Last
Kiss
Never
thought we’d
have a last kiss
Never imagined we’d
end like this
Your name, forever
your name on my lips
Tutti abbiamo
una debolezza:
la mia si chiama Will. Will Herondale.
Will. Il ragazzo dai
capelli scuri come il carbone e dagli occhi azzurri, profondi come
oceani, i
cui abissi sono così difficili da esplorare; per quanto tu creda di
conoscerli, ogni volta
riescono sempre a mostrarti qualcosa di cui non eri a conoscenza, come
uno
scoglio che nasconde piccole insenature e cavità nascoste
tra una roccia e
l’altra. Trovi conchiglie, ricci e resti di coralli, portati
dalle onde e accumulatisi
nel corso del tempo, e li trovi solo se ti arrampichi, e cerchi, senza
sosta. Will
è uguale: nel corso degli anni, si è
costruito una barriera dietro alla quale ci sono lati di lui che non
avresti
mai immaginato di vedere.
Will. Il ragazzo,
l’uomo che mi aveva incantata con la sua naturale aura di
mistero, colma di
segreti che nessuno, tranne lui, conosceva. Il suo senso
dell’umorismo, le sue
bugie per proteggere coloro che amava, il suo disprezzo che celava i
suoi veri
sentimenti. I suoi baci di fuoco nella soffitta, sul tetto
dell’Istituto,
sempre seguiti da brusche interruzioni e frasi cattive, proprio quando
ero
convinta di averlo capito.
Tutto questo aveva
contribuito a farmi innamorare di lui, del ragazzo che mi aveva salvata
dalla
prigionia delle Sorelle Oscure, ormai mesi fa.
Ed io, Tessa, che mi ero
sempre arrancata per comprenderlo, assecondarlo e dargli il tempo di
cui aveva
bisogno. E poi tutto, finalmente e all’improvviso, quando era
ormai troppo
tardi, aveva avuto un senso: ogni suo gesto, ogni sua singola parola
prendeva
un nuovo significato.
Quello che avevo ritenuto odio non giustificato era amore
così forte e inteso, puro e incondizionato, da rinunciare a
tutto pur di
mettermi al sicuro da ciò che poteva provocare la mia morte.
Il bello di tutta
questa storia è che non era altro che una menzogna, una
messinscena
architettata da uno stupido demone blu in vena di scherzi che aveva
finto di
maledire Will per il resto della sua vita.
Sospirai; era la sera
prima della cerimonia. L’evento incombeva su di me come se
fosse la data
programmata della mia morte, e non come quella che sarebbe dovuta
essere la più
bella giornata della mia vita.
Gli Shadowhunters e i
loro matrimoni non erano poi così diversi da quelli dei
comuni mortali, ma avevano
comunque le loro particolarità, come il disegnarsi delle
rune di promessa sul
petto, vicino al cuore. Trovavo il gesto decisamente più
significativo e intimo
di un semplice scambio di anelli; quel tipo di rune erano permanenti, e
volevano trasmettere l’idea del “noi staremo
insieme per sempre”. Tuttavia
evitavo di pensarci troppo, perché per me e Jem non
c’era nessun per sempre, e
lo sapevamo benissimo entrambi.
Una frustrante tradizione
umana era quella che prevedeva che lo sposo non potesse vedere la sposa
dalla
sera prima della cerimonia, e onestamente odiavo questa imposizione.
Già non avevamo
diritto nemmeno ad un anno di vita insieme, se poi non potevo stare con
l’uomo
che amavo neanche il giorno prima di sposarci… ma Jem era
così determinato a
fare tutto per bene che non avrebbe mai osato presentarsi in camera
mia,
nonostante ultimamente sembrasse voler passare ogni singolo momento
libero con
me. Non che la cosa mi sorprendesse, anzi.
Mi lasciai cadere sul
divano in modo decisamente poco signorile, osservando il vestito da
sposa
delicatamente appoggiato al tavolino, le eleganti onde della gonna che
pendevano e quasi sfioravano terra.
Era incredibile quanto
fossi disposta a rinunciare per non far soffrire qualcuno che,
sì, amavo, ma
non quando amavo l’unico che non potevo avere. Qualcuno
bussò alla porta e mi
svegliò bruscamente dai miei pensieri; chi poteva essere, a
quell’ora? Era
decisamente improbabile che fosse Jem. Ma
Sophie mi aveva consigliato più di tre ore fa un sonno di
bellezza e
probabilmente anche lei si era ritirata nella sua stanza. Allora chi
poteva
essere? Charlotte, Henry? Oppure… ma no, non era possibile.
Curiosa, mi alzai,
afferrando la vestaglia strada facendo.
Aprii la porta , e mi
dovetti ricredere, perché trovai lui:
i capelli scompigliati, le occhiaie violacee che solcavano il suo viso
stanco,
la camicia sbottonata sui primi bottoni e le mani pigramente infilate
nelle
tasche dei pantaloni neri. Era semplicemente lui, Will.
Sentii il mio volto
contrarsi in un’espressione di sorpresa mista a
un’inspiegabile gioia di
vederlo, di poterlo fissare senza che nessuno potesse giudicarmi, una
malsana e
sbagliata voglia toccare i marchi che gli ricoprivano le braccia.
“Ciao”, esordì Will,
con un sorriso lievemente imbarazzato.
Will. Che non era mai in imbarazzo.
Rimasi impalata per
qualche secondo, o minuto, non ne avevo idea. Non riuscivo a tenere
bene il
conto del tempo che passava quando guardavo Will. Sentivo il battito
del suo
cuore sotto la camicia nera, leggermente bagnata: correva veloce, ma
non quanto
il mio. La sua espressione era indecifrabile, non riuscivo a capire
cosa gli
passasse per la testa.
Si passò una mano nei
capelli arruffati, segno che era nervoso. Come faceva ad apparire
così perfetto
anche quando sembrava essersi appena alzato dopo una notte insonne?
“Non riuscivo a
dormire”, disse, vedendo che io non avevo alcuna intenzione
di aprir bocca. O meglio,
avevo perso la capacità di parlare, ma questo lui non lo
poteva sapere. Mi
scrutò intensamente: “Non mi aspettavo di trovarti
alzata”, aggiunse,
appoggiandosi allo stipite della porta.
Era stanco, lo si
vedeva chiaramente, e io non lo invitavo ad entrare perché
non volevo
commettere un errore che avrebbe potuto macchiarmi la coscienza per
sempre:
come avrei fatto il giorno dopo a guardare Jem negli occhi, a dirgli
che l’unica
cosa che volevo era il nostro amore, promettendogli che niente, niente,
lo
avrebbe mai ostacolato?
Will continuava a
spostare il peso da una gamba all’altra, nervosamente. Ormai il danno è fatto, diceva
la mia vocina interiore, fallo entrare nella
tua stanza.
“Non dovresti essere
qui”, fu l’unica cosa che riuscii a borbottare,
dopo quelli che mi parvero secoli
di silenzio. Abbassai lo sguardo, perché la vista del suo
viso perfetto mi
mandava in confusione e non mi aiutava a credere davvero in quello che
dicevo. Volevo che
stesse qui, sempre, per tutta la notte, e che non finisse mai, mai,
mai.
“Allora invitami ad
entrare”, suggerì lui con quel sorriso ironico che
tanto amavo. Ma c’era
qualcosa che non andava: era spento, come se parte del fuoco che lo
animava sempre
si fosse improvvisamente estinto.
“No”, mi trovai a
rispondere.
Lo vidi con la coda dell’occhio
rimanere leggermente sorpreso… e deluso.
“Perché no?”, chiese
insistente.
Will. Che era testardo
quanto lo ero io.
“Non posso”.
“Devo parlarti”, insistette.
Non sapeva - o forse sì - quanto poco gli ci volesse per
farmi cedere. Era come
se entrasse nella mia testa e lì mi supplicasse in ginocchio
di ascoltare
quello che aveva da dire.
Così finii per annuire
debolmente e scostarmi, lasciandolo passare.
Si mosse lentamente,
soffermandosi ad osservare i romanzi disposti ordinatamente su due
scaffali.
Jem aveva perentoriamente chiesto che alcuni dei libri della biblioteca
dell’Istituto fossero trasferiti nella mia stanza, e
Charlotte aveva naturalmente
acconsentito: nessuno sembrava aver mai visto Jem così
felice e nessuno si
azzardava a rovinare quell’equilibrio che era riuscito
finalmente a dare alla
sua vita. Jem si sentiva in dovere di rendere perfetta anche la mia, di
vita,
ma non poteva sapere che le sue premure, in quel momento, mi
provocavano solo
rimpianti e sensi di colpa.
“L’ultimo libro che
hai letto?”, chiese tranquillo Will. Nel mio cuore una sua
domanda riguardante
la letteratura o la poesia mi mandava su un altro mondo, come mai le
melodie di
Jem e il suo violino riuscivano a fare, per quanto mi costasse
ammetterlo. Non lo
avevo mai detto ad alta voce; quando certi pensieri rimangono solo
pensieri,
tutto è decisamente più semplice.
“Era di questo che
volevi parlare?”, chiesi seccamente, sviando il discorso. Non
mi andava proprio
di dargli le motivazioni del perché leggevo un libro e non
l’altro.
“No, ma se vuoi
andiamo subito al sodo”, propose lui. Avrei seriamente voluto
parlare di libri
con Will tutta la vita, ma prima se ne sarebbe andato, meno la mia
coscienza si
sarebbe sporcata. Non potevo più permettermi di pensare a
Will in certi modi:
stavo per sposare Jem.
“Sì, facciamo presto”,
mi affrettai a rispondere, “sono stanca”.
Will annuì: “Ci credo,
sono quasi le due di notte. Però non rinunci alla
passeggiatine in giro per la
tua stanza”, osservò sarcastico.
“Agitata?”, aggiunse ridacchiando.
Scossi prontamente la
testa: “No, per niente”.
I suoi occhi mi
scrutarono a lungo, esaminando accuratamente le mie parole.
“Davvero?”, chiese
infine.
“Certo. Sono felice”,
dissi sicura. Sembravo una macchinetta che si era allenata a ripetere
quelle
due parole un migliaio di volte, e ora le riusciva naturale
pronunciarle in una
conversazione. Più che convincere Will, sembravano tentare
di convincere me.
Will fece un cenno
d’assenso.
“Di che volevi parlarmi?”,
domandai.
Lui rimase in silenzio
per un po’ e sembrò poi destarsi da un sogno:
“D’accordo…”.
Prese un respiro
profondo: “Non sono pronto. Io non sono pronto a vederti
andare via con Jem. Io
so che tu lo ami, ma allo stesso tempo tu stessa sai che sposarlo
è l’errore
più grande che potresti commettere”.
Quanto erano vere
quelle parole… ma lui non lo doveva sapere.
“Non sto commettendo
un errore”, ribattei piccata.
“Hai ragione. Allora
tu ami Jem più di chiunque altro”,
affermò calmo Will.
Perché mi stava
facendo questo? Cosa voleva sentirsi dire? Che se fossi potuta tornare
indietro
nel tempo non avrei detto di sì a Jem?
“Dove vuoi arrivare?”,
domandai ansiosa, quando già sapevo la risposta.
Will si sedette sul
mio letto: “Voglio chiederti di nuovo di cambiare
idea”, rispose piano. Mi aspettavo
una richiesta del genere; in un certo senso speravo
che mi chiedesse di fare un passo indietro, ma nonostante questo, mi
lasciò
sorpresa. Ero stupita che Will non avesse riguardi per i sentimenti del
suo parabatai, che stava per
morire a causa
della droga che, nel frattempo, lo teneva in vita. Pensavo che Will
volesse
concedergli, da amico e da fratello, la felicità che
meritava per almeno il
tempo che gli restava da vivere.
“Ci ho riflettuto e…
so che non sei la scelta migliore per lui”, riprese Will,
senza abbandonare
quel tono di voce pacato. “Io per lui voglio la
felicità assoluta, la felicità
che merita”, spiegò, “e tu non puoi
dargliela, non ne sei in grado”.
Le sue parole furono
come schiaffi: “Che intendi dire, precisamente?”,
domandai pungente.
Will mi guardò
intensamente: “Tu non lo ami incondizionatamente”,
rispose, “non ricambi
pienamente il suo amore”. E a quelle parole rimasi zitta,
perché sapevo che non
dicevano altro che la pura e semplice verità: io amavo Jem,
ma non quanto lui
amava me. Credevo che nessuno se ne sarebbe accorto, ma avrei dovuto
sapere che
Will mi conosceva troppo bene per lasciarsi sfuggire un dettaglio del
genere.
“Lui merita di
meglio”, esclamò Will. Si alzò
improvvisamente dal letto e cominciò a camminare
avanti e indietro per la stanza. “Per l’Angelo, non
posso credere di fare
questo discorso”. Will si stava arrabbiando seriamente.
E io non riuscivo a
spiccicare mezza parola.
“Perché non dici
nulla, Tessa?”, urlò lui, “ho forse
ragione?”.
“Sì, d’accordo, hai
ragione”, risposi io, d’un tratto furiosa.
“Ma cosa posso fare?”, chiesi
disperata. “Lo devo lasciare? E poi lui mi chiederebbe il
perché e cosa direi?
Che sono innamorata del suo parabatai
e che lo amo più di quanto ami lui? Vuoi che dica questo al
tuo migliore amico?
Anzi, al tuo parabatai”,
urlai.
Durante la mia scenata mi ero involontariamente alzata e avevo
cominciato a
camminare per la stanza, come Will, e mi ero ritrovata accanto agli
scaffali
colmi di libri. Ne afferrai uno, la copia del Vathek
che mi aveva regalato Will un po’ di tempo prima, e gliela
scagliai in pieno viso. Lo colpì, ma constatai con
disappunto che non gli fece
poi tanto male. Il libro ricadde a terra con un tonfo sordo.
“Dovremmo fare un
pochino più piano, se non vogliamo svegliare tutto
l’Istituto”, osservò con
calma Will, massaggiandosi la guancia colpita dal volume. Ora ero
arrabbiata
con lui; odiavo il modo in cui cambiava atteggiamento: dalla calma alla
rabbia
nel giro di un secondo, e poi ritornava calmo come se non fosse
successo
niente.
Will. E i suoi sbalzi
d’umore che non sopportavo.
“Hai ragione: perché
non te ne torni da dove sei venuto, allora?”, proposi io
sarcasticamente. “Io
non farei tutto questo baccano se tu fossi nella tua stanza a dormire
come ogni
comune mortale”, aggiunsi piccata.
Lo vidi avvicinarsi,
per poi fermarsi di fronte a me: “Ma io non sono un comune
mortale, Tessa”,
sussurrò, “sono un Cacciatore”,
specificò, sottolineando bene l’ultima parola,
come se gli conferisse qualche
specie di titolo nobile o cos’altro.
Will. Il ragazzo
arrogante che mi aveva conquistata con qualche battuta sarcastica e una
cultura
letteraria impressionante. Il ragazzo che riteneva di avere
l’anima color
malva. Il ragazzo che per qualche ignota ragione temeva le anatre e le
considerava brutte bestie assassine.
“E io sono una
strega”, mormorai. “Non c’è
speranza per un Cacciatore e una strega, ricordi?”,
gli rinfacciai la frase che mi aveva detto un giorno sul tetto
dell’Istituto,
dopo avermi baciata come se fossi l’unica ragazza al mondo
che contava avere.
“Sono un egoista”,
sussurrò lui. “Dovrei volere il meglio per Jem, e
invece ho
passato tutti gli ultimi giorni a trovare una ragione valida per
dimostrare che
tu non sei quella giusta per lui”. Prese tra le mani una
copia di “Racconto di
due città” e sfogliò le pagine
velocemente. “Sydney Carton ha fatto per Lucie
Manette un sacrificio enorme”, disse.
Will e i suoi
confronti con le vicende dei romanzi. Sembrava essere il suo modo per
trovare
il modo giusto per uscire da una situazione difficile. Quanto eravamo
simili,
io e lui…
“Ha dato la sua vita
per amore”, dissi solamente, persa in quella Francia di fine
Settecento.
“Ha lasciato che Lucie
stesse con la persona che amava, perché sapeva che quello
era l’unico modo per
renderla davvero felice”, continuò lui.
“Forse è così che dovrei comportarmi
anch’io”.
Era un ragazzo così
profondo e riflessivo, per quanto potesse sembrare arrogante e
insensibile.
“Io…”, sussurrai,
combattuta su come rispondere. Qual era la risposta giusta? Dovevo
lasciarlo
andare?
Will sembrava aver
preso la decisione al posto mio: “Buona notte, Tessa. Mi
dispiace averti
disturbata a quest’ora inappropriata”, disse
formalmente. Troppo formalmente.
Sembrava che una barriera invisibile si fosse innalzata tra noi.
Sentii a malapena il
suo “spero che potrai perdonarmi” mentre corsi
verso di lui, gli
strinsi le braccia attorno alle
spalle e poggiai le mie labbra sulle sue. Percepii la sorpresa di lui,
ma dopo
pochi secondi vidi sparire ogni forma di resistenza e autocontrollo
come un
muro che crolla, impotente. Fu un bacio intenso, pieno di disperazione,
e
bramato da tanto, troppo tempo. Tutta la voglia che avevo avuto negli
ultimi
mesi di toccarlo, sentire i suoi capelli tra le mie mani, stringerlo
tra le mie
braccia, tutta quella voglia accumulata si scatenò in quell’ultimo bacio.
Non avrei mai
pensato che ci saremmo lasciati in questo modo,
con la
consapevolezza che quello che avevamo era speciale e unico, e nostro,
ma non
avremmo mai potuto dirlo al mondo. Né ora né mai.
Eravamo giovani, e avremmo
dovuto essere animati da grandi speranze, ma in quel momento sembrava
non
esserci nessuna via d’uscita.
Sentivo le sue mani
allentare la presa sulla mia vita, lo sentivo allontanarsi…
“Non dovremmo farlo,
Tessa”, sussurrò lui, staccandosi. Sembrava che
stesse facendo uno sforzo
sovrumano. Sapevo che aveva ragione ad allontanarsi, e che avevo
commesso un
grosso errore, eppure non ne avevo ancora abbastanza.
“Hai ragione”, mi costrinsi a
rispondere.
“Tu domani ti sposi con Jem”, disse
lui, con un tono piatto e inespressivo, come se non gliene importasse
nulla.
“Sì”, risposi. “E tu sarai il
suo
testimone”, aggiunsi.
“Sì”, disse lui. “E
dimenticherò
quello che è successo: io non sono
mai
stato qui questa sera”
Lo fissai incantata,
mentre girava i tacchi e si avviava verso la porta. Dandomi le spalle,
ripeté
il suo saluto, ma questa volta non corsi per trattenerlo ancora, qui,
nella mia
stanza. Rimasi solamente a guardarlo, ascoltando l’eco dei
suoi passi nel
corridoio, ma ancora più forte era il rimbombo delle sue
parole. “Io non sono mai stato
qui questa
sera”. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era al
fatto che io non avrei
mai dimenticato questa sera. Andai lentamente verso il letto, mi ci
sdraiai sopra
e chiusi gli occhi. Non avrei mai
dimenticato l’ultimo sguardo che Will mi rivolse, quella
notte.
Tutto quello che
volevo era mancargli, ma tutto questo
era sbagliato. Fino a
poco prima, la cosa che più mi mancava era Jem, non
Will… ed era così che
doveva continuare ad essere. Ma non riuscivo a tornare
indietro…
Mi sdraiai sul letto;
una volta Charlotte mi aveva detto che per non piangere era utile
guardare una
luce intensa.
Ma quella notte non
c’era luce. Era buio nella stanza. Ed era buio nella mia
testa. E piansi, coi
nomi di Will e Jem sulle mie labbra.
- Angolino Fra
–
Salve popolo di EFP,
salve Shadowhunters.
Solo qualche nota su
questa fan fiction e poi smetto di rompere…
Questo che avete letto
potrebbe essere il primo capitolo di una long fiction, dipende un
po’ dal
successo che riscuote e dai vostri commenti, quindi fatemi sapere se
volete il
continuo oppure no. Amo le vostre recensioni, sapere che ne pensate,
anche solo
per dirmi “fa schifo, finiscila qui”.
Ho scritto questa “cosa”
l’estate scorsa, e ora che sono in Germania per un semestre
(e diciamo che sono
più o meno esentata dal fare i compiti) ho abbastanza tempo
per dedicarmi a
scrivere, una passione che ho un po’ trascurato negli ultimi
tempi. Dicevo,
questa storia è stata scritta prima di “Clockwork
Princess”, non avevo assolutamente
idea di quello che sarebbe
successo, quindi considerate questa storiellina come un
“finale alternativo”. Ho
riveduto e corretto quello che avevo scritto l’anno scorso, e
questo è il
risultato.
L’immagine
NON è mia, mi sono limitata a cercare “Will e
Tessa” su
Google (l’arte del disegno purtroppo non rientra nelle mie
capacità) e la
canzone citata è “Last Kiss” di Taylor
Swift. Non è una canzone che ascolto
spesso, è piuttosto deprimente ad essere onesti, ma amo
Taylor come persona e
artista e le sue canzoni sono sempre molto ispiratrici per tutto quello
che
scrivo.
Se volete ascoltare la canzone… http://www.youtube.com/watch?v=gFM1aHHUXJo
Un
bacione, aspetto i
vostri pareri
Fra