31
dicembre 2017, Brooklyn, New York
«Sorgi
e
brilla, bella Addormentata!».
Finn
scattò
bruscamente a sedere, cercando di liberarsi del peso che sembrava
essergli
crollato addosso durante la notte.
«Coop,
quando ti ho detto “vai a svegliare Finn” non
intendevo saltagli addosso e
schiaccialo!».
Il ragazzo
batté
lentamente le palpebre e mise a fuoco due figure poco familiari che
battibeccavano davanti al suo letto. “O meglio,
divano”, si corresse, lanciando
un’occhiata sotto il proprio sedere.
«Avanti
Blaine,
non c’è pericolo, questo ragazzo è un
vero tronco di pino!».
Ah giusto.
Cooper e Blaine. New York.
I fratelli
si girarono verso di lui mentre sbadigliava sonoramente e scalciava via
le
coperte, facendo una quantità spropositata di rumore.
«Che succede?», mugugnò.
Blaine
scosse la testa con aria mortificata. «Scusa, si prende
sempre troppa
confidenza con le persone».
«Non
credevo
che vedere mio fratello torturato dal mio ragazzo e da suo
fratello potesse piacermi», intervenne la voce di Kurt da
un’altra
stanza. «Ma devo ammettere che è piuttosto
divertente».
Finn
sbadigliò nuovamente, stavolta alzandosi in piedi e
stiracchiando le membra
indolenzite. «Sei crudele, fratellino».
La testa di
Kurt fece capolino dalla cucina. «Quante volte devo ripeterti
che sono io il maggiore? E
comunque, considerala
una vendetta per tutte le volte che mi hai svegliato alle sei di
mattina con i
tuoi piedoni per il corridoio. Lo sai che mi piace dormire la domenica
mattina».
Per tutta
risposta Finn gli fece la linguaccia.
«Molto
maturo, Finn», Kurt cercò di assumere
un’espressione sdegnata ma fu tradito dal
proprio sorriso. «Forza, venite di là, la
colazione è pronta».
I tre si
lasciarono
guidare dal profumo di caffè e muffin freschi, impilati in
un piatto al centro
della tavola.
«Allora!»,
disse Cooper entusiasta, piombando a sedere fra Finn e Blaine.
«Che facciamo
oggi?».
«Sta a
Finn
decidere», disse quest’ultimo, voltandosi verso il
ragazzo. «Dove vorresti
andare?».
«Non
saprei», dichiarò Finn con la bocca piena di
muffin. Kurt gli tirò un calcetto
da sotto il tavolo e l’altro deglutì prima di
parlare di nuovo. «L’Empire
State? O Central Park. Un posto dove non possa incontrare
Rachel», concluse, un
po’ a disagio.
Kurt
sospirò. «Finn, non siamo a Lima, questa
è New
York, le probabilità che tu possa vederla sono una
su otto milioni».
«Non
avrei
saputo dirlo meglio», sovvenne Blaine, dandogli una pacca
sulla spalla.
«Senza
contare
che la mia futura costar Rachel Berry sarà ad un faboulous
party stasera, e molto
probabilmente passerà tutta la giornata a prepararsi per
essere semplicemente
stupenda». Cooper osservò gli sguardi straniti che
gli altri gli stavano
rivolgendo. «Che c’è? Io lo farei se
James Cameron mi invitasse al suo party di
Capodanno!».
«A
volte mi
chiedo se tu sia veramente etero», borbottò Blaine.
«E non
sai
quanto mi diverta vedere quello sguardo confuso sul tuo viso,
fratellino».
Finn si
schiarì la voce. «A proposito, avete qualche
programma per stasera? Non si va a
Times Square, qui a New York? Per vedere quella cosa che fanno con la
palla?».
Kurt scosse
la testa. «No no no, non se ne parla, sarà
strapieno di gente, tutti pigiati
insieme, e poi fuori farà un freddo cane. Non ci tengo a
prendermi la
polmonite!».
«Mike
ci ha
invitato da lui», spiegò Blaine. «Abita
a Chelsea e ha una casa davvero enorme
per gli standard di New York. Ci saranno molte persone del cast e dei
suoi
amici, sarà divertente!».
«Va
bene per
me», acconsentì Finn. «Basta
che-».
«Non
ci sia
Rachel, abbiamo capito!».
31 dicembre 2017,
Upper West Side, New York
“Mi
chiedo
cosa abbia fatto nella mia vita precedente per meritarmi questa
tortura”, si
chiese Rachel, mentre la voce di Sugar le trapanava
l’orecchio ed una ragazza
sulla ventina le spalmava uno strato di cera bollente su una coscia.
«Quello
che ti
sto dicendo», stava cinguettando la voce di Sugar in quel
momento. «È che
l’Ohio ti è davvero entrato
nelle
vene più di quello che pensavo. Come fai a non essere
eccitata all’idea della
festa di James Cameron? Hai idea della gente che sarà
presente?».
Il corpo di
Rachel si irrigidì involontariamente mentre sentiva lo
strofinare di una
striscia di carta sulla sua pelle. «Sugar»,
cominciò, cercando disperatamente
di concentrarsi su qualcos’altro. «Il punto non
è questo, ma- ouch! Mi
scusi, mi scusi!», strillò
subito dopo. La ragazza – il nome sulla targhetta diceva
Chloe – si strofinò il
naso, che il suo piede aveva mancato di qualche centimetro.
«Le mie gambe sono
parecchio sensibili».
«Sei
dall’estetista
Rachel?», chiese Sugar con tono vagamente compiaciuto.
«Emh…»,
la
ragazza si rimise sdraiata sul lettino mentre Chloe le lanciava
un’occhiata
malevola. «Sì?».
«Devo
prenderlo come un buon segno?». La voce di Sugar traboccava
di quella che
sembrava gioia repressa. Rachel prese un respiro profondo.
«Ascolta,
Sugar,
dimentica quello che ho detto due giorni fa. È stato un
momento di debolezza,
va bene? Mi sono lasciata influenzare, come hai detto tu.
Andrò a quella festa,
sarò una visione e cercherò di capire se Mister
Cameron ha intenzione di girare
un musical nel prossimo futuro. E il due gennaio sarò in
sala prove come nuova,
okay?».
«Perfetto!»,
esclamò Sugar proprio mentre Chloe toglieva una striscia di
cera dalla gamba di
Rachel con uno strappo. «Questa è la Rachel Berry
che conosco. Nessun uomo può
anche solo scalfirti, giusto?».
«Giusto»,
borbottò Rachel, senza un attimo di esitazione.
31
dicembre 2017, Chelsea, New York
«Ditemi
che
questo significa quello che penso significhi»,
esclamò Mike appena la porta del
suo appartamento si aprì abbastanza da vedere la scena che
gli si presentava
davanti. Il suo sguardo, notò distrattamente Kurt, era fisso
sulla sua mano
destra. Che al momento era intrecciata con la sinistra di Blaine.
«È
strano
come tutti i tuoi amici abbiano la stessa reazione», gli fece
notare con voce
pacata. «È come se si fossero messi
d’accordo».
«Allora?»,
insistette Mike, senza dargli ascolto.
«Per
quale
motivo dovete essere così imbarazzanti?»,
sbottò Blaine in tono irritato.
L’espressione
di Mike era a dir poco euforica. «È un
sì?».
Blaine lo
ignorò, facendosi strada oltre di lui per entrare in casa.
«Sì,
Mike»,
fece appena in tempo a dire Kurt prima che Blaine lo trascinasse oltre
la
soglia.
Il ragazzo
esultò. «Sono così felice, voi non ne
avete idea!».
«Ti
capisco,
fratello!», esclamò Cooper dandogli un cinque e
abbracciandolo.
Durante
tutta questa scena Finn era rimasto sulla porta guardando il tutto con
sguardo
stranito. «Allora Blaine aveva ragione. Siete davvero
imbarazzanti. E strani».
Mike si
districò
dalle braccia di Cooper dandogli qualche pacca sulla spalla, per poi
girarsi
verso Finn. «Tu devi essere il fratello di Kurt,
giusto?».
«Finn»,
si
presentò lui.
«Mike.
Piacere», il ragazzo chiuse la porta e spinse gli altri due
in casa, guidandoli
verso Kurt e Blaine che parlavano animatamente con Tina. «E
perdona il nostro
comportamento infantile ma non vedevamo l’ora che questi due
combinassero
qualcosa! Questa storia va avanti da troppo tempo».
«Senti
chi
parla!», esclamò Blaine. «Kurt
è qui da due settimane, a differenza di qualcuno
che conosco», lanciò un’occhiata
eloquente a Tina.
La ragazza
si limitò a ridere, mentre Mike le passava un braccio
attorno alla vita e le
schioccava un bacio sulla guancia.
«Finalmente
uscite allo scoperto, allora», commentò Kurt
alzando un sopracciglio.
«Beh»,
disse
lei stringendosi di più contro il fianco di Mike.
«Diciamo solo che le volte
che ci hanno sorpreso come hai fatto tu a Natale sono
state…».
«Sorprendentemente
frequenti negli ultimi mesi», concluse Mike.
«Quindi abbiamo deciso che non ci
sarebbe stato alcun male a rendere la cosa pubblica, anche se lavoriamo
insieme
e-».
«Lo
sapevamo
già tutti, scemi che non siete altro»
esclamò la voce di Mercedes da qualche
metro più in là.
«Mercedes!»,
esclamò Cooper, estasiato. «Vieni, devi
assolutamente conoscerla…», disse trascinando
Finn con sé.
Blaine
sorrise e li seguì. Kurt fece per andargli dietro quando
Tina lo trattenne per
un braccio.
«Kurt,
puoi
dirci quando partirai? Non manca molto, vero?».
«Ripartirò
tra
qualche giorno, Tina».
«Non
potresti fermarti un altro po’? Almeno fino alla serata di
apertura del
musical!».
«Ho
già
prenotato il biglietto aereo», disse il ragazzo scuotendo la
testa. «Ma la
buona notizia è che mi trasferirò a New York a
febbraio».
«Dici
sul
serio?», esclamò lei, cambiando completamente
espressione.
Kurt
annuì
mentre Tina gli buttava le braccia al collo e lo abbracciava stretto.
«Non
so se
Blaine ve l’ha detto», iniziò non appena
si allontanarono. «Ma io-».
Mike
sbuffò.
«Non sai se non ce
l’ha detto, vorrai
dire. Se riesci a capire come farlo smettere di parlare te ti devo un
favore».
Kurt
arrossì, senza riuscire a non essere un po’
compiaciuto. «Beh, ho studiato
musical a Columbus, ma fin dal liceo ho sempre sognato di lavorare a
Broadway. Sono
venuto qui e ho trovato un ragazzo… degli amici…
sembra quasi surreale in così
poco tempo». Tina gli passò un braccio attorno
alla vita, sorridendo. «Forse è
un segno che è il momento di lasciare
l’Ohio».
«È
una
scelta molto coraggiosa, Kurt», disse Tina con un sorriso.
«Hai già idea di
cosa farai?».
«Credo
che lavorerò
come cameriere per mantenermi. Lo so è un
clichè». Il ragazzo sospirò
teatralmente, mentre i due ridevano. «Ma farò
tutte le audizioni che posso nel
frattempo».
«Ti
informerò appena saremo a corto di comparse». Mike
gli strizzò l’occhio.
Kurt
sorrise. «Grazie. Il mio curriculum non è un
granché, e so che non sarà così
facile-»
«Emh,
io non
ne sarei così sicuro…», intervenne la
voce di Blaine dietro di lui.
Kurt si
girò: il ragazzo teneva in mano il cellulare di Mercedes e
stava trattenendo a
malapena un sorriso. «Perché ridi?».
Blaine gli
porse il telefono. «Da’ un’occhiata
qua».
Kurt prese
il cellulare in mano: era aperto sul profilo twitter di Mercedes:
riconobbe subito
il video di Baby It’s Cold Outside.
Per
un momento il cuore gli salì in gola, ricordando Dave che
gli chiedeva chi
diavolo era quel ragazzo seduto accanto a lui. Poi lo sguardo gli
scivolò sui
numeri che erano segnati sotto di esso. Aggrottò le
sopracciglia. Alzò lo
sguardo dallo schermo per guardare il ragazzo.
«Cosa
significa ventimila?».
Il sorriso
di Blaine avrebbe potuto abbagliare un cieco. «Significa che
ventimila persone
si sono prese il disturbo di cliccare mi piace affianco a questo video,
vedi-».
A Kurt
sarebbe piaciuto ribattere che certo, lo sapeva cosa significava, e che
non
intendeva quello, ma il resto del gruppo
soffocò le sue parole e
nonostante le sue proteste si accalcò alle spalle del
ragazzo per dare
un’occhiata.
«Che cosa?», strillò Mike.
«Impossibile!».
«Sei
famoso,
Kurt!», esclamò Cooper.
«Bel
colpo
fratellone!», aggiunse Finn con una gran pacca sulle spalle.
«Ed
è
passata solo una settimana!», aggiunse Mercedes con aria a
dir poco trionfante.
«Sono curiosa di vedere quale sarà il conto fra un
mese…».
Il ragazzo
si sentì girare la testa. Non stava succedendo davvero. Cose
del genere non
succedevano davvero, giusto? O almeno, non a Kurt Hummel.
«Fra
un mese
sarà febbraio e a nessuno importerà
più di un paio di tizi su internet che cantano
Baby It’s cold outside»,
commentò a
mezza voce.
«Questo
lo
dici tu!».
«Io vi
ascolterei anche in agosto, latticino», rise Mercedes con una
strizzata
d’occhio.
«Broadway
ti
adorerà, Kurt», disse Tina battendo le mani.
«Ti adorano già».
«Ragazzi
dobbiamo festeggiare!», esclamò Cooper.
«Facciamo un brindisi! Dove sono gli
alcoolici?».
Si
spostarono in massa verso la cucina, mentre Kurt rimase a fissare lo
schermo
del cellulare, vagamente intontito. Solo quando sentì un
braccio passargli
attorno alla vita si accorse che Blaine era rimasto indietro con lui.
«Sembra
che non sarà così difficile, alla fin
fine», disse, baciandolo su una guancia.
Kurt sorrise
appena, rilassandosi nel suo abbraccio. «Così
sembra».
31 dicembre 2017, East
Broadway, New York
Rachel si
ravviò un’ultima volta la frangetta prima di
stamparsi sul volto il proprio sorriso
da palcoscenico e uscire dall’auto. Non appena
poggiò il tacco dodici sul
tappeto rosso del Red Leaf i flash delle macchine fotografiche
cominciarono a
lampeggiare senza sosta su di lei.
«Rachel,
qui!».
«Un
sorriso,
Rachel!».
La ragazza
continuò a sorridere e camminò fino a trovarsi al
centro della folla di
fotografi.
“Grazie
a
Dio non sono così tanti”, pensò mentre
posava e sorrideva verso di loro per
qualche minuto, allontanandosi poi verso l’entrata del
locale. Sospirò di
sollievo quando vide che era priva di giornalisti: non aveva il
coraggio di
immaginare le domande che le avrebbero fatto dopo lo scandalo degli
ultimi
giorni.
Entrò
nel
locale a passo svelto. Consegnò il proprio cappotto ad un
ragazzo fermo davanti
all’entrata e si guardò intorno. Si trovava in una
sala immersa nella penombra,
illuminata da luci soffuse rosse e dorate – si permise di
attenuare il sorriso
smagliante, non l’avrebbero vista comunque. Una flotta di
camerieri girava
offrendo cibo e champagne, ma gli ospiti sembravano decisamente
più impegnati a
fare convenevoli o a ballare per preoccuparsi del rinfresco.
Oh, e la
sala piena. Letteralmente.
“Dove
le
avrà trovate poi, tutte queste persone?”,
pensò la ragazza mentre si guardava
intorno con gli occhi sgranati. “E io dovrei trovare James
Cameron in tutto
questo casino? La serata si mette bene”.
31
dicembre 2017, Chelsea, New York
Finn si
appoggiò al muro del soggiorno di Mike, il più
lontano possibile dalla musica e
con un bicchiere di vino rosso in mano. Era contento di avere un
momento per
sé: negli ultimi giorni le cose gli erano successe troppo
velocemente e doveva
schiarirsi le idee.
Era a New York. Fino a quel momento era stato
assolutamente
convinto che non avrebbe mai lasciato l’Ohio in tutta la sua
vita, e ora era a
più di settecento chilometri da casa sua. E stranamente gli
piaceva.
Poi
c’era
Kurt. Era da qualche anno ormai che Finn aspettava che il fratello si
decidesse
a trasferirsi fuori dall’Ohio, e ora che aveva preso la sua
decisione sembrava
decisamente felice. Lo guardò di sottecchi mentre scherzava
con Blaine. Sorrise.
Più che felice.
Poggio la
testa contro il muro alle sue spalle. Se solo non avesse avuto tutto
quel caos
in testa…
Si
rigirò il
bicchiere fra le mani. Non è che non volesse essere
lì – Tina e Mike erano simpatici
e Mercedes era decisamente fantastica, ma…
«È
come se
dovessi essere con un’altra persona».
Finn si
girò
di scatto: Cooper si era avvicinato furtivamente a lui e stava
sorseggiando un
drink con tutta la calma del mondo. Lo guardò, cerando di
non far trapelare il
terrore dalla sua espressione. «Non dirmi che sai anche
leggere nel pensiero».
«Purtroppo
no», rise Cooper. «Ma sono bravo a capire quando
qualcuno si strugge d’amore
per qualcun altro. Mi piace osservare le espressioni per riprodurle
mentre
recito, sai». Esibì una smorfia triste davanti
alla faccia di Finn. «I bravi
attori non smettono mai di lavorare».
«Certo»,
disse Finn cautamente. Dopo un incidente che aveva coinvolto lui,
Cooper e un
pacco di cereali glassati – e che avrebbe preferito
dimenticare – aveva capito
che il ragazzo non andava contraddetto. «È
così che hai capito che Blaine era
cotto di mio fratello?».
«Ah
per
quello non ci voleva un genio. Sono abbastanza sicuro che anche da
Marte si
riescano a vedere quegli occhi a cuoricino».
Finn
guardò
di nuovo i due ragazzi: avevano ricominciato a ballare, appiccicati
l’uno
all’altro e due identici sguardi adoranti.
«Già», concordò in tono
divertito.
Cooper
sospirò di soddisfazione, passandogli un braccio sulle
spalle. «Tu invece per
chi ti struggi d’amore, eh?».
Finn
sentì
un pizzicorino sulle guance e pregò di non essere arrossito
troppo
vistosamente. «Come se non lo sapesse tutta New
York».
«Errore!»,
esclamò l’altro. «Tutta New York sa che
hai fatto una scappatella con Rachel
Berry, non che sei innamorato di lei». Finn non rispose.
«E scommetto che
nemmeno lei lo sa, vero?», insistette Cooper.
Il ragazzo
si schiarì la voce prima di parlare. «A lei non
importa», disse in tono piatto.
«Quando ha visto la nostra foto ha messo bene in chiaro che i
suoi rapporti
mirano principalmente alla pubblicità»,
allargò le braccia e fece un mezzo
sorriso. «E io non sono certo buona pubblicità,
giusto?».
«Ouch».
Cooper fece una smorfia. «Perché ho la sensazione
che abbiate fatto una
litigata coi fiocchi?».
Finn si
limitò a scuotere la testa.
Cooper bevve
un sorso di vino con aria pensierosa. «Lascia che ti dica una
cosa», disse dopo
qualche secondo. «Il mondo dello spettacolo? È
duro, e molto. Dobbiamo agire,
apparire e parlare in un certo modo. Peggio, ci si aspetta che noi lo
facciamo.
E a volte qualcuno si attacca talmente tanto a queste bugie su
sé stesso che si
scorda cosa sta cercando veramente. O come avere un rapporto con una
persona
sincera».
«Cooper,
non
sono molto bravo con le allusioni. Stai cercando di dirmi
qualcosa?».
Il ragazzo
scrollò le spalle. «Solo che se io fossi
un’attrice famosa avrei bisogno di una
spintarella prima di creare uno scandalo». Gli
tirò una gomitata leggera. «E
magari di una spintarella dal ragazzo per cui mi sto struggendo
d’amore».
Finn lo
fissò per qualche secondo. Poi si raddrizzò
improvvisamente, posando il suo
bicchiere. «Io devo andare da lei».
Il ragazzo
gli rivolse un sorriso raggiante. «Ottimo, è tutta
la sera che aspetto di
sentirti dire questa frase!». Tirò fuori un
cartoncino dalla tasca dei jeans. «Tieni
questo è il biglietto da visita del locale, prendi la
metropolitana fino a East
Broadway, il locale è a trecento metri dalla
fermata!»
Finn lo
guardò, incredulo. «Tu…?».
«Se
hai
qualche problema chiama me o i ragazzi… anche se
effettivamente, io starò
ballando come se non ci fosse un domani, quindi chiama i ragazzi. E mi
raccomando, non perderti! Forza, sono le undici meno un quarto! Se vuoi
arrivare per mezzanotte devi sbrigarti!»
Finn gli
sorrise prima di allontanarsi velocemente. «Grazie amico. Ti
devo un favore!»
31 dicembre 2017, East
Broadway, New York
Rachel
sorseggiò il suo cocktail. Era decisamente
troppo leggero per la serata:
la pista da ballo era affollata, la musica assordante, e come se non
bastasse lei
iniziava ad avere un principio di mal di testa. Poggiò i
gomiti sul bancone,
dando le spalle alla folla. Aveva rinunciato a trovare James Cameron
già da un
pezzo: poteva anche non essere alla festa per quel che valeva, in mezzo
a tutta
quella gente non l’avrebbe mai trovato comunque.
Prese un
respiro profondo, socchiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.
«L’Ohio
ti
ha fatto bene, vedo», disse qualcuno da sopra la sua spalla.
«Sei splendida
stasera».
Rachel si
girò lentamente, sperando di non aver sentito bene.
Purtroppo conosceva fin
troppo bene quella voce. Erano settimane che voleva schiaffeggiare il
suo
proprietario. «Jessie», disse in tono gelido.
Il ragazzo
si appoggiò al bancone, decisamente affascinante nel suo
completo migliore. «Ciao
Rachel».
La ragazza
mise di nuovo i gomiti sul bancone finendo il suo drink in un sorso
solo. «Diavolo,
questa festa fa sempre più schifo».
Jessie
ridacchiò, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
«Un Cosmo per me e uno per la
signorina!», esclamò verso il barista, aggiungendo
anche un occhiolino per
buona misura.
Rachel
alzò
un sopracciglio. «Come ho fatto a non accorgermi che stavi
diventando sempre
più gay?».
«Sono
bi e
lo sai, Rachel, guarda che potrei anche offendermi», disse
Jessie agitando un
dito ammonitore verso di lei. «E poi noi ragazzi di teatro
sembriamo tutti un
po’ gay, ammettilo». La ragazza non
riuscì a trattenere uno sbuffo che
assomigliava parecchio ad una risata. «I campagnoli invece
sono molto più macho,
invece», aggiunse Jessie con un sorriso.
L’ilarità
sparì all’istante dal volto di Rachel.
«Non osare, Jessie».
Il barista
poggiò i due drink davanti a loro e poi filò
subito via percependo la tensione
gelida che era scesa fra i due.
«Volevo
chiedergli il numero», borbottò Jessie.
Rachel
alzò
gli occhi al cielo e prese il suo bicchiere. «Oh avanti,
Rachel. So che la
nostra storia era una trovata pubblicitaria fatta e finita, anche se il
sesso
era fantastico, te lo concedo-».
«Così
gentile, da parte tua».
«Ma
questo
non mi ha impedito di affezionarmi a te, donna impossibile e
testarda». Rachel
lo guardò con tanto d’occhi.
«È vero», continuò lui.
«Avanti, non mi hai già
perdonato? Di solito i rimpiazzi ti aiutano a perdonare».
«Finn
non
era un rimpiazzo», scattò Rachel. «Era
molto meglio di te».
Jessie si
sistemò il papillon viola sgargiante.
«L’avevo intuito».
«Cosa
vorresti dire?».
Per la prima
volta durante quella serata il ragazzo la guardò con
un’espressione seria. «Hai
guardato bene quella foto, Rachel? Non hai mai avuto quello sguardo,
con
nessuno dei tuoi ragazzi precedenti». Lei alzò un
sopracciglio «Oh, e va bene,
forse ho stalkerato un po’ i tuoi servizi stampa prima che ci
mettessimo
insieme, okay?».
Rachel
aprì
la bocca per ribattere, poi scosse la testa e rinunciò.
Aveva sempre saputo che
Jessie era pazzo. «Il tuo argomento è comunque
irrilevante Jessie. Non sapevamo
che qualcuno ci stesse spiando e-».
«Oh
avanti,
ti è già successo di subire
un’imboscata dai paparazzi, Rachel».
«E tu
come-».
«Stalker,
ricordi?». Jessie sospirò profondamente.
«Ti ricordi cosa ti ho detto quando ci
siamo- emh, lasciati?». Lo sguardo di Rachel rivaleggiava con
quello delle sculture
di ghiaccio presenti nella sala. «Okay, te lo ricordi.
Nessuno è riuscito a
entrare nella tua corazza prima d’ora, Rach».
Poggiò un gomito sul bancone del
bar, guardandola con aria assorta. «Quel Finn è il
primo».
La ragazza
distolse lo sguardo da Jessie e fissò invece
l’interno del suo bicchiere, mescolando
distrattamente con la cannuccia viola. «Lo
è», sussurrò così piano che
lui la
sentì appena.
Jessie le
mise una mano sulla spalla, solo una, solo per qualche secondo: sapeva
bene che
non era ancora stato perdonato.
I due
restarono in silenzio, ascoltando il dj annunciare dagli altoparlanti
che
mancavano ancora trenta minuti alla mezzanotte.
«Non
capisco»,
disse Jessie a mezza voce. Rachel dovette tendere le orecchie per
sentirlo
sopra le urla degli invitati. «Perché non te lo
sei tenuto stretto, allora?».
«Nella
mia
posizione è…», Rachel faticò
a trovare le parole. «Complicato, lo sai meglio di
me».
Jessie
alzò
gli occhi al cielo. «Tesoro. A volte vale la pena di buttare
all’aria qualcosa
per amore. Altrimenti la vita sarebbe alquanto noiosa, non
credi?».
Finalmente
il ragazzo prese un sorso dal suo drink, mugugnando di piacere un
attimo dopo.
«Vale la pena di essere scambiati per gay per bere questa
roba. Assolutamente divino!».
Per la prima
volta durante quella serata, Rachel rise di gusto.
31
dicembre 2017, Chelsea, New York
Cooper
rispose al cellulare, avvicinandoselo all’orecchio e
tappandosi l’altro con una
mano.
«Pronto?».
«Cooper,
sono Finn!». Ovviamente Cooper non sentì questo,
ma solo un paio di suoni
indistinti.
«CHI?»,
urlò
di rimando.
«FINN!»,
strillò l’altro a pieni polmoni.
«UN
SECONDO!». Cooper sgattaiolò in bagno e chiuse a
chiave la porta. «Scusa amico,
la musica era alta! Che c’è? Perché non
sei di già nelle braccia della tua
bella? O forse hai già concluso tutto e-».
«Cooper,
mi
sono perso!», lo interruppe il ragazzo con voce disperata.
«Ma ti
avevo
detto di non perderti!».
«MA MI
SONO
PERSO!».
Cooper
allontanò il cellulare dall’orecchio: il ragazzo
aveva dei polmoni degni di
nota. «Okay, okay, non urlare! Ma perché hai
telefonato proprio a me, si può
sapere? Sapevi che sarei stato in mezzo alla mischia!».
«Blaine
e
Kurt non rispondono al telefono!».
«Okay…».
Il
ragazzo sospirò. Come al solito, doveva salvare la
situazione. «Puoi dirmi dove
sei ora?».
«All’incrocio
fra Hester Street e Orchard Street…».
«Dammi
solo
un minuto». Il ragazzo accese il vivavoce e digitò
velocemente l’indirizzo su
Google Maps. Scrutò con attenzione la cartina che gli era
comparsa davanti. «Okay,
vai lungo Orchard Street, poi gira a destra e arriva fino ad un parco.
Il
locale dovrebbe essere di fronte a te».
Il sospiro
di Finn gli arrivò come una scarica di statica.
«Grazie Coop».
«E
sbrigati,
sono già le undici e trentacinque!».
«Agli
ordini! Ah, Coop! Potresti controllare che fine hanno fatto quei due?
Non
vorrei si fossero fatti del male! New York è una
città pericolosa».
«Certo»,
esclamò Cooper trattenendo a stento una risata.
«Ma ora vai!».
Terminò
la
chiamata con un respiro profondo. Sperava davvero che arrivasse prima
della
mezzanotte.
«Diavolo»,
borbottò fra sé e sé. Non gli aveva
ricordato di puntare il dito ed urlare! Le
due regole fondamentali per rendere un discorso teatrale e drammatico.
Pazienza. Finn se la sarebbe dovuta cavare da solo.
C’era
una
cosa che poteva fare per lui, però. Uscì dal
bagno e si diresse in cucina: se
conosceva bene quel gruppo di spostati che lavorava con suo fratello li
avrebbe
trovati vicino agli alcoolici.
Sorrise
quando li avvistò accampati sul tavolo della cucina, due
bottiglie di vino
aperte in mezzo a loro. Mercedes e Tina stavano ridacchiando
incontrollabilmente, appoggiate l’una all’altra.
«Ehi
ragazzi, qualcuno ha visto Kurt e Blaine?»,
esclamò Jessie sopra alla musica.
«Volevano
andare in terrazzo, e Blaine stava accompagnando Kurt a prendere la
giacca»,
strillò Tina di rimando. «Da quella parte!
È la porta bianca», gli indicò un
corridoio con un braccio.
«Grazie!».
Cooper si
guardò intorno nel corridoio miracolosamente privo di gente,
e individuò la
porta del guardaroba. La aprì di scatto. «Ehi voi
due, ma perché diavolo-».
Non appena i
suoi occhi si abituarono alla penombra e riuscì a vedere
l’interno dell’armadio
richiuse la porta con violenza, appoggiandocisi contro con la schiena.
«Insomma
ragazzi!», strillò, le guance che iniziavano a
bruciargli per l’imbarazzo. «Questo
davvero non volevo
vederlo!».
31
dicembre 2017, East Broadway, New York
Quando Finn
avvistò finalmente l’insegna del Red Leaf aveva il
fiatone dal tanto correre. Adocchiando
l’entrata ingombrata da fotografi e buttafuori decise di
aggirare l’edificio:
ci sarebbe stata sicuramente un’entrata secondaria da cui
poteva sgattaiolare
dentro il locale senza essere notato. Camminò velocemente, e
non appena girò
attorno all’isolato avvistò un vicoletto che
sembrava promettente. Quando vide
una porta con le iniziali RL ed un buttafuori dall’aria truce
davanti ad essa capì
di aver fatto centro.
Si
avvicinò
a passo svelto.
«Scusi
potrebbe, umh, potrebbe lasciarmi passare?».
L’uomo
lo
guardò storto. «E tu saresti?».
«Sono…
emh…»,
balbettò sperando non fosse troppo evidente che stava
sudando freddo dentro
alla giacca. «Sono il ragazzo delle consegne»,
inventò lì per lì.
Lui lo
scrutò per qualche secondo. “Oddio questo non se
la beve e mi picchia. Oddio,
oddio…”.
Si
irrigidì
quando il buttafuori allungò una mano verso di lui, ma
l’uomo si limitò a
dargli una pacca sulla spalla. «È dura essere di
turno a Capodanno, eh?», disse
con aria comprensiva. «Lavora sodo ragazzino, vedrai che ce
la farai a pagarti
il college».
Si fece da
parte, lasciando l’entrata libera.
«La
ringrazio», disse Finn cercando di sembrare il meno colpevole
possibile. Passò
velocemente, trovandosi dentro le cucine. Cercando di non dare
nell’occhio
schivò cuochi e camerieri fino ad arrivare ad un paio di
doppie porte che
parevano fare al caso suo. Le spinse e si ritrovò in una
sala decorata in rosso
ed oro.
Il solo
vederla bastò a farlo cadere nello sconforto: era inondata
di gente, più gente
di quanta Finn avesse mai visto in tutta la sua vita pigiata in una
sola stanza.
Non ce l’avrebbe mai fatta a trovare Rachel prima di
mezzanotte, non con i pochi
minuti che gli rimanevano…
Stava
osservando attentamente la stanza, cercando di individuare un punto
strategico
dal quale iniziare a cercare, quando lo sguardo gli cadde sul bar a
pochi metri
di distanza.
Aggrottò
le
sopracciglia. No, non poteva essere… sarebbe stato troppo
inverosimile, giusto?
Si avvicinò velocemente, scrutando le persone sedute al
bancone. E proprio lì, vicino
ad un tizio con un papillon viola…
«Rachel?».
La ragazza
si girò e Finn esultò internamente: era proprio
lei!
«Finn!»,
esclamò, gli occhi sgranati in un’espressione di
sorpresa. Il tipo seduto
accanto a lei si raddrizzò, sembrando improvvisamente
interessato alla
faccenda.
Finn
tornò a
rivolgere la propria attenzione alla ragazza. Si rese improvvisamente
conto di
non avere preparato un discorso.
«Emh…
ciao»,
iniziò.
«Che
diavolo
ci fai qui?», sibilò Rachel, scendendo dal proprio
sgabello e avvicinandosi a
lui.
«Io…
avevo
solo bisogno di parlarti e-».
«Ti
sembra
il luogo e il momento per-».
«Ma
è
fantastico!», li interruppe il ragazzo con il papillon viola.
Entrambi si
girarono a guardarlo: era a dir poco raggiante. «Vi serve un
po’ di privacy,
no?». Li prese entrambi per i polsi e li trascinò
verso un’enorme pianta
decorativa. «Ecco, mancano pochi minuti a mezzanotte ormai e
nessuno vi noterà
qui dietro! Voi parlate. Ci penserò io a fare il
palo!».
Si
allontanò
strizzando loro l’occhio con aria complice.
Finn lo
fissò a bocca aperta. «Ma chi è quel
pazzo?».
«Jessie»,
sospirò Rachel.
«Vuoi
dire…
Jessie il tuo ex?», chiese Finn con aria sorpresa.
«E come… No, lascia stare
non lo voglio sapere. In questa città siete tutti fuori come
un balcone».
«Finn»,
disse
lei, visibilmente irritata. «Non dovresti essere qui. Ci sono
un sacco di
fotografi dentro questo locale, potrebbero-».
«Rachel
ho
letto la tua pagina su Wikipedia», la interruppe lui.
Lei
alzò un
sopracciglio. «E… con ciò?».
«Lasciami-»,
Finn si bloccò, con aria frustrata. Si passò una
mano fra i capelli e poi tornò
a guardarla. «Mi hai ferito Rachel, e sto cercando di
rimangiarmi il mio
orgoglio. Perché nonostante tutto non voglio lasciarti
andare così».
Rachel lo
guardò: era lì, nella notte di Capodanno, con
un’espressione risoluta e la sua
vecchia camicia a quadri in uno dei locali più esclusivi di
New York.
E tutto per
parlare con lei.
Se solo non
fosse stato così dannatamente difficile…
Finn rimase
in silenzio, i pugni serrati, finché la ragazza non
annuì. «Sei una delle
attrici più quotate di Broadway», disse in tono
sicuro. «E sei stata Evita per
un anno e mezzo, e mio fratello ha detto che è un ruolo
storico», prese un
respiro. «Non sono un esperto di come vadano le cose nel
mondo dello
spettacolo, ma una cosa la so. Gli scandali vanno e vengono ma il
talento
rimane. Non ti ho mai sentito cantare, Rachel, ma in questi giorni ti
ho
conosciuto bene, e non ho alcun dubbio che tu sia nata per essere una
stella».
Le mise delicatamente una mano su una guancia. «E le stelle
non si spengono per
così poco».
La ragazza
mise la sua mano sopra a quella di Finn, guardandolo con qualcosa di
molto
simile alla meraviglia sul volto. Poi disse l’ultima cosa che
il ragazzo si
sarebbe aspettato di sentire. «Non ho paura per la mia
immagine».
Finn rimase
in silenzio per alcuni secondi, completamente spiazzato, prima di
riuscire a chiederle:
«Qual è il problema, allora?».
La ragazza
scosse la testa, allontanandosi da lui. «Non posso».
«Ma
cosa-».
«La
cosa
buffa è che mi sono sempre chiesta perché non mi
sono mai innamorata». La
risata della ragazza suonò leggermente isterica.
«Ma la ragione è che- no, non
ce la faccio».
«Rachel-»,
provò di nuovo Finn.
«Vai
via Finn,
prima che arrivi qualche buttafuori».
Lui rimase
immobile, incapace di credere alle sue parole. Niente di tutto
ciò aveva un senso.
«Io-».
La frase fu
interrotta dall’arrivo di Jessie. «Ragazzi brutte
notizie», ansimò, raddrizzandosi
il papillon. «Stanno cercando un ragazzo delle consegne che
non è un ragazzo
delle consegne».
Finn
guardò
Rachel, che tenne la testa bassa ed evitò il suo sguardo.
Il loro silenzio era
assordante anche fra il rumore delle centinaia di piedi che cercavano
di
avvicinarsi il più possibile alla pista da ballo.
«Sì»,
disse
lentamente «Non dovrei essere qui». Ogni parola
sembrava costargli uno sforzo
immenso. «Uscirò dalla porta secondaria».
Jessie
scosse la testa. «È fuori discussione, amico.
È piena di buttafuori, e ti
stanno cercando. Temo che dovrai uscire dall’entrata
principale».
«Ma i
paparazzi-».
«Non
ti
preoccupare», lo interruppe l’altro.
«Mancano due minuti a mezzanotte, nessuno
baderà a te».
«Certo».
Gli
mise una mano sulla spalla. «So che tecnicamente
dovrei odiarti, ma grazie… e buon
anno». Jessie annuì nella sua direzione. Finn si
girò verso Rachel, che evitava
ancora il suo sguardo. «Buon anno, Rachel».
Gli occhi
della ragazza non si staccarono nemmeno per un attimo dal pavimento.
«Buon
anno, Finn».
Il ragazzo
le lanciò un ultimo lungo sguardo prima di girarsi e
camminare senza fretta verso
l’uscita. Rachel si sforzò di non guardarlo mentre
andava via, la sua testa un
vortice di pensieri contrastanti.
Sentì
Jessie
che si avvicinava a lei, prendendole gentilmente la mano.
«Rachel.
Vuoi
davvero lasciarlo andare così?».
La ragazza
emise un suono a metà fra una risata ed un singhiozzo.
«Che scelta ho?». Le
sembrava quasi di non riuscire a respirare. «Chi lo avrebbe
mai pensato, Rachel
Berry, una codarda…».
«Non
tu»,
disse Jessie in tono deciso. «Puoi farcela Rachel, credo in
te».
«Davvero?».
«Non
ho mai
avuto dubbi».
La ragazza
strinse un’ultima volta la mano di Jessie prima di prendere
un bel respiro, sollevarsi
l’orlo del vestito in un modo decisamente poco da signora, e
correre con quanta
velocità le permettevano i tacchi verso l’uscita.
«Scusate,
scusate, permesso!», strillò mentre schivava le
persone che convergevano verso
il centro della pista per il conto alla rovescia. Un paio di volte
inciampò
sulle scarpe di qualcuno rischiando di rompersi una caviglia, ma si
limitò a
continuare la sua corsa.
«Venti, diciannove, diciotto-»,
scandiva
la folla tutto attorno.
Scansò
una
coppia piuttosto anziana – era Angela Lansbury, quella?
– e finalmente si trovò
davanti all’entrata. Spinse i pesanti pannelli di vetro e
uscì, trovandosi
all’esterno.
«Dieci, nove-»
L’aria
di
dicembre le pungeva il suo viso e le spalle scoperte, ma lei
ignorò il freddo e
sorrise, vedendo Finn. Poteva ancora raggiungerlo se solo…
Riprese a
correre, mentre le voci della folla all’interno rimbombavano
insieme a quelle
di tutta New York, scandendo i suoi passi mentre correva lungo il
tappeto
rosso, verso quella schiena così familiare.
«Cinque, quattro, tre-».
«FINN!»,
urlò con quanta voce aveva in corpo.
«Due, uno…».
Fece appena
in tempo a vedere la sua espressione sorpresa mentre si girava prima di
buttargli
le braccia al collo e baciarlo.
A/N:
Buonasera
signori! :)
The Holiday
è quasi finito, l’ultimo capitolo sarà
pubblicato sabato pomeriggio ;)
Spero che vi
siano piaciute le scene Finchel, li ho fatti penare un po’
più di Kurt e Blaine
ma alla fine ne varrà la pena, avete la mia parola :)
Fatemi
sapere cosa ne pensate!
MM