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Autore: ElfoMikey    18/03/2008    2 recensioni
storia a quattro mani, scritta da mcr_girl e ElfoMikey. Il freddo vento fa bruciare le mie ferite. Distesa su questo prato. Mia mamma a pochi passi da me, prona e con gli occhi sbarrati ,con un rivolo di sangue che le percorre la guancia. Striscio il mio corpo verso di lei. Non sento il suo cuore. anche a distanza, so che lei è lontana da me. Cerco papà. Lo trovo poco lontano, appoggiato a un tronco di un albero. La macchina prende fuoco accanto a lui. Questo è l’inferno. Chiudo gli occhi. Non sento più niente… Ne la mia vita, ne le urla disperate. Solo il mio cuore che batte lento, come una dolce musica… Apro gli occhi. Guardo la stanza vuota. Sento delle piccole goccioline di sudore scendere lungo il mio viso. Il respiro corto e affannato. Era solo un sogno Claire. Era solo un sogno.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il freddo vento fa bruciare le mie ferite. Distesa su questo prato.
Mia mamma a pochi passi da me, prona e con gli occhi sbarrati ,con un rivolo di sangue che le percorre la guancia. Striscio il mio corpo verso di lei. Non sento il suo cuore. anche a distanza, so che lei è lontana da me.
Cerco papà.
Lo trovo poco lontano, appoggiato a un tronco di un albero.
La macchina prende fuoco accanto a lui.
Questo è l’inferno.
Chiudo gli occhi.
Non sento più niente…
Ne la mia vita,
ne le urla disperate.
Solo il mio cuore che batte lento, come una dolce musica…

Apro gli occhi.
Guardo la stanza vuota.
Sento delle piccole goccioline di sudore scendere lungo il mio viso.
Il respiro corto e affannato.
Era solo un sogno Claire. Era solo un sogno.
Ma per quanto voglia convincermi che quelle immagini sono solo frutto della mia immaginazione, non ci riesco.
Ricordi che ogni notte si fanno avanti, che ogni notte tornano a farmi compagnia. E per quanto mi sforzi di sorridere alla vita, non ci riesco.
La luna filtra dalla finestra di questo squallido appartamento illuminando il mio viso.
Chiudo gli occhi sperando che tutto passi, che quei ricordi, che quell’episodio, venga rimosso dalla mia mente, ma so, che non accadrà mai.
E nel silenzio della notte, poggio le testa sul cuscino mentre il caldo estivo mi avvolge.
Il mio cuore piange e il sonno si impossessa ancora di me.
Chiudo gli occhi… poi il buio.


L'aria di New York scompiglia i miei capelli in modo fastidioso.
Il fumo si alza in spirali sopra di me. Mi perdo nelle figure che esso forma.
Il silenzio mi circonda.
Un altro concerto è finito ed io invece di essere lì dentro a firmare autografi, sono qui, in un parcheggio, accanto al tour bus a fumare.
Penso alla mia vita, ai miei trent’anni che si avvicinano, mentre la mia vita sembra andare a rotoli.
Una sera come tante quella di oggi.
La solitudine che ormai è diventata parte di me.
Il caldo mi avvolge mentre la luna illumina la mia figura. Il silenzio ecco cosa sento, lo stesso silenzio in cui il mio cuore è caduto, dopo che lei, lo ha calpestato. Annegato in un dolore che sembra ormai quasi fisico.
Un ultimo tiro alla mia sigaretta prima di buttarla.
Mi passo una mano dietro la nuca mentre sento la stanchezza farsi avanti. Le gambe oramai a fatica mi reggono in piedi.
Chiudo gli occhi dimenticano il mondo circostante, dimenticato il vuoto che da tempo sento dentro me, dimenticando tutto, dimenticando felicità e dolore sospiro, prima di rinchiudermi nel tour bus e gettarmi a peso morto sulla sgangherata branda. lascio fuggire una lacrima.
non mi importa se gli altri mi chiederanno il perchè.
Non ha importanza, visto che l'ultimo briciolo di importanza lei, me l'ha rubato, come una ladra, una stupenda ladra di cuori.. che non lascia in cambio nulla se non le mie profonde ferite...
Penso a New York, la città che per anni ho odiato, ora è diventata la mia casa.
Il tanto odiato appartamento, nel centro, è diventata la mia dimora.
Staccare la spina ecco di cui ho bisogno.
Staccare la spina da questo mondo che mi sta recando dolore.
Andare via.
Ma la verità, è che non ne ho il coraggio.


Cammino sola per le strade di New York. Non amo molto le grandi città, ma questa ha sempre avuto un qualcosa che mi ha incuriosito, affascinato. Una città ricca di particolari, ricca di gente. Ogni persona ha la sua storia, un suo particolare che la rende unica e inconfondibile.
Osservo i loro visi, i loro gesti, i loro movimenti e anche se tutti corrono e vanno di fretta, perché in ritardo al lavoro, il mondo sembra scorrere lento intorno a me.
Fa caldo, siamo a luglio.
Siamo già a luglio.
Esattamente un mese fa mi sono trasferita qui.
In un monolocale squallido. Non potevo di certo essere ospitata nella stanza universitaria di Jane, l’unica amica che mi sia rimasta al mondo.
Il sole sembra quasi bruciarmi la pelle.
Diventata da poco maggiorenne, costretta a cambiare casa, famiglia, ogni anno, per non dire di più.
La gente mi urta le spalle nude. Tutto scorre ancora lentamente, mentre lo dolci note della mia canzone preferita, emanate dal mio fedele lettore, si impossessano di me… tutto troppo lento.
E mi ritrovo ancora una volta a camminare per le strade di questa città, sola, già, sola, perché è così che mi sento, perché è così che sono.
I capelli legati lasciano respirare il mio collo sudato.
Anche io, come il resto della gente intorno a me, vado a lavoro. Un lavoro come tanti, avuto così per caso o per fortuna, ovviamente dipende dai punti di vista.
Una piccola libreria sperduta in una strada poco distante dal centro di questa metropoli.
Una piccolo posto non molto visitato che però, se devo essere sincera, adoro.
Piccolo e accogliente, pieno di cd e libri. Cd che mai credevi di poter trovare in giro. Libri di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza di autori mai sentiti e mai visti.
Varco la porta e sento il campanello suonare.
"Ciao Mich.."
"Ehi Claire! Finalmente! Arriva un'altra volta in ritardo e sta sicura che ti licenzio!" che bel modo si salutarsi.
"Si si..." rispondo roteando gli occhi. Poggio la borsa sul bancone.
Dio come fa caldo qui. Un condizionatore, ecco cosa ci vorrebbe, ma lui, no! 'Non ce lo possiamo permettere!' . E cos' mi devo accontentare di uno stupido e vecchio ventilatore al centro della stanza che fa ben poco.
"Hey ragazzetta! Sistema quella pila di libri!" lo sento gridare dal suo ufficio.
Dio quanto odio quell'essere. Dio quanto odio quando le persone devono dirmi cosa devo e non devo fare. Odio quando mi grida, lo odio e basta.
Mi avvio verso l'angolo dove c'è lo scaffale dei libri per bambini, che come al solito, dopo averli sfogliati li lasciano sul pavimento. Ecco, odio anche i bambini, quei bambini.
Mi siedo sul legno rovinato dagli anni incrociando le gambe.
Nell'aria si diffondono le note del primissimo album dei Misfits. Una cosa positiva quel Coso chiamato comunemente Mich c'è: è un patito di musica Rock. Almeno in questo andiamo d'accordo.
Ancora una volta mi ritrovo a pensare a quel sogno, quel ricordo impossibile da cancellare. Ogni sera sempre la stessa tortura, rinchiusa in qualche squallido bar con l'alcool e quella sostanza candida come lo zucchero a farmi compagnia. Ogni notte sempre la stessa tortura. Ogni giorno sempre lo stesso dolore. Ed è la cosa più triste per una ragazza di soli diciotto anni.
L'ultima volta che mi sono sentita a casa, che mi sono sentita amata, nemmeno me la ricordo. E' passato troppo tempo.
Quel giorno ha segnato la mia vita, come la lama lucida incide la mia pelle bianca e morbida. Un segno che mai potrà essere cancellato, che mia potrà essere dimenticato. Sola, sola al mondo.
Mai nessuno potrà... salvarmi.
Sento il campanello dell'entrata suonare quando essa viene mossa dal primo cliente della giornata. Ma non poteva starsene a casa?
Non guardo nemmeno chi è colui che è venuto a disturbare la quiete di questo piccolo luogo.
Sento il legno scricchiolare ad ogni suo passo. Si aggira tra gli scaffali. Passano una decina di minuti prima che mi alzi dal pavimento e vada al bancone, la mia fedele postazione.
Mich e li che mi guarda torvo.
Alzo gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto e mi avvicino, costretta, al ragazzo.
Sta leggendo il retro di un libro per bambini.
Ha i capelli neri, la pelle chiara ed è vestito completamente di nero.
Ha un'aria familiare.
"Salve! Posso aiutarla?" mi sento una fottuta barbie. Voce allegra, sorriso a trentadue denti, il sorriso più finto del mondo. Ma è questo che vuole Mich, devo essere cordiale e affettuosa con ogni cliente.
"Si,ecco, io cerc-" non finisce la frase. Mi guarda con occhi sgranati e subito lo riconosco.
"Tu..." sibilo a denti stretti.
"Tu..." mi risponde con lo stesso tono di voce.


Flashback:

4 mesi prima….


Il mattino si fa avanti, insinuandosi tra le tende della mia camera.
La porta che si apre violentemente e un voce aggressiva, mi fa capire che è ora di alzarmi.
Apro gli occhi e guardo assonnata la figura di fronte a me. Una figura rude, grassa e rivoltante tramuta la mia espressione in qualcosa di sconvolgente.
È mio padre.
O meglio, il mio padre adottivo.
L’uomo più violento a questo mondo. Mi fa alzare strattonandomi per il mio braccio esile.
Mi guarda prima di uscire dalla porta.
Giuro che scapperò da questa merda di posto.
Scapperò lontano, così lontano che non mi troverà nessuno.
Saremo solo io e il mondo.
Chiudo la porta con un calcio e mi accendo una sigaretta, aspirando per bene quel fumo che ha il potere di calmarmi.
Apro il cassetto della mia scrivania, tirando fuori una busta trasparente.
Ho bisogno di volare.
Osservo la polvere bianca all’interno di essa e con un sorriso tirato mi preparo una dose, su in pezzetto di stagnola.
Tirò su la droga.
Ora va meglio.
Sto bene ora, davvero.
Mi tocco la pelle pallida del viso.
Sto piangendo.
Perché?
Io sto bene.
Cerco di convincermi, mentre cado a terra.
La vita è una merda.
Mi asciugo le lacrime con il palmo della mano, poi decisa, faccio un’altra dose.
Ora c’è lo sballo.
È come volare.
“Ora come stai Claire?” chiede una vocina dentro di me, dentro la mia testa, dentro il mio cuore e sembra tanto la voce dolce della mamma.
“io…io sto…” sussurrò queste parole, mentre mi guardo al piccolo specchio che sta vicino alla finestra.
“sto bene mamma.” Sorrido.
Passano minuti interminabili, poi esco di casa senza salutare la settima famiglia che ospita me, una drogata, ribelle bastarda.
Cammino per le strade di Charleston, una città del Sud Carolina. Non è la mia vera città. Sono nata a New York, bellissima città di qui vedrò per il resto della mia vita solo attraverso riviste o televisione.
Non ho speranze.
Non ho futuro, tutto è come una grande nebbia scura e non mi fa guardare avanti, mi fa solo rivedere i momenti del passato, qui momenti che vorrei dimenticare.
Mancano due mesi al mio compleanno.
Al raggiungimento della maggiore età. Questo mi conforta. Potrei scappare, potrei rifarmi una vita.
Sono solo stupida.
Una ragazzina che sogna una vita.
È forse strano?


Il mare.
Mi ha sempre dato quel senso di grandezza, di immenso.
Starei ore a fissarlo. Amo le onde che si muovono lente in una dolce danza, quel profumo di salsedine che ti riempie le narici e il vento che trascina piccole gocce verso l’alto. Cammino nella sabbia, lasciando che le mie scarpe si sporchino di essa.
Il cielo di questa città è meraviglioso. Si confonde con il mare, con il suo perenne azzurro. Sembra quasi una cartolina, l’orizzonte.
“Gerard!!” mi volto verso mio fratello, che sbracciandosi mi chiama.
“dobbiamo ripartire!!” grida, per poi tornare dentro il tour bus.
Ripartire.. già.
Non ho mai goduto appieno un luogo, soprattutto se magico, proprio come questo. Mi lascio alle spalle il perenne scroscio delle onde, portandomi dietro la malinconia.
“potremmo fermarci a Charleston!” popone Mikey, sbucando dalla porta del bagno.
“Mikey, no. Lo sai che dobbiamo tornare a New York il prima possibile!!” mio fratello assunse un piccolo broncio alle parole di Brian.
“eddai.. Bri… che ti costa?! Un piccolo giretto.. piccino piccino...” supplica Mikey con le mani unite.
“forse Frank e Bob saranno stupidi, ma io no. Lo so che non vuoi tornare a casa perché hai litigato con Alicia e non vuoi vederla perché sai di avere torto marcio!!” sbotta Brian, girando violentemente le pagine di un libro. Mikey brontola qualcosa con le braccia conserte, guardando il nostro manager con gli occhi ridotti a fessure.
Sorrido dolce al mio fratellino per poi girarmi e guardare fuori dal finestrino, la città scorre veloce, mentre io mi soffermo ancora sul mare indossando di nuovo il mio sorriso amaro, quello che mi fa compagnia da quando lei, perfetta creatura, ha lasciato me, uomo pieno di difetti.
Soffro come un disperato lasciato nella sua agonia, senza risalita, senza luce.
Non vedo l’ora di rintanarmi nel mio appartamento e stare solo, senza rumori, senza l’allegria che ora mi infastidisce come una mosca.
Frank si siede al mio fianco, poggiando gli occhiali da sole sul tavolo.
Mi guarda.
Mi accarezza la spalla cercando di condividere il mio dolore.
“sono patetico Frank.”
“no Gee, non lo sei.” Dice scuotendo la testa.
“amare non vuol dire essere patetici.” Dice il mio chitarrista.
“non essere ricambiati e aspettare che cambi idea è da patetici.” Ribatto giocherellando con la zip della mia felpa nera. Frank ride e mi abbraccia.
“so che arriverà il momento in cui una persona speciale ti farà ritornare il vecchio Gee, che a noi manca tanto. Abbi fiducia, lei è qui intorno, ora ti fa i dispetti e non si vuole mostrare, ma tu dagli tempo e vedrai Gee che tutto sarà perfetto.” Mi dice. Molte persone definirebbero Frank come un bambino troppo cresciuto, invece lui ha una sua filosofia sul mondo, sulla gente. Una filosofia positiva che ti fa tornare il sorriso. Gli bacio una guancia, sorridendogli sincero.
Non ho mai desiderato un migliore amico più in gamba di Frank, perché credetemi lui è il solo che mi riesce a far tornare il sorriso.
A un certo punto il bus rallenta emettendo uno strano rumore, poi il fumo.
Ci siamo fermati.
Brian ci raggiunge con un espressione sconvolta in viso.
“C’è un guasto al motore.” Esclama, con le mani nei capelli. Usciamo tutti dal tour bus.
L’unico contento di questo è Mikey.
“ragazzi! Guardate che coincidenza, siamo a Charleston!!” urla saltellando, indicando un cartello con su scritto:
“welcome to Charleston” Guardo mio fratello che saltella, tutto allegro.
Rido, imitato subito da Frank.
“bisogna trovare assolutamente un meccanico!!” urla Brian con la testa china sul motore del bus.
“provo a controllare col navigatore satellitare se qua vicino c’è un meccanico.” Dice Ray, con tono professionale, per poi sparire nel bus.
Concordato che, io di motori non ci capisco nulla comincio a camminare lungo la strada deserta.
Una fottuta strada deserta che mi allontana sempre di più da casa mia. In lontananza noto che il mare non mi a abbandonato. Come un amico mi segue fedele.
Torno indietro dopo qualche minuto e davanti a me, trovo il carro attrezzi.
“e adesso come raggiungiamo il paese?” chiede Bob
“semplice: a piedi.” Rispondo, come se la domanda posta avesse la risposta più ovvia del mondo.
“tu sei matto!” dice Frank.
“ma dai il paese è ha cinque minuti da qui!!” ribatto e senza altro da aggiungere,mi seguono.
Ci ritroviamo in una allegra cittadina in un soleggiato pomeriggio di primavera. Tutta questa allegria mi da alla nausea. Voglio tornare a casa.
Odio Charleston.
La mia decisione arriva improvvisa al mio cervello.
“dobbiamo trovare un albergo.” Suggerisce Bob, guardandosi in giro.
No.
Dovremmo restare qui?!?!
Tutti i miei piani di solitudine vengono frantumati con l’ennesima uscita di Brian.
“non sarà facile, siamo capitati durante il festival che preannuncia la primavera…” annuncia Mikey, sfogliando un itinerario sul festival.
“certo che tu ti sei proprio organizzato eh!” dice Brian guardando Mikey in cagnesco.
“va bene ho capito, dividiamoci: Frank tu vieni con me alla ricerca di un albergo, voi altri potete girare per la città.” Dice Brian prendendo un contrariato Frank per un braccio. Resto fermo, indeciso sul da farsi, mentre Ray e Bob si allontanano. Vedo bambini in festa e fiori da tutte le parti. Mi passo una mano sul volto, innervosito cominciando a camminare.
Fottuto tour bus!
Fottuto tour!
Fottuta band!
Fottuto South Carolina!
Fottuta Charleston!
Mi ritrovo in questa cittadina di qui non conoscevo nemmeno l'esistenza. In questa strada desolata e piena di bancarelle dell'usato. Molte di esse sono occupate da ragazzini che cercano di liberarsi dei giochi che gli hanno accompagnati per tutta l'infanzia o libri e fumetti del quale poco ora gli importa, probabilmente per ricavare soldi per potersi comprare l'ultimo videogioco uscito.
Gioventù sprecata. I fumetti, sono questi il bello della vita. Cosa c'è di più bello dei fumetti? Perdersi fra le figure e immedesimarsi in ogni personaggio. Un fumetto di x-man magari. Sentirti per un momento Wolverine... nessuno potrebbe farti del male.
Mi aggiro fra i piccoli stand e si sentono voci allegre.
Ci sono signore che parlano dei loro merletti e dei loro tavolini da the, signori anziani che cercano di vendere oggetti d'antiquariato alle poche turiste che magari sono qui solo per caso come me.
Siamo a Marzo e devo dire che fa caldo qui. Il sole illumina ogni cosa mentre la primavera si avvicina.
Butto la mia sigaretta e mi porto le mani nella tasche della mia felpa nera. Mi avvicino ad un piccolo tavolo di fumetti e mi tolgo gli occhiali per vedere cosa c'è.
Rovisto un po’ fra le pile di libricini sotto gli occhi vigili di un ragazzino che avrà appena dodici anni. Ce ne sono tanti, spider-man, superman… un momento, qui c'è anche x-man!
Quanti ricordi legati a quelle immagini. Ricordo ancora la delusione che da bambino ricevetti, come una bastonata dietro il collo. Un pezzo raro della mia collezione bruciato da quel pezzo di cretino di Mikey.
Sento il sole riscaldarmi. Le mie mani scorrono fra i vari piccoli volumi fino a fermarsi su quella copertina colorata e ancora intatta e perfetta.
E' lui! Il mio volume! Quello che mi mancava! Quello andato distrutto! Non mi sembra vero!
Lo sto per prendere, mi sto avvicinando alla felicità suprema. Mi sto avvicinando al mio mondo. Credo di sentire le campane. Si eccole… din don..
"Hei molla l'osso!" cosa? Mi sono perso qualcosa?
"Hei bambina lascialo! Lo stavo prendendo io!" dico togliendoglielo dalle mani.
"No! L'ho visto prima io!" dice riprendendoselo. E' una ragazzina che avrà al massimo diciassette anni. Capelli neri e pelle bianca. Ha due grandi occhi celesti che al sole sembrano dare sul verde. Piccola e magra, sarà all' incirca un metro e sessanta.
"No!" dico ancora rimpossessandomene.
"Si invece vecchio! L'ho visto prima io!"
"Io non sono vecchio bambina!" rispondo mettendomi sulla difensiva.
"E io no sono una bambina!E ora dammi quel coso, lo cerco da mesi!"
"Beh io da anni!" me lo riprendo stringendolo fra le braccia.
"Tanto sei vecchio, non credo ti servirà a molto!" cerca di strapparmelo ma lo alzo su con un braccio e lei non ci arriva.
"Lo porterò nella tomba con me allora!" saletta cercando di prenderlo.
"Dammelo!"
"Ehi Gerard! Mi mancava questo volume! Grazie amico!" ecco, ciliegina sulla torta. Maledetto Ray e la sua altezza. Me lo toglie dalle mani e si avvicina verso il bambino che divertito guarda la scena.
"Ray! Quello è mio!" mi volto verso il mio caro chitarrista che mai e poi mai mi regalerà quel volume.
"Bravo, sei contento ora? Per colpa tua ora la mia collezione non potrà essere completata!" mi dice puntandomi un dito sul petto per poi incrociare le braccia.
"E' colpa tua!" le dico mettendomi nella stessa posizione.
"Ehi Gee, andiamo! Gli altri ci aspettano!" la voce di Ray mi riporta alla realtà.
"Si arrivo! Addio bambina!" dico mettendomi gli occhiali e camminando verso il mio chitarrista.
"Addio vecchio! Cosa porterai ora nella tomba?" mi volto e la fulmino con gli occhi e in tutta risposta mi fa una linguaccia. Impertinente ragazzetta.
Mi volto cominciando a camminare, pensando che questa cittadina è davvero un grande schifezza e che per mia grande fortuna non vedrò mai più quella ragazza.


Questa città è patetica.
Non ho mai amato la mania della gente di festeggiare ogni piccola cosa.
La primavera non è un motivo per festeggiare.
È una stagione, nulla di più.
Arriccio il naso, disgustata dall’odore dei fiori.
C’è un solo fiore che non mi disgusta.
Il giglio.
Mi ricordo che papà regalava sempre un mazzo di gigli alla mamma per il suo compleanno.
Mi ricordo anche che mi nascondevo dietro la porta della cucina, per vedere la mia mamma che, con ancora in mano il mazzo di fiori, si metteva sulle punte e dava un dolce bacio di ringraziamento a papà e le risate, quando uscivo fuori dal mio nascondiglio e mi gettavo tra le loro braccia.
Sorrido amara, mentre da terra raccolgo quel giglio che ha catturato la mia attenzione.
Lo annuso.
I ricordi mi inebriano, facendomi sentire per un breve istante felice.
Appunto, un breve istante.
Butto il fiore nel cestino del pattume e mi accendo una sigaretta, perdendomi nelle strade piene di bancarelle.
Mi guardo intorno e visto che non ho un motivo per tornare a casa, comincio a curiosare tra i piccoli stand sorvegliati da mancini annoiati e da vecchiette che lavorano a maglia. Mi soffermo su una bancarella guardando la grande pila di dischi in vinile. Ne trovo alcuni molto vecchi, come Sex Pistols, Pink Floyd, The Doors e Ramones. Sorrido riconoscendo alcune canzoni che facevano e fanno parte della mia orrenda vita, dei miei inutili diciassette anni, come la mia colonna sonora. Mi ricordo che Nick, un mio vecchio amico, me ne regalò tantissimi.
Passo ad un’altra bancarella notando dei fumetti. Cosa c’è di meglio di un fumetto? Beh, nulla.
Se poi questi fumetti sono da collezione, ancora meglio. Comincio a cercare famelica un numero vecchissimo di X-man. Uno di quei numeri che mi mancano per finire la mia collezione.
Lo cerco guadagnandomi occhiate divertite da ragazzini di dieci anni.
Fottuti bambini.
Poi lo vedo.
È li, sotto tutta quella pila di fumetti americani.
Mi avvicino per prenderlo, ma un uomo, vestito di scuro e con gli occhiali da sole sopra la testa si avvicina alla mia preda, col mio stesso desiderio, posso vedere i suoi occhi verdi spalancati e desiderosi.
“Hei molla l'osso!" urlo puntandogli un dito contro. L’uomo alza lo sguardo e mi osserva, sorpreso, poi con uno scatto famelico lo predo, stringendomelo al petto.
"Hei bambina lascialo! Lo stavo prendendo io!" come? Come? Come? Come ha osato chiamarmi?! Me lo prende dalle mani, guardandomi innervosito.
"No! L'ho visto prima io!" me lo riprendo facendo comparire un sorriso soddisfatto sulle mie labbra.
"No!" se lo riprende combattivo.
"Si invece vecchio! L'ho visto prima io!" Facciamo un tiro e molla per un po’, lui continua a chiamarmi bambina, mentre io gli rispondo a tono. Poi lui, riesce a prenderlo e a sollevarlo in aria. Comincio a saltellare come una scema cercando di prenderlo, ma dato la mia bassezza non ci riesco.
"Dammelo!" impreco fra i denti, mentre lui sembra goderci.
Accadde l’inevitabile: un uomo, alto con i capelli più voluminosi che abbia mai visto, strappa di mano il fumetto di X-man. all’uomo con cui sto litigando.
"Ehi Gerard! Mi mancava questo volume! Grazie amico!" dice allegro, per poi dirigersi verso il proprietario della bancarella, un dodicenne che se la ride con qualche suo amico. Stringo i denti, innervosita, molto innervosita.
"Bravo, sei contento ora? Per colpa tua ora la mia collezione non potrà essere completata!" gli urlo in faccia, incrociando le braccia al petto. Lui mi imita, contrariato.
"E' colpa tua!" esclama. Il suo amico lo chiama e Gerard, così mi è parso sentire che si chiamasse, se ne va.
Odio i turisti.
Presuntuosi, che non capiscono niente.
Spero solo che, quando me ne andrò da questa città non incontrerò uomini così altezzosi e bambini.

Respiro affannata, appoggiata al letto e seduta malamente sul pavimento.
Gli occhi vitrei che si chiudono.
Le mie labbra sono distese in un sorriso.
Sto bene.
Anche se le lacrime mi solcano il viso.
Mi pulisco il naso con il dorso della mano, togliendo la polvere bianca su di esso.
Questa volta ho esagerato.
Non mi interessa.
È il mio compleanno.
Diciotto anni.
Buttati nella merda.
Rido, mentre con fatica mi alzo barcollando verso la porta.
Fuori c’è il vento che si alza maligno verso di me.
Mi scosto i cappelli dagli occhi.
Mi incammino verso il primo bar che noto.
Chiamo il barrista con un cenno della mano e ordino una birra, posando sul bancone cinque dollari rubati dal portafogli della mia madre adottiva,
sorseggio piano mentre il chiacchiericcio invade la mia testa.
Rimango nella mia tranquillità e del mio crescente senso di nausea.
“Claire? Sei proprio tu?” una ragazza bionda mi guarda sorpresa. Jane.
Lei faceva parte di una delle famiglie che in passato mi hanno ospitato.
Jane è stata l’unica con cui avevo un dialogo.
Mi ricordo che un giorno, mentre stavamo tornando a casa da scuola, ci eravamo promesse di fuggire a New York e ricominciare tutto.
“Jane! Tu che ci fai qui?” mi abbraccia, stringendomi nella sua morsa allegra per qualche minuto.
“sono qui per il festival con alcuni amici. Come stai?” la guardai, così bella, così allegra, vestita bene.
“bene...” cercai di sorriderle sincera. “tu?”
“benissimo! Sono al primo anno di medicina all’università di New York.” Cercò di essere felice, ma per quando possa sorridere, la mia vergogna sale.
Io cosa le dico?
Che sono drogata?
Che vita patetica, la mia.
“ancora col sogno della grande mela?” chiede appoggiando i gomiti al bancone. Sorrido annuendo. Jane si avvicina al mio orecchio.
“perché non vieni con me?” mi chiede.
“come scusa?”
“si, vieni con me. Potresti stare nella mia camera al campus, oppure un mio caro amico affitta dei monolocali in centro. Vieni via da questa merda di mondo. Era il nostro sogno New York, no?”
Mi daresti questa opportunità Jane?
Le sorrido, il sorriso più sincero che riesco a farle.
“quando parti?”
“tra due giorni.” Ci penso un po’ su.
“mi servono massimo quattro giorni per trovare i soldi.” Dico. So come fare.
Basta spacciare.
Posso fare a meno della mia droga per qualche giorno.
Venderò la mia scorta personale.
“ora devo andare, ti lascio il mio numero.” Tira fuori una penna mangiucchiata dalla sua borsa e mi scrive il numero sul dorso della mano., poi se ne va baciandomi la guancia.
Dopo pochi minuti esco dal locale fissando con un sorriso la calligrafia confusa di Jane..
È strano come la mia vita possa cambiare con un semplice incontro.
Sento la testa girarmi e il vomito salirmi in gola.
Rigetto sul marciapiede immaginandomi una esistenza migliore di questa.

“Vendi tutto?” un uomo alto e coperto da un capello fissa la roba che gli offro.
Annuisco nella penombra..
Osserva bene il sacchetto trasparente, poi tira fuori dalla tasca un mazzetto di dollari, uniti da un laccio.
Me li rende.
“è stato bello fare affari con te.” La sua voce rude si allontana, sparendo dentro una macchina grigia.
Conto i soldi con un sorriso e me li metto nelle tasche dei jeans.
Sarà fantastico ricominciare, come se nulla fosse successo in questi orrendi anni.
Mi incammino verso la stazione con la borsa sulle spalle.
Mi avvicino al telefono a gettoni che c’è in stazione e compongo un numero.
Sono le dieci di sera e il cielo è pieno di stelle.
“Jane? Sono io, Claire.”
“ehi, stai partendo ora?” mi chiede ansiosa.
“il treno parte fra cinque minuti, ora è meglio che mi sbrighi.”
“ci vediamo a New York. Sto arrivando. Stai attenta Claire.”
“tranquilla a dopo.” Aggancio il telefono e salgo sul treno. Il treno che mi porterà verso la vita.
Una vita tutta mia.

Fine Flashback


"Bambina..." dico incrociando le braccia.
"Vecchio..."
"Che ci fai tu qui?"
"La vecchiaia deve averti davvero dato alle testa. Ci lavoro! Cosa altrimenti?" mi dice mettendosi le mani sui fianchi.
"Non saprei... Comprare un libro? 'Alla ricerca della penna magica?"
"Ah, intendi dire quello che hai in mano?"
"Che vuoi da me?" dico rimettendolo al suo posto.
"Io? Assolutamente niente! Sei tu che hai invaso il mio territorio!" dice andando verso dei cd. Bhe, effettivamente, sono io l'intruso. Comincia a sfogliare delicatamente alcuni Lp. Se fosse stata più grande sarebbe stata carina. Già, se fosse stata più grande.
In silenzio vado ancora un po’ per la stanza osservandola. Osservo ogni suo minimo movimento, ogni suo minimo particolare. Non so perchè, ma ho questa mania, osservare. Dopo aver guardato, un po’ di libri, prendo quello che mi sembra il più interessante e mi avvicino al bancone.
Un ragazzo o uomo, dipende dai punti di visita, mi guarda a bocca aperta.
"Ma ma ma ma ma, tu sei... Gerard Way?" ecco.
"Ehm... si sono io..." rispondo sorridendo e porgendogli una mano.
"Wow, sei un mito! Tu e il tuo gruppo siete fantastici!"
"Quale gruppo?" ancora quella voce irritante.
"Claire! Lui è Gerard Way! Il cantante dei My Chemical Romance!"
"Eh? Chi?" risponde guardandolo non capendo.
"Claire... mi fai schifo!"
"Ehy Mich! Bada a come parli!" Claire, si chiama Claire la bambina.
"Quindi vuoi dire che lui è una sottospecie di artista?" dice puntandomi il dito contro.
"Certo!" dice il ragazzo sgranando gli occhi.
"Ah, mi fa piacere." e senza dire altro ritorna ai suoi cd.




Ciao!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Siamo mcr_girl e ElfoMikey… Abbiamo avuto la pazza idea di unirci per creare questa fan fiction!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Speriamo vi piaccia!!!!!!!!!!! >_< Grazie tantissimo a chi leggerà e soprattutto a chi recensirà questo capitolo!! Grandi baci!!!<3
  
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