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Autore: Luce_Della_Sera    07/09/2013    2 recensioni
Capita spesso che gli studenti dicano "La professoressa mi odia, ce l'ha con me!" per giustificare le proprie lacune o la loro scarsa voglia di applicarsi...ma a volte purtroppo hanno ragione, e l'accanimento dei docenti contro di loro può portarli ad avere serie difficoltà!
Questa storia è ispirata ad episodi reali.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NON TUTTO IL MALE VIENE PER NUOCERE

 

Capitolo 1 : Avvertimenti

Mi aggirai per la classe vuota, pensando a quello che avrei dovuto affrontare di lì a poco: nuovi compagni, nuove situazioni … solo le professoresse sarebbero rimaste le stesse.
“Ciao!”, disse una voce; io mi girai e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo alto e dinoccolato, con la pelle scura.
“Ciao!” risposi. Poi, accorgendomi che il mio interlocutore stava aspettando di sapere come mai ci fosse un’intrusa nella sua classe, spiegai:  “Avrei dovuto fare il quarto A quest’anno, ma sono stata bocciata perciò eccomi qui!”
“Ah, capisco … in effetti ce lo avevano detto che avremmo avuto alcune compagne nuove quest’anno. Quindi tu dovresti chiamarti … Francesca, Joan o Marika, vero?” mi chiese, consultando l’elenco dei nomi degli studenti sul registro di classe.
“Sono Marika, piacere. E tu invece come ti chiami?”
“Io mi chiamo William, piacere di conoscerti”.
“Bel nome! Sei inglese?”.
Lui rispose qualcosa, ma io non riuscii a sentirlo perché in quel momento iniziarono ad arrivare gli altri: la classe era formata da diciotto studenti in tutto, tra cui sedici femmine e soltanto due maschi.
Ci fu qualche chiacchiera e io informai anche gli altri sul motivo della mia presenza lì, infine suonò la campanella e scegliemmo velocemente un posto dove sederci: io capitai vicino ad una brunetta con i capelli ricci di nome Michaela.
L’ultima di noi si era appena seduta, quando entrò la professoressa di inglese. Era quella che odiavo di più, l’artefice diretta della mia bocciatura!
“Buon giorno ragazzi! Come sono andate le vacanze estive?” chiese, melliflua. Fece scorrere lo sguardo per l’aula, e poi si bloccò su di me.
“Serianni! Sei ancora qui?”
“Adiamo bene”, mi dissi. “Bell’accoglienza!”. Ero fortemente tentata di risponderle con qualche battuta tagliente ma non mi sembrava il caso di mettermi nei guai già dal primo giorno, quindi dissi soltanto: “Beh, sì!”
L’insegnante assunse un’espressione schifata, poi decise di ignorarmi e cominciò ad illustrarci il programma che avremmo dovuto affrontare.
“Siete in un terzo liceo linguistico, e il programma ministeriale per il vostro anno prevede che per la prima e la seconda lingua ci siano ore di letteratura e ore di conversazione: perciò almeno per quel che riguarda la mia materia avrete voti di letteratura e voti di conversazione, che alla fine dell’anno faranno media tra loro. Tutto chiaro fin qui?”.
Nessuno si mosse né parlò.
“Bene. Allora, so che siamo alla prima ora del primo giorno, ma vorrei ugualmente vedere come siete messi con le traduzioni: i compiti in classe quest’anno riguarderanno la comprensione del testo, quindi converrete con me che è importante sapere a che livello siete arrivati. Ho una decina di fotocopie già pronte: se ne mettete una per banco, dovrebbero bastare!”
Guardai il foglio, sorpresa: era un brano tratto da Harry Potter e la pietra filosofale. Non proprio il genere di cosa che mi sarei aspettata dalla professoressa Salviani, che odiava tutto ciò che era legato all’infanzia, alla magia e alla fantasia!
“Diana”, disse la docente, rivolta ad una ragazza molto bassa con i capelli castani e lisci. “Comincia tu!”
“L’ha chiamata per nome! Quindi le è simpatica”, realizzai.
Quando Diana finì si passò alla sua vicina, e così via finché non arrivò il mio turno.
“Bene, ti faccio vedere io di cosa sono capace!” pensai.
Quindi cominciai a tradurre direttamente dal testo:
“Per tua informazione, Potter, asfodelo e artemisia insieme fanno una pozione soporifera così potente da andare sotto il nome di ‘Distillato della morte vivente’ ….”
“Basta Serianni, va bene così: non c’è bisogno che vai avanti. Te la sei cavata discretamente, anche se secondo me faresti bene a capire una volta per tutte che non sei adatta a questa scuola. Sono tre anni che te lo ripeto, ma tu sei più cocciuta di un mulo …”.
Io non replicai, nonostante la rabbia che avevo nel cuore, e mi limitai a guardarla dritta negli occhi: col senno di poi, forse avrei dovuto comprendere subito che il suo avvertimento era da ricondurre a qualcosa di serio  visto che non diceva mai niente a caso, ma in quel momento ignorai tutti i segnali. Come potevo immaginare quello che sarebbe successo da lì a qualche mese, considerando il fatto che la mia avversaria aveva quarantasei anni e io soltanto diciassette?
 
 
Fortunatamente l’ora passò senza altri incidenti, e nelle cinque successive i miei compagni ebbero occasione di conoscere per la prima volta le insegnanti di tedesco, di arte  di e filosofia, infine venne la professoressa Timei, che era una nostra vecchia conoscenza: a me l’anno precedente aveva insegnato chimica, agli altri invece aveva tenuto le lezioni di biologia.
Quando finalmente venne il momento di lasciare l’aula, mi girai casualmente verso la mia nuova compagna di banco, con la quale avevo scambiato solo poche frasi convenzionali, e la sorpresi ad osservarmi con molta curiosità: imbarazzata per questo suo strano atteggiamento, oltrepassai la porta e scesi le scale che portavano all’uscita dell’edificio scolastico.
 
 
“Marika! Allora, com’è andata oggi?” mi chiese mia madre, subito  dopo essere rientrata a casa dal lavoro.
“Bene”, dissi, con una scrollata di spalle. Stavo per andare a rinchiudermi in camera mia, ma purtroppo per me lei non aveva ancora finito con l’interrogatorio.
“Hai conosciuto i nuovi compagni? Come ti sono sembrati? E quali materie hai avuto? Hai sempre le stesse prof dell’anno scorso?”
“Per i miei compagni non ti so dire, visto che li ho appena conosciuti ... e riguardo alle prof, ho avuto inglese alla prima ora, pensa che fortuna! Dio come odio quella donna.”
“Basta che ti impegni e le fai vedere quanto vali: vedrai che così non potrà bocciarti un’altra volta!”
“Magari fosse così semplice!”
“Forse se tu parlassi in inglese anche davanti a me e a papà per esercitarti, e ci permettessi di sentirti mentre ripeti le cose che studi …”
La guardai, torva: ma da che parte stava? Stavo giusto per chiederglielo, quando mio fratello fece capolino da dietro la parete.
“Mamma, guarda che Marika è brava in inglese! Quando ci arrivano le lettere del fratellino a distanza le traduce sempre …”
“Roberto, tesoro, che ci facevi lì dietro? Lo sai che non si ascoltano i discorsi degli altri! Comunque, lo so che Marika è brava, ma potrebbe esserlo ancora di più!”
“Lascia stare”, gli dissi, conducendolo fuori dalla stanza, “La professoressa mi odia, ecco tutto: posso essere brava quanto voglio, ma tanto difficilmente mi metterà la sufficienza”.
“Marika!” mia madre, che sentiva sempre quello che non doveva sentire, mi richiamò immediatamente all’ordine. “Non mettere a tuo fratello strane idee in testa: i professori non sono mostri sadici, sono persone. Non odiano gli studenti! Mi hai sentito?”
“Ma non sono neanche dei santi! Si vede proprio che hai il diploma magistrale, anche se hai insegnato poco: i docenti sono gli unici lavoratori sulla faccia della Terra che si difendono a spada tratta a vicenda contro tutto e tutti!”gridai, frustrata e ferita, e sbattei la porta della mia camera chiudendomi a chiave dentro. Potevo capire lo scetticismo degli estranei, ma come faceva mia madre a darmi contro pur conoscendo benissimo tutta la storia?
L’arrivo di mio padre non migliorò il mio umore, dato che fece le stesse identiche domande e le stesse identiche osservazioni di mia madre. “Possibile che in famiglia l’unico che mi appoggia e che ha fiducia in me è Roberto, che ha solo otto anni?” pensai, innervosita.
Una volta a letto, però, mi calmai, e invece di rivivere nella mente tutta la giornata appena trascorsa come facevo di solito, tornai col pensiero a Michaela: era davvero curiosità quella che avevo visto dipinta sul suo volto? E se lo era, cosa in me l’aveva incuriosita tanto?
Mi arrovellai per un po’ sulla questione, ma alla fine dovetti arrendermi a Morfeo e scivolai nel sonno.

 

  
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