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Autore: Angie Mars Halen    10/09/2013    2 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: I Mötley Crüe non mi appartengono e tutti gli altri personaggi sono fittizi. Questa storia è frutto della mia fantasia e non è stata scritta a scopo di lucro.
N.D’A.: Salve a tutti! =) Questo non è il primo racconto a più capitoli che scrivo, però è il primo che posto in un sito simile. L’ispirazione per scriverlo è nata durante la lettura di The Heroin Diaries: a Year In the Life of a Shattered Rock Star di Nikki Sixx. Ho deciso di inventarmi una storia basandomi su quanto raccontato in tale libro (e anche un po’ in The Dirt), ma non è assolutamente nelle mie intenzioni plagiare Nikki Sixx, criticarlo o sminuirlo. Se vi dovesse sembrare che lo abbia fatto – così come se vi sembrasse che il racconto sfoci nel patetico/ridicolo/maleducato – fermatemi in tempo, ditemelo e provvederò a correggere e/o, nel peggiore dei casi, a rimuoverlo. Vi chiedo anche di segnalarmi eventuali orrori grammaticali affinché possa correggerli, rendendo così la lettura più piacevole.
Leggendo vi accorgerete che le parti narrate con tempi diversi sono i pensieri dei personaggi.
Un’altra cosa che ci tengo a precisare è che la storia ruota intorno a Nikki e Grace, ma ciò non significa che ritenga il resto della band inutile. Abbiate pazienza e tutti i Mötley avranno il loro momento di gloria! Gli altri tre sono fondamentali nella trama. Sempre riguardo i personaggi, ho cercato di rendere tutti (Nikki in particolare) il più vicini alla realtà possibile.
Il titolo è una frase tratta dal testo della canzone Hold on to My Heart degli W.A.S.P.. Mi sembrava perfetta e l’ho isolata dal contesto della canzone (e dell’album intero), anche se qualche punto in comune ce l’hanno. È una canzone triste ma meravigliosa, vi consiglio di ascoltarla nel caso non l’abbiate mai sentita.
Con questo è tutto, non vi secco più e mi scuso per queste righe, ma ho preferito metterle qui in modo che possiate leggerle prima di dedicarvi alla storia. Ci si rivede in fondo alla pagina!
Buona lettura!
Angie Mars :)






I’m Afraid That I’ll Be Alone, So Just Hold Me




1) GRACE

Van Nuys, CA, ottobre 1987

Una sera fresca a Van Nuys, forse la prima di un’estate torrida che era durata fino a ottobre. Gli abitanti di L.A. erano usciti dalle proprie abitazioni per godere della temperatura e il Sunset Boulevard, giù a Hollywood, sembrava un fiume in piena tanto era gremito di gente.

Ma a Van Nuys, nella San Fernando Valley, sul Valley Vista Boulevard, c’era una casa grande e tetra. Oltre il cancello alto, si estendeva un oscuro mondo parallelo che nessuno conosceva, fatta eccezione per il suo unico abitante. Se entravi dalla porta principale avresti potuto dire che lì dentro non ci fosse anima viva – o meglio, avresti potuto affermare che era appena passata un’orda di vandali che aveva devastato tutto. Appena varcavi la soglia, ti avvolgeva una nuvola densa di odore di chiuso e marcio così forte che ti sembrava che ti si appiccicasse addosso. Tutto era appiccicoso, lì dentro. Quando sollevavi un piede dal pavimento, sentivi qualcosa di colloso attaccarsi sotto la suola. Quando lo riappoggiavi, schiacciavi qualcosa che scricchiolava. E via così per tutto il salone. Passavi in mezzo a bottiglie, fazzoletti appallottolati gettati ovunque, vestiti e avanzi di cibo. Dovevi stare molto attento, perché se calpestavi qualcosa, chissà cosa ti prendevi. Io in quella casa ci ero entrata, ma me ne andai dopo aver attraversato la sala, sotto lo sguardo di pietra dei gargoyle che erano stati sistemati sulle mensole e sui ripiani della libreria.

Basta, pensai in un momento di lucidità che arrivò nel momento in cui urtai lo spigolo di una cassettiera con il fianco, Quei due hanno perso la scommessa.

Disgustata da ciò che avevo intorno, schizzai fuori alla velocità della luce e attraversai il salotto rischiando di inciampare in una sedia sdraiata per terra. Il rumore della sua struttura di legno che strisciava sul pavimento, uno stridio acuto che mi fece rabbrividire, mi esortò ad accelerare. Uscii passando attraverso il portone principale che avevo trovato già aperto, corsi per il giardino abbandonato a se stesso in cui l’unico particolare che dava una sensazione di ordine e pulito era un’automobile sportiva nera e lucida, infine spalancai il cancelletto in ferro battuto nero che, credetemi, lo si può trovare giusto nei film gotici. Anche quello, ovviamente, l’avevo trovato aperto, come se qualcuno prima di me fosse scappato come stavo facendo io e senza preoccuparsi di chiuderlo.

Una volta di nuovo in strada, sogghignai impettita davanti agli altri, ancora traballante per la corsa e qualche bicchiere di troppo.

“L’hai fatto per davvero!” esclamò stupito il mio amico Grant prima di porgermi la bottiglia di Budweiser che gli avevo lasciato prima di tentare l’impresa. Lo conoscevo da una vita, ma il nostro rapporto si stava rinforzando solo allora, a vent’anni, dopo molto tempo.

Elisabeth, la sua fidanzata, scosse il capo. “Davvero credevi che Grace Murray non l’avrebbe fatto? Ormai dovresti conoscerla.”

Esultai, fiera di me: poco prima Grand ed Elisabeth avevano insinuato che non avrei mai osato entrare in quella casa perché neanche i tipi tosti dell’università ne avevano il coraggio, ma io l’avevo fatto lo stesso. I miei amici avevano perso la scommessa ed ero troppo contenta di aver stupito Grant.

Tutto era nato mezz’ora prima, quando eravamo passati davanti a quella villa dopo essere stati a bere in un pub sulla strada. Chi abitava nei paraggi sapeva che era abitata da un qualcuno sul quale circolavano strane dicerie. Nessuno aveva idea di cosa accadesse oltre quelle mura né si sapeva chi ci abitasse esattamente, ma gli adulti vietavano ai bambini di sostare troppo con i loro musini bloccati tra le sbarre verticali del cancello, intenti a osservare il giardino. “Guai a te se vai alla villa! Guarda che poi esce il lupo cattivo e ti mangia, capito, James?” diceva sempre mia nonna a mio fratello di sette anni visto che, dopo una passeggiata che li aveva portati là davanti, James aveva cominciato a dimostrare un certo interesse per la casa. Mio fratello, rigorosamente con la bocca piena – quando eravamo dalla nonna mangiava sempre – annuiva energicamente e i capelli biondi ondeggiavano nel loro taglio a scodella. Di James, però, non c’era da preoccuparsi: sette anni e una fifa tremenda dei piccioni, l’idea di toccare il cancello di quella villa non gli sarebbe nemmeno passata per l’anticamera del cervello. Era a noi studenti che avrebbero fatto meglio a pensare. Siccome nessuno si prendeva l’impegno di controllare gli universitari, che in teoria erano abbastanza grandi per prendersi le proprie responsabilità, nelle sere d’estate questi si radunavano per qualche birra fresca e, sotto i primi, leggeri effetti dell’alcol, finivano per lanciare sfide temerarie per dimostrare la propria forza, o più semplicemente per ammazzare la noia. Io non avevo mai preso parte a queste gare perché non frequentavo certe compagnie. Quella sera, però, passammo davanti a quella casa e ci accorgemmo che qualcuno aveva lasciato il cancelletto aperto, e a Grant venne la brillante idea di iniziare a stuzzicarmi. “Tu non hai nemmeno il coraggio ti toccarlo, quel cancello!” aveva esclamato indicando quello che sembrava più una grata blindata di Alcatraz. Senza pensarci due volte, gli avevo affidato in custodia la mia birra e decisi che gli avrei dimostrato che si sbagliava. Ho raccolot tutto il coraggio di cui disponevo in quel momento, ho spinto il cancelletto e ho varcato la soglia. Dopo aver fatto ciò, sono entrata anche in casa, mi sono guardata intorno nel silenzio tombale e sono scappata via.

Ero la prima ragazza di Van Nuys ad aver messo piede nella Villa, la prima ad aver avuto il coraggio di entrare nella tana del lupo cattivo, come la chiamavano certe persone per intimorire i propri figli. Tutti gli altri ne avevano paura. La gente ci passava davanti e lanciava occhiate furtive oltre il cancello con la speranza di scorgere qualche anomalia, poi acceleravano il passo una volta che l’avevano superato, come se non avessero voluto farsi vedere dal padrone di casa. I vicini raccontavano di sentire dei rumori strani e di aver visto movimenti sospetti che li avevano portati a telefonare alla polizia, ma per qualche motivo non volevano scendere nei dettagli e dicevano di non avere idea di chi ci abitasse.

Stavo ancora fissando il cancello e il cortile buio quando Grant mi afferrò per una spalla. “Andiamocene. Ci siamo già divertiti abbastanza con questa stronzata.”

“E in ogni caso, è meglio starne alla larga,” continuò Elisabeth. “Non vorrei che accadessero cose strane.”

“Aspettatemi!” esclamai puntando i piedi per terra. “Voglio vedere se si vede qualcosa.”

Grant sbuffò e mi tirò per un braccio. “Smettila, abbiamo di meglio da fare.”

Non feci in tempo a ribattere che loro se ne stavano già andando. Prima di seguirli lanciai un’ultima occhiata nel giardino e sospirai, poi appoggiai la fronte a una sbarra del cancello e tenni gli occhi fissi su una finestra aperta al secondo piano. Tutte le luci erano spente.

Quando tornai a casa, trovai mia madre in piedi sulla soglia che mi aspettava. Batteva un piede sul pavimento e si tormentava una pellicina del pollice con l’indice. La salutai con un cenno della mano, consapevole di essere in ritardo mostruoso. “Ero con Grant” era una scusa sempre ben accettata, e dal momento che in quel caso era vero, fu la prima cosa che le dissi dopo averla salutata. Finché c’era lui con me, allora mi era permesso andare ovunque, ma era chiaro che la Villa degli Orrori fosse l’unica enorme eccezione. Nonostante tra me e mia madre vigesse questo patto mai esplicitato, io ci avevo fatto un giro lo stesso. Filai dritta in camera mia e mi lasciai cadere sul letto, esausta dopo aver camminato a lungo. Il Valley Vista Boulevard non distava molto da casa mia, ma dopo la mia visita alla villa avevamo deciso di restare ancora un po’ in giro. Eravamo anche andati al chiosco dei burrito vicino alla scuola per mangiare qualcosa, e da lì avevamo continuato a camminare.

Ripensai alla Villa e provai a immaginare come sarebbe stata camera mia se fosse stata una sua stanza: i vestiti fuori dall’armadio con uno specchio appeso sull’anta, il letto disfatto, i cuscini buttati sul pavimento, la sedia della scrivania ribaltata e le tende strappate. Mi domandai se ci fosse veramente qualcuno che ci abitava e cosa c’entrasse la macchina sportiva e scintillante con lo schifo che c’era all’interno, allora pensai che la villa appartenesse a qualcuno che in realtà abitava da un’altra parte e la usava solo per qualche traffico strano.

Scossi il capo come per allontanare tutti quei pensieri inutili e accesi la radio, alla quale stavano trasmettendo Jamie’s Cryin’ dei Van Halen. Mi tolsi le scarpe, le lanciai lontano e cominciai a cantare sottovoce.

Oh, oh, oh, Jamie’s Cryin’!

La Villa... ma come cazzo mi era saltato in mente di entrarci?

Oh, oh, oh, Jamie’s Cryin’!

Che poi, ci abita veramente qualcuno in pianta stabile?

Oh, oh, oh, Jamie’s Cryin’!

Secondo me sì.

Oh, oh, oh, Jamie’s Cryin’!

Volsi lo sguardo verso il poster dei Van Halen che avevo appeso al muro, proprio sopra la mia chitarra elettrica, una Fender taroccata da quattro soldi che non stava mai accordata ma che in fin dei conti suonava in modo decente. Non appena avessi guadagnato qualche spicciolo, me ne sarei comprata una migliore. Sorrisi al poster, in particolare a quel mito di Eddie, poi tornai a guardare fuori dalla finestra, ancora ornata con delle belle tendine rosa pallido con i ricami fucsia che aveva scelto mia madre quando avevo otto anni. Erano su da più di dieci.

“Lo so che ci sei,” affermai sottovoce nel silenzio della mia camera dopo aver spendo la radio.

Nonostante ce la stessi mettendo tutta per dimenticarmi la Villa, l’immagine del salone era chiara e vivida nei miei ricordi. Mi aveva quasi turbata, ma mi aveva anche incuriosita. Ho sempre creduto che ci sia un perché dietro ogni azione, quindi doveva per forza essercene uno anche a tutta quella confusione. Non credevo affatto a chi diceva che la casa era abitata da un demone, né tantomeno mi fidavo di quelli che raccontavano in giro che era infestata dagli spiriti.

“Lo so che sei lì dentro,” ripetei sottovoce come una cantilena, gli occhi chiusi e le braccia dietro il capo.

Lo sapevo, io, che c’era qualcuno, perché avevo sentito dei lamenti provenire dal piano superiore proprio mentre scappavo fuori.




Mars’s Corner: Con questo per oggi è tutto... ovviamente la vicenda si svilupperà presto! E Grace, che può sembrare un po’ troppo ingenua e sciocca, cambierà nel corso della storia.
Spero che questo capitolo non sia troppo corto... la maggior parte sono più o meno come questo, ma alcuni sono molto più lunghi.
Spero che come inizio vi piaccia!
Il seguito arriverà domenica. Cercherò di non far mai passare più di una settimana tra un aggiornamento e l’altro.
Grazie a chi è arrivato fin qui! :)

Angie


   
 
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