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Autore: alecter    08/09/2013    1 recensioni
One shot ispirata alla partita del Celtic a cui ha partecipato Louis.
"La cosa più difficile da affrontare un tutto quel caos, era non avere al suo fianco il suo portafortuna.
Sapeva cosa aveva spinto Harry a non prendere parte del pubblico quel giorno, sapeva perché in quel momento si ritrovava solo invece che circondato dalle braccia del suo migliore amico e amante, ma faceva male lo stesso.
Essere separato da Harry era come privarlo dell’aria."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ci tengo a dirvi che è una storia che ho scritto in dieci minuti, di getto, dopo aver visto la partita e aver sentito canzoni depresse. 
Quindi sono consapevole del fatto che ci saranno errori, che è molto uno schifo. Ma avevo voglia di scriverla. 
Spero che almeno un pò apprezzerete :)
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Un respiro profondo. Ancora un altro, e passerà tutto.
Louis sospirò. Respirò profondamente ancora una volta, ma sentiva ancora lo stomaco contorcersi dall’agitazione.
Era seduto sulla panchina degli spogliatoi, intendo ad infilare la maglietta con sopra il suo nome, mentre gli altri calciatori erano già in campo. La stanza era vuota, appositamente per far sì che tutta l’attenzione si concentrasse su di lui. Infilò la testa dentro la maglia e sperò di poterci rimanere, di non dover mostrare il suo sorriso tirato al fotografo che continuava a scattare senza sosta foto di lui a petto nudo.
Odiava quel tipo di attenzioni, non era per quello che aveva deciso di entrare a far parte del programma che poi lo avrebbe reso famoso.
Amava quando le fans lo chiamavano a sé, firmare autografi, vederle sorridere, cantare sul palco, e sentire davanti a lui l’intera folla andare a ritmo con lui e i suoi quattro migliori amici.
Ovviamente c’è sempre un prezzo da pagare. Il suo era stato quello di dover rinunciare a buona parte dei suoi desideri più nascosti, a parte della sua vita, ad una parte di se stesso.
Infilò la maglia, strinse i pugni e cercò di sorridere mentre i flash continuavano ad appannargli la vista. Era così teso che le sue mani tremavano visibilmente, ma il fotografo sembrò non preoccuparsene.
Deglutì e cercò di non pensare a cosa lo aspettasse.
Il tentativo fu vano. Non appena chiuse gli occhi, l’allenatore della squadra entrò nella stanza e gli posò una mano sulla spalla.
Louis per un secondo immaginò che quella mano fosse di qualcun altro. Quella presa ferma, ma al tempo stesso dolce, che riusciva a tranquillizzarlo in qualsiasi situazione.
Aprì gli occhi lentamente, sperando di trovare un enorme paio di occhi verdi a fissarlo dall’alto, ma trovò solamente Neil, con un sorriso tirato.
“Pronto?” chiese quello, stringendo leggermente di più la presa sulla spalla di Louis.
Louis a sua volta annuì, anche se in realtà non era per niente pronto.
Non voleva uscire dallo spogliatoio e ricevere vagonate d’insulti mischiate a fischi.
Era abituato a farsi scivolare addosso la maggior parte del veleno che la gente gli sputava addosso, ma in quell’occasione voleva davvero dimostrare con tutto se stesso di valere qualcosa.
Voleva mostrare al mondo che non era soltanto un ragazzino fortunato, un membro di una boy band e basta. Lui era Louis Tomlinson.
“Arrivo tra un secondo” disse a Neil, prima di uscire dalla stanza. L’altro annuì e lo lasciò un attimo solo.
Louis prese in mano il telefono con le mani tremanti e rilesse l’ultimo messaggio ricevuto. Il suo cuore perse un battito.
La cosa più difficile da affrontare un tutto quel caos, era non avere al suo fianco il suo portafortuna.
Sapeva cosa aveva spinto Harry a non prendere parte del pubblico quel giorno, sapeva perché in quel momento si ritrovava solo invece che circondato dalle braccia del suo migliore amico e amante, ma faceva male lo stesso.
Essere separato da Harry era come privarlo dell’aria.
Saltellò sul posto per riprendersi, motivarsi e attivarsi. Aveva una partita da giocare, un sorriso da mostrare.
Uscì dallo spogliatoio per unirsi ai suoi compagni di squadra sulla panchina.
Sentiva le urla e i fischi alle sue spalle, la maggior parte provenienti dai tifosi della squadra avversaria. Non doveva dargli peso, lo sapeva.
Le sue gambe iniziarono a tremare. Voleva improvvisamente correre via di lì, prendere il telefono e chiamare Harry, dirgli che non cè l’aveva fatta, che lo aveva deluso, ma era stato più forte di lui.
“Tutto bene, amico?” uno dei ragazzi della squadra posò una mano sulla sua spalla. Louis annuì lentamente, cercando di frenare il tremolio delle gambe.
Poteva farcela. Sapeva che Harry lo stava guardando, ne era sicuro. E sua madre era lì, da qualche parte negli spalti, ad urlare per lui.
“Solamente un po’ teso” rispose, sorridendo debolmente. Il suo compagno sorrise a sua volta.
“E’ normale. Vedrai che quando sei in campo passa tutto” e fu davvero così.
Quando Louis entrò correndo nel campo finì per dimenticarsi tutto per un attimo: la gente che gli urlava contro, la sensazione di star per cadere a terra, mentre la sua vita andava lentamente a pezzi. Dimenticò di come non poteva stringere per mano l’amore della sua vita, costretto ad abbracciare quella di un’amica e pretendere di amarla per non mostrare al mondo chi fosse realmente.
Mentre sfrecciava sul campo tutto sembrava giusto, come sarebbe dovuto essere se non fosse entrato a far parte della boy band più famosa del mondo.
Poi tutto tornò come un carico pesante sulle sue spalle. Era fermo all’angolo, la palla tra le mani, alle sue spalle la tifoseria della sua squadra.
Sentì gli insulti calargli addosso, uno ad uno, sempre più pesanti, fino a che le sue ginocchia iniziarono a cedere.
Tirò la palla ed iniziò a correre di nuovo, ma più lentamente, con meno forza.
E poi successe tutto in un lampo. Una spallata, e si ritrovò a terra, la caviglia dolorante.
Si stramazzò al suolo, giusto il tempo di capire cosa stava succedendo. E poi quegli stessi insulti che lo avevano fatto cadere, lo fecero rialzare.
Immaginò Harry sul bordo del campo, che lo fissava con i suoi occhi enormi, che gli urlava di alzarsi, di correre e far vedere a tutti quegli idioti che lui poteva farcela.
Ma quando si alzò in piedi, la caviglia iniziò a cedere. Provò a camminare, strinse i denti, ma il dolore era lancinante, sentiva le lacrime agli occhi mentre con tutto se stesso pregava che passasse e potesse ritornare a giocare.
Pochi minuti dopo era sul bordo del campo a rigettare la frugale colazione che aveva avuto quella mattina. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e corse negli spogliatoi, immerso nella vergogna. Si sentiva afflitto, non tanto per aver deluso la squadra, tanto per i suoi fans, per Harry.
Harry che non era lì, ma che avrebbe voluto abbracciare in quel momento.
Si sedette sulla panchina, le ginocchia strette al petto, ed iniziò a piangere in silenzio.
Si sentiva così solo. Era tanto chiedere di poter stringere ancora una volta Harry?
Non aveva voglia di rimanere lì ad assistere la sua squadra fino alla fine della partita. Si cambiò, uscì dallo stadio e andò incontro a sua madre.
“Tesoro, stai bene?” Louis scosse la testa. Sua madre lo strinse forte, e sebbene non erano le sue braccia che avrebbe voluto attorno a lui in quel momento, rimase per qualche secondo immobile in quell’attimo di pace.
Poco dopo il suo telefono iniziò a vibrare.
Harry si voleva accertare che stesse bene. Il fatto che non lo avesse chiamato, che avesse mandato un messaggio, feriva Louis. Avrebbe voluto sentire la sua voce, spiegargli cosa era successo.
Invece si dovette limitare ad un semplice “si, sto bene” scritto per messaggio.
“Andiamo a casa, tesoro” sua madre lo prese per un braccio e lo accompagnò fino alla macchina. Il viaggio era lungo e lui era distrutto. Si stese sul sedile posteriore, mentre la radio trasmetteva qualche canzone rock.
Una volta nel suo letto, si sentì meglio, anche se c’era sempre quella sensazione di vuoto che continuava a tormentarlo.
Si addormentò con la voce calma e profonda di Harry che continuava a ripetergli che tutto andava bene. Sapeva che era solamente la sua immaginazione, ma per il momento, si accontentò di quello.
Il mattino dopo si svegliò con le ossa ancora leggermente doloranti e lo stomaco in subbuglio. Aveva fatto un sogno assurdo.
Era con Harry, mano per mano, per una delle tante strade di Londra.
Quando aprì gli occhi, la vista fu oscurata per un momento da una strana massa nera di fronte a lui. Sbattè rapidamente gli occhi e poi porse una mano in avanti per toccare la massa deforme, e sentì che era morbida, le sue dita vi affondarono completamente.
Louis non riusciva a capire cosa fosse. Sua madre aveva forse comprato un gatto?
Poi si rese conto che la sua gamba era a contatto con qualcosa di caldo. Si mise a sedere, mentre la massa morbida e nera si muoveva.
Il sorriso brillante di Harry lo abbagliò. Senza dire nulla, si gettò tra le sue braccia, infilò il volto nell’incavo del suo collo, e assaporò il profumo della sua pelle, i capelli che sfioravano la sua faccia.
“Non lasciarmi più, ti prego, mai più” sussurrò contro l’orecchio di Harry.
L’altro prese un profondo respiro.
“Mi dispiace essermi perso la partita. So che avrei dovuto essere lì, a fare il tifo per te. Lo so, mi dispiace. Ma non succederà mai più” Louis scostò i capelli di Harry e lo baciò.
“Mai più”.
 

   
 
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