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Autore: Their_Eyes    10/09/2013    22 recensioni
Ci saranno i giorni in cui crederai di non farcela.
Quelli in cui la vita ti sbatterà in faccia tutti i tuoi sacrifici e tu dovrai ingoiarli a muso duro.
Ci saranno giorni in cui nessuno crederà in te.
Ci saranno giorni in cui tutto ti sembrerà inutile.
Ci saranno giorni in cui ti chiederai perché non sei nato miliardario.
Ci saranno giorni in cui ti chiederai che senso abbia essere ancora onesti in un mondo come questo.
Ci saranno giorni in cui crederai che l'amore non basta.
Ma poi verrà il giorno in cui ti affezionerai tanto ad una persona da non lasciarla andare facilmente.
E ti accorgerai che le cose non sono così male quando accanto hai lui. 
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Work




“Ragazze io devo andare!” annunciai alle mie amiche.
“Di già?” chiese Kate.
Come risposta, mi limitai ad annuire.
“Beh, ti posso dire solamente di divertirti a lavorare!” scherzò Madison.
Le feci la linguaccia e mi diressi verso la macchina.
Quello era un pomeriggio come tanti altri. Ci divertivamo a stare intere giornate al parco, circondate da piccioni, a parlare tra di noi e a pianificare i giorni successivi.
Da ormai un anno e qualche mese lavoravo come cameriera in un ristorante nel centro di Londra. Non mi dispiaceva come lavoro, infatti affrontavo tutto con il sorriso sulle labbra.
L’unica cosa che faticai ad accettare, erano i turni: dovevo lavorare quando tutti facevano festa. Sabato sera, Domenica a pranzo, Pasqua, Natale, Ultimo e primo dell’anno e altre festività locali.
Però, piano piano, riuscii a farmi andare giù anche questa. Mi piaceva vedere le persone sorridere o fare apprezzamenti sul cibo che gli portavo. Amavo anche aiutare le vecchiette  scendere le scale per dover andare in bagno. Amavo vedere il mio capo, fiero di me e del mio lavoro. Amavo sapere che, grazie a quel posto, sarei stata autonoma e senza il dovere di chiedere denaro ai miei genitori.
Quando salii in macchina mi rese conto di essere leggermente in ritardo e con una forte sgommata partii, sotto le nuvole di novembre.
Avevo sempre amato il sole ma, trasferendomi a Londra, avevo scoperto che lì era davvero raro. Ero sempre accompagnata da giornate di pioggia ed era noioso. Ma doveva farci l’abitudine.
Quando arrivai al ristorante, corsi nei bagni riservati al personale e indossai la mia divisa: pantaloni neri attillati e una camicetta che variava di colore a seconda del giorno della settimana o della festa ricorrente.. Quel giorno era rosa accesso, per il venerdì.
Amavo anche quello del mio lavoro: in tutti i ristoranti, le cameriere erano vestite sempre uguali, pantaloni neri e camicia bianca. Invece lì, era un misto di colori che rendeva allegria alle persone che ci lavoravano e anche a quelle che ci andavano a mangiare.
Non mi piaceva per niente lavorare di venerdì: era sempre pieno di ragazzi della mia età che mangiando, si ubriacavano, e nella maggior parte dei casi, ci provavano con me.
Ero quasi a metà serata quando, esausta da tutte le avance da parte dei ragazzi seduti al tavolo 37, mi prese una pausa su permesso del capo sala.
Scesi lentamente le scale che portavano verso il bagno, ispirando ed espirando l'aria fresca che veniva dal portone non tanto lontano. Avevo bisogno di respirare e di riprendermi da una delle serate più dure della mia carriera lavorativa.
Immersa nei miei pensieri, barcollavo dalla destra alla sinistra di uno scalino, quando all'improvviso il mio corpo esile andò a sbattere contro uno duro e pieno di muscoli.
All’iniziò pensai di lasciar correre, visto che non avevo voglia di mettermi a litigare con uno degli animali del tavolo 37  ed abbassarmi al suo livello poi, decisi che non gliel’avrei fatta passare liscia.
 “Ehi!” urlai decisa “Ma guardi dove metti i piedi o vai a caso?”
Alzai lo sguardo, pronta a combattere!
Verde nell’azzurro.
Azzurro nel verde.
Irritazione nel divertimento.
Divertimento nell’irritazione.
 
“Non vorrei ferire il tuo orgoglio, o qualsiasi altra cosa che ti fa parlare così, ma non sono io quella che scende gli scalini come li potrebbe scendere mia nonna!” ribatté il ragazzo.
Cosa avrei potuto dire? Aveva pienamente ragione! Se mi ero scontrata con lui, era solamente colpa mia. Ma ero troppo orgogliosa per dargliela vinta, quindi dissi la prima cosa che mi passò per la testa: “Non sono io quello che va nei ristoranti per ubriacarsi e finire per dare fastidio alle persone che lavorano, in questo caso io!” vidi che stava per aprire la bocca per parlare ma lo anticipai prima che venissi derisa di nuovo “Ora se non ti dispiace, dovrei andare!”
Lo superai con una spallata mentre gli sentii dire un “Acidina, la ragazza”.
Entrai nel bagno, mi sciacquai la faccia e ritornai al piano di sopra, pronta a iniziare il secondo tempo della serata.
“Ehi Abbie!” mi voltai di scatto, riconoscendo quella voce “Quando avrai finito il tuo turno e tutti se ne saranno andati, puoi passare a cercarmi? Ti devo parlare!”
“Va bene, Charlie!” risposi.
Charlie era il mio capo nonché il mio primo amico da quando mi trasferii a Londra.
Era tutto così strano. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, fino a quando incontrai lui, che mi chiese di lavorare per il suo ristorante. All’inizio ero un po’ turbata dall’idea di imparare un nuovo mestiere, ma la verità era che non ne sapevo fare nemmeno uno.
Avevo sempre pensato a me stessa, come una segretaria di primo grado, magari seduta accanto a qualche pezzo grosso del governo inglese, invece ero una cameriera a tempo pieno.
Corsi in cucina e afferrai i piatti che Valerie mi aveva preparato e appoggiato sopra il tavolo grande.
Quando passai davanti  a quel tavolo tanto odiato, sentii vari risolini e qualche commento sul mio didietro. Venni invasa dall’istinto di prendere il piatto di lasagne che mi ritrovavo in mano e spiaccicarglielo in quella faccia a culo che si ritrovava, ma poi feci ragionare la parte razionale di me e decisi che forse era meglio portare quella buona pietanza alla vecchietta che me l’aveva richiesta.
Quando incontrai Lucy in veranda, le sorrisi e lei capì al volo che la volevo ringraziare per avermi preso il posto in quei cinque minuti.
Durate il turno non avevamo tanto spazio per le chiacchiere, quindi con il tempo, imparammo a fare dei piccoli gesti per dirci le cose strettamente necessarie.
Quando, finalmente, tutto il ristorante si era svuotato, andai alla ricerca di Charlie.
“Lucy.. scusami se ti rompo di nuovo.. Hai visto Charlie?” chiesi alla mia collega che intanto stava contando gli incassi della serata.
Prova in veranda! L’ultima volta che l’ho visto è stato lì!”
“Grazie!” la salutai con un cenno della mano consapevole che non sarebbe andata sicuramente via prima di me.
“Ciao Abbie!” mi salutò.
“Ciao Charlie!” dissi “Che volevo dirmi?”
“Hai dei programmi per domani pomeriggio e domani sera?” chiese spostando una delle sedie e rimettendola al suo posto.
“Si!” risposi tranquilla. Una cosa che avevo imparato in quell’anno era che Charlie non mi avrebbe mai brontolato, pur essendo la sua dipendente. Con lui si poteva parlare di tutto e con calma. Ed era per questo che mi trovavo bene con lui.
“Me lo immaginavo” si passò la mano in una guancia, provocando un piccolo rumore della barba corta “Quanto ti costerebbe annullarlo?”
“Un pomeriggio di shopping e una serata nei locali!” sorrisi.
Sapevo cosa mi avrebbe chiesto, quindi estrassi il telefono di tasca e mandai un messaggio alle mie amiche, dicendogli che l’indomani non sarei potuto andare con loro e di divertirsi anche per me.
“Merda..” sussurrò.
Si grattò il mento perplesso. Non gli piaceva rovinare le mie giornate, e le poche volte che lo faceva, erano per motivi di forza maggiore. Prima di quel giorno me l’aveva chiesto una sola volta: quando sua moglie era in ospedale; dovevo prendere il suo posto e fare i conti alla cassa, in una serata dove sarei dovuta andare in un parco giochi con il mio ex, Travis.
“Charlie..” sussurrai piano sapendo che odiava essere interrotto quando pensava.
“Zitta!” si affrettò a dire. Gli dava così tanta noia che diventava persino arrogante e aggressivo. A volte mi divertivo a farlo arrabbiare.
“Mi ascolti?” chiesi, questa volta con intensioni serie.
“Lo vedi che sto pensando?” sbottò “Chiudi quella cazzo di bocca!”
“Se mi facessi parlare non avresti bisogno di pensare!” dissi entusiasta della rima appena fatta.
“Su, sentiamo!” esclamò “Cos’hai da dirmi di così tanto importante?”
“Ho annullato tutti gli impegni di domani!” confessai.
Strabuzzò gli occhi: “Davvero lo hai fatto?”
Annuii sorridendo: “Ora però dimmi che devo fare!”
Charlie si alzò dalla sedia tutto sorridente e mi fece cenno di seguirlo.
“Grazie.. Grazie davvero Abbie!” disse camminando verso l’ingresso del ristorante “Cosa farei senza di te!”
“Eh..” mi lasciai sfuggire, scoppiando poi in una fragorosa risata insieme al mio capo.
“Vieni.. ti presento una persona!” spinse la porta e ci ritrovammo fuori dall’edificio.
In lontananza scorsi una figura, non distinta, al quale Charlie fece cenno di avvicinarsi.
Mano a mano che ci veniva incontro, riuscivo a vedere il suo fisico ben definito e i suoi capelli castano chiaro. Quando, finalmente, si posizionò sotto ad uno dei grandi lampione che illuminavano il porticato del ristornate, vidi i suoi occhi azzurri luccicare.
NO! Non è possibile!
“Abbie, lui è Louis! Louis, lei è Abbie” ci indicò a vicenda e aspettò con ansia la nostra stretta di mano.
Per non deluderlo, allungai la mano e sperai che quell’imbecille che avevo davanti, capisse le mie intensioni. Me la strinse e mi dovetti ricredere: non era poi, così tanto spastico come avevo pensato.
“Chi non muore si rivede, eh?” ridacchiò Louis lasciando la presa della mia mano ma non lo sguardo con i miei occhi.
“Vi conoscete?” si intromise Charlie, guardandoci sorpresi.
Annuimmo entrambi e in contemporanea, poi decisi di prendere io la parola, prima che il babbano che avevo davanti, raccontasse cazzate.
“Ci siamo scontrati per le scale..” spiegai.
“Se solo tu non avessi barcollato come un novantenne!” ribatté lui guardandomi torvo.
 
Aspetta! Quindi lui non era uno di quelli del tavolo 37, ma era solo qualcuno che era venuto per vedere il ristorante, chissà per quale motivo.
Venni colta all’improvviso da un pensiero che non mi piaceva affatto.
Charlie l’avrebbe venduto e quel ragazzo sarebbe diventato il nuovo capo, licenziando tutti noi e mettendo altre regole rigide dentro al ristorante. Avrebbe assunto nuovi camerieri e avrebbe cambiato la disposizione dei tavoli e tutto il resto.
“Bene ragazzi! Abbie lui è il nuovo cameriere e tu dovrai insegnargli il mestiere, come George ha fatto con te un anno fa!” spiegò Charlie mentre il castano annuiva divertito.
Quando avrebbe iniziato a rompere piatti, bicchieri e vassoi.. altro che divertimento! Sarebbe stato preso dallo sconforto!
“Perché proprio io?” chiesi. Non so come mi fosse uscita quella domanda, ma prima che potessi chiudere la bocca, i miei pensieri furono tramutati in parole.
“Perché mi sembri la più adatta e disponibile. Infondo Lucy è qui da meno di te e gli altri ancora devono imparare bene!”
“Ti ringrazio per la fiducia Charlie, ma non penso di voler fare questo lavoro!” confessai “Lo sai.. ti ho sempre aiutato a fare tutto, ma questo..”
“Ti prego Abbie” mi interruppe “E poi hai già annullato i tuoi appuntamenti per domani!”
Cazzo. Ha ragione.
“Ma Charlie..” provai a replicare ma tanto sapevo come sarebbe andata a finire: non ho mai saputo resistere alla sua faccia da cucciolo. Ma anche con o senza quella, gli avrei detto sempre di si.
“Abbie..” sussurrò mettendosi le mani davanti al viso e giungendole a mo’ di preghiera.
“Va bene Charlie, va bene!” sbottai alla fine sorridendo “Non riesco a dirti di no, maledizione!” mi sbattei una mano in fronte, disperandomi di me stessa.
“Oddio Abbie, grazie!” disse abbracciandomi.
Mi ricordai solamente dopo essermi staccata da quella ventosa, che Louis ci stava osservando.
“E tu..” gli puntai l’indice contro e iniziai ad avvicinarmi a lui “Vedi di obbedire eh!”
L’espressione spaventata lasciò spazio ad un sorriso bellissimo.
“Si, non preoccuparti” gesticolò con le mani “Cercherò di fare il mio meglio”
Sorrisi. Non era davvero un ignorante come pensavo e per un momento pensai che saremo diventati grandi amici.
“Charlie, posso andare?” chiese Louis, dopo aver distolto lo sguardo da me.
Scossi la testa evitando pensieri strani su di lui.
“Oh si certo, Louis! Buonanotte!” lo salutò.
Lo guardai salire le scalette di pietra che portavano al parcheggio, fino a che non scomparì dietro alla grande quercia.






 




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Ciao! :)
Sono tornata con una nuova storia.
Mi è presa l'ispirazione e rimettendola un pò
al meglio sono riuscita a tirare fuori una 
FF quasi..

Normale?
Volevo ringraziare in anteprima tutte le persone che hanno letto
questo capitolo e che nel bene o nel male recensiranno
dicendomi cosa ne pensano.
Davvero, ci tengo molto al vostro giudizio, anche
per sapere se devo continuare oppure mi meriterebbe
smettere.
Fatemi sapere cosa ne pensate con più di dieci paroline! :)

Baci, 
Their_eyes 




 
  
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