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Autore: TheCapo91    08/09/2013    4 recensioni
"Cubone, Pokèmon solitario: Porta il teschio di sua madre come elmetto. Il suo verso che fa eco nel teschio è una triste melodia."
Questa è la (scarna) descrizione che il Pokèdex dà a proposito del piccolo Pokèmon di tipo Terra dal passato misterioso. Ma chi ha giocato alla prima generazione di videogiochi conosce bene la tragedia e la crudeltà che si nasconde dietro la sua storia. Ed io vorrei raccontarvi cosa successe quel giorno...
Genere: Azione, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Rocket
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
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Pokèmon solitario

 




 
Corri.
Corri. 
 
La testolina del suo cucciolo le dondolava in grembo mentre fuggiva dai loro inseguitori.
 
Corri. 
Corri. 
 
Il sole tramontava in lontananza, la valle in fiamme, i Pokèmon attorno a lei giganti e feroci. Ma per lei contava solo una cosa: mettere al sicuro la sua creatura.
 
Corri. 
Corri.
 
Ecco l'ennesimo essere umano sbarrarle la strada. Ne erano comparsi a decine in brevissimo tempo, giovani uomini con le divise nere e una grande "R" rossa sopra. 
Con un sorriso sadico, l'uomo lanciò una sfera rossa e bianca, da cui uscì un Golbat.
 
Il pipistrello le volò contro e lei dovette interrompere la sua corsa per schivarlo.
Non c'era più modo di evitare lo scontro, doveva combattere. Mentre reggeva il figlio in braccio, mamma Marowak sferzò l'aria con il possente osso e il Golbat fu costretto a virare fuori traiettoria.
L'uomo in nero urlò qualcosa e il Golbat iniziò ad emettere degli acuti stridii che la investirono, stordendola. Cadde in ginocchio, con la sensazione di avere una scheggia conficcata nel cervello, mentre il Pokèmon avversario continuava l'attacco, che cresceva di intensità ogni secondo di più.
Spaventato dal rumore, il piccolo che aveva in braccio iniziò a piangere e questo in un attimo cancellò la confusione in cui era entrata. Appellandosi a tutte le sue forze, scagliò la sua arma contro il pipistrello, colpendolo in pieno con un forte tonfo. Roteando, l'osso le tornò in mano e il Golbat rovinò al suolo, sconfitto dal potente Ossomerang. 
 
Marowak riprese la corsa verso la salvezza,  ma appena ebbe fatto pochi passi, un dolore lancinante le attraversò la schiena, paralizzandola e il prezioso Pokèmon che aveva in braccio cadde ai suoi piedi.
Voltandosi, vide un gigantesco Rhydon con il corno imbrattato di sangue. Il suo sangue. Le forze le vennero meno: non avrebbe retto un'altro scontro. 
 
Arretrando, volse gli occhi al cucciolo, che era in preda al terrore.
- Non temere, piccolo Cubone - sussurrò - non permetterò a nessuno di farti del male. 
Alzò l'osso e si preparò allo scontro, mentre il gigantesco Rhydon si apprestava a caricare.
- Io sarò sempre con te, cucciolo mio. Sempre.
Era essenziale che suo figlio lo capisse.
- Qualsiasi cosa accada, tu corri via di qui. Vai e vivi la tua vita, trova un luogo sicuro e... Sii felice.
Il piccolo Cubone la guardò con gli occhi pieni di amore e paura.
- Corri piccolo mio... Corri!
Il cucciolo obbedì alle ultime parole della madre e fuggì. 
 
Dietro di lui sentì il violento cozzare di corpi, voci umane e urla grottesche della battaglia che infuriava.
Non udì mai il sinistro rumore del corno che trapassò mamma Marowak.
Si precipitò nei campi, le lacrime che scendevano a fiotti dagli occhi, immagini e suoni confusi intorno a lui. 
Corri. 
Corri. 
 
 
Erano passate diverse settimane prima che Cubone trovasse il coraggio di tornare in quel posto. L'aria era ancora pregna di fumo, il terreno macchiato dal sangue delle battaglie. Un silenzio talmente assoluto da risultare insopportabile.
Lentamente camminò verso quello scenario tetro, rabbrividendo. 
 
Infine giunse alla valle. Non c'era più traccia della sua mamma, eccetto che per un teschio bianco. Proprio dove l'aveva vista l'ultima volta.
Cubone non riuscì a trattenersi. Con un lungo grido di dolore lacerò il silenzio che lo opprimeva e cadde in ginocchio. Restò a lungo così, svuotato, osservando il cranio della sua mamma, che ora non era più con lui.
Con mani tremanti lo prese e lentamente se lo mise in testa. Gli calzò alla perfezione. Un ultima lacrima scese lungo il teschio e sulla guancia del piccolo Pokémon orfano, bagnando il terreno. 
- Ora sarai sempre con me, mamma... Staremo insieme per sempre... per sempre...
 
Grosse nubi, cariche di pioggia, si erano accumulate sopra la valle. La cittadina di Lavandonia, poco lontano da lì, venne investita da un refolo di vento, che si insinuò tra le mura di un vecchio cimitero.
Lentamente, la folata si avvitò su se stessa, generando un piccolo tornado di polvere nera.
 La massa scura si alzò, delineandosi, e si andò a posare su una lapide, senza sfiorarla. Si formarono delle piccole mani artigliate e il fantasma aprì finalmente gli occhi, completamente bianchi.
- Non temere, piccolo mio. Io sarò sempre con te. Sempre.
  
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