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Autore: Patta97    10/09/2013    4 recensioni
Bambini, vi ho mai raccontato di Sherlock Holmes? No?
È una bella storia, ma prima dobbiamo partire da una grande domanda: credete in Babbo Natale, nel Coniglietto di Pasqua, nella Fatina dei Denti, nell’Omino dei Sogni? Ma certo che lo fate.
Allora è strano che non abbiate sentito parlare di Sherlock. Vedete, tanto tempo fa lui era un bambino, proprio come voi. Un bambino intelligente, scaltro e solitario, con la pelle di porcellana e gli occhi brillanti come fiocchi di neve.

Ho visto il film "Le 5 Leggende" e, presa da un amore improvviso per Jack Frost, ho scritto di Sherlock e John, l'unico bambino che può vederlo.
Note: AU, JackFrost!Sherlock, child!John, fluff
Genere: Fantasy, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di favole e racconti'
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Hola! Questa cosa mi fa ridere o piangere, devo ancora capirlo... insomma, spero che tutti voi abbiate visto Le 5 Leggende della Dreamworks (se no, vi consiglio caldamente di vederlo, perché è una cosa dolce e divertente e fluffosa). Io l'ho visto l'altro ieri e mi sono innamorata di Jack Frost, che mi ha stregato anima e corpo (cit.). Così ho pensato: e se Sherlock fosse Jack e John l'unico bambino che può vederlo? Adesso, se vi sembra un'idea stupida potete anche andarvene, avete tutte le ragioni, ma se non è così... leggete. Anche se è fluff fino al midollo e tristemete malinconica.
Passo e chiudo,
Chiara






 
Tu puoi vedermi.




Bambini, vi ho mai raccontato di Sherlock Holmes? No?
È una bella storia, ma prima dobbiamo partire da una grande domanda: credete in Babbo Natale, nel Coniglietto di Pasqua, nella Fatina dei Denti, nell’Omino dei Sogni? Ma certo che lo fate.
Allora è strano che non abbiate sentito parlare di Sherlock. Vedete, tanto tempo fa lui era un bambino, proprio come voi. Un bambino intelligente, scaltro e solitario, con la pelle di porcellana e gli occhi brillanti come fiocchi di neve.
Anche a lui piaceva fare esperimenti, ma di certo non raccogliendo foglie in giardino: Sherlock era un bambino lasciato solo a se stesso e, come a tutti i bambini del genere, gli piaceva gustare il pericolo per sentirsi importante e speciale.
Era solo su un laghetto ghiacciato, quel giorno. La superficie era diventata solida quella notte e lui sapeva bene che non era ancora pronta per sorreggere il suo peso, seppur misero. Ne stava saggiando lo spessore con un lungo ramo nodoso, quando si formò una crepa, poi due e poi tre attorno ai suoi piedi. Il ghiaccio cedette e Sherlock cadde nell’acqua gelata e troppo profonda.
Ma non abbiate paura, piccini.
Restò sott’acqua per ore ed ore, senza che nessuno lo venisse a cercare. Poi la Luna lo vide.
Sapete che la Luna è un po’ la mamma di tutti: veglia su di noi durante la notte, quando siamo piccoli, e ci culla con i suoi raggi argentati. Non ha figli suoi, ma se mai ne avesse avuto uno, avrebbe voluto che fosse stato come Sherlock.
Illuminò il suo corpicino attraverso il buco nel ghiaccio e gli diede la forza per tornare in superficie. Per Sherlock, improvvisamente l’acqua non era più fredda, i vestiti non più pesanti e l’aria riprese posto nei piccoli polmoni, pungente e rassicurante.
Il nostro amico non si era mai sentito così felice come quella volta che gli venne ridata la vita per mano di un raggio bianco e materno. Si specchiò nella superficie trasparente che era stata la sua prigione e notò che i propri riccioli, prima corvini, erano diventati lattiginosi, gli occhi brillanti come acqua cristallina e la sua pelle non era mai stata così pallida.
La Luna lo aveva, a tutti gli effetti, reso suo figlio.
E lì Sherlock si rese conto di saper volare. Raccolse il ramo sottile che prima era stato oggetto dei suoi esperimenti e, con un sorriso alla sua nuova Madre, si fece portare via dal vento.
Da quel momento, quando un bambino sente un pizzicore di freddo alla punta del naso è lì. È lì che sa che il piccolo Sherlock Holmes gli è passato accanto, veloce come il vento e sventolando il suo bastone.
 
Ed è qui che entra in scena John Watson. No, no: lui non è un bambino magico come Sherlock.
Era solo… un bambino. E tanto gli bastava, davvero.
Credeva in tutte le Leggende e sognava di vivere avventure sulla Slitta col Babbo, di scivolare giù per i tunnel con il Coniglio o di volare su una nuvola dorata insieme all’Omino.
Di Sherlock Holmes non aveva mai sentito parlare, ma quel pizzicore al naso lo aveva sentito tante volte quell’inverno freddo.
Era sull’altalena nel cortile sul retro di casa sua quando lo vide per la prima volta.
Il cielo si stava facendo scuro e si intravedevano le prime stelle intorno a una splendida luna piena. Lui faceva dondolare le gambe e teneva le mani fasciate dalle muffole strette attorno le catene cigolanti. Il gelo gli penetrava nelle ossa ed a ogni respiro gli si formava una nuvoletta bianca davanti alla bocca, ma non ne voleva sapere di rientrare in casa, nonostante l’allettante richiamo di cioccolata calda con marshmallow e di un camino scoppiettante: aveva di nuovo litigato con sua sorella. 
Lei diceva sempre che John era una femminuccia a credere ancora in Babbo Natale. Lui aveva provato a risponderle che – insomma! – se lei continuava a dire così, di certo Babbo non le avrebbe portato altro che carbone, tra una settimana. Ma la tredicenne Harry si sentiva ormai “troppo al di sopra di certe sciocchezze” e si era ritirata in camera sua con un fare da prima donna stizzita. John aveva invece optato per la sua vecchia e scassata altalena.
Ed eccolo di nuovo, lo strano pizzico freddo alla punta del naso.
Non poteva sapere che Sherlock lo osservava sull’altalena gemella, curioso ed invisibile… Come? Oh, non ve l’ho detto? Sherlock è invisibile per chi non crede in lui o semplicemente non sa della sua esistenza.
No, non fate così. Vi sembra che uno come lui possa arrendersi di fronte ad una bazzecola simile? Nossignore! Aveva intenzione di farsi vedere da quello strano piccolo bambino che credeva ancora, e lo avrebbe fatto ad ogni costo, per tutti i fiocchi di neve!
Impugnò il suo fidato bastone ed incise il proprio nome sulla neve soffice ai piedi di John.
Il bambino, assorto com’era nei suoi pensieri, non si accorse subito della scritta.
Ma poi un’improvvisa folata di vento – o era Sherlock che gli soffiava aria sui capelli? – lo scosse ed abbassò istintivamente lo sguardo.
- Sh… Sherlock Holmes – lesse, battendo leggermente i denti per il freddo. – Chi è Sherlock Holmes? – chiese ad alta voce, curioso e per nulla intimorito.
Il nome si cancellò ed un’altra scritta prese il suo posto.
- “Sono io”. Tu chi? “Sono accanto a te”. Ma io non ti vedo! “Devi volerlo davvero”… Ma io lo voglio!
- E allora guardami – rispose una voce accanto a lui.
Stavolta il bambino sobbalzò sull’altalena e rischiò di cadere all’indietro.
John osservò i riccioli bianchi e sbarazzini, il viso appuntito e gli occhi che luccicavano – come stelle? Come fiocchi di neve? O come la gioia più sincera? -. Sorrise, mettendo in mostra lo spazio vuoto riservato al proprio canino sinistro.
Anche il misterioso Sherlock sorrideva con candidi denti. Sembrava acceso da una felicità impossibile e quasi dolorosa.
- Perché sei così contento? – chiese John.
- Perché tu mi vedi.
- Ma certo che ti vedo. Io lo volevo.
- Nessuno lo aveva mai voluto. Non davvero – una piccola nuvola oscurò per un attimo il brillio negli occhi di Sherlock.
- Allora devono essere tutti molto stupidi – concluse il bambino, deciso.  
Ed è necessario che vi spieghi qualcosa.
Sherlock non era mai stato apprezzato, né quand’era stato un bambino normale né tantomeno da quando era uno speciale, nonostante volasse e sapesse far nevicare a suo piacimento. Quindi, l’idea che un bambino – pensate, un normalissimo bambino di Londra, biondo e con il canino sinistro mancante – lo potesse vedere, sentire ed addirittura osservare ed ascoltare, era straordinaria, fantastica, splendida. Non aveva mai sentito la necessità di mostrarsi a qualcuno, rivelando il proprio nome, quasi implorando di essere chiamato. Cosa avesse invece visto in John, un bambino che litigava ancora con sua sorella per decidere se Babbo Natale esistesse oppure no? Questo, bambini, non lo sapremo mai.
Ma il bello dove starebbe, altrimenti?
Passarono tutta la sera su quelle altalene scricchiolanti. Sherlock raccontò a John di quando aveva causato valanghe per malumori e nevicate per divertimento – “sì, è grazie a me se la settimana scorsa la tua scuola è stata chiusa ‘causa neve’!” -. Di quando aveva nascosto le uova a Lestrade – “non dire a nessuno che questo è il suo vero nome!” – il Coniglio tre giorni prima di Pasqua e quando aveva messo sotto sopra i dentini nel palazzo di Molly – “vale anche per il suo!” - la Fatina dei Denti. Nel Laboratorio di Babbo ‘Mycroft’ Natale, invece, non era mai riuscito a mettere piede – “quel mangia-biscotti ha guardie Yeti dappertutto!” -.
John, come c’è da aspettarsi, ascoltò tutto, rapito. Lui, il bambino che sognava di vivere mille avventure!
Sherlock, infine, narrò anche come era “nato”, grazie all’aiuto di Martha, la Donna della Luna, sua unica amica prima di lui. Il bambino sembrò dispiaciuto e posò la propria mano riscaldata dal guanto su quella fredda dell’altro.
Poi Sherlock andò via.
Ma certo che tornò da lui. Si incontrarono sempre, da quel giorno. Vissero anche delle belle avventure, insieme, che vi racconterò un’altra volta. Meglio mettere fine a questa storia, per adesso.
John non smise mai di credere nel proprio amico, neanche quando il canino crebbe e le muffole si fecero strette.
La sera prima di partire per il College, si rincontrarono lì, sulle loro altalene.
- Non potremo vederci sempre – disse John, afflitto. Le catene arrugginite non lo reggevano più e si limitava ad appoggiarsi all’asse di legno, con i piedi piantati per terra.
- Va bene.
- Non ti rende triste? Ricordo la tua felicità al pensiero che finalmente qualcuno riuscisse a vederti. Al pensiero che io riuscissi a vederti. Che farai?
- Ci sono altri bambini che hanno bisogno di un “scuola chiusa per neve”, al mondo. Anche se nessuno come te – ammise Sherlock, quasi a malincuore.
John sorrise dolcemente al viso di porcellana dell’amico, etereo e mai mutato, intrappolato in un’età indefinibile tra i dieci e i vent’anni. - Ho paura che smetterò di credere in te – confessò.
- Ma John. Quando è estate smetti forse di credere nella neve?
- No, non potrei mai. E tu? Tu ti scorderai di me?
- Anche quando il cielo è pieno di nuvole continuo a ricordarmi del Sole.
Come tanti anni prima, John avvolse la propria mano attorno quella di Sherlock e la strinse, strinse forte. Restarono a guardarsi negli occhi per il resto del tempo.
“E poi?”?! Che vuol dire “e poi?”?! Non è mica una storia d’amore, questa, signorina! Sherlock volò via, con la soffice sciarpa blu che svolazzava al suo collo e il lungo bastone fra le mani.
Non tornò più da lui.
Se fu perché John smise di credere? No, mai e poi mai!
È che, vedete, Sherlock era sempre stato una bambino solo. L’amicizia e l’amore profondo e tremendo che provava per John lo avevano fatto stare bene, sentire speciale ed accettato, amato a sua volta.
Ma è questo il problema dei solitari: stanno per tutta la vita a guardare con aria di superiorità gli altri - persone che si vogliono bene, che giocano e scherzano – però urlando e protestando dentro, perché pensano che loro tutto questo non lo avranno mai. E poi, quando finalmente incontrano qualcuno che ricambia il loro amore, hanno paura che tutto possa finire e fuggono via alla prima occasione, continuando a vivere nel rimpianto e gridando al mondo: “Vedi?! Io sono destinato a stare solo!”.
Oh, sì, è una cosa un po’ stupida. Chi vuole stare solo anche quando sa di avere bisogno degli altri è un po’ stupido. Sherlock aveva bisogno del suo amico, ma preferì stargli accanto di nascosto, osservandolo da lontano.
O almeno fu questo che John credette, perché ogni giorno della sua vita, quando nevica e il vento fa turbinare i piccoli fiocchi di neve, lui sente un lieve pizzicore freddo al naso e gli occhi gli diventano lucidi per le lacrime, perché sa che Sherlock è lì con lui, cullato dai materni raggi della Luna.
 
  
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