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Autore: Hisfreckles    06/09/2013    3 recensioni
Una notte fredda e più buia del solito, una ragazza
che ha perso tutte le speranze e un ragazzo pronto ad aiutarla,
ci riuscirà o sarà troppo tardi?
[Modern!AU] [Everlark]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Won’t you take me by the hand
take me somewhere new
I don’t know who you are
but I'm, I'm with you



 

 Il freddo questa sera è glaciale, di quelli che fanno male al viso e che ti entra nelle ossa come piccoli aghi appuntiti. Non so perché sia qui, perché non mi trovi al caldo, in casa, con mia sorella e mia madre e una tazza di tè alla menta tra le mani ghiacciate. Forse perché sono solo una vigliacca, non ho il coraggio di tornare a casa, non riuscirei a sostenere ancora lo sguardo vuoto di mia madre o a vedere il viso della mia sorellina scavato dalla fame, con la consapevolezza che avrei potuto fare di più, che avrei dovuto fare di tutto per non arrivare a questa situazione.

Cinque anni fa mio padre è morto. Cinque anni da quanto mia madre ha smesso di fare tutto, persino prendersi cura delle sue due figlie, lasciando semplicemente che il peso delle sue responsabilità gravasse sulle mie spalle.
Inspiro profondamente lasciando poi andare l’aria in una nuvola di condensa mentre lentamente muovo i piedi un po’ più vicino al bordo del vecchio ponte che sovrasta il fiume nella periferia della città in cui abito, le mani saldamente ancorate al parapetto di roccia ruvida. Non so se ci riuscirei per davvero, farla finita lasciando che tutto si sistemi da sé, forse no, dopotutto se avessi voluto farlo avrei già lasciato che le mie mani allentassero quella presa ferrea invece di continuare a fissare il torrente nero che impetuoso scorre sotto di me.
Allora cosa sto aspettando?
Nessuno verrà qui a cercarmi, non mia madre, non mia sorella, che probabilmente starà già dormendo. Gale?
Forse, se non avesse anche lui una famiglia di cui occuparsi, una famiglia molto più numerosa della mia: io ho  solo Prim, lui ha altri due fratelli e una sorellina di appena quattro anni. Ma Gale è più grande di me, ha le spalle più grosse  e una madre che lo aiuta ad occuparsi di loro.
Io non ho nessuno.
Perché dovrei tornare a casa?
Perché non farla finita sperando che riescano a cavarsela senza di me? Qualcuno prima o poi si accorgerà della loro situazione, chiamerà gli assistenti sociali e  allora ci penseranno loro, porteranno mia madre in una clinica e mia sorella in quella che loro chiamano casa famiglia ma che di famiglia non ha proprio nulla. Come se la nostra, di famiglia, sia poi migliore: una madre egoista, così distrutta dal dolore da non riuscire a vedere la sporgenza delle ossa oltre la pelle delle sue figlie, e una sorella che preferirebbe abbandonarla al suo destino piuttosto che affrontare i suoi fallimenti e vederla soffrire.
Le lacrime mi offuscano gli occhi e scendono lungo le guancie, silenziose, si mescolano agli sporadici fiocchi di neve che cadono leggeri. 
«Brutta giornata?»
Sobbalzo appena nel sentire una voce alle mie spalle. Una delle mie mani scivola sulla superficie ruvida, non faccio neanche in tempo a rendermi conto che potrei davvero cadere di sotto, un’altra mano mi afferra il polso all’istante, con sicurezza ma senza farmi male. Una volta ritrovato l’equilibrio lancio un’occhiata di sotto, come ad assicurarmi che il pericolo sia scampato. Ciottoli di ghiaia ruzzolano giù per poi essere inghiottiti dall’acqua scura. Sospiro sollevata, nonostante il cuore non smetta di martellarmi nel petto, e alzo lo sguardo. All’inizio pensavo si trattasse di Gale, chi altro potrebbe venire a cercarmi qui, in piena notte e con almeno qualche grado sotto lo zero?
Ma non è lui. Avrei dovuto capirlo subito dalla voce meno rauca e più calda, o dalla pelle chiara che spicca contro la mia leggermente olivastra, tutto quello che vedo invece, sono due profondi occhi azzurri che mi fissano preoccupati. Mi lascia la mano una volta assicuratosi della mia stabilità e si siede sulla ringhiera, il viso rivolto all’altra sponda, i piedi poggiati contro il muretto e gli avambracci sulle cosce. Ora che lo osservo bene è praticamente il contrario di Gale, la carnagione pallida mette in risalto il naso e le gote rosse a causa dal freddo pungente, i capelli biondo cenere scompigliati dal vento gli ricadono in onde sulla fronte, alcuni fiocchi di neve ancora intrappolati tra di essi, ed un sorriso rassicurante sulle labbra.
«Brutta vita» rispondo con un’alzata di spalle.
«Già, » sembra pensare seriamente alla mia risposta per poi guardarmi di nuovo serio «ma non credo che questa sia la soluzione giusta.»
Oh, bene. Non bastava che a causa per poco non cadevo di sotto, ma è anche abbastanza arrogante da pensare di conoscermi, di sapere cosa mi ha portato qui stanotte e che scappare in questo modo non ne è la soluzione. Non so se mi irriti di più il fatto che è così sicuro di avere ragione,- e a me non piaccio le persone sempre convinte di essere nella ragione – o che un completo sconosciuto abbia capito tutto così velocemente.
«Davvero? E cosa ne sai tu, esattamente?» il mio tono è molto più sarcastico che irritato, come vorrei che fosse, ma non penso che faccia molta differenza, lui non ride, anzi prende un gran respiro prima di parlare gesticolando un po’ come se si sentisse a disagio.
«Hai ragione non so nulla, ma davvero, ci ho pensato anche io,»
Le sue parole mi colpiscono, perché un ragazzo di città – perché dal suo aspetto ero certa vivesse lì – avrebbe dovuto pensare a qualcosa come il suicidio? Pensavo che quelli come loro non avessero problemi, sempre un piatto caldo a tavola e una famiglia su cui contare.
«Le cose non si sistemeranno da sole, tanto vale rimboccarsi le maniche e trovare qualcosa per cui andare avanti.»  
A quanto pare anche io ho giudicato il ragazzo senza sapere nulla di lui. Sento il suo sguardo indugiare sul mio viso per un secondo, devo essere silenziosa da un po’ persa nei miei pensieri ma lui non dice nulla, torna a fissare il profilo della città di fronte a sé. Un sorriso fugace fa la comparsa sul mio volto. Non so perché stia sorridendo, ormai ho i muscoli indolenziti e un bruciore crescente alla mano sinistra.
«Allora, hai intenzione di aiutarmi o no?» chiedo di punto in bianco. Non voglio passare un minuto di più in questo posto. Lascia andare uno sbuffo divertito poi salta giù aiutandosi con le mani. Riuscirei benissimo a cavarmela da sola ma ho le braccia così indolenzite che ho paura che non reggano, nonostante ciò tutto quello che fa è farmi da appoggio mentre mi tiro su. Mi prendo qualche minuto per allungare i muscoli e le dita.
«Comunque io sono Peeta. Peeta Mellark»,  allunga una mano amichevolmente, la guardo riluttante per qualche istante  prima di afferrarla.
«Katniss Everdeen»
«E’ un brutto taglio quello, Katniss» pronuncia il mio nome in modo strano, come per provarlo.
 Non capisco cosa intenda, poi mi ricordo del bruciore alla mano sinistra e la esamino. Un taglio ne attraversa netto il palmo circondato da altri piccoli graffi, non è molto grande o profondo ma sembra molto sporco.
«In panetteria dovremmo avere un kit, potremmo disinfettarlo» continua Peeta. Prende la mia mano tra le sue, sono calde come le mie, ma non altrettanto rosse.
«In panetteria?»
«Quella della mia famiglia,»  dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo,«non è molto lontana, solo a qualche isolato da qui»
Da dove vengo io, nessuno fa nulla senza ricevere nulla. Mi chiedo cosa spinga Peeta Mellark anche solo a parlare con me. Incrocio le braccia al petto con la chiara intenzione di non muovere un passo.
«Come faccio a sapere che non sei psicopatico?»
Sorride divertito come se avessi appena fatto una battuta, peccato che io non stessi affatto scherzando.
«Non lo sono» mi assicura in una specie di risata. Gli lancio uno sguardo truce, non voglio che rida di me, ma lui sembra ignorarla.
«Oh, ora sì che sono più tranquilla» borbotto seccata. Peeta scuote la testa, il sorriso che ancora aleggia sul suo volto e nei suoi occhi. Fa qualche passo in direzione della città, le mani bene al caldo nelle tasche del giubbotto verde militare, prima di fermarsi e voltarsi di nuovo verso di me con un cenno della testa.
«Non vieni?»
Sospiro rassegnata. Qualunque posto sarebbe migliore di quello - o di casa mia – quindi, a passo svelto, lo raggiungo.

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Spazio Autrice  (troverò mai un titolo che non mi metta a disagio?)

Morale della favola: non lasciare mai Ilaria (sì, è il mio nome) troppo a lungo a girovagare per youtube cercando ispirazione.
Ho pensato un po' alla scena del pane mentre la scrivevo, quando Katniss si arrende e decide che morire sotto la pioggia le andava bene, poi però arriva Peeta a salvarla....
In realtà avrei altri uno o due capitoli in mente per questa cosa ma non so se continuarla, non mi convince molto.
Anyway, grazie a chi ha letto per il vostro tempo, e grazie il doppio a chi ne perderà un po' in più per recensire (se ci sarà qualcuno...).
Alla prossima!

 

  
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