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Autore: FraRose    09/09/2013    1 recensioni
“Non sono pronto. Io non sono pronto a vederti andare via con Jem. Io so che tu lo ami, ma allo stesso tempo tu stessa sai che sposarlo è l’errore più grande che potresti commettere”.
- Finale alternativo dopo "Clockwork Prince" -
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Theresa Gray, William Herondale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Last Kiss

 

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Never thought we’d have a last kiss
Never imagined we’d end like this
Your name, forever your name on my lips

 

 

 

Tutti abbiamo una debolezza: la mia si chiama Will. Will Herondale.
Will. Il ragazzo dai capelli scuri come il carbone e dagli occhi azzurri, profondi come oceani, i cui abissi sono così difficili da esplorare;  per quanto tu creda di conoscerli, ogni volta riescono sempre a mostrarti qualcosa di cui non eri a conoscenza, come uno scoglio che nasconde piccole insenature e cavità nascoste tra una roccia e l’altra. Trovi conchiglie, ricci e resti di coralli, portati dalle onde e accumulatisi nel corso del tempo, e li trovi solo se ti arrampichi, e cerchi, senza sosta.  Will è uguale: nel corso degli anni, si è costruito una barriera dietro alla quale ci sono lati di lui che non avresti mai immaginato di vedere.
Will. Il ragazzo, l’uomo che mi aveva incantata con la sua naturale aura di mistero, colma di segreti che nessuno, tranne lui, conosceva. Il suo senso dell’umorismo, le sue bugie per proteggere coloro che amava, il suo disprezzo che celava i suoi veri sentimenti. I suoi baci di fuoco nella soffitta, sul tetto dell’Istituto, sempre seguiti da brusche interruzioni e frasi cattive, proprio quando ero convinta di averlo capito.
Tutto questo aveva contribuito a farmi innamorare di lui, del ragazzo che mi aveva salvata dalla prigionia delle Sorelle Oscure, ormai mesi fa.
Ed io, Tessa, che mi ero sempre arrancata per comprenderlo, assecondarlo e dargli il tempo di cui aveva bisogno. E poi tutto, finalmente e all’improvviso, quando era ormai troppo tardi, aveva avuto un senso: ogni suo gesto, ogni sua singola parola prendeva un nuovo significato.
Quello che avevo ritenuto odio non giustificato era amore così forte e inteso, puro e incondizionato, da rinunciare a tutto pur di mettermi al sicuro da ciò che poteva provocare la mia morte. Il bello di tutta questa storia è che non era altro che una menzogna, una messinscena architettata da uno stupido demone blu in vena di scherzi che aveva finto di maledire Will per il resto della sua vita. 
Sospirai; era la sera prima della cerimonia. L’evento incombeva su di me come se fosse la data programmata della mia morte, e non come quella che sarebbe dovuta essere la più bella giornata della mia vita.
Gli Shadowhunters e i loro matrimoni non erano poi così diversi da quelli dei comuni mortali, ma avevano comunque le loro particolarità, come il disegnarsi delle rune di promessa sul petto, vicino al cuore. Trovavo il gesto decisamente più significativo e intimo di un semplice scambio di anelli; quel tipo di rune erano permanenti, e volevano trasmettere l’idea del “noi staremo insieme per sempre”. Tuttavia evitavo di pensarci troppo, perché per me e Jem non c’era nessun per sempre, e lo sapevamo benissimo entrambi.
Una frustrante tradizione umana era quella che prevedeva che lo sposo non potesse vedere la sposa dalla sera prima della cerimonia, e onestamente odiavo questa imposizione. Già non avevamo diritto nemmeno ad un anno di vita insieme, se poi non potevo stare con l’uomo che amavo neanche il giorno prima di sposarci… ma Jem era così determinato a fare tutto per bene che non avrebbe mai osato presentarsi in camera mia, nonostante ultimamente sembrasse voler passare ogni singolo momento libero con me. Non che la cosa mi sorprendesse, anzi.
Mi lasciai cadere sul divano in modo decisamente poco signorile, osservando il vestito da sposa delicatamente appoggiato al tavolino, le eleganti onde della gonna che pendevano e quasi sfioravano terra.
Era incredibile quanto fossi disposta a rinunciare per non far soffrire qualcuno che, sì, amavo, ma non quando amavo l’unico che non potevo avere. Qualcuno bussò alla porta e mi svegliò bruscamente dai miei pensieri; chi poteva essere, a quell’ora?  Era decisamente improbabile che fosse Jem. Ma Sophie mi aveva consigliato più di tre ore fa un sonno di bellezza e probabilmente anche lei si era ritirata nella sua stanza. Allora chi poteva essere? Charlotte, Henry? Oppure… ma no, non era possibile.
Curiosa, mi alzai, afferrando la vestaglia strada facendo.
Aprii la porta , e mi dovetti ricredere, perché trovai lui: i capelli scompigliati, le occhiaie violacee che solcavano il suo viso stanco, la camicia sbottonata sui primi bottoni e le mani pigramente infilate nelle tasche dei pantaloni neri. Era semplicemente lui, Will.
Sentii il mio volto contrarsi in un’espressione di sorpresa mista a un’inspiegabile gioia di vederlo, di poterlo fissare senza che nessuno potesse giudicarmi, una malsana e sbagliata voglia toccare i marchi che gli ricoprivano le braccia.
“Ciao”, esordì Will, con un sorriso lievemente imbarazzato.
Will. Che non era mai in imbarazzo.
Rimasi impalata per qualche secondo, o minuto, non ne avevo idea. Non riuscivo a tenere bene il conto del tempo che passava quando guardavo Will. Sentivo il battito del suo cuore sotto la camicia nera, leggermente bagnata: correva veloce, ma non quanto il mio. La sua espressione era indecifrabile, non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa.
Si passò una mano nei capelli arruffati, segno che era nervoso. Come faceva ad apparire così perfetto anche quando sembrava essersi appena alzato dopo una notte insonne?
“Non riuscivo a dormire”, disse, vedendo che io non avevo alcuna intenzione di aprir bocca. O meglio, avevo perso la capacità di parlare, ma questo lui non lo poteva sapere. Mi scrutò intensamente: “Non mi aspettavo di trovarti alzata”, aggiunse, appoggiandosi allo stipite della porta.
Era stanco, lo si vedeva chiaramente, e io non lo invitavo ad entrare perché non volevo commettere un errore che avrebbe potuto macchiarmi la coscienza per sempre: come avrei fatto il giorno dopo a guardare Jem negli occhi, a dirgli che l’unica cosa che volevo era il nostro amore, promettendogli che niente, niente, lo avrebbe mai ostacolato?
Will continuava a spostare il peso da una gamba all’altra, nervosamente. Ormai il danno è fatto, diceva la mia vocina interiore, fallo entrare nella tua stanza.
“Non dovresti essere qui”, fu l’unica cosa che riuscii a borbottare, dopo quelli che mi parvero secoli di silenzio. Abbassai lo sguardo, perché la vista del suo viso perfetto mi mandava in confusione e non mi aiutava a credere davvero in quello che dicevo. Volevo che stesse qui, sempre, per tutta la notte, e che non finisse mai, mai, mai.
“Allora invitami ad entrare”, suggerì lui con quel sorriso ironico che tanto amavo. Ma c’era qualcosa che non andava: era spento, come se parte del fuoco che lo animava sempre si fosse improvvisamente estinto.
“No”, mi trovai a rispondere.
Lo vidi con la coda dell’occhio rimanere leggermente sorpreso… e deluso.
“Perché no?”, chiese insistente.
Will. Che era testardo quanto lo ero io.
“Non posso”.
“Devo parlarti”, insistette. Non sapeva - o forse sì - quanto poco gli ci volesse per farmi cedere. Era come se entrasse nella mia testa e lì mi supplicasse in ginocchio di ascoltare quello che aveva da dire.
Così finii per annuire debolmente e scostarmi, lasciandolo passare.
Si mosse lentamente, soffermandosi ad osservare i romanzi disposti ordinatamente su due scaffali. Jem aveva perentoriamente chiesto che alcuni dei libri della biblioteca dell’Istituto fossero trasferiti nella mia stanza, e Charlotte aveva naturalmente acconsentito: nessuno sembrava aver mai visto Jem così felice e nessuno si azzardava a rovinare quell’equilibrio che era riuscito finalmente a dare alla sua vita. Jem si sentiva in dovere di rendere perfetta anche la mia, di vita, ma non poteva sapere che le sue premure, in quel momento, mi provocavano solo rimpianti e sensi di colpa.
“L’ultimo libro che hai letto?”, chiese tranquillo Will. Nel mio cuore una sua domanda riguardante la letteratura o la poesia mi mandava su un altro mondo, come mai le melodie di Jem e il suo violino riuscivano a fare, per quanto mi costasse ammetterlo. Non lo avevo mai detto ad alta voce; quando certi pensieri rimangono solo pensieri, tutto è decisamente più semplice.
“Era di questo che volevi parlare?”, chiesi seccamente, sviando il discorso. Non mi andava proprio di dargli le motivazioni del perché leggevo un libro e non l’altro.
“No, ma se vuoi andiamo subito al sodo”, propose lui. Avrei seriamente voluto parlare di libri con Will tutta la vita, ma prima se ne sarebbe andato, meno la mia coscienza si sarebbe sporcata. Non potevo più permettermi di pensare a Will in certi modi: stavo per sposare Jem.
“Sì, facciamo presto”, mi affrettai a rispondere, “sono stanca”.
Will annuì: “Ci credo, sono quasi le due di notte. Però non rinunci alla passeggiatine in giro per la tua stanza”, osservò sarcastico.
“Agitata?”, aggiunse ridacchiando.
Scossi prontamente la testa: “No, per niente”.
I suoi occhi mi scrutarono a lungo, esaminando accuratamente le mie parole. “Davvero?”, chiese infine.
“Certo. Sono felice”, dissi sicura. Sembravo una macchinetta che si era allenata a ripetere quelle due parole un migliaio di volte, e ora le riusciva naturale pronunciarle in una conversazione. Più che convincere Will, sembravano tentare di convincere me.
Will fece un cenno d’assenso.
“Di che volevi parlarmi?”, domandai.
Lui rimase in silenzio per un po’ e sembrò poi destarsi da un sogno: “D’accordo…”.
Prese un respiro profondo: “Non sono pronto. Io non sono pronto a vederti andare via con Jem. Io so che tu lo ami, ma allo stesso tempo tu stessa sai che sposarlo è l’errore più grande che potresti commettere”.
Quanto erano vere quelle parole… ma lui non lo doveva sapere.
“Non sto commettendo un errore”, ribattei piccata.
“Hai ragione. Allora tu ami Jem più di chiunque altro”, affermò calmo Will.
Perché mi stava facendo questo? Cosa voleva sentirsi dire? Che se fossi potuta tornare indietro nel tempo non avrei detto di sì a Jem?
“Dove vuoi arrivare?”, domandai ansiosa, quando già sapevo la risposta.
Will si sedette sul mio letto: “Voglio chiederti di nuovo di cambiare idea”, rispose piano. Mi aspettavo una richiesta del genere; in un certo senso speravo che mi chiedesse di fare un passo indietro, ma nonostante questo, mi lasciò sorpresa. Ero stupita che Will non avesse riguardi per i sentimenti del suo parabatai, che stava per morire a causa della droga che, nel frattempo, lo teneva in vita. Pensavo che Will volesse concedergli, da amico e da fratello, la felicità che meritava per almeno il tempo che gli restava da vivere.
“Ci ho riflettuto e… so che non sei la scelta migliore per lui”, riprese Will, senza abbandonare quel tono di voce pacato. “Io per lui voglio la felicità assoluta, la felicità che merita”, spiegò, “e tu non puoi dargliela, non ne sei in grado”.
Le sue parole furono come schiaffi: “Che intendi dire, precisamente?”, domandai pungente.
Will mi guardò intensamente: “Tu non lo ami incondizionatamente”, rispose, “non ricambi pienamente il suo amore”. E a quelle parole rimasi zitta, perché sapevo che non dicevano altro che la pura e semplice verità: io amavo Jem, ma non quanto lui amava me. Credevo che nessuno se ne sarebbe accorto, ma avrei dovuto sapere che Will mi conosceva troppo bene per lasciarsi sfuggire un dettaglio del genere.
“Lui merita di meglio”, esclamò Will. Si alzò improvvisamente dal letto e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. “Per l’Angelo, non posso credere di fare questo discorso”. Will si stava arrabbiando seriamente.
E io non riuscivo a spiccicare mezza parola.
“Perché non dici nulla, Tessa?”, urlò lui, “ho forse ragione?”.
“Sì, d’accordo, hai ragione”, risposi io, d’un tratto furiosa. “Ma cosa posso fare?”, chiesi disperata. “Lo devo lasciare? E poi lui mi chiederebbe il perché e cosa direi? Che sono innamorata del suo parabatai e che lo amo più di quanto ami lui? Vuoi che dica questo al tuo migliore amico? Anzi, al tuo parabatai”, urlai. Durante la mia scenata mi ero involontariamente alzata e avevo cominciato a camminare per la stanza, come Will, e mi ero ritrovata accanto agli scaffali colmi di libri. Ne afferrai uno, la copia del Vathek che mi aveva regalato Will un po’ di tempo prima, e gliela scagliai in pieno viso. Lo colpì, ma constatai con disappunto che non gli fece poi tanto male. Il libro ricadde a terra con un tonfo sordo.
“Dovremmo fare un pochino più piano, se non vogliamo svegliare tutto l’Istituto”, osservò con calma Will, massaggiandosi la guancia colpita dal volume. Ora ero arrabbiata con lui; odiavo il modo in cui cambiava atteggiamento: dalla calma alla rabbia nel giro di un secondo, e poi ritornava calmo come se non fosse successo niente.
Will. E i suoi sbalzi d’umore che non sopportavo.
“Hai ragione: perché non te ne torni da dove sei venuto, allora?”, proposi io sarcasticamente. “Io non farei tutto questo baccano se tu fossi nella tua stanza a dormire come ogni comune mortale”, aggiunsi piccata.
Lo vidi avvicinarsi, per poi fermarsi di fronte a me: “Ma io non sono un comune mortale, Tessa”, sussurrò, “sono un Cacciatore”, specificò, sottolineando bene l’ultima parola, come se gli conferisse qualche specie di titolo nobile o cos’altro.
Will. Il ragazzo arrogante che mi aveva conquistata con qualche battuta sarcastica e una cultura letteraria impressionante. Il ragazzo che riteneva di avere l’anima color malva. Il ragazzo che per qualche ignota ragione temeva le anatre e le considerava brutte bestie assassine.
“E io sono una strega”, mormorai. “Non c’è speranza per un Cacciatore e una strega, ricordi?”, gli rinfacciai la frase che mi aveva detto un giorno sul tetto dell’Istituto, dopo avermi baciata come se fossi l’unica ragazza al mondo che contava avere.
“Sono un egoista”, sussurrò lui. “Dovrei volere il meglio per Jem, e invece ho passato tutti gli ultimi giorni a trovare una ragione valida per dimostrare che tu non sei quella giusta per lui”. Prese tra le mani una copia di “Racconto di due città” e sfogliò le pagine velocemente. “Sydney Carton ha fatto per Lucie Manette un sacrificio enorme”, disse.
Will e i suoi confronti con le vicende dei romanzi. Sembrava essere il suo modo per trovare il modo giusto per uscire da una situazione difficile. Quanto eravamo simili, io e lui…
“Ha dato la sua vita per amore”, dissi solamente, persa in quella Francia di fine Settecento.
“Ha lasciato che Lucie stesse con la persona che amava, perché sapeva che quello era l’unico modo per renderla davvero felice”, continuò lui. “Forse è così che dovrei comportarmi anch’io”.
Era un ragazzo così profondo e riflessivo, per quanto potesse sembrare arrogante e insensibile.
“Io…”, sussurrai, combattuta su come rispondere. Qual era la risposta giusta? Dovevo lasciarlo andare?
Will sembrava aver preso la decisione al posto mio: “Buona notte, Tessa. Mi dispiace averti disturbata a quest’ora inappropriata”, disse formalmente. Troppo formalmente. Sembrava che una barriera invisibile si fosse innalzata tra noi.
Sentii a malapena il suo “spero che potrai perdonarmi” mentre corsi verso di  lui, gli strinsi le braccia attorno alle spalle e poggiai le mie labbra sulle sue. Percepii la sorpresa di lui, ma dopo pochi secondi vidi sparire ogni forma di resistenza e autocontrollo come un muro che crolla, impotente. Fu un bacio intenso, pieno di disperazione, e bramato da tanto, troppo tempo. Tutta la voglia che avevo avuto negli ultimi mesi di toccarlo, sentire i suoi capelli tra le mie mani, stringerlo tra le mie braccia, tutta quella voglia accumulata si scatenò in quell’ultimo bacio.

Non avrei mai pensato che ci saremmo lasciati in questo modo, con la consapevolezza che quello che avevamo era speciale e unico, e nostro, ma non avremmo mai potuto dirlo al mondo. Né ora né mai. Eravamo giovani, e avremmo dovuto essere animati da grandi speranze, ma in quel momento sembrava non esserci nessuna via d’uscita.
Sentivo le sue mani allentare la presa sulla mia vita, lo sentivo allontanarsi…
“Non dovremmo farlo, Tessa”, sussurrò lui, staccandosi. Sembrava che stesse facendo uno sforzo sovrumano. Sapevo che aveva ragione ad allontanarsi, e che avevo commesso un grosso errore, eppure non ne avevo ancora abbastanza.
“Hai ragione”, mi costrinsi a rispondere.
“Tu domani ti sposi con Jem”, disse lui, con un tono piatto e inespressivo, come se non gliene importasse nulla.
“Sì”, risposi. “E tu sarai il suo testimone”, aggiunsi.
“Sì”, disse lui. “E dimenticherò quello che è successo: io non sono mai stato qui questa sera
Lo fissai incantata, mentre girava i tacchi e si avviava verso la porta. Dandomi le spalle, ripeté il suo saluto, ma questa volta non corsi per trattenerlo ancora, qui, nella mia stanza. Rimasi solamente a guardarlo, ascoltando l’eco dei suoi passi nel corridoio, ma ancora più forte era il rimbombo delle sue parole. “Io non sono mai stato qui questa sera”. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era al fatto che io non avrei mai dimenticato questa sera. Andai lentamente verso il letto, mi ci sdraiai sopra e chiusi gli occhi. Non avrei mai dimenticato l’ultimo sguardo che Will mi rivolse, quella notte.

Tutto quello che volevo era mancargli, ma tutto questo era sbagliato. Fino a poco prima, la cosa che più mi mancava era Jem, non Will… ed era così che doveva continuare ad essere. Ma non riuscivo a tornare indietro…
Mi sdraiai sul letto; una volta Charlotte mi aveva detto che per non piangere era utile guardare una luce intensa.
Ma quella notte non c’era luce. Era buio nella stanza. Ed era buio nella mia testa. E piansi, coi nomi di Will e Jem sulle mie labbra.

 

 

 

 

- Angolino Fra –

 
Salve popolo di EFP,
salve Shadowhunters.
Solo qualche nota su questa fan fiction e poi smetto di rompere…
Questo che avete letto potrebbe essere il primo capitolo di una long fiction, dipende un po’ dal successo che riscuote e dai vostri commenti, quindi fatemi sapere se volete il continuo oppure no. Amo le vostre recensioni, sapere che ne pensate, anche solo per dirmi “fa schifo, finiscila qui”.
Ho scritto questa “cosa” l’estate scorsa, e ora che sono in Germania per un semestre (e diciamo che sono più o meno esentata dal fare i compiti) ho abbastanza tempo per dedicarmi a scrivere, una passione che ho un po’ trascurato negli ultimi tempi. Dicevo, questa storia è stata scritta prima di “Clockwork Princess”, non avevo assolutamente idea di quello che sarebbe successo, quindi considerate questa storiellina come un “finale alternativo”. Ho riveduto e corretto quello che avevo scritto l’anno scorso, e questo è il risultato.

L’immagine NON è mia, mi sono limitata a cercare “Will e Tessa” su Google (l’arte del disegno purtroppo non rientra nelle mie capacità) e la canzone citata è “Last Kiss” di Taylor Swift. Non è una canzone che ascolto spesso, è piuttosto deprimente ad essere onesti, ma amo Taylor come persona e artista e le sue canzoni sono sempre molto ispiratrici per tutto quello che scrivo.
Se volete ascoltare la canzone… http://www.youtube.com/watch?v=gFM1aHHUXJo

Un bacione, aspetto i vostri pareri

 

Fra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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