, mamma. »
Riprese da capo la melodia, ma ormai si era deconcentrata. L’unica cosa a cui pensava era l’odio che cresceva in lei sempre più. E, come si aspettava, sbagliò ancora.
« Madison, che ti succede? Ricomincia. Lo farai finché l’esecuzione non sarà perfetta. »
Sospirò ancora, ma stavolta era carica di rabbia. Avrebbe voluto urlarle che no, non avrebbe ricominciato il pezzo, e che se lo voleva perfetto poteva suonarselo da sola. Ma non aveva il coraggio.
Udì il fruscio dei fogli del giornale che suo padre stava leggendo.
« Suvvia, Carla, forse Madison è solo un po’ stanca. È un pezzo molto difficile e in fondo sta suonando da più di un’ora. » Suo padre alzò gli occhi dal giornale, e si rivolse a Madison. « Fai una pausa, tesoro, che ne dici? »
Madison non disse nulla. Approfittò di quel momento in cui sua madre cercava un argomento con cui ribattere; si alzò di scatto dal panchetto e corse in camera sua.
Si distese sul suo letto, sperando che nessuno venisse a disturbarla.
Odiava sua madre. Odiava il fatto che fosse costretta a suonare il pianoforte per colpa sua, perché spesso pensava che, se non fosse stato per sua madre, forse avrebbe perfino potuto trovarlo piacevole.
Non aveva nessun buon motivo per suonare quello strumento, se non il pensiero che, dal movimento delle sue mani, uscisse un qualcosa di così melodico e articolato.
Ma non poteva ribellarsi, come aveva tentato di fare in passato: aveva cercato di mettere sua madre in ridicolo davanti ad alcuni ospiti, suonando i pezzi in maniera obbrobriosa. Oltretutto, aveva scelto proprio le composizioni di Beethoven, l’artista preferito di sua madre. Non era più stata capace di dimenticare le tremende urla che le aveva riservato in privato, in un’interminabile scenata.
E così, da quel giorno, aveva cercato una melodia in cui rifugiarsi, e l’aveva trovata nel Carnevale di Schumann. In un primo momento si era sentita scettica verso quella composizione: ma, ascoltandola più volte, vi aveva trovato alcuni pezzi che in qualche modo riuscivano a liberarla dall’odio che provava e, al contempo, era abbastanza allegra per poter essere suonata ogni giorno senza protesta alcuna.
Si era decisa fin da subito a imparare a memoria la composizione: i primi tempi, infatti, sua madre stava lì accanto per girarle le pagine e, ovviamente, controllare la sua esecuzione. Non ci fu liberazione più grande per Madison quando, finalmente, si accorse che lo spartito era ormai tutto nella sua testa.
 
Strinse tra le mani il cuscino e si sentì avvolgere da un senso di pesantezza. Nella sua mente si formò una strana scena. Vedeva lei stessa, al pianoforte, e sua madre, davanti a lei. Continuava a sbagliare il pezzo e udiva sua madre rimproverarla di continuo, ma la donna non aveva alcun potere su di lei. Madison continuava a suonare. E poi, all’improvviso, spariva tutto: sua madre, il pianoforte, il panchetto. C’era soltanto lei, in mezzo alla stanza, completamente vuota. Ma, nonostante questo, si sentiva a disagio. Si era sempre immaginata che in un simile momento si sarebbe sentita felice e invece non lo era affatto; si sentiva come privata di qualcosa. E poi, all’improvviso, nel nulla di quella stanza suonò il suo cellulare. Suonava e suonava ancora, ma lei non riusciva a rispondere. La fastidiosa suoneria continuava a rimbombare nella sua testa: voleva solo che smettesse, lo voleva con tutta se stessa, ma non ci riusciva.
Poi scattò a sedere sul letto. Aprì gli occhi e si accorse che stava solo sognando, ma l’acuto suono della sua suoneria era più che reale. Ancora un po’ intontita, allungò un braccio verso il telefono sulla sua scrivania. Non riconobbe il numero sullo schermo, ma decise di rispondere ugualmente.
« … Sì? »
« Pronto, Madison, disturbo? Sono Ashton, ti ricordi di me? »
« Ash—Oh sì, certo. »
Madison cominciò a razzolare tra i ricordi della sua mente, cercando quello in cui aveva lasciato il suo numero ad Ashton. Non lo trovò.
« Allora, che facevi di bello? »
« Mi riposavo dopo una sessione al pianoforte. »
« Ah, suoni? Adoro il pianoforte! Mi farai sentire qualcosa un giorno? »
Di colpo, si maledì per avergli parlato del piano.
« Sì, senz’altro. Però adesso sarei un po’ di fretta, ho un impegno. »
« Oh, tranquilla, è una cosa veloce. Avrei bisogno di vederti: ho un’offerta per te. »
« Un’offerta? Che tipo di offerta? »
« Possiamo vederci tra un paio d’ore da Starbucks sulla 2nd, se vuoi. Sono sicuro che ti interesserà. Ma se sei di fretta, possiamo fare un altro giorno. »
« No, cioè… Di che si tratta? »
« Se ti dico di portare i tuoi scatti migliori, la smetti di fare domande? »
Madison rimase un attimo sbalordita.
« Io… I miei scatti migliori? Be’, sì, suppongo che si possa fare. »
« Fantastico! Se vuoi, possiamo vederci direttamente questo pomeriggio. Va bene tra un paio d’ore allora? Così hai il tempo per selezionare le foto. Portane pure quante ne vuoi.»
Madison rispose senza pensarci troppo.
« Ok, va bene. Dovrei esserci. »
« Non avevi un impegno? »
Rimase spaesata. Non capì inizialmente il perché di quella domanda, ma quando mise a fuoco la situazione e si ricordò di aver distrattamente detto di essere occupata, non ebbe il coraggio di dire nulla, e si vergognò da morire.
Sentì dall’altro capo la risata di Ashton.
« Dai, Madison, stavo scherzando. Ci vediamo dopo allora. Ciao! »
Madison rimase stordita per qualche secondo, tanto da non accorgersi nemmeno del saluto di Ashton. Quando fu tornata in sé, lui aveva già riattaccato. Si sedette un attimo sul letto a riflettere. Aveva fatto una terribile figura con Ashton, ma lui le aveva anche fatto una proposta allettante. Pensò che per la prima volta poteva avere una vera occasione per emergere come fotografa. Le dispiacque solo per la superficialità con cui aveva trattato Ashton: ma, d’altronde, lei sapeva che non gli doveva niente.
In ogni caso, le aveva parlato di un’offerta e le aveva chiesto di portare le sue foto migliori. Si sentì pervasa da un senso d’eccitazione, ma non voleva illudersi troppo presto.
Si alzò e si diresse verso la libreria accanto alla sua scrivania: da lì estrasse un piccolo album di foto, che infilò in una borsa abbastanza capiente. Dopodiché, presa da una strana euforia, cominciò a prepararsi.
 
***
 
Si meravigliò quando non trovò nessuno davanti al locale. Aveva dato anche una sbirciata dentro, ma di Ashton nessuna traccia. E così, aveva deciso di aspettarlo in balia di quel freddo pomeridiano, allietato da qualche timido raggio di sole. Teneva il viso nascosto dentro la sua sciarpa di cashmere, mentre stringeva tra le mani la borsa. Spostò lo sguardo da un lato all’altro della strada, cercando la sagoma di Ashton, finché non lo vide sbucare da dietro un angolo. Aveva un’andatura calma e disinvolta, come se non si fosse accorto di essere in ritardo. Madison liberò il suo viso dal calore della sciarpa rizzando il mento e cercò di farsi notare da lui; come i loro sguardi si incrociarono, Ashton cominciò ad affrettare il passo, finché non cominciò a correre per raggiungerla. Madison gli fece un gran sorriso, mentre aspettava che riprendesse fiato.
« Ti chiedo scusa. »
« Figurati, non è molto che aspetto. »
« È che, in tutta la mia vita, di donne così puntuali non ne ho mai conosciute. Ormai ho imparato ad arrivare almeno dieci minuti dopo. »
Madison sorrise.
« Be’, penso che dovrai rivedere le tue abitudini! »
I due scoppiarono a ridere. Ashton le scoccò un sorriso e Madison, improvvisamente, arrossì. Entrarono insieme nel locale semivuoto – dopo che Ashton le aveva gentilmente tenuto la porta – e si sedettero a un tavolo posto in un angolo. Ashton le sorrise ancora.
« Hai portato le foto che ti avevo chiesto? »
« Sì, ho portato un album. »
« D’accordo, dopo lo guardiamo. Ma prima ci prendiamo qualcosa, ti va? Ovviamente offro io. »
« No! Cioè, sì, ma voglio pagare la mia parte. »
« Ti prego, non farmi insistere. »
Tra i due scese il silenzio, finché la cameriera non venne a prendere le ordinazioni. Presero entrambi qualcosa di analcolico e leggero. Madison, oltretutto, anche qualcosa di poco costoso. Non appena furono arrivati i cocktail, Ashton parlò di nuovo.
« Allora, guardiamo questo album? »
Madison annuì lievemente e si apprestò a tirar fuori l’album dalla sua borsa. Fece un respiro profondo e lo consegnò ad Ashton, il quale lo mise davanti a sé, pronto a sfogliarlo.
Girò la copertina.
« Ah, un album ad anelli. Interessante scelta. »
« Sì, be’… » Madison si grattò il naso. « Almeno posso organizzare le foto in categorie. »
Ashton sorrise.
« Come le categorie di un concorso? »
Alzò la testa verso di lei e si sentì completamente messa a nudo.
« Non te ne devi vergognare. È normale sognare il successo in qualcosa che ci piace. »
Ashton cominciò a sfogliare le pagine. Osservava le foto una per una: le fissava per un tempo indeterminato come a volerne scovare ogni piccolo segreto, come se cercasse di capire quale emozione avesse portato a quello scatto.
Ogni pagina aveva quattro foto e a Madison, per la prima volta, quell’album sembrava non finire più. Come notò che Ashton stava per dire qualcosa, trattenne il respiro.
« Sai, mi eri sembrata più chiacchierona al Naughty Blu. »
Sorrise e le lanciò una rapida occhiata, poi tornò a guardare le foto. Madison arrossì; si sentiva terribilmente imbarazzata.
« Be’, quella volta, nessuno stava giudicando le mie foto. »
Lo sguardo di Ashton scorse su una nuova foto: si soffermò a guardarla, poi rispose.
« Non le sto giudicando. » Alzò gli occhi verso di lei. « Le sto guardando. »
Le sta guardando, ripeté nella sua mente; non le sta giudicando.
Non mi sta giudicando.
Quel pensiero sfrecciò nella mente di Madison talmente veloce che se ne rese conto appena. Ma non ebbe tempo di riflettere su ciò che aveva appena pensato, che Ashton proseguì.
« Queste sono foto di Jack – si chiama così, vero? »
« Sì, Jack. »
« E c’è un motivo particolare se tutte queste foto sono solo sue? »
Madison non proferì parola; e, stranamente, le sembrava anche di non riuscire a pensare a niente, se non all’imbarazzo che cresceva in lei sempre più. Ogni frase che usciva dalla bocca di Ashton aveva il potere di renderla ancora più tesa. Ashton parve accorgersene.
« Scusa, sono stato impertinente. »
Madison scosse la testa sorridendo debolmente.
« Comunque, non c’è nessun motivo particolare. È solo molto fotogenico e disponibile a farsi fotografare. Tutto qua. »
« E poi, anche se non fosse questo, non sono affari miei. »
L’imbarazzo di Madison crebbe ancora. Ma ebbe come l’impressione che l’ultima frase di Ashton fosse stato solo un pensiero detto a voce alta, poiché non notava in lui alcuna reazione legata a quanto detto.
Cominciava a sentirsi a disagio. Era stata una giornata piuttosto pesante, ed era andata all’appuntamento con una patina di euforia addosso; ma adesso, di tutta quella eccitazione non era rimasto granché e si sentiva solamente agitata. E non era solo per le foto.
Ashton continuò a sfogliare l’album, finché non giunse fino alla fine. Per tutto quel tempo, si era astenuto dal fare commenti. Chiuse l’album e stette un po’ a pensare.
« Mi piace. »
« Ti piace? »
« Sì, l’album. Se non ti dispiace, vorrei tenerlo per un po’. Hai una copia digitale di tutte le foto? »
Madison annuì.
« Perfetto. È un problema se non te lo rendo subito? Vorrei vedere le foto con calma e dirti poi quali selezionerei per la mostra. »
« Mostra? »
« Esatto. Ho un amico che ha intenzione di allestire una mostra, più o meno verso fine febbraio, al Park Avenue Armory. Dovrei riuscire a ottenere un piccolo spazio per te. »
Madison rimase a bocca aperta. Si sentì gli occhi brillare.
« È… È fantastico! Io… Non so che dire… »
« Per ora non dire niente. Se accetterà di esporre le tue foto, potrai ringraziarmi. »
« Grazie! »
« Ehi, è ancora presto. Lo potrai fare dopo che qualcuno mi avrà chiesto di te. »
« Grazie, grazie di cuore. »
Il volto di Madison si aprì in un radioso sorriso.
« Quindi, le mie foto ti sono piaciute? »
« Trovo che ci siano tecnica e talento, sì. Ma ciò che mi ha impressionato di più è il sentimento che c’è dentro, perché è quello che fa emergere un vero fotografo. Sai, ho conosciuto tante persone con una tecnica impeccabile che cercavano di stupire con angolazioni strampalate e foto ad effetto. Ma non ci mettevano sentimento. Le loro foto erano tecnica, e nulla più. Dalle tue, invece, traspare qualcosa di magico. Per questo ti ho fatto quella domanda su Jack. Non c’era nessun intento malizioso. »
Madison si sentì incredibilmente stupida. Si diede della superficiale e della cretina per almeno dieci volte, solo per aver pensato che quella domanda di Ashton fosse un tentativo di sondare il terreno.
Non disse nulla, e lo lasciò continuare.
« D’altronde, si sa che gli artisti hanno una sensibilità particolare. »
« Gli artisti? »
« Be’, suoni il pianoforte, no? »
Non si aspettava di entrare in maniera tanto naturale in un argomento che cercava sempre di evitare. Fu stupita dal modo in cui, tramite l’arte, erano passati dalla sua più grande passione a ciò che più odiava. Ma si rese conto che ciò che più la inquietava, era il fatto che, secondo Ashton, la magia che metteva nelle sue foto era dovuta alla sua sensibilità di artista – in altre parole, al fatto di suonare il pianoforte.
Si accorse che Ashton la fissava, in attesa di una risposta. Madison tossicchiò.
« …Sì. Suono il piano. »
Ripensò ancora al collegamento tra il pianoforte e la fotografia. E le sembrò quasi che il pianoforte tentasse di invadere anche quel campo della sua vita, l’unico che, fino a quel momento, le aveva regalato solo momenti felici. Non voleva parlarne.
« Trovo che sia uno strumento strepitoso. »
Madison non rispose. Afferrò anzi il suo bicchiere e bevve un altro sorso del suo cocktail.
« Hai un artista preferito? »
Emise un sospiro profondo. Ripensò a quello che era accaduto il pomeriggio stesso. Al Carnevale, a sua madre. E anche a suo padre che aveva preso, come faceva ogni tanto, le sue difese.
« Mi piace Schumann. »
« Ah, Schumann. A me, invece, piace molto Beethoven. »
Madison smise di bere.
Suoni sempre questo Schumann, Madison. Ogni tanto potresti dedicarti anche a Beethoven!
Si portò una mano alla tempia e la fece poi scorrere sulla fronte. Sentì un senso di rigetto nascerle da dentro. Si era ormai rassegnata al fatto che la quotidiana presenza del pianoforte rovinasse ogni sua giornata, ma non poteva accettare che si intromettesse anche lì, in quel momento che doveva essere dedicato solo alla fotografia, che col pianoforte non aveva nulla a che fare.
« Ho detto qualcosa di sbagliato? Forse non ti piace Beethoven? »
Rispose con un tono duro e perentorio.
« No, non mi piace. »
Pensò che si era sentita così eccitata per le foto e la mostra, e ora doveva mettersi di mezzo il pianoforte. Non voleva essere sgarbata con Ashton. Ma cominciava a sentire quel familiare sentimento di rabbia ribollirle nel sangue; lo sentì partire dal basso del suo corpo, per poi risalire sempre più in alto e sempre più forte, come un guerrafondaio che cerca proseliti nei luoghi in cui fa visita.
« C’è un motivo particolare per cui non ti piace? »
La guerra si era scatenata.
Madison scattò in piedi improvvisamente e sbatté i pugni sul tavolo.
« Non voglio parlare del pianoforte! »
Ashton rimase impietrito. Per qualche secondo stette a bocca aperta senza proferire parola. Poi, dopo qualche tempo, si ricompose; tossicchiò impercettibilmente e tentò di dire qualcosa.
« Vabbè, dai. Sarà per quando ci conosceremo meglio. »
« Non me ne frega nulla di conoscerti meglio! »
Ebbe giusto il tempo di finire quella frase, che capì subito di aver detto una cosa atroce. Lo sguardo di Ashton sembrava non tradire alcuna emozione, ma era impossibile non notare lo stupore e il dispiacere che trapelavano dalle sue sopracciglia alzate. Fu quello spiraglio a farla tornare in sé. Era talmente pietrificata che non riusciva nemmeno a tornare seduta. Se ne stava lì, a bocca semichiusa, a fissare il vuoto tra lei e Ashton. Quel momento di incertezza su cosa sarebbe successo dopo le sembrò infinito.
Ashton, alla fine, si alzò. Madison d’istinto abbassò lo sguardo e si tenne pronta ad ascoltare gli insulti che pensava le sarebbero stati rivolti. Ashton parlò, risoluto.
« Vado a pagare il conto. Offro io. »
Lo sentì allontanarsi e in quel momento qualcosa in lei si spezzò. Avvertì un impellente e irrinunciabile bisogno di piangere, ma non voleva farlo davanti a lui. Non voleva impietosirlo dopo una scena del genere, non dopo che lo aveva trattato in quel modo. Voleva piangere, ma non voleva farsi vedere; non voleva farsi vedere, ma Ashton sarebbe tornato dopo poco. Volse il suo sguardo alla cassa: Ashton era ancora lì. Guardò poco più avanti e riconobbe la porta da dove erano entrati. Non passò molto tempo tra l’attimo in cui afferrò tutte le sue cose e, esplosa in un pianto dirompente, corse verso l’uscita.
Finalmente poté sfogarsi: e non le importava nulla di tutti quelli che la stavano guardando, o di quelli che pensavano che fosse una pazza. Quando fu ormai in strada, prese la prima direzione che le venne in mente e cominciò a correre. Correva e piangeva. E si malediva.
Udì in lontananza la voce di Ashton, che la chiamava; e il fatto che il volume non diminuisse significava che stava correndo dietro di lei. E il pensiero che, nonostante il suo egoismo e la sua cattiveria, quel ragazzo cercasse ancora di fermarla, la fece salire sul primo taxi che trovò, per non essere raggiunta mai.
 

Eccoci già al quarto capitolo :) Lente d'ingrandimento su Madison, che non si è comportata proprio bene in questo capitolo... Avrà compromesso i suoi rapporti con Ashton oppure c'è ancora speranza di poter parlare civilmente? Chissà, chissà XD
Se tutto va bene, vi do appuntamento a martedì, dove ci sarà del sano fluff e il rientro in scena di un personaggio passato un po' in sordina in questi primi capitoli. 
Ringrazio tutte le persone che seguono la storia e che hanno recensito, i vostri pareri mi rendono sempre felicissima!
Vi ricordo che potete passare dal mio blog oppure dalla mia pagina Facebook per chiacchierare in libertà di questa storia, che non so proprio da dove mi sia uscita XD
Vabbè, a presto ^__^
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: holls