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Autore: Elric_Kyoudai    16/03/2008    9 recensioni
Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani. (Un pizzico - ma quasi invisibile - di Elricest, Emo!Psycho!Ed)
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo mesi di inattività causa MiMancaInternetByMikael, eccoci di nuovo qui, pronte a riempirvi la mente con qualcosa di diverso!

Esatto, niente fangirlamenti random. Niente frivolezze, niente perdite di memoria. Solo una sana dose di psicolabilità e, come sempre, quel bit di Elricest che non guasta mai, stavolta in chiave diversa dal solito.

Miedo è nata quest'estate, mentre noi prendevamo appunti e il padre di Mika ci guardava malerrimo.;_; Ma è una cosa meravigliosa e noi la amiamo, e voi dovete amarla ç_ç!

Miedo è, per chi non fosse pratico, la parola spagnola per Paura. Scissa in due, ci becchiamo "Mi Edo", che sempre in spagnolo starebbe a significare Mio Edo, ma qua ci arrivavamo tutti è_é! Quindi, non aspettatevi cuoricini, ok? *risata satanica*

 

Al prossimo capitolo >O

 

Miedo

 

Il 20% dei ragazzi con depressione ad inizio così precoce sviluppa poi il cosiddetto "disturbo bipolare":

una vulnerabilità ad eccessive fluttuazione dell'umore, in cui le fasi di depressione si alternano a periodi di vera maniacalità,

caratterizzata da scarso bisogno di dormire, euforia immotivata,

esuberanza di energia, idee grandiose su di sé e i propri progetti,

senza alcun fondamento reale, e una elevata probabilità di cimentarsi o sfidarsi in attività ad alto rischio.

 

“Niisan, sono a casa!”

Aprì la porta, sentendo le orecchie invase dal tenero mugugnare di una voce decisamente familiare. Poggiò a terra le buste della spesa, per poi sfilare le chiavi dalla serratura e poggiarle sul mobile appena dopo l’ingresso.

Passo per passo si addentrò nell’andito, sentendo la voce di suo fratello farsi sempre più chiara, finché non si fermò sulla porta del soggiorno, ad ammirare per qualche secondo quella testa bionda che dava alla finestra, ciondolando a ritmo con la musica.

“Sono a casa.” Ripeté, battendo le nocche sull’uscio e abbozzando un sorriso.

“Ciao, Al.

Edward si voltò verso suo fratello, sorridendo lievemente, con le braccia poggiate sulle ante della finestra. Nonostante tutto, ancora gli faceva leggermente strano vedere il corpo di carne e sangue di Al, ancora dopo un anno.

“Hai incontrato qualcuno, per strada?”

Mise le mani dietro la schiena, avvicinandosi al fratello, ciondolando leggermente la testa di lato.

Alphonse annuì, azzardando qualche passo verso Edward e allargando il sorriso.

“Sì! Ho incontrato il Generale Mustang al banco della frutta. Abbiamo chiacchierato un po’ e mi ha aiutato con le buste fino alla piazza! Ti saluta,a proposito.”

Il maggiore iniziò a giocare con le proprie dita ancora a livello del fondoschiena. A sentire la parola Mustang ebbe un sussulto. L’altro lo interpretò come uno dei suoi soliti scatti di odio verso quell’uomo.

“Uhm, sì…”

Lo superò, piegandosi per prendere le buste con entrambe le mani.

“Da domani magari la faccio io la spesa, okay…?”

“Niisan, non lo incontro tutti i giorni il Generale!- ridacchiò, grattandosi la testa mentre osservava la schiena del fratello risollevarsi. – Non ti preoccupare!”

Di cosa poi, neanche lui lo sapeva.

L’altro neppure alzò lo sguardo aureo (e vagamente vuoto, ma Al non ebbe occasione di notarlo) su Alphonse.

“E’ uguale…”

Iniziò a mettere nella credenza la spesa.

“Preferisco uscire io. Non vuoi che esca?”

Ma no, no Niisan… - borbottò, andando ad aiutarlo. – Se va a te, non c’è problema!”

Si mise sulla punta dei piedi, a raggiungere lo scaffale più in alto, allontanando il più possibile dalla vista di entrambi cibi non propriamente sani che se fossero stati in uno scaffale più basso sarebbero spariti seduta stante – sicuramente.

“D’accordo, allora domattina esco. Mi fai tu la lista della spesa?”

Vedendo che stava sistemando lui, Ed si mise a sedere, accavallando le gambe, osservandolo muoversi, senza proferire più parola.

Era qualche tempo che Edward pareva strano. Ancora più del solito.

Da quando Al aveva il suo corpo, Ed si era dimostrato appiccicoso. Estremamente. Quasi da portarlo all’esaurimento. Il minore non avrebbe mai immaginato che suo fratello potesse risultare così attaccato a lui. Ma il più piccolo giustificava il processo mentale per cui Edward aveva totalmente eliminato la sua privacy col fatto che erano così tanti anni che non sentiva il calore del suo corpo.

E aveva deciso di assecondarlo. Un po’ perché lo adorava, un po’ per la curiosità di sapere fin dove si sarebbe spinto.

Un po’ per timore - probabilmente infondato, pensava spesso e volentieri.

“D’accordo Niisan. – annuì, chiudendo l’anta e voltandosi verso di lui. – Io scrivo, tu compri. E stai attento a non sbagliare!”

“Non sbaglio, non preoccuparti. Non credo sia difficile azzeccare quel che scrivi su un pezzo di carta.

Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani.

Mh…” mormorò, in assenso.

Forse se l’era presa. Forse aveva pensato che con quella frase il suo amato fratellino gli avesse dato dello stupido, dell’incapace o qualcosa di simile.

Perplesso, si avvicinò al suo viso, guardandolo con occhi se possibile ancor più grandi del solito, le iridi ambrate che andavano alla ricerca di una qualsiasi cosa che smentisse i suoi sospetti.

“… Ho detto… Qualcosa che non va?” bisbigliò, per poi chinare la testa,e osservare con insistenza la punta delle sue scarpe.

“No, non preoccuparti.”

Gli alzò il viso, due dita sotto il mento.

“Non hai detto niente di male. Non preoccuparti.

E le sue labbra s’incresparono in un sorriso rassicurante.

Lui voleva solo il bene di Alphonse, in fondo.

Alphonse amava quel sorriso. Era caldo come il sole d'agosto, caldo come gli abbracci della sua mamma quando ancora era con loro.

Tuttavia, ancora non era convinto che tutto andasse bene. Insomma, più che altro quella voce così apparentemente fredda - un pezzo di ghiaccio che quel caldo sole non riusciva a sciogliere - aveva installato in lui il tarlo del dubbio.

Ma probabilmente era solo una sua paranoia. In fondo, era stato via solo poche ore. E in poche ore non si può rovesciare il mondo, no?

Che c’è, Al?”

Edward notava ancora, nel fratello, uno sguardo preoccupato, che in fondo non era neppure giustificabile. Non era diverso dal normale, perché tutta quella apprensione?

Si avvicinò a lui, baciandolo sulla guancia.

Nella prospettiva di Alphonse, gli occhi che lo fissavano erano estremamente vuoti. E lo innervosiva il fatto che non capiva perché.

"No, niisan, nulla... - pigolò lui, ricambiando il bacio con un breve abbraccio - Che dici, prepariamo il pranzo?"

Era una paranoia, era una paranoia, era una paranoia.

Doveva essere per forza così.

Sciolse l'abbraccio, dichiarando al fratello che sarebbe andato a mettersi i vestiti di casa e poi si sarebbero messi a cucinare, come ogni giorno.

Probabilmente, quella fastidiosa sensazione sarebbe sparita nel giro di poco tempo. O almeno confidava in ciò.

“D’accordo”, pronunciò secco Ed, quasi irritato dal distacco.

Non gli piaceva che Al fosse lontano. Neppure per pochi attimi. Erano stati troppi anni distaccati da quell’armatura del diavolo, e prima si recuperava il tempo meglio era.

Prima, prima possibile.

Ogni secondo, ogni stilla di tempo. Doveva abbeverarsene fino ad ubriacarsi, di Al.

E lui sembrava non capire.

Addirittura si fermava a parlare con Mustang, quell’uomo insopportabile.

Inconcepibile.

Non tollerava che avesse contatti con altre persone. Lui era di Alphonse, e Alphonse apparteneva a lui.

Di diritto.

Interruppe il flusso di pensieri quando il rumore scricchiolante delle scale gli fece capire che stava per avere di nuovo la sua compagnia.

Alphonse si sistemò il colletto della maglia, riavvicinandosi a lui e sorridendo, deciso ad accantonare ogni strano pensiero.

"Sono stato veloce?" chiese, tirando poi fuori la lingua.

“Sì, velocissimo, niichan.”

Fu quasi acido nel rispondere.

Cosa mangiamo oggi?”

In verità non era tanto importante quel che avrebbe avuto nel piatto, ma chi lo preparava.

(Alphonse stava diventando una malattia.)

Il più piccolo sospirò appena, sentendo quel che tentava di mandar giù cercare di tornare prepotentemente a galla.

"Ti va il riso al curry? Ho trovato gli ingredienti in offerta, e siccome ti piace..."

Non sapeva di preciso come comportarsi. Se mostrarsi felice o per quello che aveva dentro.

Forse doveva solo stare più attento.

“D’accordo.”

D’improvviso, Edward gli andò dietro e lo abbracciò. Gli teneva le mani incrociate sul ventre, mentre strusciava le labbra contro al collo.

“Sai di buono…”, gli sussurrò all’orecchio, baciandogli ripetutamente la gota.

Non si interessò di far irrigidire Alphonse. Non erano da tutti i giorni quei suoi slanci d’affetto. Strani, strani e sospetti.

Il fratellino mugolò, stupito.

Poggiò le sue mani contro quelle del maggiore, una calda e morbida, l'altra fredda e appena ruvida - sarebbe andato incontro alla morte, se Winry avesse solo saputo.

La sua bocca sembrava rovente, e per contro la sua schiena venne scossa da un leggero brivido.

Decisamente strano.

"Merito del bagnoschiuma, niisan..." tentò di scherzare, stringendo appena la mano metallica (così che non potesse accorgersene, sperava).

“Buono…”

Continuò a strofinare le labbra sul collo, e i baci si spostarono su quella parte. La bocca era di ferro rovente, gli marchiava la pelle, le cicatrici si formavano ad ogni minimo sfioramento.

“Mio…”, sussurrò, appena percepibile, ma abbastanza forte da far sussultare Alphonse.

Si aggrappò istintivamente all'altra mano, sospirando.

Il suo comportamento non lo aiutava a capire cosa stesse passando nella testa del suo fratello adorato. Oltrettutto, persino la sua mente cominciava ad annebbiarsi, sotto quel tocco delicato e appena... spaventoso.

"T-tuo..." bisbigliò appena, chinando la testa di lato, chiudendo gli occhi per cercare di riordinare le idee.

Perché, era innegabile, Edward era strano. E non di uno strano piacevole.

"Tuo, Niisan..." ripeté, sentendo il calore impossessarsi delle sue guance.

Ad Edward bastò quell’unico monosillabo, per rincuorarsi. Ridacchiò nelle orecchie del fratellino, camminando con lui verso la cucina, sempre attaccato.

“Facciamo da mangiare assieme?”

… cominciò a chiedersi se non fosse bipolare, o qualcosa del genere.

In verità era un'ipotesi un po' azzardata. Insomma, non che fosse da tanto che avesse quell'aria totalmente assente a tratti, o che si ammutolisse per poi scherzare su qualcosa, o ridere a cuor leggero.

Ma in fondo suo fratello non era mai stata una persona... ordinaria.

Decise quindi che, nello stesso momento in cui avrebbe risposto alla sua domanda, avrebbe finalmente accantonato i pensieri per tirarli fuori, se necessario, in un altro momento.

"D'accordo!" ricambiò, mentre si faceva trasportare nella stanza dell'alchimia culinaria.

 

Si stava davvero bene lì, sul divano, con Al tra le gambe.

Dopo pranzo, lo aveva preso per il braccio, obbligandolo a sostare lì con lui. Non gli interessava che avesse altro da fare, come lavare i piatti, o leggere. Gli premeva di più poter sentire il profumo dei suoi capelli.

“Di che avete parlato, con Mustang?

Se ne uscì così, in un momento a caso, mentre il respiro di Alphonse si stava facendo più forte, indizio che stava per scivolare in un piacevole sonnellino pomeridiano.

Si mosse un po' tra le sue gambe, l'altro, riaprendo gli occhi e sbadigliando.

"Ma... niente di che in verità... Mi ha chiesto qualche consiglio su cosa cucinare e..."

Si interruppe, sbadigliando di nuovo e strofinandosi un occhio.

“Nient’altro, sicuro?”, domandò con tono insistente Ed, mascherando una vena d’ansia con un tono benevolo, carezzandogli i capelli morbidi.

"Mh... - mugugnò, rilassandosi sotto il tocco di quella mano - Ha detto che... sua cugina è arrivata ieri a Central City... E mi ha chiesto se potevo incontrarla per farle vedere la città... Sai, non è mai stata qui e..."

Tick.

(E’ il rumore di un filo che si stacca – un filo rosso di cotone sottile che tiene insieme una pezza per riparare un buco)

E non poteva pensarci lui…?”

Trattenne un attimo il respiro, il più piccolo, avvertendo una nota mal celata di fastidio in quelle parole.

Si risvegliò completamente dal torpore del caldo pomeridiano.

"Mi ha detto che stasera lui ha da fare in ufficio... Che il tenente Hawkeye gli ha portato un mucchio di documenti da firmare e controfirmare e ne avrà almeno fino a domattina..."

La stretta che teneva ancora attorno al suo ventre si fece, lentamente, sempre più stretta.

“Non può portarla in giro domani sera? Non poteva pensare, quell’uomo inutile, che tu avessi altro da fare che portare in giro una ragazza che non conosci neppure?”

"Beh, credo che non volesse lasciarla sola... - tremò appena, sentendo il tono contrariato di lui - Insomma, se tu andassi in un posto nuovo, credo farei lo stesso..."

Non aveva la benché minima intenzione di volarsi per osservarlo in viso. Era sicuro che avrebbe trovato occhi piccoli piccoli e labbra mordicchiate.

"E poi ha insistito un paio di volte..." si giustificò, sperando che si acquietasse.

Una bugia bianca in favore della tranquillità di Edward.

“Non sa ricevere un no, quell’uomo insopportabile?”

Delle buone intenzioni di Al, Ed non ne percepì nessuna. Anzi, fu solo più irritato.

Lasciò andare il fratello, per alzarsi e torreggiargli davanti, in tutta la sua confusa ed ingiustificata ira.

“Se io non volessi vederti uscire da quella porta, eh?! Sono tuo fratello maggiore, e mi dovresti ubbidire.

Questo non andò giù ad Al. Si sentì un oggetto. Rimase seduto a fissarlo, un broncio latente sul viso.

"Credo di essere abbastanza grande da poter decidere cosa fare o no senza chiederti il permesso, niisan."

Sentiva un fastidioso nervoso appropriarsi delle sue membra, un po' come quando da piccoli Edward si faceva burle di lui, e in risposta non sapeva fare altro che lamentarsi con sua madre.

"E poi non puoi darmi ordini. Faccio un favore a un amico!"

Più che il sentire definire Mustang un amico (di per sé già insopportabile e assurdo), a bruciargli come un carbone ardente in mezzo al petto fu la disubbidienza di Alphonse.

(Nel suo cervello, questa si tramutò in una mancanza di interesse nei suoi confronti, ceduto invece a quella femmina di cui entrambi non conoscevano neppure il nome)

Senza una parola, se ne andò in cucina, a passi pesanti. Dopo pochi attimi, si sentì il rumore di vetri rotti.

"Niisan!"

Alphonse scattò in piedi, correndo verso la stanza dove neanche poche ore prima stavano preparando il loro banchetto del mezzodì.

Vide le sue spalle muoversi velocemente, il pavimento costellato da piccoli cocci trasparenti - quasi sembravano brillare come stelle alla luce del sole.

"… ma sei completamente impazzito?!" fece, alzando la voce, pretendendo di non credere a quel che stava vedendo.

Dai cocci, Ed alzò lo sguardo verso Al, spaventandolo a morte. Aveva le iridi di una fiera, un animale impazzito a cui ogni cosa andava bene, in nome dell’esplicazione della propria rabbia. Sembrava un leone in procinto di avventarsi sulla propria preda.

“Ti sembro impazzito?”

Fulmineo, si avvicinò al fratello, costringendolo al muro, tenendogli i polsi in alto.

“Ti sembro impazzito?”

E questa volta fu quasi un sibilo.

Alphonse deglutì a vuoto un paio di volte, senza riuscire a dire una sola parola.

Non lo aveva mai visto così fuori dai gangheri. non aveva mai visto nei suoi occhi così tanta rabbia.

Sentiva ogni muscolo del corpo paralizzato, impaurito dalla sua reazione qualunque risposta avesse dato.

Il deglutire del fratello minore rimbombò nelle sue orecchie come uno scroscio d’acqua impazzita. Purificò la sua mente e lo fece rinsavire.

“Oddio…”, mormorò, mollando Alphonse, che si massaggiò i polsi ancora spaventato.

“Oddio oddio oddio…”

Quasi sull’orlo di piangere, abbracciò fortissimo l’altro ragazzo, scusandosi mille e mille volte.

Alphonse balbettò un paio di volte, nel tentativo di chiamarlo per nome, e quasi come un automa sollevò le braccia, abbracciandolo a sua volta.

Sempre il campanello che suonava nella sua testa, come un richiamo alla sua attenzione.

Gli carezzò la schiena, ancora tremante, mentre davanti ai suoi occhi vedeva quelle stelle artificiali farsi una grande macchia davanti alla nebbia dei suoi occhi.

“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…”

Era come una cantilena, pronunciata con voce rotta e spezzata – come quei cocci che luccicavano di una luce troppo bella per essere prodotta da pezzi di vetro, denuncianti un’anomalia, una macchia che si stava sempre più allargando dentro Edward.

Alphonse stava diventando la sua malattia. Sempre di più.

"N-niisan, basta..."

Lo strinse forte a sé, rendendosi conto di quanto male stesse suo fratello - nonostante ancora non capire quale fosse stata la causa scatenante di tutto.

Sentiva il cuore stringersi tanto da far male, mentre il suo labbro veniva continuamente molestato dai denti, per non piangere, per non lasciarsi andare.

"Va tutto bene."

Bugia bianca.

“Scusami, non capisco che diavolo… scusami, Al, mi dispiace tantissimo, io…”

Sembrava sull’orlo di traboccare, di esplodere come una diga.

“Devo averti spaventato così tanto, Al…”

Probabilmente era inutile ammettere il contrario, ma sembrava così mortificato che non se la sentì di spiattellargli contro la paura che gli aveva messo addosso.

Si limitò a stringerlo ancora un po', per poi prendergli le mani e scuotere la testa, tentando di guardarlo negli occhi, il labbro che ancora tremava.

Ed gli baciò le gote, la fronte, le mani, tentando di calmarlo in tutti i modi. Lo abbracciò, cullandolo, seguitando a mormorare le sue scuse più profonde e sentite.

“E’ ovvio che puoi fare come vuoi, Al… mi dispiace, mi dispiace…”

Tirò un profondo sospiro, Alphonse.

E con tutto il coraggio del mondo, lo allontanò un poco da sé, tenendogli le spalle.

"Non chiedermi scusa Niisan, basta... - mormorò - Va... tutto bene..."

Di nuovo.

“… a che ora devi uscire con la cugina di Mustang?”

Tirò su col naso, Edward, tenendo lo sguardo fisso sul viso di Al. Era pallido.

"Il... Il colonnello ha detto che... mi avrebbe aspettato alle sette nella piazza dell'orologio... Ma... se... se vuoi posso chiamare e dirle se..."

Aveva gli occhi pieni d'acqua limpida, il contorno degli occhi appena umidi.

Forse non doveva andare, e dir subito ad Edward che avrebbe declinato l'invito e, e, e...

“No, no, vai! Che ore sono? Quanto manca? Devi prepararti, niichan…”

Gli carezzò le guance, e Alphonse non poté che sussultare al profondo freddo che quelle dita gli trasmisero.

Sollevò gli occhi, cercando la sveglia con gli occhi, cercando di capire che ore fossero tra quella nebbia, cercando di calmarsi.

Sentendo l'umido scivolargli sotto gli occhi.

"S-sono le... le cinque..." balbettò, senza mollare le sue spalle.

“Su, devi tirare fuori i vestiti, di quelli buoni, e darti una lavata, non vorrai fare brutta figura con quella ragazza…”

Scrollandosi, tolse le mani del fratello dal suo corpo, e si diresse verso la camera di Alphonse, facendogli cenno di seguirlo. Lo avrebbe aiutato a conciarsi decentemente, e avrebbe fatto una figura meravigliosa, e sarebbe stato il suo orgoglio…

Alphonse rimase un attimo immobile, a guardarlo salire le scale, poi scosse la testa, cacciando via le lacrime dagli occhi, e lo seguì.

Lo vide chino su un cassetto, alla ricerca di qualcosa che potesse stare bene alla sua figura, sentendolo mormorare "Questo no, questo manco..." mentre frugava tra la sua roba.

"N-niisan, non preoccuparti, faccio io..." sibilò, senza sapere cosa aspettarsi in risposta.

Sapeva solo che la voglia di vedere quella ragazza ora come ora rasentava lo zero.

Ed lo guardò in viso, cogliendo all’istante quel che provava in quel momento. Andò ad abbracciarlo di nuovo.

“Mi dispiace… dai, sarà una bella serata, no? Ti divertirai tanto e poi me la farai conoscere, okay? Non solo perché ha del sangue in comune con quel coso dovrà essere così malaccio, no?”

E gli sorrise. Gli mostrò uno di quei sorrisi che Alphonse amava tanto, di quelli forti, e solari, e grandi come il cielo.

Al annuì, tentando di sorridere a sua volta.

"D'accordo, però... Non cercare roba troppo sofisticata, ok? - ridacchiò - Intanto vado a lavarmi, ok?"

“Certo, Al, certo.”

Lo salutò infantilmente con la mano mentre usciva dalla stanza verso il bagno.

Appena chiuse la porta, sentì un vuoto d’ampiezza quasi incomprensibile. Ma decise, quella volta, di non pensarci, e si diede alla ricerca di abiti buoni per Al.

 

"Ok, credo di aver preso tutto..."

Si sentiva decisamente a disagio con quella camicia dal collo un po' stretto. Sembrava un perfetto gentiluomo a detta di suo fratello.

Ed era sembrato così estasiato da non poter neanche osare contraddirlo.

"Non farò tardi, promesso..."

“Okay, a che ora pensi di tornare?”, domandò l’altro, sottolineando l’implicita affermazione che l’avrebbe aspettato sveglio.

Più lo guardava, più rimaneva abbagliato dal suo splendore.

"Sperando arrivi puntuale, spero non più tardi delle undici..." fece, chinando la testa sull'orologio da polso che Edward gli aveva prestato.

Troppo poco tempo per cercare il suo.

"Se sei stanco, vai a dormire, ok?"

“No, no, ti aspetto…”, replicò, sorridendo rassicurante. “Spero non si innamori di te, non voglio rimanere orfano di fratelli! Anche se sarà difficile che non rimanga affascinata da te…”

"Aw, Niisan! - fece, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla - Non dire idiozie, dai... Se anche fosse, le dirò No grazie, sono proprietà privata!

E rise, scuotendo la testa per auto prendersi in giro.

“Questo è bene…”, bisbigliò quell’altro impercettibilmente, a voce talmente bassa da non farsi udire dal fratellino. “Hai sete, per caso?”, gli domandò invece.

"Mh, sì... - fece, annuendo - Non vorrei dover spendere più soldi del necessario per prendere da bere..."

Neanche fosse così costoso prendere dell'acqua. Ma prevedendo una chiusura dei negozi nel giro di un'ora e mezza, mai dire mai.

Senza una parola, ma solo sorridendogli, Ed si infilò in cucina, mettendoci un tempo estremamente lungo per riempire un semplice bicchier d’acqua.

“Non ne trovavo uno pulito…”, si giustificò.

"Nulla, Niisan!"

Afferrò il bicchiere a piene mani, deliziandosi del fresco che emanava. Portò il vetro alle labbra, ingollando fino all'ultima goccia del liquido, e poi si asciugò le labbra con la punta delle dita, alzando un sopracciglio per riflesso condizionato.

Strano sapore.

"Ok, allora prendo il giubbotto e vado!"

Ed fu più veloce di lui, allungandoglielo. Lo fissò un attimo con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto, e un sogghigno non eccessivamente benevolo.

Alphonse lo fissò per un momento, poi prese il cappotto.

… tentò di prenderlo.

Non capiva perché, ma allungando la mano sul cappotto, non riusciva a sentirne la stoffa. E poi ne vide due.

Gli sembrava di avere le nuvole in testa.

“… n-niisan..."

“Sì, Alphonse? Non ti senti bene…?”

Una domanda retorica posta con un tono affettato e sarcastico.

Al, davanti a lui, stava perdendo ogni forza.

“Vuoi che ti porti a letto?”

Il piccolo strabuzzò gli occhi, sentendosi confuso.

Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, cercando di mettere qualche suono, ma l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un suono strozzato, un mugolio sommesso.

Fece qualche distratto passo in avanti, appoggiandosi al suo fratellone.

"Nii..." bofonchiò, stringendo debolmente la spalla.

“Lo prendo per un sì…”

Mise il braccio metallico sotto le gambe del ragazzo semi morente, prendendolo in braccio come una sposa.

Gli baciò la fronte, mentre camminava verso la sua camera da letto e l’altro scivolava tra le dita sapienti di Morfeo come sabbia.

“Buonanotte, Alphonse.”

  
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