Questa non è una Blaise\Hermione, incredibile ma vero. Piuttosto è… uno sfogo, per me.
Spero comunque che l’apprezziate e che mi facciate molte critiche perché, ammettiamolo, non sono il premio Nobel per la letteratura.
Sul filo
della morte
Camminava
a testa bassa, le mani ficcate nelle tasche e lo sguardo buio e perso
nel
vuoto.
Non faceva
freddo, e nemmeno caldo, ma piuttosto, per il ragazzo, era vuoto.
Era tutto
vuoto, come se gliel’avessero tolto a forza, come se le
voglia e la forza di
andare avanti fosse sparita. Andata, distrutta.
Alzò
lo
sguardo e vide il cielo scuro sopra di lui; era notte.
Blaise
Zabini stava tornando a casa. Tornava a casa come qualsiasi marito
torna dal
lavoro. Aveva la fede d’oro al dito.
Sorrise
ricordandosi quel giorno.
Lei era
bellissima, nel suo abito bianco, e sorrideva radiosa. Era stupenda,
felice.
Peccato
che sia un “era”.
Tempo
imperfetto, come le sfaccettature di personalità che
talvolta mostrava ancora,
segno dei tempi passati.
Sfilò
dalla tasca le chiavi di casa, le inserì nella serratura e
aprì la porta.
Regnava il
silenzio più totale, era tutto buio e dava come il senso di
pericolo.
Blaise
posò il cappotto sul divano dell’ingresso, senza
però accendere la luce, e andò
a tentoni in camera sua.
Aprì
la
porta, e lì c’era un po’ di luce, che
entrava leggera dalla finestra aperta.
Luce della notte, luce chiara e debole, purtroppo.
Il letto
era disfatto, le lenzuola storte e aggrovigliate su un corpo che era
disteso
immobile sul letto.
Il ragazzo
si avvicinò lentamente, e si sedette accanto alla testa
della donna.
Mise una
mano fra i suoi capelli, biondi, e glieli scostò dal viso;
anche se dormiva era
sempre molto bella.
Sorrise
tristemente e poi il suo sguardo si posò a terra; e
lì si fermò: c’era un
tubetto lungo aperto, e poco distante un piccolo tappo.
Lo prese
in mano e lo agitò; era vuoto. Un pensiero si fece largo
nella sua mente, e subito
si chinò su sua moglie.
-Daphne?-
la chiamò piano, scuotendola un poco.
Ma visto
che non ottenne risposta si spaventò.
-Daphne?-
ripeté, stavolta più forte, e la scosse di nuovo.
Capì
subito che cosa era successo, guardando il tubetto vuoto.
E credeva
di sapere perché fosse vuoto.
Due ore
dopo era nella sala d’attesa del San Mungo, le mani serrate a
pugno e il viso
contratto.
Daphne…
Daphne… ma perché? Ma perché di nuovo?
È
tutta
colpa mia… maledettamente colpa mia…
Pochi
pazienti aspettavano insieme a lui, forse familiari in attesa.
Ma Blaise
sapeva già che non c’era assolutamente niente da
aspettare.
Si morse
un labbro, cercando di non piangere.
Blaise
Zabini amava sua moglie, tanto da sopportare per lei notti spesso
segnate da
tentativi improvvisi e scatti convulsi della ragazza. Tante volte
assomigliava
ad un angelo, pensava.
A questo
pensiero non riuscì a trattenersi e, sempre tenendo i pugni
serrati, una
lacrima gli colò sul viso; fu scosso da un tremito
incontrollabile e chinò il
capo verso il pavimento.
Verso il
niente, dove non c’era nessuno a sostenerlo.
Un dottore
uscì da una stanza, e si avvicinò alla sedia dove
c’era il ragazzo. Ragazzo di
appena ventisette anni.
A Blaise
non servì ascoltare le parole del dottore o guardare la sue
espressione
risentita.
Il suo
angelo era volato dove non avrebbe mai più potuto vederlo.
-Abbiamo
scoperto un’altra cosa- aggiunse il Medimago.
Blaise
alzò il viso lacrimante verso di lui.
-Era
incinta, ed era al secondo mese-
Quello era
troppo, si disse il ragazzo. Si alzò di scatto e corse via,
nel corridoio
squallido dell’ospedale, lontano, ma nemmeno lui sapeva dove.
Lontano dal suo
corpo, lontano dalle parole. Non poteva guardare in faccia la
realtà. Non
poteva.
Poi finalmente arrivò dove voleva.
Una foalta di vento gelido si sperse nell'aria, e incontrò il volto triste del ragazzo. Le sue mani si strinsero sulla ringhiera.
Che bel panorama da quassù, vero?
Vero Daphne? Chissà che bella visuale da lassù ci dev'essere.
Guardò indietro, non c'era nessuno.
In lontananza una chiesa suonava le campane.
Aiutami a volare, angelo mio.
Poi guardò di nuovo il panorama, cercando di imprimerselo bene nella mente.
Perchè sapeva che sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto.
Ecco fatto, una storia pensata e scritta di getto.
Non l'ho scritta perchè ha un particolare significato, non pensate ch emi voglia buttare giù.
Ma l'ho scritta per un semplice motivo.
MI VERGOGNO DI ME STESSO.