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Autore: BuredoGengo    07/09/2013    3 recensioni
Un mio vecchio racconto rivisto e corretto, che posto perchè sì. Si tratta della storia di una ragazza che, appena laureatasi, vede ogni suo sogno sfumarle davanti agli occhi per via di una strana "epidemia" che ha colpito chiunque nel raggio di chilometri e chilometri, trasformando tutti in specie di automi, tranne appunto lei. Sì, è un racconto, quindi non è pensato per avere capitoli; ma essendo un racconto lungo ho preferito dividerlo in capitoli, in modo da facilitare la lettura (io stessa mi sarei forse stancata di leggere un racconto talmente lungo).
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il 23 dicembre del 2036. Una giornata inusualmente fredda, visti i tremendi cambiamenti climatici degli ultimi anni. Ma non c’era nulla da fare contro il freddo: l’unica possibilità era accucciarsi nella sciarpetta da quattro soldi rossa che Irene aveva comprato al mercatino quattro anni prima, e aspirare l’odore acre del tessuto marocchino. Oppure tornare a casa e rintanarsi sotto le coperte con Camilla accanto, che avrà dovuto sentir freddo anche lei con solo il suo bel pelo bianco addosso, a leggere un libro. Ma Irene non lo avrebbe fatto: camminare era l’unica cosa che la faceva sentire viva, in quella città piena di fantasmi e vuota allo stesso tempo. Il fantasma di una scomparsa ma quasi viva angoscia passeggiava dietro Irene e la sua cagnetta. E anche loro, tutto sommato, senza voler ammetterlo erano diventate due fantasmi. Tutti quegli anni passati a riporre fiducia nel nucleare non avevano giovato molto. Era vero che la vita degli italiani era migliorata, dopo la fine della crisi, il raggiungimento del pareggio di bilancio e il ritorno al nucleare. Ma non si era accorto nessuno dell’ennesimo effetto collaterale dell’energia nucleare: gli ingenti danni al lobo frontale, al lobo temporale e all’area prefrontale del cervello. In pochi, a parte gli scienziati, si erano accorti di tutto ciò. Ma quei pochi erano proprio quelli che contavano, i “pezzi grossi” dell’economia nazionale ed europea, e pertanto avevano deciso di far tacere gli scienziati. Il ricavato economico dell’energia nucleare era decisamente alto; e che cosa avrebbe mai potuto causare qualche danno a qualche area del cervello piuttosto sconosciuta? Oh, niente, solo danni alla comprensione del linguaggio, alla capacità di esprimersi oralmente o per iscritto, alla capacità di comprensione del tono di voce, alla capacità di memorizzazione, rievocazione e apprendimento, e alla capacità decisionale dell’individuo. Nulla di importante. Irene lo sapeva, quelle zone del cervello erano quelle che la interessavano di più. Era una persona aperta e socievole, piena di vitalità ma con un gran bisogno di stare in compagnia, tutte qualità che prima o poi, in mezzo ad automi che si esprimevano come robot e che sapevano solo obbedire ad ordini che probabilmente mai avrebbero ricevuto, l’avrebbero condotta alla depressione. Per evitarlo, andava in giro solo con la sua Camilla, amica e compagna nelle situazioni più difficili. La sua laurea, proprio in scienze sociali, non le sarebbe più servita a molto: e pensare che per ottenerla aveva studiato per molti mesi fino a notte tarda, come peraltro è normale, e si era battuta come una furia! Che cosa cercasse ancora in quelle strade deserte, laureata e ventiseienne, non lo sapeva. E neanche lo poteva sapere la cagnolina Camilla. Ma non si erano ancora arrese. Nessuno sapeva che c’era ancora qualcuno che non aveva contratto quei sintomi. E anche se lo avessero saputo, nessuno se ne sarebbe interessato. Era come se fossero tutti morti. Nessuno poteva più provare emozioni vere, o perlomeno non riusciva a mostrarle. Nessuno riusciva più a parlare davvero con gli altri. Angoscia e terrore erano state sostituite da questa tremenda, innaturale e apatica indifferenza. Le particelle dell’uranio, quasi per sopravvivenza, o per punizione divina, o per non so quale altro motivo, si erano modificate, nell’arco dell’ultimo decennio, senza che nessuno riuscisse a controllarle. Gli scienziati se n’erano accorti, ma di nuovo i pezzi grossi li avevano fatti tacere. Irene era rimasta sola, per colpa di quei pingui capitalisti senza cervello se non che per i soldi. La sua famiglia ormai era composta da robot. Robot senza anima che non comunicavano più. Eppure c’era qualcosa di strano. Il sistema nervoso è complicato, certo, ma era impossibile che i danni al lobo frontale, al lobo temporale e all’area prefrontale potessero causare tali danni. Le persone sembravano, più che incapaci di memorizzare, ricordare, parlare et cetera… spente. Vuote. Le strade erano deserte come al solito, se non per i vari robot AID, finanziati dal governo, che già funzionavano anni prima, che scorrazzavano per andare a svolgere i compiti per i quali erano stati creati. Gli automi che erano diventati gli italiani, per via dei gas nucleari che avevano raggiunto ogni parte d’Italia, dopo il disastro dell’anno prima, sembravano come autistici. Solitamente però gli autistici hanno anche altri problemi psico-fisici, come per esempio l’insopportazione di un certo colore. Inoltre spesso sono dei geni. No, gli italiani erano diventati inutili robot senza pensiero né volontà. Non erano in grado di passeggiare per le strade per il solo gusto di farlo. La cosa tremenda da pensare era che non solo gli anziani e i depressi, che magari potevano trovare conforto in quell’assenza di pensieri, erano stati colpiti dall’ascia tagliente dei minuscoli frammenti di uranio nell’aria, ma anche i bambini e i giovani. O almeno, tutti i giovani tranne uno. O meglio, una.
Il Ballo-angolino Boh, sì, consideriamolo un prologo; dopotutto serve solo a spiegare la situazione. Mi spiace per la brusca interruzione tipo cliff-hanger a caso, ma essendo progettato come racconto in realtà questo capitolo non sarebbe dovuto esistere, l'unica interruzione possibile era in questo punto o diventava troppo lungo D: Bon, so già che lo leggeranno in due, se sono fortunata, compresa me, quindi informo chiunque passi di qua per caso che aggiornerò solo se vedrò almeno due recensioni. Tanto per non occupare spazio a caso. Adieu!
  
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